Problemini e Problemoni

di: Fabrizio Fiorini
In Italia il periodo dei giri di valzer, se mai vi fu, è definitivamente chiuso.
La nazione ha a che fare con problemi di entità quasi insormontabile, che si susseguono con ritmo oramai quotidiano. Ad esempio, l’urgente questione sulle modalità di celebrazione delle esequie e di tumulazione dei prigionieri della seconda guerra mondiale. O che dire della cogente questione per cui le aggravanti del reato di discriminazione non debbano limitarsi a quelle rivolte al soggetto transessuale ma debbano essere allargate (alla luce delle nuove frontiere dell’identità di genere) anche ai transgender.
O ancora, l’emergenza relativa alla determinazione del numero dei defunti e delle modalità della loro esecuzione nei campi di prigionia dell’Europa centro-orientale negli anni quaranta dello scorso secolo, temi su cui – non riuscendo gli storici a mettersi d’accordo – si è ben pensato di varare un apposito disegno di legge da approvarsi con procedura d’urgenza e auspicio quirinalizio.
Come se non bastasse questa singolare ondata di stravolgimenti che hanno costretto il legislatore alla più estenuante maratona parlamentare che la storia repubblicana ricordi, in attesa che si aggiunga alla mole normativa anche un DL sul menù da proporre ai migranti sui traghetti della Tirrenia che andranno a prelevarli a Bengasi, altre piccole incombenze vanno a distrarre i rappresentanti del popolo dal loro ruolo istituzionale.
Mille problemi, anzi, problemini. Routine, farraginosa burocrazia, ordinaria amministrazione che tuttavia qualcuno dovrà pur decidersi di sbrigare.
Ad esempio, l’assessore all’educazione del comune di Milano ha detto che sempre più bambini, alla mensa scolastica, divorano in pochi istanti il cibo nel piatto, e se possono portano via gli avanzi, dato che quello sarà il loro unico pasto della giornata.

Oppure i dati recenti sulla povertà: gli indigenti sarebbero una quindicina di milioni. Qualcosa si dovrà pur fare.
Anche la produzione industriale è causa di qualche grattacapo. Non si vende più un’automobile neanche a piangere, il mercato immobiliare è tracollato. Dal nostro Mezzogiorno in pochi anni sono emigrate due milioni di persone.
I grandi economisti albionici della London School of Economics, nei giorni scorsi, hanno tracciato un quadretto edificante della nostra nazione: tempo dieci anni, dicono, dell’Italia come la conoscevamo non sarà restato nulla.
La portata e la velocità del declino, aggiungono, è tale che – salvo miracoli – per ricostruire il Paese potrebbero volerci secoli.

Se a tutto ciò si aggiunge che ogni anno c’è quel centinaio di miliardi abbondanti da pagare per gli interessi sull’euro e per il fiscal compact, appare evidente che qualche problemino in effetti potrebbe emergere.
Tutte seccature cui prima o dopo i legislatori, sottraendo tempo prezioso al contrasto all’omofobia e al “negazionismo”, saranno costretti ad affrontare. E qualcosa stanno già facendo: una decina di euro in più in busta paga ai dipendenti, grazie a un bell’aumento infinitesimale delle detrazioni d’imposta. Qualche milione di euro al fondo per le social card, qualche sgravio sui contributi se si assume un ultracinquantenne disoccupato da due anni. Insomma, riforme strutturali, vere iniezioni di fiducia.
Intanto tasse e balzelli imperversano: il barile è vuoto, ma qualcosa da raschiare sul fondo, forse, ancora c’è. Ah, a breve verrà aumentato anche il prezzo delle sigarette. Quaranta centesimi a pacchetto. Vabbè, tanto fa male, no? Si muore di cancro. Morite di fame, è meglio.

