Avete presente quanti sono 1.500.000.000 di dollari? Ma soprattutto, avete presente quanti erano un miliardo e mezzo di dollari nel 1961? Ve lo dico io: dodici miliardi e mezzo di dollari odierni (dollaro più, dollaro meno).
Ecco, questa è la quantità di verdoni, che potrebbero essere contati a chili, spesi per volare poco più di 250 ore con quel ferro leggendario di cui vi racconterò in quest’articolo e che, a mio avviso, si tratta del mezzo più sfigato che abbia solcato i cieli. Un mezzo che, nonostante le poche ore di volo, ha contribuito in maniera pesante ad aprire il buco dell’ozono. Un ferro che, ogni volta che veniva acceso (Tomma’ accendi!), contribuiva ad aprire di qualche centimetro la faglia di Sant’Andrea.
Ladies and gentlemen: sua maestà XB-70 Valkyrie!
Bello eh? Ma facciamo un passo indietro. Torniamo alla metà degli anni ’50, gli anni in cui Danny Zuko si riempiva i capelli di brillantina (Grease appunto) per portare Sally al drive-in sperando che gliela desse. Ecco, in quegli anni il governo americano si sparò il trip di voler sostituire l’immortale B-52 – che non era ancora entrato in servizio! – con qualcosa di più moderno e veloce.
Venne quindi emessa una specifica tecnica denominata “Intercontinental Weapon System Piloted Bomber” (letteralemente “Sistema d’arma per ferro-del-Dio-pilotato atto a sganciare bomboni”). In tale specifica c’è un lungo elenco di requisiti per la realizzazione di un bombardiere a propulsione chimica (Chemically Powered Bomber) e di uno a propulsione nucleare (Nuclear Powered Bomber).
UN MOMENTO
UN BOMBARDIERE A PROPULSIONE NUCLEARE
Eh si, in quegli anni c’era qualche pazzo che aveva pensato di alimentare un areo tramite un mini-reattore nucleare, ma questa è un’altra storia e tale aereo pare che non sia stato mai realizzato… o no?
Comunque, cose pericolose a parte, la Boeing e la North American risposero al bando di gara per il bombardiere a propulsione “standard” e alla fine la spuntò quest’ultima. È qui che comincia la folle storia del bombardiere più grande e veloce che sia mai stato prodotto, capace di ciucciarsi 165.000 litri di combustibile nello stesso modo in cui Paul Gascoigne (detto Gazza) si scolerebbe un gin-tonic.
Negli anni ’50 gli USA iniziavano a mostrare i muscoli alla Russia, che rispondeva per le rime (avete presente “ti spiezzo in due”?) e nasceva la necessità di costruire un bombardiere che fosse in grado di penetrare il territorio nemico senza farsi beccare dai caccia intercettori russi. Per farlo doveva fare come la gazzella con il leone: correre più veloce e volare più in alto.
Si iniziò quindi a pensare di costruire un bombardiere che potesse viaggiare a Mach 3. Ragazzi, un bombardiere, non un caccia! Stiamo parlando di un fagiano velivolo lungo circa 60 metri, con un’apertura alare di oltre 30 e pesante 250 tonnellate che viaggia a tre volte la velocità del suono! L’idea sembrava balzana e impossibile da realizzare ma fortuna vuole che in quegli anni era appena comparsa la famosa “regola delle aree” che rivoluzionò la tecnica alla base della costruzione delle ali per il volo supersonico e che rendeva possibile anche la più strampalata delle idee.
Come abbiamo visto, la bestia s’aveva da fare (e si poteva fare). Fu contattata la General Electric per iniziare a pensare al tipo di motore da installare sulla suddetta bestia. GE mise a disposizione le sue migliori risorse e adottò il principio che un mitico prof. mi insegnò all’università, un teorema semplice semplice e sempre valido in campo aeronautico: con un motore sufficientemente potente, si può generare una spinta tale da far volare anche vostra nonna legata su una sedia.
Partendo da questo assioma, gli ingegneri della GE iniziarono a fare i loro conti: 250 tonnellate, diviso due, moltiplicato per settordici (o settordici-quattro, non ricordo), riporto tre virgola due, per pi-greco, tutto elevato alla seconda… fa sei! Ebbene si, l’XB-70 Valkyrie era un ferro equipaggiato con sei motori, e che motori!
