Niente soldi europei per le grandi opere. Chi paga ora la Tav

post3 ottobre 2013 at 18:43

tbm

da contropiano – Libera informazione

 Ma mi faccia il piacere… Silenzio totale sulla recente decisione dell’Unione Europea – condivisa senza obiezioni dal governo italiano – di non finanziare più “gran di opere infrastrutturali”. Una decisione di politica industriale persino interessante, nel buio delle solite iniziative continentali, perché cambia drasticamente le priorità rispetto al passato. Avanti con “innovazione tecnologica, superamento del digital divide, sostegno alle piccole e medie imprese, sviluppo sostenibile e sostegno all’occupazione”, basta con buchi nelle montagne che non servono più a molto. L’ideologia non c’entra: la rete infrastrutturale europea è ormai molto innervata, richiede semmai manutenzione e aggiornamento, non iperfetazione ulteriore. Al contrario, c’è necessità di sviluppare quel che serve già ora come il pane, ma sancor più servirà in futuro.

E’ un cambiamento di rotta, che impegna i finanziamenti comunitari in direzione opposta alle Tav inutili di casa nostra e lascia scoperto il governo italiano, che per un verso va tagliando la spesa pubblica anche nei settori più delicati, per l’altro ha deciso di fare della Tav in Val Susa un test del proprio “decisionismo” con i deboli e genuflessione con gli “amici degli amici”. E dire che il “tunnel geognostico” da fare in tutta fretta, superando ogni opposizione popolare, era stato motivato con la “necessità di non perdere i fondi europei”…

Nessuna paura, non si può perdere quello che non c’è. Il problema che resta è dunque: chi paga la Tav? Non l’Unione Europea, non – pro rata – la Francia, che ha rinviato ogni decisione al 2030 (!). Resta solo lo Stato italiano, ridotto a erogatore di soldi freschi per una compagnia di giro di “costruttori” incapaci di “stare sul mercato” e bisognosi di commesse pubbliche.

Che il governo taccia sul punto, mentre fa la faccia feroce con il movimento No Tav, ha una sua logica fetente. Che la Procura di Torino si inventi fattispecie di reato molto più gravi di quelle eventualmenteverificatesi nel corso della Resistenza della Valle, è già molto più grave. Ma che “i guardiani” della stampa evitino con cura di spiegare al paese che la situazione attuale è radicalmente diversa da quella in cui venne immaginata la tratta ad alta velocità Torino-Lione (parte del “corridoio Lisbona-Kiev”, cancellato dai programmi già da anni), è decisamente segno di una corruzione capillare.

Del resto, basta guardare i pacchetti azionari di controllo dei principali media per scoprire che “i costruttori dall’italiana” vi hanno un grandissimo peso.

La posizione più scomoda è però quella del miglior giornale italiano, tecnicamente parlando: IlSole24Ore. Nella sua parte generalista e “politica” si comporta come un soldatino pro-Tav, senza se e senza ma. Nelle sue pagine “specialistiche”, dedicate a quelle informazioni che le aziende devono avere per valutare i propri business plan, spiega invece con grande chiarezza che le “grandi opere” non sono più un “obiettivo europeo”. Si dimentica solo di citare la Tav, ma deve essersi trattato di un attimo di distrazione….

Niente cantieri con i fondi Ue, grandi opere escluse dai 56 miliardi in arrivo

 di Giorgio Santilli

Per la prima volta non ci saranno risorse per le grandi infrastrutture mentre la priorità andrà a innovazione tecnologica, superamento del digital divide, sostegno alle piccole e medie imprese, sviluppo sostenibile e sostegno all’occupazione.

È cominciata, con linee direttive innovative, ma in ritardo, la partita della distribuzione dei nuovi fondi Ue 2014-2020: 28 miliardi di fondi comunitari cui andrebbero aggiunti 28 miliardi di cofinanziamenti nazionali. Non è ancora stabilito che sarà così, ma in passato il cofinanziamento italiano è sempre stato al 50%, e questa è la proposta del ministro alla Coesione territoriale, Carlo Trigilia, e di tutti gli attori impegnati al processo decisionale, a partire da Regioni e parti sociali.

Il Dipartimento per le politiche di sviluppo (Dps), il braccio operativo delle politiche di coesione guidato da Sabina De Luca, si è incaricato di mettere su carta la profonda rivoluzione che era stata annunciata ad agosto da Trigilia. Le grandi opere non saranno più finanziate dai fondi Ue, come è sempre stato nei precedenti cicli (compreso l’attuale): il compito spetterà alle risorse nazionali, in particolare al Fondo coesione sviluppo (l’ex Fas) che dovrebbe superare le ambiguità del passato (soprattutto con Tremonti all’Economia) ed essere «specializzato» in infrastrutture. Lo sforzo comunitario, viceversa, sarà concentrato sulle infrastrutture immateriali, sul sostegno alle Pmi, sulla sostenibilità.

Il Dps ha messo a punto una prima simulazione e le tendenze preannunciate da Trigilia emergono con nettezza: 26.419 milioni (46,8%) vanno ai quattro obiettivi (1-4) che premiano innovazione tecnologica, digital divide, sostegno alle Pmi e riconversione dell’economia verso la sostenibilità; 19.068 milioni (33,8%) ai tre obiettivi che promuovono l’occupazione, combattono la povertà, finanziano investimenti in formazione; 7.906 milioni (14%) alla tutela ambientale, alla prevenzione dei rischi ambientali e alla promozione di sistemi di trasporto sostenibili; 977 milioni (1,7%) all’efficientamento della pubblica amministrazione; 2.044 milioni (3,6%), infine, vanno all’assistenza tecnica.

La simulazione è stata inviata dal Dps alla Conferenza Stato-Regioni che sta discutendo le linee programmatiche da portare a Bruxelles. Il punto di approdo dovrà essere l’accordo di partenariato fra Stato, Regioni e Commissione europea che, in realtà, si sarebbe dovuto già presentare a Bruxelles entro il termine del 30 settembre. Manca, a monte, prima ancora di condividere una posizione sulla ripartizione delle risorse, un’intesa politica generale fra esecutivo e governatori.

L’ostacolo principale nel confronto sembra, al momento, la proposta del Governo di prevedere – in nome di un maggior coordinamento dell’azione nazionale – programmi nazionali affiancati a quelli regionali. I Pon (piani operativi nazionali) sono una prassi consolidata per le Regioni in ritardo del Sud, ma non sono mai stati sperimentati nel centro-nord. E su questo punto l’opposizione regionale è molto dura.