18 Ottobre 2013
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Napoli. Il ladro «pentito»: tremila euro in una notte con l’oro rosso

di Marco Di Caterino
«No! Il rame non più. Troppo pericolo per salute. Trovato lavoro. Scasso di auto». Ahmed, è un rom dasikhanè – etnia serba – che decisamente non va d’accordo con gli articoli della lingua italiana, nonostante sia nel nostro paese – campo di Scampia – da oltre venti anni. Molti dei quali li ha trascorsi, come racconta, a rubare cavi di rame dalle ferrovie, dagli impianti della pubblica illuminazione e dalle fabbriche. Una notte, dentro una cabina di derivazione della corrente elettrica per i lampioni dell’Asse Mediano, poggiò la mano nel posto sbagliato.

Una scarica elettrica gli bruciò tutto il braccio destro, che ancora oggi è al trenta per cento della funzionalità. Cosa che lo ha messo definitivamente fuori gioco dal rame, come dice lui, ridendo amaramente. E di cose ne sa. Forse per fare un dispetto a quella scarica che lo reso invalida non si fa pregare. Spiega e svela tutta la filiera clandestina dell’affare dell’oro rosso. Dice che nella zona dell’hinterland, tra rom che abitano nei campi autorizzati, Ponte Riccio a Giugliano, Trivio delle Janare a Caivano, quello della circumvallazione esterna a Scampia, i «bipiani» a Ponticelli e quelli abusivi, tra dasikhanè e korakhanè vivono più o meno tremila anime rom, e un centinaio di «camminanti», che poi sono i veri nomadi. Tutti, afferma, «fanno il rame», ma anche tutto ciò che è di metallo.

Continua a svelare come parte la filiera. Donne e ragazzini esplorano il territorio. Individuano gli obiettivi: linee ferroviarie, fabbriche chiuse, impianti di illuminazione delle zone industriali, ma anche i tetti di chiese ed edifici coperti dalle lastre di rame. La fattibilità del furto viene decisa dai capo famiglia, dopo una ricognizione e la necessaria e successiva osservazione del posto, che può durare anche diversi giorni. Il furto avviene di notte. Un anziano e tre o quattro ragazzi e ragazze, che hanno le dita più sottili e possono arrivare a smontare i cavi anche nello stretto. E per rispettare una sorta di regola, quelli di Giugliano vanno a colpire l’Alta Velocità di Afragola; quelli di Caivano agiscono sulla linea Napoli–Caserta via Cancello, quelli di Scampia anche fuori regione. Così in caso di controllo delle forze dell’ordine, i rischi di essere scoperti sono ridotti a zero.

Fino a qualche anno fa, continua Ahmed, la cosa più difficile era il furto. Oggi, invece, è quella di liberare il metallo dalla guaina di plastica. Per anni, dice questa sorta di Cicerone del rogo tossico, hanno bruciato qualche migliaio di tonnellate di cavi di rame. Anche dieci roghi per notte. A Ponte Riccio e nelle campagne tra Caivano, Afragola e Acerra, ma anche nei campi incolti che costeggiano l’asse mediano e quello Nola–Villa Literno, nei pressi di Orta di Atella, Sant’Arpino, Gricignano. Insomma dove ci sono gli accampamenti abusivi. E nessuno protestava. E nessuno veniva a vedere quello stava succedendo.

Appena spento il rogo e prelevato il rame nudo, ancora caldo, tempo nemmeno un’ora ed era già consegnato a chi commercia nel settore dei rottami metallici, sia a Napoli, che in altre regioni. Una buona nottata vale ancora tra i cinquecento e i tremila euro, e anche di più. Da quando la richiesta di rame è aumentata del cento per cento.

Chi ha fatto tanti soldi, ammette Ahmed, sono quelli di Caivano. Per un anno hanno tenuto acceso giorno e notte un’enorme fornace nella villa confiscata ai Moccia. Li finiva anche quello che veniva rubato dagli altri campi. E ora che è quasi impossibile accendere i roghi, i ladri di rame si sono attrezzati. Qualche mese fa, in una cascina abbandonata di Villa Literno, gli agenti della polizia ferroviaria, sequestrarono un macchinario «spella cavi», capace di lavorare un centinaio di quintali al giorno di cavi di rame. In un altro locale, furono sorpresi alcuni rumeni che, armati di grossi taglierini, «spogliano» a mano i cavi per venti euro al giorno.