Sei esemplari dei mitici YJ93-GE-3, che dal nome sembrano troppo dei motori giapponesi montati sotto una Yamaha da GP anni ’80, con post-bruciatore modulabile (in pratica un casino della Madonna) erano installati su questa macchina permettendogli di raggiungere l’incredibile rapporto spinta/peso di 5 a 1. Altra chicca è che questi YJ93 erano derivati dal ben più famoso J79 (il turbogetto utilizzato sui Phantom e sugli F-104) “semplicemente” scalandone le dimensioni: gli YJ-93 sono di un 15% più grandi rispetto ai J79 ma la potenza che riescono a fornire è doppia, oltre 13 tonnellate di spinta con postbruciatore.
Voglio raccontarvi la solita chicca by RollingSteel: la GE fabbricò un altro motore dedicato all’XB-70 Valkyrie (denominato YJ93-GE-5) e che funzionava con benza carburante “vitaminizzato” al boro (nome in codice zip fuel), che aveva più o meno la stessa funzione del Latte Più di Arancia Meccanica o della pozione magica di Asterix. Tuttavia l’utilizzo di questi carburanti ad alta energia creava più problemi di quanti ne risolvesse e l’utilizzo di questo motore fu accantonato quasi subito e la GE si concentrò esclusivamente sullo sviluppo della versione “3” a carburante “standard”.
Intanto alla North American veniva preparata un splendida struttura in acciaio inossidabile ad alto tenore di nichel, con pannelli in honeycomb (letteralmente “a nido d’ape”) che portarono un grandissimo contributo per l’aeronautica. Infatti, prima di allora non erano mai stati usati e saranno alla base delle strutture aeronautiche degli anni successivi. Il tutto era rinforzato con titanio come se piovesse (del prezzo di un culo al kg).
Proprio in quel periodo però iniziò a scricchiolare la certezza di poter utilizzare questo velivolo per le missioni previste in fase di design. Infatti, nel maggio del 1960 successe qualcosa che rivoluzionerà per sempre il mondo dell’aviazione militare: venne abbattuto un velivolo ricognitore U2 (avete presente quegli strani velivoli che volavano in alto in alto, nel blu dipinto di blu?) con un missile SAM (surface-to-air missile) russo. Eh già, erano stati inventati missili terra-aria e stavano diventando operativi, per cui cadeva il castello di carte secondo cui il volare in alto e molto velocemente come una gazzella sfuggendo ai Mig sovietici sarebbe bastato per penetrare lo spazio aereo russo.
Anche perché nel frattempo i russi stavano iniziando a sviluppare il possente Mig-25 proprio per contrastare la nascita del Valkyrie. Interessante la diversità dei due approcci:
CASSONE SOVIETICO TI SPIEZO IN DU
TAMARRATA AMERICANA CIAO BARBONY
Inoltro lo stesso presidente Kennedy, nel 1961, espresse i suoi forti dubbi sulla costruzione di questo aereo che sarebbe costato agli USA il suddetto miliardo e mezzo di dollari (du’ spicci) ma, come cantava Freddie Mercury, the show must go on e si decise di sfruttare il programma per raccogliere dati per la costruzione di un eventuale aereo da trasporto civile supersonico (il nome Concorde vi dice qualcosa?) che in America chiamavano SST, Super Sonic Transport.
The show must go on.
L’11 maggio 1964 il primo esemplare di XB-70 (nome in codice Bu.No.62-0001) è pronto per il primo volo e viene presentato con la sua livrea bianca anti-nucleare (pare che il bianco servisse per riflettere il lampo sprigionato da esplosioni nucleari vicine). Subito gli viene affibbiato il soprannome the Great White Bird (il grande uccello bianco e, per una volta, non si tratta di Rocco). L’aereo è imponente, presenta impennaggi di tipo canard (vedi orecchie al lato del cockpit) che gli permettono una grande capacità di reazione in manovra.
In questo aeroplano tutto è una figata pazzesca, parabrezza compreso. Praticamente aveva una inclinazione “ripida” per viaggiare alle basse velocità e aumentare la visibilità in manovra, considerando che i piloti si trovavano alloggiati oltre 33 metri davanti al carrello di atterraggio e ad una altezza di 10 metri da terra, e una configurazione “schiacciata” per volare a velocità supersoniche rendendo la parte frontale del velivolo molto più aerodinamica.
Ma la vera particolarità di questo aereo erano le estremità alari che si flettevano verso il basso: 25° oltre i 500 km/h e 65° oltre Mach 1.4. Si tratta delle più grosse superfici mobili mai costruite. A cosa servivano? Vedete quella presa d’aria a forma di triangolo? Oltre la presa d’aria sono installati i sei motori e il tutto forma un grosso cuneo (no, non Cuneo, la città piemontese). L’onda d’urto che si formava in volo supersonico a causa di questo grosso cuneo veniva ulteriormente intrappolata, per via della flessione verso il basso delle estremità alari, impedendogli di sfuggire oltre il bordo stesso dell’ala. Questo effetto creava una sorta di risucchio chiamato compression lift (portanza di compressione) che faceva in modo che il velivolo cavalcasse letteralmente l’onda d’urto da se stesso generata… surfin’ bird!!!