Il Governo da una parte ricorda alle Regioni che il Centro-Nord avrà il 40% di risorse in più rispetto al ciclo 2007-2013 e, dall’altra, spiega che a giustificare queste risorse aggiuntive ci sono parametri e fenomeni (disoccupazione o dispersione scolastica) in crescita che si possono combattere meglio con politiche nazionali e strumenti gestiti dal livello centrale.
La simulazione del Dps – che assume appunto il cofinanziamento nazionale del 50% – fotografa la ripartizione delle risorse non solo fra gli 11 obiettivi ma anche fra i due Fondi (39.644 milioni al Fondo europeo di sviluppo regionale, 17.940 milioni al Fondo sociale europeo) e fra tipologie di Regioni. Alle Regioni meno sviluppate andranno 40.471 milioni, alle Regioni più sviluppate 13.945 milioni, alle Regioni in transizione 1.998 milioni, alla «cooperazione territoriale» 1.170 milioni.

Il ritardo nella definizione dell’accordo di partenariato Stato-Regioni-Ue non è una bella notizia. Anche il nuovo ciclo di fondi strutturali europei comincia al rallentatore mentre ci sono ancora da spendere entro fine 2015 30 miliardi del vecchio ciclo 2007-2013. Quelli sì, destinati in gran parte a grandi infrastrutture. 

da IlSole24Ore

http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/art/infrastrutture24/2013-10-01/niente-cantieri-fondi-grandi-091924.php?uuid=AbkTtJhI

 

No Tav, la nuova faccia del movimento: minacce, azioni violente e protesta globale. I timori dell’intelligence (FOTO)

L’Huffington Post  |  Di Andrea Purgatori Pubblicato: 06/10/2013 18:32 CEST  |  

no tav intelligence

Macchinari nei cantieri dati alle fiamme, imprenditori minacciati, una lettera con dentro proiettili destinata a Cgil, Cisl e Uil, un hard disk esplosivo recapitato a un giornalista della Stampa e ancora i timori per la manifestazione nazionale del 19 ottobre a Roma. Cresce la tensione intorno alla protesta contro l’Alta velocità. Ecco quali sono le valutazioni dei nostri servizi di intelligence su quello che si annuncia il mese più caldo per il movimento No Tav.

No Tav chi? Ma soprattutto, dove? Negli ultimi giorni, gli analisti dell’intelligence hanno messo a disposizione del governo, una serie di relazioni sul movimento di protesta contro il cantiere dell’Alta velocità, che fotografano due scenari. Il primo, a breve termine, circoscritto alla manifestazione annunciata per il prossimo 19 ottobre a Roma (con possibile anticipo il 18). Il secondo, più complesso, sull’evoluzione stessa del movimento che starebbe rapidamente modificando la composizione originaria del proprio Dna, la scelta del terreno di scontro e gli obiettivi.

Secondo gli analisti, esiste tuttavia un comune grado di pericolosità rispetto a questa trasformazione e alla scadenza di ottobre che, in una scala da 1 a 10 – dove fino al livello 2 rientra la legittima protesta contro una qualsiasi iniziativa del governo e il 10 configura la possibilità di attentati a persone simbolicamente legate a quelle stesse iniziative – si attesta su un valore di 4,5 con tendenza al peggioramento. Dato che viene considerato “preoccupante”, avendo come termine di comparazione quel 6,5 che fu attribuito agli scontri del 15 ottobre 2011 a Roma, quando un blindato venne dato alle fiamme e i carabinieri che c’erano dentro si salvarono per un soffio.

L’intelligence valuta che negli ultimi mesi il movimento No Tav si sia svuotato di gran parte delle sue motivazioni fondanti (tutela della salute e del territorio), nel tentativo di assumere un ruolo di contrapposizione globale al sistema, con parole d’ordine e su tematiche di carattere sociale (casa, precarietà, lavoro). Questo starebbe producendo un progressivo distacco della gente della Val di Susa dalle modalità sempre più violente della protesta e dall’escalation di minacce e azioni contro uomini, imprese e mezzi coinvolti nella costruzione della Torino-Lione, secondo una strategia imposta dall’arrivo in forze di gruppi di antagonisti e di anarchici.

Meno preoccupante era considerato invece l’appello di settembre rivolto ai No Tav da due esponenti delle cosiddette nuove Br, Alfredo Davanzo e Vincenzo Sisi (“Il movimento deve compiere un altro salto in avanti, politico organizzativo, assumendone anche le conseguenze, o arretrare”), che ricalcherebbe posizioni e richieste già espresse in passato nei confronti di altri movimenti (soprattutto in riferimento alla “dimensione di prigionieri rivoluzionari” dei suoi autori). Ma l’invio di tre missive contenenti proiettili e minacce ai tre segretari regionali dei sindacati degli edili, intercettate pochi giorni fa in un ufficio postale di Torino, ha modificato in peggio anche questo livello di allarme. Che comincia ad esercitare una indubbia pressione psicologica su chiunque sia coinvolto a vario titolo nel cantiere dell’Alta velocità.

Che gli scontri in Val di Susa stiano diventando una sorta di palestra per far crescere una forma di protesta di matrice movimentista molto più ampia, con l’ambizione di allargare lo scontro a livello nazionale è, a detta degli analisti, un fatto ormai oggettivo. Tanto da permettere ad antagonisti ed anarchici (in gran parte spezzini e toscani) di chiamare la piazza per la manifestazione del 19 ottobre con l’obiettivo di portare la Valle in Città e lanciare un segnale forte al sistema sui temi generali legati alla crisi. Anche se, sempre secondo questi scenari, la capacità di aggregare consenso intorno alla protesta non sarebbe al momento nemmeno paragonabile a quella guadagnata negli anni Settanta dalla campagna di attacco portata dalle Brigate Rosse allo Stato, almeno fino al sequestro e all’uccisione di Aldo Moro.

Chi sarà in piazza, a Roma? Per il momento, la lista nelle mani degli analisti comprende movimenti e gruppi vari, dai No Tav ai No Logo, dal coordinamento di Abitare nella crisi ai blocchi proletari metropolitani, dai centri sociali agli anarchici, che potrebbero persino contare sulla partecipazione di gruppi o singoli dalla Grecia e dalla Spagna (quella della presenza nel movimento No Tav di elementi provenienti dall’estero è già una realtà, anche se considerata per adesso non significativa). Mentre è in dubbio l’arrivo di Black Bloc organizzati dal nordeuropa, che normalmente preferiscono andare in trasferta in occasione di appuntamenti internazionali che offrono maggiore visibiltà.