Così venduto, il prezzo dell’oro rosso, passa dai sei euro agli otto euro al chilo. Senza la guaina, sulla quale è stampigliato il nome dell’azienda produttrice e soprattutto quello del cliente che lo ha acquistato, il rischio di una denuncia penale per ricettazione è davvero inesistente. Con i controlli più assidui, i ladri di rame che non accendono più i roghi tossici, che utilizzano i macchinari «spella cavi», ora piazzano i cavi di rame addirittura ridotti in anonimi «fiocchi», perché in questo stato il metallo rosso dagli otto euro passa ai dieci–dodici euro. E il «fiocco» dal ricettatore passa direttamente nel forno per essere fuso, trafilato e rivenduto. Magari alle stesse vittime che hanno subito il furto. In attesa del prossimo.
domenica 13 ottobre 2013  
http://www.ilmattino.it/NAPOLI/CRONACA/ladro-rame-pentito-napoli/notizie/339129.shtml

Le borse No Tav arrivano sul tavolo del ministro all’Istruzione

23/10/2013

– il caso

Decine di genitori stanno firmando ad Avigliana «la petizione per garantire il carattere laico, aperto e neutrale della scuola pubblica»

 Non si placano ad Avigliana le polemiche per il kit ambientalista che il Comune ha distribuito nelle scuole medie ed elementari

roberto travan

avigliana

Non si placano ad Avigliana le polemiche per le borse con la scritta No Tav che il Comune ha distribuito nelle scuole medie ed elementari. Dopo la condanna, unanime, di genitori, Consiglio di Istituto, preside, sindaco, interviene ora l’Age.  

L’Associazione Italiana Genitori, che raggruppa migliaia di iscritti, si è rivolta al ministro dell’Istruzione Maria Grazia Carrozza. «Ribadiamo l’importanza che bambini e ragazzi non vengano mai strumentalizzati nell’ambito di lotte politiche» ha scritto Gian Carlo Clara, presidente della delegazione piemontese dell’Age.  

Nessuna censura

«Non è nostra intenzione, né nostro compito, assumere alcuna posizione sulla Torino-Lione e nemmeno ci permettiamo di censurare l’accaduto» puntualizza Clara smarcandosi dalla disputa che da vent’anni divide la Valsusa. Nel mirino dell’Age «la distribuzione di materiale con scritte No Tav agli alunni dell’Istituto comprensivo di Avigliana».  

È accaduto un paio di settimane fa durante la giornata di Legambiente «Puliamo il mondo». Agli studenti, esauriti i kit ufficiali, il Comune ha regalato quelli con lo slogan «trenocrociato». Immediate le proteste. Quelle dei genitori, innanzitutto: «Una follia coinvolgere i nostri figli in questo scontro politico» hanno denunciato in modo bipartisan. Imbarazzata Carla Barella, preside dell’Istituto comprensivo, otto scuole, un migliaio di studenti. Che ha scaricato sul Comune l’accaduto: «Ci siamo fidati: non si ripeterà più». Infuriato il sindaco Angelo Patrizio, testimonial dell’iniziativa alla media Defendente Ferrari: «Colpa nostra, non sapevo nulla: punirò i colpevoli».  

Venerdì scorso il consigliere comunale Arnaldo Reviglio ha puntato il dito contro gli uffici comunali: «Hanno infilato loro le borse negli scatoloni». Poi, però, ha rivendicato con fermezza lo slogan No Tav «perché indica una precisa scelta contro sprechi, devastazioni ambientali, opere inutili suffragata da innumerevoli delibere del Consiglio comunale». Quindi l’appello dell’Age al ministro. «Lo scorso anno, all’Istituto Tecnico “Enzo Ferrari” di Susa, un’insegnante si è fatta tramite di un volantino del Movimento No Tav in cui il padre di un suo alunno era definito “mafioso” perché impegnato al cantiere Tav di Chiomonte. L’insegnante si è giustificata dicendo di non aver letto il volantino» denuncia l’Associazione genitori. 

Strumentalizzazioni

Non solo. «È stato anche distribuito un questionario dagli scout Agesci, in cui si chiedeva, tra l’altro, se i ragazzi si fidassero o meno della polizia». 

