Traduzione dell’intervista a Virgilio Bellone

Tra i fondatori del PCd’I nel 1921

N.B.: Il colloquio avviene in LINGUA piemontese.

(durante l’intervista Bellone dice di avere 94 anni, quindi dovrebbe essere stata effettuata nel 1974).

Lato A

Pochi minuti di ricordi di quando era a Milano, ricordi della madre, della moglie, del figlio Sergio della sua attività antifascista del 1938 e poi ad inizio resistenza. Nell’ultima parte, su richiesta dell’intervistatore – Gigi Richetto di Bussoleno –, esprime giudizi sul compromesso storico che non approva, ma dice di aver votato PCI al Senato e Democrazia Proletaria alla Camera.

Lato B

I primi dieci minuti sono ricordi di fine ‘800, quando racconta degli scontri e querele con il clero a livello locale nella Valle di Susa.

Poi prosegue sulla realtà operaia di fine ‘800 e sulla nascita del PCd’I.

Domanda

Questi operai che si alleavano al movimento socialista vivevano in condizioni durissime nelle fabbriche è da li che sentivano l’esigenza di organizzarsi, venivano a cercarvi o eravate voialtri che andavate davanti alle fabbriche. Come svolgevate la propaganda?

     C’era tanto analfabetismo, la gente viveva chiusa, gretta. Di politica non capivano niente, nei paesini su 100 persone 90 erano analfabeti. Io ero maestro a San Giorio facevo tre classi I-II-III in tutto erano 40 ma quasi nessuno veniva a scuola.

     Quando hanno fatto la fabbrica a Borgone (Cotonificio Valle Susa n.d.t.), i bambini di 10 anni partivano a piedi da San Giorio per andare a lavorare e prendere 8 soldi al giorno. Se di notte venivano presi a dormire la multa era di 4 soldi, e finiva che la giornata era di 4 soldi.

     Le ragazze avevano 20 soldi e gli uomini 24/25. Poi è arrivata la fabbrica di Chianocco (sempre il CVS n.d.t.), parliamo del 1884-85-86. Aveva aperto nel 1890 e avevano già fatto qualcosa ma a mezzogiorno andavano a mangiare fuori sulla strada e quando pioveva o nevicava andavano sotto il ponte della ferrovia per ripararsi perché non li lasciavano mangiare dentro e facevano 12 ore, entravano che era notte ed uscivano che era notte. Quando sono arrivate le 10 ore erano già in paradiso, ma lì avevano già fatto le leghe. E allora noi andavamo a parlare, ma erano tutti gelosi uno dell’altro perché c’era chi prendeva di più e chi di meno e spesso litigavano e sembravano i capponi di Renzo nei Promessi Sposi. Io quell’esempio lo portavo davanti alle fabbriche. Gli dicevo di non litigare, di unirsi perché quando il padrone ha da fare con tutti e non con uno solo le cose cambiano.

     Un altro esempio. Quando hanno fatto la fabbrica a Borgone era tutto un acquitrino e gli operai che la costruivano lavoravano estate e inverno scalzi nel fango per qualche soldo in più, e a 40 anni erano tutti ammalati o morti. Poi si è saputo che l’azienda pagava all’impresario 10 lire per operaio ma l’impresario che si chiamava Coda gliene dava solo 5. Oppure uno scalpellino di San Giorio che una pietra gli ha schiacciato la gamba, è stato licenziato e andava in giro a chiedere l’elemosina sulle grucce.

     E io che ero già stato in città e avevo girato la campagna romana dove c’erano già le leghe facevo propaganda ma non ero tanto creduto, la gente non si fidava diceva che ero solo un ciarlatano e facevo il maestro di paese perché nessuno mi voleva a lavorare. Ed è stata un po’ la mia fortuna perché sono andato in città e ho preso la laurea.

     Io cercavo di fare la lega, gli dicevo non importa se siete di chiesa o se bestemmiate, ricordate che lavorate tutti insieme. Poi quando ho fatto la prima sezione socialista, lì si faceva anche propaganda anticlericale.