Lo scenario della manifestazione viene dunque considerato ancora troppo confuso. Gli analisti ritengono che l’autorizzazione al corteo avrebbe spiazzato una parte del movimento. Ma sarà davvero così? La preoccupazione che la giornata di protesta possa trasformarsi in una nuova giornata di follia metropolitana è concreta quanto il timore che la cosiddetta rabbia liquida e non completamente radiografabile su cui punta l’ala antagonista più dura per mandare il proprio segnale al sistema, sia più estesa del previsto e più determinata allo scontro. Se così fosse, le conseguenze sarebbero molto più rischiose e imprevedibili.

La caverna e l’alieno: Fico da Fazio.

Pubblicato 6 ottobre 2013 – 23.21 – Da Claudio Messora
 
Roberto Fico Fabio Fazio

Fabio Fazio invita Roberto Fico a Che Tempo Che Fa. In più occasioni durante l’intervista, l’impressione è che faccia le domande ma che non voglia ascoltare le risposte. Il pubblico in sala sembra di sale: non applaude mai. Tranne quando Fico chiede gentilmente di non essere chiamato “onorevole” e Fazio ironizza sul suo nome: “Fico è brutto!”. Allora è l’apoteosi.

Dire che l’informazione in questo Paese fa schifo a chi l’ha fatta per decenni è come entrare in una bisca clandestina e mettersi a parlare di legalità con il croupier. Il risultato è surreale: lo studio sembra un villaggio isolato dal tempo nel quale all’improvviso faccia la sua comparsa un uomo vestito con abiti moderni e con un computer in mano. Una caverna con un alieno dentro.
Gli intellettuali radical chic obiettano che entrare alla Rai per chiedere che la politica esca dalla Rai, come è accaduto lunedì scorso, sia un controsenso. Lo sarebbe se il nuovo cacciasse il vecchio per sostituirsi a lui nella gestione del potere. Questo è ciò che è sempre avvenuto ed è l’unica maniera in cui l’attuale classe dirigente sa ragionare. La Rai deve essere liberata, ma solo per riconsegnarla nelle mani dei cittadini. Come un ostaggio che le forze dell’ordine salvino non certo per sostituirsi ai suoi carcerieri, ma per restituirlo alla vita.

p.s. Se a qualcuno venisse in mente di ironizzare sul nome di Fazio come Fazio ha ironizzato sul nome di Fico, probabilmente il risultato non sarebbe altrettanto lusinghiero.
http://www.byoblu.com/post/2013/10/06/la-caverna-lalieno-fico-fazio.aspx

 

Spagna, sciame sismico inusuale: nel mirino una riserva di gas sottomarina

Nella zona del delta dell’Ebro sono stati registrati oltre 300 terremoti, di piccola o media intensità, nel solo mese di settembre. In molti pensano sia dipeso da un sistema di stoccaggio di gas naturale al largo della costa.
Un importante sciame sismico – la cui scossa più forte, di magnitudo 4,2, è stata registrata martedì – si è prodotto nella zona del delta dell’Ebro, in Spagna. I terremoti registrati dall’istituto geografico nazionale sono stati circa 300 nel corso del mese di settembre. E ciò che preoccupa è la causa che potrebbe averli prodotti.

Il dito di numerosi amministratori e abitanti della zona è infatti puntato contro un sistema di stoccaggio di gas sottomarino, situato nel Mediterraneo a 22 chilometri dalla costa, al largo di Valencia. Il progetto, denominato Castor, ha permesso di trasformare un vecchio pozzo petrolifero a oltre 1.700 metri al di sotto del livello del mare in una riserva di gas naturale grandi abbastanza da contenere il fabbisogno di tre mesi dell’intera regione.

La capacità è infatti di 1.300 milioni di metri cubi, e fino ad ora sono stati iniettati circa 100 milioni. Il sito è poi collegato ad una piattaforma marina e, attraverso un gasdotto, alla rete di distribuzione spagnola.

Per ora non esiste una prova del rapporto di causa effetto tra lo sciame sismico – per altro inusuale – e il deposito di gas. Ma un gruppo di sindaci ha chiesto al ministero dell’Industria si risolvere la situazione e di mettere in sicurezza l’area.

3 Ottobre 2013
Andrea Barolini

http://www.valori.it/energia/spagna-sciame-sismico-inusuale-mirino-riserva-gas-sottomarina-6791.html

 

CALIFORNIA, DR WEINBERGER: MEMORIE IMPIANTABILI DIRETTAMENE NEL CERVELLO

DA (NaturalNews)

I ricercatori della  Università della California, a Irvine, hanno aperto un varco dimostrando come memorie specifiche possano venire impiantate manipolando direttamentre il cervello.

 Basandosi su 50 anni di ricerca, il prof  Norman M. Weinberger (professore di neurobiologia e ricerca del comportamento) e il suo team, hanno confermato la possibilità di alterare direttamente le cellule cerebrali nella corteccia cerebrale.

 (…) I ricercatori della UC di Irvine dicono che questo conferma che la diretta stimolazione cerebrale puo’ creare memorie che sono convincenti  tanto quelle naturali e archiviate da lungo tempo. Quel che è interessante è che il loro esperimento ha aumentato il range delle cellule cerebrali coinvolte nella risposta allo spunto uditivo, trovando che tanto più è intensa la memoria, tanto piu’ ampio l’impronta dei network neuronali ad essa associati.

 (…) In che modo questa scienza che crea memorie altererà la società , e nello specifico in che modo lo farà la capacità di costruirke e impiantarle nella mente ? Quello dipende naturalmente da chi usa la consocenza.

Il mondo post bellico ha già visto la sperimentazione segreta  portata avanti dalla CIA con il progetto MK Ultra, dove per decenni varie tecniche  di mind control (controllo mentale) sono state usate contro soggetti ignari e  non intenzionati. Tali abusi verranno accelerati con queste nuove scoperte?

 Il Dr. Weinberger ha riconosciuto che questo “teoricamente è possibile”.” Ha detto  che “se chiunque puo’ mettere un elettrodo dentro il tuo cervello, questo sarebbe il massimo controllo che mai si potrebbe avere.”

 >> tuttto l’articolo qui:

http://thelivingspirits.net/php/articolo.php?lingua=ita&id_articolo=720&id_categoria=12&id_sottocategoria=60

Fonte tratta dal sito  .

La Stalingrado di Fule

come nasce un protettorato e lo chiamano liberazione. Ma i bosniaci a differenza degli italiani non si son fatti COMPRARE né hanno dato peso alle minacce. Quasi nemmeno gli albanesi che si stanno “ARMONIZZANDO”…. un modo molto politically correct per dire OMOLOGATI GLOBALIZZATI CONQUISTATI E SOTTOMESSI

http://etleboro.blogspot.it/ [2]
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Roma – Si è consumata ieri a Bruxelles la Stalingrado di Stefan Fule. Lo staff della Commissione per l’Allargamento hanno potuto toccare con mano la complessa realtà balcanica, che continua ad essere perfettamente descritta dalla frase di Ivo Andric: “Dove finisce la logica, lì inizia la Bosnia“.