Infine l’allarme: «Questi episodi richiedono a nostro avviso il richiamo all’impegno di tutti perché non si assista in alcun modo alla strumentalizzazione dei più piccoli. Va, infatti, ricordato che dietro al “logo” No Tav si sono radunate non solo istanze ma anche comportamenti di scontro frontale con lo Stato. Simili messaggi non possono essere trasmessi a bambini e ragazzi». 

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COME RISOLVERE LA CRISI ITALIANA- UNA PALUDE da bonificare

Crisi: come ne uscimmo nel 1929
18 ottobre 2013  

di Filippo Giannini
  
Per uscire dalla crisi che ci attanaglia dobbiamo ripartire dall’aprile 1945. Lo storico Rutilio Sermonti, ne L’Italia nel XX Secolo, scrive: «La risposta poteva essere una sola. Perché le democrazie volevano un generale conflitto europeo, quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile concorrente economico – e soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: soprattutto dell’Italia». Perché Sermonti attesta questo? Ce lo spiega il grande scrittore irlandese Bernhard Shaw, che nel 1937 così si esprimeva: «Le cose da Mussolini già fatte lo condurranno, prima o poi, ad un serio conflitto con il capitalismo». Bernhard Shaw non dovette attendere molto per la conferma di quanto attestato. Infatti, i Paesi capitalisti dovevano far presto: le idee di Mussolini si stavano espandendo e minacciavano il potere mondiale dei Rockefeller, dei Rothschild e degli altri 250-300 in parte oscuri personaggi in grado di fissare e imporre le linee guida in politica e, quindi, nell’economia di tutti i Paesi del mondo: la politica guidi l’economia, non viceversa.
Zeev Sternhell, ebreo, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Gerusalemme, col saggio La terza via fascista (Mulino, 1990), afferma: «Il Fascismo fu una dottrina politica, un fenomeno globale, culturale, che riuscì a trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni, che dominarono i primi anni del secolo». Sono proprio le soluzioni sociali ad attrarre maggiormente il giudizio del professore di Scienze Politiche: «Il corporativismo riuscì a dare la sensazione a larghi strati della popolazione che la vita fosse cambiata, che si fossero dischiuse delle possibilità completamente nuove di mobilità verso l’alto e di partecipazione». In queste ultime osservazioni possiamo intravedere le cause che portarono, da lì a pochi anni, alla «svolta» drammatica.
La cosa appare più chiara leggendo un’altra considerazione sempre di Sternhell: «Il potere dello Stato incide sulla mobilitazione dell’economia nazionale, sulle possibilità di programmazione economica su larga scala e favorisce l’unità morale e l’unanimità spirituale delle masse». La lotta politica a livello mondiale si sposta sul binomio: civiltà del lavoro e civiltà del denaro. E fu la Seconda guerra mondiale.
La risposta italiana alla grande crisi economica mondiale del 1929 fu che, nel giro di poco tempo, l’Italia di quegli anni realizzò una tale mole di lavori pubblici, come non avvenne in nessun altro Paese; e senza ruberie.
Giorgio De Angelis scrive: «L’onda d’urto provocata dal risanamento monetario non colse affatto di sorpresa la compagine governativa e provvedimenti di varia natura attenuarono, ove possibile, i conseguenti effetti negativi soprattutto nel mondo della produzione (…). L’opera di risanamento monetario, accompagnata da un primo riordino del sistema bancario, permise comunque al nostro Paese di affrontare in condizione di sanità generale la grande depressione mondiale sul finire del 1929 (…)».
Il professor Gaetano Trupiano, ha affermato: «Nel 1929, al momento della crisi mondiale, l’Italia presentava una situazione della finanza pubblica in gran parte risanata; erano stati sistemati i debiti di guerra, si era proceduto al consolidamento del debito fluttuante con una riduzione degli oneri per interessi e le assicurazioni sociali avevano registrato un sensibile sviluppo».
