Come tenere sotto controllo un contagio che, comparso come un’apparente forte influenza, colpisce soprattutto le giovani generazioni, già decimate dalla guerra mondiale ancora in corso?
Il sindaco Frola, intanto, con un manifesto alla cittadinanza detta un severo decalogo contenente le norme individuali d’igiene da «osservarsi particolarmente in questi giorni», mentre il prefetto Taddei, dietro parere del Consiglio sanitario provinciale, decreta l’immediata chiusura di tutti i locali pubblici della provincia e la riduzione dell’orario di apertura dei negozi. I cortei funebri sono vietati e le funzioni religiose ridotte solo a «quelle essenziali». Mentre l’epidemia appare inarrestabile, le notizie diffuse dai giornali, sottoposti alla censura di guerra, risultano scarse e rassicuranti e i torinesi non sembrano fidarsi. L’attenzione di molti si sposta sui bollettini dello Stato civile pubblicati dai quotidiani e sui numerosi necrologi che dietro giri di parole raccontano la drammatica realtà del momento: «colpita da inesorabile morbo…», «dopo breve ignota malattia…» Per il solo mese di ottobre, si possono stimare in circa 1.300-1.500 i torinesi deceduti a causa dell’epidemia, che ora viene chiamata “spagnuola”.
L’insieme dei provvedimenti attuati, che non prevede però forme di confinamento per i cittadini, sembra dare qualche risultato alla fine di ottobre, quando la Prefettura inizia a valutare una data per l’avvio dell’anno scolastico e l’allentamento dei divieti per i locali pubblici. Un’accelerazione viene dall’annuncio della vittoria contro l’Austria-Ungheria con la conseguente fine della guerra, evento che rovescia per diversi giorni nelle piazze folle festanti. Il 7 novembre, intanto, riaprono caffè-concerto e teatri – con alcune limitazioni come il distanziamento e la disinfezione – e dal 18 novembre iniziano le attività scolastiche.
I momenti di festa collettiva e la ripartenza prematura presentano però il conto dopo circa un mese con la rapida risalita dei contagi: alla Vigilia di Natale l’epidemia è ritornata alle dimensioni viste in ottobre. Agli inizi del gennaio 1919, mentre in città giunge in visita il presidente americano Wilson, le scuole continuano la pausa natalizia per altre tre settimane, tra le polemiche per il mancato contestuale fermo anche di teatri, cinematografi e osterie. Le proteste di una parte della popolazione e la recrudescenza dell’epidemia sono all’origine di una nuova ordinanza con cui il prefetto, il 16 gennaio, impone limitazioni per i locali pubblici, vietando inoltre le feste da ballo nei circoli privati. Ai medici è fatto obbligo di denunciare i casi di influenza con complicanze e ogni caso registrato in alberghi, istituti e collettività.
Nelle borgate di periferia della zona Nord di Torino la situazione sembra essere particolarmente difficile. In un prossimo intervento si esaminerà l’impatto dell’epidemia in una delle borgate del territorio dell’attuale Circoscrizione 5, ossia Lucento-Ceronda.
Approfondimenti
Per una disamina a livello nazionale: E. Tognotti, La spagnola in Italia. Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo (1918-19), FrancoAngeli, Milano 2015 (1a ed. 2002).
I dati puntuali sulla vicenda torinese sono tratti dalla consultazione di “La Stampa”, per il periodo agosto 1918-gennaio 1919 (www.archiviolastampa.it).
Autori dell’articolo Nicola Adduci e Giorgio Sacchi