Il confronto tra i leader politici della Bosnia e i tecnocrati europei sulla riforma costituzionale della Bosnia, e la sua armonizzazione alla sentenza della Corte Europea, è stato molto acceso, con attimi di confusione e panico, tanto che si temeva il ripetersi dello scenario di Butmir. Allora, la conferenza organizzata sotto l’egida degli Stati Uniti, avrebbe dovuto concludersi con la ratifica della ‘nuova Costituzione’ della Bosnia, ossia una serie di documenti che i rispettivi leader politici avevano ricevuto per conoscenza solo pochi giorni prima. Messi dinanzi a fatto compiuto, i rappresentanti bosniaci si sono rifiutati di apporre una firma ‘in bianco’, e a nulla sono valse le minacce di isolamento e di taglio dei fondi. I funzionari della Comunità internazionale hanno perso la calma, e l’ambasciatore americano non ha retto all’urto: è svenuto ed è stato trasferito d’urgenza in barella.
 
Fule ha avuto una sorte diversa, non è svenuto, ma si è dovuto scontrare con la dura realtà del fallimento diplomatico, perdendo così l’occasione di passare alla storia come l’uomo che ha messo d’accordo i bosniaci, il “Tito europeo”. Ha cercato di esercitare delle pressioni, utilizzando la leva del taglio dei fondi IPA e di ogni altra agevolazione finanziaria, ottenendo di contro un secco rifiuto, vista l’inconciliabile incompatibilità di ciascuno dei leader sulla riforma Sejdic-Finci. Dopo la pausa pranzo, i toni sono rientrati nella normalità, congelando per il momento le sanzioni e pattuendo un accordo di “principio” ma non sulla carta, da discutere in colloqui separati i prossimi dieci giorni. In teoria una ‘soluzione geniale’, nella pratica un ‘nulla di fatto’, che rinvia ormai per inerzia un processo di riforma che non può avvenire, senza mettere in discussione gli stessi principi del Dayton. Un rebus da cui non si può uscire con i tecnicismi, bensì solo con un compromesso politico storico. E’ evidente che l’adesione all’Europa non è tra quelle prospettive che riescono a motivare questo Paese, al punto tale da rinunciare alle rispettive revanche. Forse l’Unione stessa non viene vista come istituzione autorevole, in grado di risolvere gli annosi problemi di uno Stato in crisi perenne.
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La parentesi bosniaca, tuttavia, è solo una parte della cronaca della disfatta. Nel pomeriggio si fa sempre più pressante il ‘caso Albania’ che ha portato alla luce, tra le altre cose, anche la grave superficialità dei consulenti tecnici europei. Infatti, se prima hanno assecondato gli intenti ‘pre-elettoriali’ del Partito socialista, che chiedeva di rinviare l’approvazione di una legge che bloccava le “regalie dello scambio di voti”, dopo chiude un occhio sulla sua entrata in vigore. Questo dovrebbe saperlo anche l’ambasciatore Sequi, che ha investito così tanto nella ‘sensibilizzazione europeista’ degli albanesi, partecipando persino allo show del Grande Fratello di Albania, in occasione della ‘Settimana europea’. Tanti sforzi, tuttavia, non hanno avuto i risultati sperati, perché la nuova maggioranza sforna un decreto che entra in vigore il 1° ottobre (accontentando le richieste UE) ma diviene applicabile dopo sei mesi (accontentando i militanti di partito). Un dettaglio che, a questo punto, non è sfuggito agli osservatori più attenti, che hanno richiamato i funzionari europei a mantenere imparzialità e rigidità nel rispetto delle regole di armonizzazione. L’imbarazzo è stato così bruciante, che il portavoce Peter Stano, in evidente difficoltà, ha rilasciato una dichiarazione ridicola e insensata, nella quale afferma che sosterrà l’elaborazione dei regolamenti di attuazione, di un atto che – a dire degli esperti – presenta evidenti limiti di incostituzionalità, rinviando poi alla pubblicazione del rapporto di progresso ogni ulteriore dettaglio.

La CE cade quindi nei tecnicismi, pur di non prendere alcuna posizione in una vicenda di cui è pienamente responsabile. Lo stesso Stano si rifiuta di rispondere alle domande rivolte dall’Osservatorio Italiano, e quindi di dire chiaramente se questa legge, così come scritta, rispetta o meno i termini per la candidatura dell’Albania, e se l’annullamento dei decreti dell’uscente Governo Berisha mette in discussione la certezza del diritto e gli investimenti esteri. Non rispondere a queste domande è ipocrisia, anche perché i cittadini europei devono essere informati sulla sostenibilità di una macchina burocratica che crea tanti sprechi.  Sono milioni e non ben stimati i costi per redigere studi di fattibilità, consulenze e analisi tecnico-giuridiche delle Commissioni Europee: le regole di trasparenza obbligherebbero la pubblicazione dei bilanci e dei rendiconti delle spese, perché questi funzionari restano pur sempre dei ‘dipendenti pubblici’.
In nome dei principi civili su cui si fonda l’UE, dovrebbero essere pubblicate le liste dei consulenti e dei professionisti che  prestano la loro opera di assistenza per la preparazione di leggi e interventi, ma anche che partecipano alla preparazione dei progetti per i fondi IPA. Potremmo eventualmente scoprire che i tanto acclamati fondi di integrazione, solo in minima parte giungono al reale beneficiario, perché una quota importante serve a finanziare i contratti di consulenza. Non è questa l’Europa che gli Stati-nazione volevano creare, perché hanno rinunciato alla propria sovranità monetaria nella convinzione che le strutture sovranazionali sarebbero riuscite a superare i clientelismi, le correnti e le inefficienze. Ma a quanto pare l’UE si sta trasformando in qualcosa di peggiore, incapace ed incompetente, persino nel gestire un banale caso di ‘aggiramento delle leggi’, ignorando poi il rischio derivante dalla cancellazione massiva dei provvedimenti con il cambio del Governo.
I Balcani, nella loro complessità, stanno quindi mettendo in risalto anche i limiti di questo meccanismo tecnocratico, che dopo aver fatto degli errori con Romania e Bulgaria, ha creato distorsioni anche in Croazia: il Governo croato ha approvato negli ultimi mesi, prima dell’adesione ufficiale, più di 1200 decreti, con innumerevoli errori di traduzione e lacune legislative, che ne impediscono nei fatti l’applicazione. Segnali di malessere politico sono emersi anche in Serbia, dove una campagna elettorale demagogica è stata seguita da una epurazione spietata di amministrazione e cancellerie, nonché arresti e allontanamenti, tutto con il benestare, e talvolta su pressione, degli organi di Bruxelles. D’altro canto, l’accordo con il Kosovo è solo un’immagine di marketing diplomatico, per confermare che l’Europa ha portato a termine un processo di pace; resta ora da vedere quante delle promesse fatte saranno portate a termine, visti gli attriti alle prime difficoltà incontrate.  Meno riconoscimenti sono stati dati all’Albania, nonostante il sincero impegno profuso, perché in questo caso Bruxelles ha scelto di partecipare alla retorica politica, invece di fare il proprio lavoro, ossia garantire il rispetto delle regole, qualunque sia il partito al potere.  Si è quindi prestata ad un vile gioco, al punto da minare la credibilità stessa dell’Europa. E’ diventata immagine di demagogia, propaganda, prepotenza e arroganza. Questa è la Stalingrado della UE.Seguici su Twitter
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Film verità su Goldman Sachs arriva in Italia [VIDEO]