I ministri finanziari del Governo Mussolini e, ultimo in ordine di tempo fra questi, Antonio Mosconi, riuscirono a far sì, che negli anni fra il ‘25 e il ‘30, i conti nazionali registrassero attivi da primato. Vennero intraprese iniziative che ancor oggi non mancano di stupire per la quantità e la qualità dei meccanismi messi in opera e per il successo da esse ottenute. Oggi, sembra una menzogna; ma fu realtà.
Lo Stato affrontò la crisi congiunturale spaziando «dalla politica monetaria alla politica creditizia, dalla politica finanziaria alla politica valutaria, dalla politica agricola alla politica industriale, dalla politica dei prezzi alla politica dei redditi, dalla politica fiscale alla politica del commercio estero, dalla politica previdenziale alla politica assistenziale» (Sabino Cassese). In conseguenza di ciò, lo Stato italiano divenne titolare di una parte delle attività industriali.
Seguendo questa impostazione, la cura fu quella più appropriata per il superamento della crisi, anche se comportò sacrifici: per sostenere le industrie a fine 1930 si rese necessaria una riduzione dei salari dell’8 per cento circa per gli operai; per gli impiegati la riduzione variò, a seconda dell’entità delle retribuzioni, dall’8 al 10 per cento. Il sacrificio venne, però, quasi subito compensato dalla contrazione dei prezzi delle merci, per cui il valore reale d’acquisto ammortizzò in breve tempo l’entità del taglio. Sacrifici affrontati dal popolo con disciplina e partecipazione.
Nel periodo di maggior ristagno l’attività del Governo si svolse con due diversi interventi. Uno, immediato, indirizzato ad assistere le famiglie più colpite dalla grande crisi: taglio degli stipendi e dei salari; riduzione delle ore lavorative per evitare, il più possibile, il licenziamento; l’introduzione della settimana lavorativa a 40 ore (operazione che comportò il riassorbimento di 220 mila lavoratori); la diminuzione dei fitti; una forte riduzione delle spese nei bilanci militari; opere di assistenza diretta, come distribuzione di buoni viveri e centri di distribuzione di pasti.
Il secondo, tendente ad incrementare gli investimenti statali nelle grandi opere. Ci riferiamo alle Fiere e attività similari. Non ultima, quella di Napoli, la Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare: concepita per far sì che ogni tre anni Napoli fosse al centro degli scambi economici e culturali fra l’Africa e l’Europa, una iniziativa che oggi sarebbe ancor più valida per fronteggiare il fenomeno della migrazione. Per rimanere a Napoli, ricordiamo la realizzazione degli ospedali collinari (il XXIII Marzo, poi intitolato a Cardarelli; il Principe di Piemonte, ribattezzatoMonaldi; la Stazione Marittima; la Stazione di Margellina; il nuovo rione Carità con i palazzi delle Poste, delleFinanze, della Provincia e dei Mutilati; il Collegio Costanzo Ciano per 3 mila ragazzi; la nuova sede del Banco di Napoli; il palazzo dell’INA, e numerosi rioni di case popolari.
Mussolini e i suoi collaboratori erano consapevoli dell’importanza che queste istituzioni potevano esercitare nel settore commerciale: negli scambi, nelle contrattazioni e nel rilevante stimolo che tutto ciò poteva esercitare per la produzione e acquisto di beni, anche di origine lontana o di lontana destinazione.
«Sotto il dominio fascista, ci viene detto, l’Italia subì un rapido sviluppo con l’elettrificazione dell’intero Paese, lo sviluppo e il fiorire delle industrie dell’automobile e della seta, la creazione di un moderno sistema bancario, la prosperità dell’agricoltura, la bonifica di notevoli aree agricole (…), la costruzione di una larga rete di autostrade ecc. (…). Il rapido progresso dell’Italia dopo la Seconda guerra mondiale e il fatto che oggi è già in marcia verso uno sviluppo intensivo capitalistico sarebbe impensabile senza i processi sociali iniziati durante il periodo fascista».Così Mihaly Vajda scrive in The Rise of Fascism in Italy and Germany.