     Ricordo che una volta per la festa di Santa Lucia ai Martinetti, quelli della Lega degli scalpellini vennero da me dicendo che gli scalpellini volevano far dire una messa e io gli risposi che se è quello che la maggioranza voleva era giusto farlo, l’importante era stare uniti.

     Prima si faceva la Lega e poi la sezione socialista e modestia a parte io in Valle di Susa ho fatto molto e dovessi tornare indietro lo rifarei anche se sono stati tanti sacrifici, mia mamma ha pianto spesso per me.

Domanda

In un articolo lei scrive che la maggioranza della Valle di Susa aderisce al Partito Comunista. Ci può raccontare qualcosa sulla scissione?

     Quando si è deciso per la scissione la riunione è stata fatta a casa mia a Milano a settembre. C’era Ljubarskij (si tratta di Nikolaj Markovič Ljubarskij, alias Carlo Niccolini n.d.t.), rappresentante della Terza Internazionale che era stato a Bucarest, c’era Bordiga di Napoli, Grieco che poi è diventato deputato, Fortichiari che era segretario federale di Milano, l’onorevole Belloni di Alessandria e nella sala della mia casa a Milano abbiamo gettato le basi del Partito Comunista, ufficiosamente.

     C’era anche Gramsci ma è arrivato l’indomani, quel giorno non è arrivato in tempo, è arrivato di notte e ha dormito sul sofà di casa mia. C’era anche Terracini che è ancora vivo e ha dormito su un materasso messo sul tavolo. Alla fine della riunione per celebrare abbiamo mangiato una torta e bevuto vermuth. Bordiga ha mangiato da me, ma lui aveva una stanza sua a casa mia. Fatta la riunione abbiamo iniziato subito a fare propaganda nelle sezioni per la scissione.

     Alla direzione centrale del Partito Socialista c’ero anche io, per il Piemonte c’era Terracini. Ma la riunione a casa mia è stata ufficiosa, Ljubarskij è restato in un paesino vicino a Milano fino al Congresso di Livorno e in quel periodo ha imparato l’italiano; parlava italiano come noi.

     Io giravo con Bordiga e altri per propagandare la scissione. Ravetto che era Bussoleno ed era ancora un giovanotto girava la Valle per noi, ecco perché era delegato a Livorno mentre io ero per la Lombardia.

L’ultima parte del nastro ripete nuovamente l’episodio di Graziadei e dello zucchero rubato (vedi A1)

Lato A1

Tutto il colloquio riguarda la scissione con i socialisti e l’occupazione delle fabbriche.

Domanda

Lenin conosceva bene la situazione italiana e seguiva attentamente il dibattito che c’era allora all’interno del partito socialista contro i riformisti e per la fondazione di un partito comunista realmente rivoluzionario e disciplinato. Lenin parla della mozione giusta dei compagni rivoluzionari dentro il Partito Socialista all’interno del comitato centrale di Milano, può dirmi qualcosa di questa mozione di Bellone-Terracini ?

     Vede in quella adunanza si è parlato a lungo, c’erano due tendenze quella rivoluzionaria capeggiata da Terracini, Gennari, Bellone e da altri membri del partito che adesso non mi ricordo.

     Il primo a parlare fui io sostenendo la necessità di separarsi nel partito da quelli che noi chiamavamo controrivoluzionari e che facevano capo a Turati, Treves, anche Serrati direttore dell’Avanti. Si diceva che Serrati aveva in mano una lettera di Lenin, noi l’abbiamo obbligato a leggerla.

Lenin diceva pressappoco quello che dicevamo noi. Il partito era diventato antirivoluzionario da un pò di tempo a questa parte poiché seguiva la linea dei grandi maggiorenti. Nel partito c’era Turati, nella confederazione del lavoro c’è D’Aragona che era un controrivoluzionario.