Posted on settembre 20, 2013 by ununiverso

 Impero invisibile da 700 miliardi di euro di utili. Draghi fu assunto per fare con i governi accordi poco etici.

 

ROMA (WSI) – I governi passano, Goldman Sachs resta. A un certo punto del documentario c’è qualcuno che lo dice. Non è un’iperbole, ma l’impietoso punteggio della partita attuale tra economia e politica. Vince la finanza, perdono tutti gli altri. E sul podio, da oltre un secolo, c’è sempre la banca fondata a New York nel 1869 dal tedesco Marcus Goldman che poi si assocerà con il genero Samuel Sachs. Più ricca dell’Arabia Saudita. Più potente di Obama. Più omertosa dei corleonesi.

Il che rende particolarmente interessante Goldman Sachs: la banca che dirige il mondo, il film del francese Jérôme Fritel (già passato sulle frequenze dell’emittente franco tedesca Arte) che sarà presentato per la prima volta in Italia al Premio Ilaria Alpi. «Non mi era mai successo di ottenere il novanta per cento di rifiuti a richieste di interviste» confessa il regista al telefono dalla Corsica.

 «Su oltre trecento tentativi ne abbiamo girate una quarantina, per poi tenerne la metà. E molti di quelli che avevano già parlato nel libro di Marc Roche, il mio punto di partenza, hanno acconsentito a farlo di nuovo solo lontano dalla telecamera. Il fatto è che, una volta entrato nell’azienda, non ne esci veramente mai». Quel gessato è per sempre.

 I monaci-banchieri, come li definisce un fuoriuscito, sembrano sottoscrivere il motto nietszchano: «Ciò che non ti uccide ti rende più forte». La crisi, ad esempio. Prima che la bolla dei subprime esploda, lasciando macerie dove una volta c’erano case, capiscono e agiscono. Creano un nuovo prodotto cui danno l’innocuo nome di Abacus, il pallottoliere, una cosa semplice, da bambini. In quel pacchetto ci sono i peggiori mutui in circolazione: loro lo sanno, i clienti no. È così difficile capirlo che ne fa incetta anche la Ikb, antica banca tedesca che fallirà per questo.

 Fabrice «Favoloso» Tourré, Normalista divenuto trader e coinvolto nel loro smercio, si vanterà con la fidanzata: «Vedove e orfani belgi adorano il sintetico Abacus». Sottintende: poveri idioti. Quando non si può più far finta di niente la banca decide di sacrificarlo. Fa trapelare l’imbarazzante corrispondenza della «mela marcia». Paga una multa da 400 milioni di dollari e non deve ammettere alcuna colpa. Il processo all’ambizioso francese (difeso coi soldi dell’azienda) è in corso. Potrebbe essere l’unico a pagare, per salvare l’onore della casa madre.

Goldman Sachs – La banque qui dirige le monde

 

Goldman Sachs – La banque qui dirige le monde from FI on Vimeo.

 È una banca fondata sul conflitto di interessi. Prendete Hank Paulson. Dal ‘99 al 2006 è amministratore delegato di GS. Lascia per andare a fare il ministro del tesoro del governo Bush (sotto Clinton c’era già stato un altro ex, Robert Rubin). È lui a decidere nel settembre 2007 di non salvare Lehman Brothers, avversario storico del suo precedente datore di lavoro. Sempre lui, a stretto giro, a intervenire in favore di Aig, il colosso assicurativo che garantisce i mutui. Se cade quella, la molto esposta Goldman perde dieci miliardi di dollari.

 Alla riunione d’urgenza convocata a New York Paulson tratta con il suo successore. «Quel salvataggio, costato miliardi ai contribuenti, è stata un’oscenità», si scalda William Black, esperto di diritto bancario che ha deposto davanti al Congresso, «ma così Goldman non ci ha rimesso un dollaro». Solidarietà tra allievi della stessa alma mater. Quando il Congresso interpella anche Paulson gli chiedono se non si sentisse a disagio in quel contesto incestuoso, gli rinfacciano lo sconto da 200 milioni di dollari che il fisco gli concesse per la vendita di azioni GS come condizione per entrare nel governo. Lui non sa cosa dire, balbetta. Sembra Charlie Croker, l’«uomo vero» di Tom Wolfe, che comincia a zampillare sudore di fronte a quella sorta di plotone di esecuzione di funzionari che gli chiedono di rientrare dei suoi tanti prestiti.

 Ci sono altri preziosi momenti-verità. Lloyd Blankfein, l’attuale numero uno, che si vanta con il Wall Street Journal di «fare il lavoro di Dio», intendendo la creazione di denaro dal nulla. Figlio di un postino e di un’addetta alla reception, cresciuto in case popolari di Brooklyn dove i bianchi scarseggiano, ha sgomitato sino al vertice. E ora ha un perma-riso stampato in faccia, alla Joker, al punto che un meme internettiano lanciato da Adbusters, la stessa rivista che ispirò Occupy Wall Street, chiama a raccolta chiunque riesca a toglierglielo, quel ghigno.

 A un certo punto si vede uno spezzone di un’intervista alla superpotenza televisiva Charlie Rose. Domanda: «Avete venduto un prodotto che scommetteva contro i vostri clienti?». Segue una pausa che stancherebbe Celentano. Un minuto, forse più. Sembra un’eternità. «Qualcuno ci chiama un casinò, ma se anche fosse siamo un casinò socialmente molto importante». Non uno degli intervistati nel film condivide quest’affermazione.