Sembra incredibile, ma l’ulteriore sferzata di dinamismo alla politica mussoliniana venne impartita proprio per battere la grande crisi. Così, mentre negli anni Trenta tutto il mondo era soggiogato dalla crisi economica, in Italia iniziò un’attività, con interventi in tutti settori della vita economica, sociale, urbanistica e produttiva. I benefici si proietteranno nei decenni a venire.
Dalla politica agraria, ispirata e pilotata da Arrigo Serpieri, nacquero le leggi sulla bonifica e le trasformazioni agrarie. Queste opere furono affidate all’Opera Nazionale Combattenti (ONC), creata nel 1917 per il reinserimento dei reduci nella vita civile.
Grazie ai reduci ed alle loro famiglie, l’Operazione Bonifica, iniziata nel basso Veneto ed in Emilia, si allargò alle altre zone d’Italia interessate: dalle Paludi Pontine a Maccarese, l’Isola Sacra, Acilia, Ardea, la Sardegna, Metaponto, Campania, Puglie, Calabria, Lucania, Sicilia, Dalmazia. La terra strappata alle paludi portò a nuovi posti di lavoro: strade, acquedotti, reti elettriche, borghi rurali ed ogni genere di infrastrutture. La bonifica di Serpieri diventò strumento di progresso economico.
Questi miracoli venivano seguiti e apprezzati anche all’estero, tanto da muovere l’ammirazione e la curiosità di tecnici europei, americani e sovietici. Le Corbusier, il maestro francese del movimento moderno d’architettura, venne a Roma e in una conferenza tenuta all’Accademia d’Italia, elogiò i pregi delle nuove città.
Non dimentichiamo le grandi opere realizzate in Somalia, Eritrea e in Libia. Si devono alla instancabile attività di Carlo Lattanzi la bonifica e la messa a coltura, in Libia, di ampie aree a grano, oliveti, vigneti, frutteti ecc. su oltre 2.600 ettari di terreni aridi e sabbiosi.
Armando Casillo (dal cui lavoro abbiamo attinto alcuni dati) riporta i risultati delle bonifiche e delle leggi rurali: 5.886.796 ettari bonificati, tra il 1923 e il 1938. E un confronto è necessario fra il periodo pre-fascista, quando in 52 anni nell’intera Penisola furono bonificati appena 1.390.361 ettari. Né va dimenticata la sconfitta della malaria, causa di centinaia di morti ogni anno.
Un altro dato significativo sulla qualità tecnica raggiunta nel settore agricolo dal nostro Paese è la comparazione fra i 16,1 quintali di frumento per ettaro prodotti nelle terre bonificate e la produzione statunitense, considerata la migliore, ferma a 8,9 quintali/ettaro. «L’attribuzione ai braccianti di poderi nelle zone di bonifica è il fiore all’occhiello della politica rurale fascista. Come si vede, traguardi che cambiarono il volto dell’Italia» (Armando Casillo).
La spinta impressa da Mussolini alle opere del Regime si indirizza sempre a nuove mete. Si può ben dire che negli anni della bonifica integrale «tutto il territorio italiano era un’enorme, bruciante, palpitante, esaltante fucina di opere, azionata da braccia, da idee, da inesauribile volontà di cambiare il volto a un’Italia rurale che aveva dormito per secoli» (Armando Casillo).
In piena congiuntura economica mondiale la fantasia produttiva italiana era riconosciuta ovunque. Il 22 dicembre 1932, il deputato laburista inglese Lloyd George rimproverava il suo Governo di inerzia e lo spronava a risolvere i problemi della disoccupazione, proponendo di «fare come Mussolini nell’Agro Pontino».