     Noi volevamo mettere un freno e chiedevamo alla “minoranza”, perché avevamo già fatto una prova nel partito e noi eravamo risultati la “maggioranza”: voi della minoranza accettate le 21 tesi della Terza Internazionale ed abbandonate la vostra propaganda riformistica, oppure noi siamo costretti a staccarci. C’è stata poi una lunga di discussione e poi si è fatta la votazione in favore della successione.     Prima ho parlato io che ero stato nominato segretario della riunione, un segretario che redige il verbale. Dovendo fare il verbale ho deciso di parlare per primo, dopo hanno parlato anche Terracini e Gennari poi alcuni meridionali ma non mi ricordo il nome mi pare ci fosse anche l’onorevole Belloni di Alessandria. Viceversa Bacci, D’Aragona, Sanarini e altri specialmente quelli del Mezzogiorno hanno votato contro ma noi abbiamo avuto la maggioranza.

     Serrati non era né con noi né con i riformisti. Serrati aveva deciso di dimettersi da direttore dell’Avanti ma noi abbiamo insistito perché restasse fino al Congresso per non creare uno scompiglio a pochi mesi dal congresso, però era rimasto con l’obbligo di non fare propaganda per la sua frazione sull’organo del partito e mantenesse la sua neutralità.

     Qui ci sarebbe poi qualche cosa da dire ma è un pettegolezzo.

Erano ritornati i rappresentanti di partito da Mosca e c’era anche l’onorevole Graziadei che faceva parte della frazione rivoluzionaria. A un certo punto della discussione Graziadei sostiene la nostra tesi; D’Aragona presidente della confederazione del lavoro era molto a destra ha investito Graziadei con un pettegolezzo dicendo: “Stai zitto tu che tuo figlio a Mosca ci ha rubato tutto lo zucchero che avevamo portato dall’Italia”.

     In Russia non c’era niente e la commissione era andata a Mosca con dei bauli dove c’era pane salame e formaggio. Graziadei si era arrabbiato dicendo che non c’era e non aveva visto ma non ci credeva perché suo figlio era una persona seria.

     In quella discussione era intervenuto anche il Baldesi che era un vice di D’Aragona è ancora un po’ si prendevano a pugni. Siamo intervenuti e li abbiamo divisi. Dopo un’oretta Graziadei rientra col figlio e il figlio era pronto a prendere per il collo D’Aragona.

     La mattina sul Corriere della Sera appare tutta la scena precisa con tutto quello che era successo ed eravamo tutti stupiti. Serrati si alza e dice “ma qui c’è una spia” e visto che eravamo tutti di noi ci siamo chiesti come aveva fatto il Corriere della Sera a sapere queste cose. Si è poi saputo un mese dopo che era Baldesi della confederazione del lavoro, pagato dal Corriere della Sera. Pubblicato dal Corriere della Sera la cosa ha preso uno sviluppo enorme.

     Dopo la votazione dove abbiamo avuto la maggioranza si è stabilito che l’Avanti rimanesse ancora a Serrati fino al congresso e che il partito incominciasse a far propaganda verso le sezioni.

     E allora abbiamo combinato nei fatti che Bordiga pur non essendo nella direzione del partito ma era uno dei capi più influenti a favore della frazione rivoluzionaria ha incominciato lui a fare il giro per l’Italia a propagandare i principi dai 21 punti di Mosca e poi anche gli altri dalla parte inversa hanno cominciato a fare altrettanto.

     E così siamo andati avanti fino al 21 di gennaio dell’anno appresso al congresso di Livorno.

Domanda

Noi siamo andati a leggerci Ordine Nuovo di quel tempi; la rubrica “Vita di classe” riporta tutte le assemblee che si facevano nelle sezioni del Partito Socialista anche in Valle di Susa. In queste riunioni c’era Pietro Ravetto che andava e discuteva. Si ricorda qualcosa di questo dibattito in Valle di Susa.

     Questo lavoro l’ha fatto soprattutto il povero Ravetto, io ero a Milano ma Ravetto mi informava e aveva un grande ascendente sulle sezioni in contrasto con Barbieri di Condove che sosteneva la tesi minoritaria del partito e che diventerà poi podestà fascista.

     Ravetto invece sosteneva la tesi maggioritaria e rivoluzionaria e quasi tutte le sezioni hanno aderito alle tesi di Ravetto tranne a Condove e nei paesi limitrofi.

Tutti la alte sezioni scelsero la maggioranza. Ci chiamavamo Massimalisti mentre gli altri erano i Riformisti.