 Sono un network micidiale, quello sì, che crede di saper conciliare magicamente Dio e Mammona. «Quando alla fine degli anni ‘80, sull’onda della forte deregulation finanziaria britannica, aprono gli uffici a Londra» spiega ancora il regista Fritel, «si preoccupano di reclutare quanti più politici possibili, che diventino loro ambasciatori. Più tardi sarà il turno, come consulenti con credibilità a Bruxelles, anche dei vostri Mario Monti e Romano Prodi».

 Ben più organico è un altro italiano da esportazione, l’ottava persona più potente al mondo stando alla classifica Forbes: Mario Draghi. L’attuale governatore della Banca centrale europea ne è managing director e vice chairman dal 2002 al 2005. Il comunicato ufficiale descrive il suo ruolo come quello di aiutare l’azienda a «sviluppare e portare a termine affari con le principali aziende europee e con governi di tutto il mondo».

 Nel film un europarlamentare verde, il francese Pascal Cafin, gli chiede in udienza pubblica che ruolo abbia avuto nella discussa vendita di derivati che ha consentito alla Grecia di ridurre di due punti il proprio debito pubblico: «E avvenuta prima del mio arrivo e io non ci ho avuto niente a che fare». Canfin non è affatto soddisfatto («Affare troppo grosso, non poteva non sapere»).

 Neppure Simon Johnson, economista al Mit, lo ritiene verosimile e ha scoperto che dell’accordo, che varrà oltre 600 milioni di euro alla banca e una zavorra da 400 milioni di rimborsi annui sino al 2037 per Atene, si discuteva ancora nella primavera 2002. Insiste Fritel: «Ciò che sorprende è che Draghi abbia sostenuto di non voler occuparsi di governi quando tutti sapevano il contrario. Alcune nostre fonti ci hanno detto che era stato preso proprio nell’eventualità di pensare ad accordi del genere, legali ma scarsamente etici visto che i debitori finiscono per aggravare la propria posizione, con altri Paesi indebitati, come Francia e Italia».

 Draghi diventa Super-Mario, e il tempo delle domande diventa il tempo degli elogi. Jean-Claude Trichet, ex numero uno a Francoforte, accetta di essere intervistato ma, quando toccano il tasto del successore si blocca: «Stop. A questa domanda non voglio rispondere. Tagliate». Loro non tagliano e il diniego diventa eloquente.

 Nel documentario c’è molto di più. Viene fuori bene l’ethos di questi banchieri al cubo. Per cui sembra decisivo non solo guadagnare tanto, ma più di tutti gli altri colleghi, in un parossistico gioco a somma zero. La busta paga diventa il pallottoliere, l’abaco del tuo valore.

 Una ex-Goldman ‘pentita’ racconta un aneddoto: «Un venerdì pomeriggio convocano i neo-assunti per una riunione con il management. Passano le ore, nessuno si presenta. È estate, fuori la gente parte per il mare, le matricole rumoreggiano. Passano altre ore e qualche temerario, scocciato, se ne va. Alle dieci di sera finalmente arrivano i dirigenti. E licenziano seduta stante chi ha abbandonato il campo».

 Questa è l’azienda. Gli ordini non si discutono. I vecchi compagni non si tradiscono. Goldman ha sempre ragione (anche quando un suo errore informatico rischia di bruciare in un attimo 100 milioni di dollari). È una profezia-autoavverante: finché la reciti, funziona.

 Fonte: Minima et Moralia

 Tratto da: wallstreetitalia


 

MICROCHIP nel cervello innestato fraudolentemente!

Posted By Dioni On 05 ott 2013.

 Lo diceva da anni. Adesso sostiene di avere le prove: «Sono finalmente in possesso di un coraggioso referto, adesso è provato che nella mia testa hanno impiantato dei corpi estranei». Paolo Dorigo (nella foto), il maestro di Mira coinvolto nell’inchiesta per l’attentato alla base Usaf di Aviano da cui è uscito completamente pulito visto che la Corte europea ha giudicato la sua condanna non equa, convoca la stampa a Marghera, nella sede dell’Associazione esposti amianto, per mostrare una serie di radiografie e consegnare pacchi di carte, dalla sentenza della Corte europea al dossier sul “nazismo soft” riguardante il controllo mentale e le torture tecnologiche. Dorigo ha 47 anni, dallo scorso 31 marzo si è sposato con una giovanissima nigeriana, ha ripreso a lavorare («Stampo dei libri»), continua a definirsi “militante comunista maoista, editore, artista, lavoratore, ex prigioniero politico, torturato e perseguitato in permanenza dal sistema”. Dorigo sostiene che tutto è iniziato nel ’96: in carcere a Novara si dà fuoco con una bomboletta di gas, viene ricoverato a Torino ma viene operato solo dopo sei giorni. Secondo Dorigo, è stato durante quell’intervento chirurgico che nell’orecchio e in testa gli sono stati impiantati dei “corpi estranei”. I suoi disturbi – rumori, voci – sono iniziati dopo che una psicologa è andata a trovarlo in ospedale e a un certo punto «ha premuto un telecomando». Ha fatto esami, tac, radiografie, senza però riuscire ad avere un referto. «Adesso il referto c’è, l’ha firmato un direttore ospedaliero di radiologia di una città italiana che ha chiesto di tutelare la sua identità, l’originale del referto ce l’ha il mio avvocato Vittorio Trupiano: è la prova di quanto vado denunciando». Dorigo ora cerca un chirurgo per espiantare i “corpi estranei” disposto a farsi filmare durante l’intervento. Perché Dorigo vuole portare tutto al tribunale di Venezia. 

Paolo Dorigo ha fondato L’Associazione Vittime armi elettroniche-mentali (Avae), il cui sito si trova qui:

http://www.paolodorigo.it/ASSOCIAZIONE/index.html

 Segnalo in particolare il referto di cui si parla nell’articolo:

http://www.avae-m.org/referto/referto.htm

 E la rassegna stampa su questo sviluppo:

http://www.paolodorigo.it/rassegna-stampa.html

 

Perché la geo-ingegneria è stata legittimata dalla IPCC?

 giovedì, 3 ottobre 2013 

By NoGeoingegneria

Ultime scoperte dell’IPCC sullo stato del clima della Terra (e la scienza del clima):hanno concluso in modo inequivocabile che il riscaldamento globale è reale e che l’uomo ne è responsabile al 95%. E peggio ancora dice Thomas Stocker, il Co-presidente del rapporto ha sottolineato che la Terra dovrà affrontare cambiamenti climatici ancora per i secoli a venire, anche se le emissioni di CO2 cessassero del tutto (e sarà difficile che avvenga).