Il P1 (che sta per prototipo 1 in aeronautica) fu subito un successo: i pannelli a nido d’ape collassavano al punto che, durante il primo volo a Mach 3, si staccò una porzione del bordo d’attacco della semiala sinistra (bene ma non benissimo); il divisorio tra le due sezioni della presa d’aria si staccò di netto e venne ingerito mettendo KO tutti e sei i motori in un colpo solo (della serie: epic fail); ben presto ci si rese conto che il vano-porta-bomba diventava troppo caldo durante il volo supersonico e, non esistendo all’epoca ordigni in grado di essere stivati a temperature superiori ai 300°C, si capì che non si poteva viaggiare in supersonico portando del carico bellico (era un bombardiere buono, peace and love); i freni del carrello sinistro si bloccarono in atterraggio distruggendo le ruote (dopodiché la BF Goodrich brevettò delle ruote con una innovativa carcassa metallica, severi ma giusti); a tutto ciò andava aggiunta una forte instabilità alle alte velocità, perdite di carico all’impianto idraulico e problemi vari all’impianto di alimentazione.
Nemmeno la vernice rimaneva attaccata all’aereo, qui sotto potete vedere il prototipo numero uno al termine del suo quarto volo con grosse porzioni di vernice volate via.
qui sopra un dettaglio del carrello principale dell’XB-70 Valkyrie: se vi state domandando a cosa serve la piccola ruota centrale la risposta è tanto semplice quanto banale. Quella ruotina è il “sensore” dell’ABS installato su questo aeroplano che era ottimizzato per operare al massimo dell’efficenza in tutte le possibili condizioni della pista di atterraggio.
La NASA stessa ci spiega i dettagli:
Per ovviare a questi problemi di gioventù che si erano presentati sul primo prototipo, venne costruito il P2 (tale Bu.No.62.0207) che si rivelò addirittura più sfigato del fratello. Infatti, la General Electric volle organizzare una bellissima manifestazione durante la quale avrebbero sfigato sfilato tutti i velivoli motorizzati GE.
L’8 giugno 1966, durante una sessione fotografica che vedeva l’XB-70 Valkyrie volare in formazione con dei caccia F-104, che sembravano piccolissimi rispetto a “the Thing” (letteralmente la cosa, altro soprannome che accompagna l’XB-70 Valkyrie), accadde l’irreparabile: uno degli F-104 entrò in contatto con il bombardiere che, dopo aver volato con un assetto corretto per un numero interminabile di secondi, mentre il 104 esplodeva cadendo in una palla di fuoco, si rovesciava e si schiantava al suolo. Nell’incidente, davanti agli occhi atterriti dei fotografi, persero la vita il comandante Carl Cross, pilota del piccolo caccia F-104, e uno dei due piloti dell’XB-70, il comandante Joseph A. Walker che in precedenza era stato un dei piloti del mitico X-15. Il comandante Al White, anche lui a bordo del Valkyrie, riuscì ad eiettarsi in tempo utilizzando la sofisticata capsula (qui sotto) di sopravvivenza e si salvò pur riportando gravi ferite.
Questo sotto è un video con la sequenza fotografica di questo tragico disastro:
Si narra che l’incidente avvenne per cause aerodinamiche: una delle teorie è che il famoso effetto di “compression lift” di cui abbiamo parlato in precedenza, unito all’aspirazione dei sei turbogetti, risucchiò letteralmente l’F-104 sotto l’XB-70.
Nonostante l’incidente, la NASA entrò in gioco si fece carico di ulteriori 23 voli sperimentali con il primo prototipo, che venne poi ritirato nel febbraio del 1969. Voli durante i quali furono raccolti una serie di dati di valore inestimabile per quella che fu la storia del volo supersonico degli anni successivi. Infatti, nonostante tutti i suoi limiti, il Valkyrie detiene ancora oggi il record speciale di miglior rapporto portanza-resistenza per un velivolo supersonico. Le sole 250 ore volate, pagate a caro prezzo, hanno rappresentato un passo avanti di notevole nella storia dell’aviazione. Per cui, se vi capita di andare al Museo Nazionale dell’Aeronautica degli USA, vicino Dayton (Ohio), porgete i vostri ossequi a quel gigante ferro del Dio che sfoggia ancora la sua livrea bianca anti-nucleare.
Dedicato a Stefano, perché questo articolo è stato scritto dopo un anno esatto.