     A Livorno mi sono incontrato con Ravetto e anche con Barbieri e nella Valle di Susa era passata a grande maggioranza la frazione massimalista.

Domanda

In queste sezioni c’erano tanti operai? Gli operai sono passati alla frazione rivoluzionaria?

     Quasi tutti operai ma anche contadini. Per esempio a Bussoleno gli operai delle fabbriche, a San Giorio quasi tutti gli scalpellini e qualche contadino. Le sezioni che erano controllate da Ravetto diventeranno subito sezioni comuniste. I riformisti riescono a ricostruire solo la sezione di Condove e di Sant’Antonino. Erano sezioni di minoranze che non avevano più nessun credito presso gli operai.

Domanda

Il credito questi riformisti lo hanno perduto con l’occupazione delle fabbriche?

     Si, l’avevano già perduto li perché erano tutti arrabbiati perché avevano restituito le fabbriche.

Infatti le fabbriche le abbiamo restituite per la grande pressione dei D’Aragona, Baldesi, Colombino tutti riformisti. Quando ci siamo radunati il 13-14-15 settembre a Milano al Salone dell’Umanitaria la notte… noi la chiamavamo la notte tragica perché si trattava di restituire le fabbriche e le terre occupate. In Lombardia il Passalcqua aveva già requisito la meliga dai campi.

     Io avevo fatto un giro nelle campagne ed erano tutti pieni di entusiasmo. Quella notte in una saletta a fianco c’erano Fortichiari, Repossi, io e qualcun altro e quando abbiamo visto che D’Aragona e altri capi riformisti stavano per avere la maggioranza avevamo deciso di sequestrare D’Aragona, caricarlo su un auto e mandarlo a …. (non si capisce n.d.t.).

     Era già tutto organizzato, tanto più che il presidente della Banca Commerciale di Milano, l’ebreo Toeplitz è venuto da noi quella notte ad offrirci i soldi della Banca Commerciale perché la borghesia era ormai convinta che fossimo i padroni del paese e si trattava solo di cambiare il governo a Roma.

     Più di così! Avevamo i soldi, avevamo la maggioranza delle classi lavoratrici, dicevamo: tiriamo via questi capi riformisti, facciamo la votazione, siamo in maggioranza. Domani proclamiamo lo stato proletario d’Italia.

     Viceversa quando Serrati ha sentito parlare di sequestrare D’Aragona e Colombino ha incominciato a dire No, non facciamo questo, è una piazzata, una roba che sarà deplorata da tutti.

     Così abbiamo discusso fino al mattino e poi l’ordine del giorno di D’Aragona ha avuto la maggioranza. Tanto più che D’Aragona, lo abbiamo saputo poi, aveva avuto un colloquio con Giolitti che gli aveva promesso che se si restituivano terre e fabbriche ai legittimi proprietari lui non avrebbe fatto rappresaglie, avrebbe passato una spugna su tutto, anche sui più compromessi.

     E così ci fu una delusione generale e la maggior parte passò con il Partito Comunista. Per convincere a far restituire le fabbriche mi ricordo che Bozzi disse che durante l’occupazione alla Fiat non si lavorava più, che la fabbrica andava in perdita, che gli operai erano assenti altri dormivano, che avevano fatto delle ruote di treni che non resistevano al peso dei vagoni, che il lavoro era mal fatto, che era tutto un disastro, che se si va avanti ancora così 15 giorni l’Italia va a rotoli.

     E quello in parte era anche vero, io sul treno sentivo gli operai della Fiat che tornavano dal lavoro parlare tra loro e dire che dormivano, oppure giocavano a bocce. Lo stesso alla Pirelli o alla Breda e allora è stato buon gioco quella notte convincere tanti a restituire le fabbriche.

Lato B1

Nell’intervista si parla della fine dell’occupazione delle fabbriche, della delusione, del riflusso di una parte e del passaggio al Partito Comunista degli elementi più attivi. Il riflusso con la crescita del fascismo e delle vicende elettorali.

Bellone si candida alle elezioni politiche nel 1919 e nel 1921 ed in entrambe le elezioni risulta il primo escluso. Bellone viene eletto nel 1922 in provincia a Milano, ma vi resta pochi mesi in seguito a dissidi con il prefetto che blocca ogni sua iniziativa a favore della scuola dell’obbligo e dei sordo-muti – Bellone era direttore didattico di Milano – .