Il Quinto Rapporto di Valutazione dell’IPCC è un’altra pietra miliare per l’avanzamento delle conoscenza scientifiche sul cambiamento climatico; conferma, ancora una volta, la solidità della scienza del clima e l’ampiezza delle variazioni del clima del pianeta già avvenute e attese per i prossimi decenni. La notizia è che non ci sono sorprese: più dati e più risultati dei modelli confermano, con maggiore precisioni e dettagli, quanto già si sapeva. Non ci sono, affatto, le minimizzazioni e i cambiamenti di rotta in precedenza annunciati, introduce Climaalteranti il suo articolo-commento, ripreso dal Corriere della Sera

Cronologia dei rapporti in forma sintetica

Rapporto IPCC del 1990: L’aumento di temperature osservato in questo secolo potrebbe essere dovuto in gran parte alla variabilità naturale. Rapporto del 1996: l’evidenza suggerisce che vi sia un’influenza umana sul cambiamento climatico. (Dal 1998 in poi la CO2 aumenta speditamente, mentre le temperature smettono di aumentare)
Rapporto del 2001: Ci sono nuove e solide prove che dimostrano che la maggior parte del riscaldamento osservato negli ultimi 50 anni è attribuibile alle attività umane.
Rapporto del 2007: La maggior parte dell’aumento osservato nella temperatura media globale dalla metà del XX secolo è al 90% dovuta all’aumento osservato delle concentrazioni di gas serra di origine antropica.
Rapporto del 2013: La responsabilità dei cambiamenti climatici è al 95% dell’uomo.

Dal 1998 incirca, osserviamo l’addensarsi dei cieli, dovuto a forme di emissioni non osservate in passato: aeri (non di rado 6-7 aeri in contemporanea) producono scie dense, formando coperture nuvolose artificiali. Cieli opachi biancastri sostituiscono in misura crescente il cielo blu. Le prime denunce di questi cambiamenti, gradualmente sempre più eclatanti, venivano fatte da parte di cittadini in USA e Canada, l’Europa segue dal 2003. Ormai si tratta di un fenomeno globale e gruppi in tutto il mondo indagano e chiedono risposte.

Segnali
Una ricetta facile e non costosa per manipolare il termostato terrestre era stata promulgata da Edward Teller nel l997. Sostanze nanometriche in quantità massiccia sparse in atmosfera via aeri (anche commerciali) dovevano servire a realizzare questo scenario “curativo”. Paul J. Crutzen confermò la strategia qualche anno dopo.

L’ uomo è ritenuto incapace di cambiare “stile di vita”, (consumare meno e rinunciare all’energia fossile). Deve essere trovato rimedio in altro modo.

L’IPCC mette le mani in avanti. Presenta il suo quinto rapporto, introducendo il pensiero geo-ingegneristico.

Perché la geo-ingegneria è stata legittimata dall’ IPCC?è la domanda che pone il Guardian .

Nel rapporto conclusivo il paragrafo che parla di Geo-ingegneria è significativo (1). Includere la menzione della geo-ingegneria in una dichiarazione di consenso scientifico è fuori dall’ordinario. Questo paragrafo presentato nella sintesi del IPCC Working Group 1 sarà importante per i decisori politici.

Il gruppo ETC ha pubblicato la sua preoccupazione di veder “l’IPCC battere il tamburo per la geo-ingegneria”( Concern as IPCC bangs the drum for geoengineering“)

“Le frasi reali circa la geo-ingegneria importano meno del fatto che sono lì, nel rapporto IPCC. Essi saranno ripetutamente di riferimento, per legittimare e dare rispettabilità a una serie di suggerimenti che in precedenza erano considerati inaccettabili e tale deve rimanere”. Scrive l’ETC-Group: “Il punto è che non avrebbero mai dovuto esserci”, ha spiegato Neth Dano, direttore dell’ ETC-Group in in Asia. “Lo scopo esplicito del gruppo di lavoro I [WGI] è quello di riferire sulle ultime della scienza del clima, non per discutere di misure di risposta. Nella relazione non discutono di energia solare o di auto elettriche, non discutono di mezzi pubblici, mercati del carbonio o di qualsiasi altra risposta politica reale o potenziale per la crisi climatica, quindi perché gli autori hanno scelto di dedicare il paragrafo conclusivo a questo tecno-fix altamente speculativo e pericoloso…?

Secondo l’ETC , la geo-ingegneria non fa nulla per affrontare le cause del cambiamento climatico. Il tecno-fix invece potrebbe essere utilizzato dai paesi maggiormente responsabili del cambiamento climatico ad evitare impegni risanatrici; peggio ancora, la tecnologia potrebbe essere utilizzato per motivi bellici. La questione dovrebbe essere discussa e veloce nell ‘Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Aldilà della veridicità della diagnosi (di essere o meno di fronte ad una fase di riscaldamento grave e globale) gli effetti a breve termine delle misure geo-ingegneristiche (raffreddamento globale terrestre ) contemplano in una ottica di un periodo lungo un ben peggiore riscaldamento globale, quindi un aggravarsi della situazione, almeno che non si stiano considerando irrorazioni senza fine. Voci considerate competenti hanno avvisato, non potrà esserci una strategia breve e drastica, anzi, non sarà più possibile smettere una volta cominciato.

Il risultato di un “trattamento chemioterapico” dal punto di vista della intossicazione dell’intero pianeta (esseri viventi inclusi) è grave. Una cura-droga ha effetti nefasti già prevedibili ora, sono descritti da esperti del settore: uno degli effetti temuti sarebbe lo sfascio dell’ozono nella sfera alta del pianeta e svela come il cosiddetto rimedio sia in realtà un gioco alla roulette russa.

Le ipotetiche conseguenze elencate trovano già riscontro nella realtà, una pura coincidenza?

Un detto non certo del tutto sbagliato suggerisce: una coincidenza è una coincidenza due coincidenze sono un indizio tre coincidenze sono una prova. Di coincidenze ne vediamo più di tre.
Le nostre osservazioni ci portano alla convinzione: la geo-ingegneria non è programma per un futuro ipotetico, ma è messa in pratica e da tempo.
Le cause per le operazioni non sono note. Le evidenze troppo stridenti di questa attuazione, richiedono ora un timbro della comunità scientifica e un consenso pubblico.

Abbiamo ancora dieci anni, replica ora il mainstream, la tesi finale dell’IPCC. Bisogna agire e subito. Con questa affermazione allarmistica si invocano misure estreme.

Il rapporto del IPCC Group ha accesso una lampadina verso “l’uscita di sicurezza” Entro l’anno saranno elaborate le proposte e pubblicate nel 2014 (accettiamo scommesse).

Il mondo accademico, militare e massmediatico ignora o finge di ignorare le manipolazioni atmosferiche IN ATTO. La geo-ingegneria è proclamata come strumento necessario in extremis. L’annotazione nel rapporto dell’ IPCC sembra voler dare un segnale. Il tempo è quasi scaduto.