Ancora più incisivamente il giornale Noradni Novnij di Brno, il 15 dicembre 1933, scriveva: «Con successo infinitamente superiore a quello annunciato per il suo piano da Stalin, in Russia si è fatta un’opera di costruzione, ma in Italia si è compiuta un’opera di redenzione, di occupazione. All’altra estremità dell’Europa si costruiscono enormi aziende, città gigantesche, centinaia di migliaia di operai sono spinti con folle velocità a creare un’azienda colossale per il dumping [rifiuti, N.d.R.] che dovrà portare la miseria a milioni di altri Paesi europei. Mentre invece in Italia il piano Mussolini rende una popolazione felice e nuove città sorgono in mezzo a terre redente, coperte ovunque di biondi cereali».
I consensi non riguardavano soltanto i metodi usati dal Governo italiano per superare la crisi congiunturale, ma partivano dagli anni precedenti.
Lo svedese Goteborgs Handels il 22 marzo 1928 scriveva: «Non si può davvero non restare altamente sorpresi di fronte al lavoro colossale che il Governo fascista viene svolgendo con una incredibile intensità di energia: amministrazione pubblica radicalmente cambiata, ordinamento sociale posto sulla nuova base della organizzazione sindacalista, trasformazione dei Codici, riforma profonda della istituzione e un tipo di rap­presentanza nazionale affatto nuovo negli annali del mondo».
Il londinese Morning Post del 29 ottobre 1928: «L’opera del fascismo è poco meno che un miracolo». Il prestigioso Daily Telegraph del 16 gennaio 1928: «II fascismo non è soltanto uno sforzo verso un nuovo sistema politico, ma un nuovo metodo di vita. Esso è perciò il più grande esperimento compiuto dall’umanità dei nostri tempi».
Altri dati rivelano che quanto si scriveva nel mondo era ben meritato. Nel 1922 i braccianti erano oltre 2 milioni: nei primi anni del ‘40 il loro numero si ridusse a soli 700 mila unità, gli altri erano divenuti proprietari, mezzadri o compartecipi di piccole o grandi aziende. Nella sola Sicilia i proprietari terrieri passarono dai 54.760 del 1911 a 222.612 del 1926. Questo è un ulteriore dato che può far meglio comprendere lo sforzo compiuto in quegli anni.
Possiamo quindi dire che l’obiettivo politico fu, in gran parte, centrato. Questo avveniva mentre nel mito marxista la collettivizzazione delle terre risultava fallimentare e affogata nel sangue e nella disperazione. Mussolini al contadino del kolchoz di Lenin o Stalin contrapponeva il contadino italiano compartecipe della produzione.
Nacquero così, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, nuovi ceti di piccoli proprietari, superando i motivi della lotta di classe e creando lo «strumento di pace e di giustizia sociale».
Attratto dal grande rumore sollevato dal miracolo italiano, il Mahatma Gandhi, dopo essersi fermato nel corso di un viaggio a Parigi e in Svizzera, volle passare per l’Italia. Sostò a Milano, quindi a Roma, dove si fermerà l’11 e il 12 dicembre 1930. In quest’ultimo giorno Gandhi fu ospite, a Villa Torlonia, del Duce, appagando, così, il desiderio di incontrare il capo del Fascismo. Intervistato poi dal Grande Oriente, organo della comunità italiana al Cairo, (9 settembre 1931), rilasciò le seguenti dichiarazioni: «Tra tutte le Nazioni che dopo la guerra, tendono con sforzi vigorosi, ad affermarsi e a creare una realtà, l’Italia occupa un posto privilegiato e distinto. Perciò Mussolini che è l’animatore di questo risveglio, ha tutta la mia ammirazione».
Per concludere; dato che da decenni siamo colpiti da coma cerebrale, porrò una semplice domanda: Dato che i principi dell’economia non cambiano nel corso degli anni (ho scritto i principi dell’economia), e dato che negli anni ’30 dell precedente secolo l’allora crisi congiunturale fu superata con grande successo, per vincere la crisi che ci attanaglia in questi anni, perché non utilizzare gli stessi principi oggi? Qualora ci fossero dei vincoli, sorti in questi anni, non si potrebbe trovare il modo di sospendere, anche temporaneamente detti vincoli per riesaminarli, eventualmente più avanti?
http://www.stampalibera.com/?p=67406#more-67406