Domanda

Lei era nel Partito Comunista, quali erano le prime difficoltà che avete avuto con il fascismo per poter continuare a fare politica tra gli operai.

     Riunioni segrete, per cellule, per gruppi. Invece di radunarsi in tanti ci si riuniva in 10-12, poi con altri 10-12 e si lavorava clandestinamente. C’era una reazione feroce, io a Milano avrò avuto 100 perquisizioni. Mi hanno portato via tutti i libri, avevo le opere di Marx, di Engels e di tutti i grandi del passato.. io ho perso migliaia di libri, portavano via i miei appunti e perfino le cartoline.

Domanda

Ma poi lei è uscito o è restato nel Partito Comunista.

     Sono sempre restato nel Partito Comunista fino a qualche anno fa. Però dopo la guerra non sono mai stato considerato anche se mi sono presentato alle elezioni del 1948.

     Finche si viveva nella clandestinità io e mia moglie servivamo molto. La signora Pajetta, la madre, aveva da dare dei soldi ai perseguitati politici, li portava a mia moglie, che non era conosciuta, e lei li portava alle famiglie indicate con mariti in galera o all’estero.

     Durante la liberazione mio figlio era uno dei capi partigiani e prima era stato condannato a 14 anni insieme a Ravetto. Noi abbiamo sempre appoggiato e lavorato per il partito, ma dopo la liberazione ci hanno messo da parte.

Lato A2

     Prima della liberazione conoscevo bene la famiglia Pajetta dopo la liberazione sono spariti tutti.

Io ero iscritto al partito, frequentavo le assemblee della sezione 18 in Corso Regina Margherita dove abitavo. Un giorno arriva a casa mia un compagno, un certo Anselmi e mi dice: “domani trovati in sezione che distribuiamo le medaglie per il 25° della fondazione del Partito Comunista e diamo la medaglia ai fondatori”.

     Io ci vado: c’era il salone pieno e la musica suonava. Luciano Gruppi sale sul palco, fa il suo discorso e poi chiama per la premiazione e dà la medaglia a Clelia Montagnana che era una turattiana di sette cotte, avversaria dei comunisti, riformista e che ha avuto tante discussioni con me.

     Cosa c’entra lei con la fondazione del partito? Poi a tanti altri e a me niente. Io uno dei fondatori del partito niente medaglia, non è per la medaglia che è una sciocchezza ma è per il riconoscimento.

     Torno a casa, ne parlo con mia moglie e voglio sentire Ravetto che era a Livorno se a lui l’hanno data. Qualche giorno dopo vedo Ravetto, che passava ogni tanto a casa mia e gli chiedo se a lui hanno dato la medaglia. Non ne sapeva niente. Allora mi sono arrabbiato, ho scritto al partito e ho restituito la tessera anche se ho sempre votato per il partito, fino a poco fa quando è uscita la porcheria del compromesso storico.

Domanda

Della svolta di Salerno, di quando Togliatti è tornato dalla Russia, cosa ne pensa.

     Io di Togliatti non ho mai avuto grossa fiducia. Quando è tornato dalla Russia voleva fare un alleanza con cattolici e socialisti. Io ero contrario e non la pensavo così. Togliatti lo avevo conosciuto in altri tempi ma era un po’ opportunista: prima era stalinista poi è diventato antistalinista.

Domanda

Lei ha conosciuto anche Gramsci, Bordiga e altri. Adesso il partito comunista cerca di fare vedere una continuità tra Gramsci, Togliatti e Berlinguer. Io penso che Gramsci fosse un grande rivoluzionario e Togliatti non c’entra niente.

     Lì chi era rivoluzionario, lavorava bene ed aveva una grande intelligenza era Bordiga.

Bordiga è stato a Milano e abitava a casa mia, un uomo di grande valore, con lui c’era anche Grieco che poi ha abbandonato. In una riunione che si è tenuta a Torino a novembre del ’20 con Bordiga, Terracini, Gramsci c’ero anche io e qualcun altro che non ricordo mi sembra anche un operaio della Fiat. Bordiga e Gramsci avevano le stesse idee che differivano molto da quelle di Togliatti.