Ma il tempo scade anche per fermare un’ennesima sciagura planetaria, una manipolazione deliberata e globale dell’atmosfera.

Ci aspettiamo che la comunità scientifica apra gli occhi su questa realtà non programmata, ma già realizzata, ora in via di legittimazione.

Ancor più di questo ci si aspetta che agisca il movimento “anti-geoingegneria” che sta facendo esattamente la stessa cosa, tace e nega rispetto alle operazioni atmosferiche già in atto.

E ora di basarci su dati e non su preconcetti o convinzioni. Manipolazioni senza precedenti aggravano quelle del passato, e mettono a rischio la vita sul pianeta.

Il velo è visibile. E ora di sollevarlo.

Una RICHIESTA presentata dal mondo civile al Parlamento Europeo e in attesa di risposta.

(1) Rapporto conclusivo

NR_IPCCSept2013_final.pdf (Paragrafo finale sulla geoingegneria pag 21)

VEDI ANCHE

Geoingegneria: petizione ufficiale al Parlamento Europeo continua…

STOP GEOENGINEERING – Giù le mani da Madre Terra! (intervista con Pat Mooney)

TERRA FUTURA 2013: INTERVISTA A VANDANA SHIVA SULLA GEOINGEGNERIA

Future of solar geoengineering far from settled

At “Debating the Future of Solar Geoengineering,” : Stephen Gardiner of the University of Washington, David Keith and Daniel Schrag of Harvard University, and Alan Robock of Rutgers University. Oliver Morton from The Economist ran the show as a deft and witty moderator.
http://www.nogeoingegneria.com/effetti/politicaeconomia/perche-la-geo-ingegneria-e-stata-legittimata-dalla-ipcc/

No-Tav, Giunti: e se Napolitano ascoltasse i valsusini?

http://www.libreidee.org/2013/10/no-tav-giunti-e-se-napolitano-ascoltasse-i-valsusini/

Montaigne ci ha insegnato a distinguere tra gli uomini politici e le cariche che temporaneamente ricoprono. E’ quindi con il massimo rispetto per la Presidenza della Repubblica italiana che la lettera spedita ieri al direttore de “La Stampa” merita qualche riflessione, amara ma deferente.

Giorgio Napolitano ha scritto perché Massimo Numa ha ricevuto una busta anonima con polvere esplosiva. Le indagini sono in corso, nessuno ha rivendicato l’azione, il movimento ha rigettato ogni responsabilità («pallottole e bombe non ci appartengono») e lo stesso giornalista non ritiene i NoTav autori della spedizione. Dunque l’accostamento è come minimo prematuro o arbitrario. Altri poteri dello Stato, come la magistratura e la Corte dei Conti, hanno investigato sulle imprese e sui bilanci che ruotano attorno al sistema Av italiano. Alcune sentenze hanno stabilito responsabilità rilevanti, tutte a carico di funzionari e politici, privati e pubblici. E’ giusto attendere gli esiti di inchieste appena iniziate, come a Firenze, ma le notizie disponibili descrivono una cricca ignobile volta ai propri interessi e alle proprie poltrone.

Angosciate relazioni della magistratura contabile sono state redatte durante il primo settennato. Eppure, non si ricorda nessun intervento presidenziale in proposito. E il silenzio delle istituzioni parla più di tanti discorsi. Autorevoli studiosi e docenti – persino internazionali – hanno inviato appelli a Napolitano per ripensare l’opera, alla luce di dati obiettivi e condivisi. Una nuova petizione sta raccogliendo altre innumerevoli sottoscrizioni. Tanti sindaci che continuano a ritenere il Tav ingiusto e inopportuno hanno chiesto più volte di incontrarlo, anche in occasione di una sua visita a Torino. Addirittura le madri della valle, preoccupate della violenza incombente ben prima di ministri e polizia, hanno scritto – inascoltate – al Presidente e a sua moglie. La sordità delle istituzioni è micidiale come un ordigno.

Si apprende dalla lettera a “La Stampa” che le informazioni al Presidente arrivano solo dal commissario per la realizzazione della Torino-Lione, Mario Virano. Tra presidenti ci si intende meglio, ma si rischia di non capire e soprattutto di avere una versione parziale dei fatti. E siccome tutti gli italiani sono rappresentati dal Presidente della Repubblica, non solo quelli che vogliono il Tav, egli potrebbe ricevere quei sindaci almeno una volta. Anche loro rappresentano lo Stato. Anzi, per molti cittadini sono lo Stato più vicino e più sollecito. Infine – se l’italiano ha un senso – il Presidente Napolitano apprende dal medesimo architetto che i sindaci e i cittadini che hanno originariamente dato vita a quel movimento continuano ad accrescere il loro impegno (evidentemente contro laTorino-Lione). Ciò equivale a dire che l’Osservatorio Governativo e Virano hanno fallito. Otto anni buttati via. Per non sprecarne altri e chiudere una buona volta questa storia, bisognerebbe ascoltare anche qualcun altro.

Luca Giunti(Luca Giunti, “Modesta esegesi di una lettera presidenziale, 6 ottobre 2013. Naturalista e tecnico della Comunità Montana Valle di Susa, Giunti è un esponente del movimento No-Tav).

 

Il testo della lettera di Napolitano pubblicata il 5 ottobre da “La Stampa”: «Caro Direttore, ho letto sul suo quotidiano notizie dettagliate sul gravissimo episodio del micidiale ordigno esplosivo giunto in redazione e volto a colpire con intenzioni omicide il vostro redattore Massimo Numa e a produrre danni ancora più estesi. Desidero esprimere a lei e al giornalista così pesantemente minacciato nella sua vita la più calorosa solidarietà e al tempo stesso condividere l’appello del Sindaco Fassino e l’allarme del Procuratore Caselli che hanno commentato sulla colonne de La Stampa il drammatico episodio. Si tratta, come ha detto il dottor Caselli, di una escalation di violenza che dalle cose si trasferisce sulle persone e che caratterizza gli “obbiettivi criminali delle frange estreme” cresciute ai margini del movimento No Tav snaturandone ogni legittimo profilo di pacifico dissenso e movimento di opinione. Come ho avuto modo di osservare ricevendo di recente il Commissario Virano e da lui apprendendo l’accrescersi dell’impegno di coloro che – Sindaci e cittadini – hanno originariamente dato vita a quel movimento, non posso che condividere il più netto richiamo al superamento di ogni tolleranza e ambiguità nei confronti di violenze di stampo ormai terroristico. E rinnovo il mio apprezzamento per come magistratura e forze dell’ordine stanno operando in quella tormentata area della Val di Susa».