Domanda

Di Gramsci cosa si ricorda anche dal lato umano.

     Gramsci l’ho frequentato assai poco, mi ha dato l’idea di un grande rivoluzionario e un uomo con delle idee chiare specialmente quando aveva fatto la proposta dell’unità degli operai del nord con i contadini del sud. Che ha lavorato molto anche con Bordiga su questo argomento. E stato a casa mia e ha dormito li anche qualche volta. Io di Gramsci avevo grande fiducia. Credevo che all’epoca i due migliori uomini del Partito Comunista fossero Bordiga e Gramsci.

     Bordiga l’ho riconosciuto grande quando c’è stato a Milano la strage del teatro Diana quando una bomba ha ucciso 20 o più persone al teatro. L’indomani a Milano sembrava un giorno di terremoto, uscivi per strada era tutto cupo, triste, la gente camminava a testa bassa.

     Bordiga è venuto a piedi a casa mia a scrivere un manifesto dove si prendeva lui la responsabilità, anche se non ne sapeva niente. A detto che questo fatto è avvenuto semplicemente per la repressione fascista, la divisione della classe operaia, ecc.. ecc.. che ha irritato talmente il proletariato che è arrivato a un punto che la classe operaia ha dovuto reagire. Allora cercavano Bordiga per metterlo in galera ma non ci sono riusciti perché è scappato. L’hanno poi messo dopo.

     Bordiga ha avuto il fegato di prendersi la responsabilità del Diana anche se lui non ne sapeva niente per dimostrare che il fatto era una conseguenza della reazione precedente.

Poi io fui chiamato in questura e il commissario mi diceva: “ lo so che lei non c’entra niente ma lei dovrebbe sapere chi ha promosso questa azione criminosa”. “Io non so niente, io non frequento gli ambienti anarchici. Io so che ogni azione ha una conseguenza.

     Anche l’uccisione di re Umberto a Monza il 29 luglio del 1900 è stata una conseguenza delle azioni del generale Bava Beccaris del ’98”. E’ andata così secondo me ogni cosa ha un’azione e una reazione ho visto dalla storia che è sempre stato così.

Domanda

Certamente durante l’occupazione delle fabbriche e anche prima e anche dopo vi ponevate come partito il problema della forza. Già i socialisti all’inizio si occupavano dei soldati cioè che i soldati fossero alleati della classe operaia…

     Abbiamo fatto qualcosa ma di superficiale, primitivo. Mi ricordo che ero stato a Roma ad una riunione di partito nel ’20 o nel ’21 e mi hanno caricato una valigia di opuscoletti antimilitaristi da buttare nelle caserme. Io li ho portati a Milano poi i nostri giovani li portavano clandestinamente sotto le porte dei quartieri. Mi ricordo che a qualche riunione segreta vedevi qualche soldato ma era una cosa primordiale, superficiale.

     Facevamo degli opuscoli di 3-4 pagine, alcuni li ho fatti anch’io ma bisognava distribuirli clandestinamente e non facevano presa.

Dal minuto 17.30 l’intervista volge su questioni religiose e di chiesa di minore interesse.

Lato B2

Domanda

Per concludere, che messaggio darebbe ai giovani in base alla sua esperienza.

     Bisogna fare un lavoro non sotterraneo ma meticoloso, lento, paziente per cercare di aprire lentamente la mente alla gioventù, adesso che la cultura si allarga con le scuole per tutti invitare questa gente a leggere. Io sarei sempre del parere mai abbastanza ascoltato di fare come una volta molti opuscoli semplici, facili come una volta che c’era “Il seme”. Io poi avrò fatto 100 opuscoli di propaganda.

L’intervista prosegue e si conclude sul dibattito che c’era in Valle sui giornali la Valsusa e La Valanga.

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FONTE: Istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino, Fondo Sacco Sergio.

Traduzione dell’intervista a Virgilio Belloneultima modifica: 2020-07-07T08:38:41+02:00da davi-luciano
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