 

Il Team Six dei SEAL è deceduto durante il raid contro bin Ladin?

ottobre 21, 2013 

 Patrick Henningsen Global Research, 18 ottobre 2013

 intervista testimone

http://www.youtube.com/watch?v=pFXIDjOJB5s

Ciò che è stato raccontato al pubblico dal governo degli Stati Uniti, tramite i media aziendali, e ciò che è realmente accaduto durante il tanto celebrato “bin Ladin Raid” della Casa Bianca nel 2011, non c’è coincidenza. Diventa sempre più chiaro che con il leggendario bin Ladin Raid, che ha avuto luogo a Abbotabad, in Pakistan, il governo degli Stati Uniti ha intenzionalmente ingannato il pubblico su ciò che è successo. In altre parole, quello che il presidente Obama disse quando si rivolse al popolo statunitense dopo “il raid”, è pura finzione.

L’intervista seguente è apparsa sulla rete pakistana Sama TV, ed include la traduzione in inglese di una testimonianza oculare dell’evento. Se la traduzione è esatta, allora questo testimone toglie un altro tassello al dramma immaginario della Casa Bianca. Ciò che segue è l’intervista a Muhammad Bashir, che vive accanto al presunto “compound” di Usama bin Ladin. Sostiene che il primo elicottero statunitense esplose uccidendo tutti i suoi occupanti statunitensi, circa 10 o 20 militari. Basandosi sulla testimonianza di quest’uomo, dobbiamo porci la domanda: cosa ha nascosto la Casa Bianca per proteggere il Caro Leader da un devastante “momento alla Jimmy Carter” (come il fallito salvataggio degli ostaggi in Iran, nel 1979). Questo è certamente ciò che sembra a prima vista. Obama mentirebbe per proteggere la sua politica e il suo partito? Lasceremo ai lettori la risposta a tale domanda. “Sembra che anche se, inizialmente, la rete TV fosse felicissima di questa intervista, cambiò registro 24 ore dopo (per qualche motivo ignoto)“. Decidete voi perché…

 Così la menzogna originale, l’operazione dell’11 settembre, viene coperta da un’altra bugia: il bin Ladin Raid. In seguito a ciò, si comprende solo la ragione per cui la menzogna di Abbotabad deve essere coperta da un’altra menzogna. E cioè, nessuno sa dove sia il corpo di bin Ladin. In netto contrasto con la dichiarazione del presidente Obama che bin Ladin è stato “sepolto in mare”, i marinai della USS Carl Vinson della Marina degli Stati Uniti, dichiararono a verbale di non poter testimoniare la sepoltura in mare di Usama bin Ladin. Quindi, qualcuno mente. Barack Obama ha abbattuto il ciliegio? Quindi, se Usama bin Ladin non era ad Abbotabad, o sulla USS Carl Vinson, come le prove, e la loro assenza, dettano, dove si trova? Più che probabile è morto anni prima della gloriosa incursione di Obama, ma servì a due amministrazioni degli Stati Uniti mantenerne viva l’immagine al fine di giustificare le spese militari senza precedenti e l’instaurazione dello Stato di polizia a seguito dell’11 settembre. Nel caso in cui i lettori non ne siano consapevoli, ci sono molte dichiarazioni di alti ufficiali a sostegno di questa affermazione, ed almeno uno di loro l’ha detto pubblicamente, Benazir Bhutto, assassinata poco dopo averlo detto.

Hollywood vi fece anche un kolossal di propaganda per sostenere la bufala del governo degli Stati Uniti. Si chiamava Zero Dark Thirty, che fece anche un mucchio di soldi. Così tutti furono felici, giusto? No davvero, così la lattina deve essere presa a calci lungo la strada, ancora una volta…

Ancora una bugia, prima di concludere. Secondo le stesse fonti delle prime due bufale del  governo qui indicate, il 6 agosto 2011 un elicottero statunitense Boeing CH-47 Chinook, con il codice di chiamata Extorsion 17, fu abbattuto nella provincia di Wardak, a ovest di Kabul, Afghanistan, uccidendo incredibilmente tutte le 38 persone a bordo, tra cui 25 truppe per operazioni speciali statunitensi. Gli Stati Uniti affermarono che i corpi furono talmente carbonizzati che furono costretti a cremarli immediatamente, come se una sorta di scadenza potesse farli sparire. Ancora una volta, come l’11 settembre e il raid contro bin Ladin, non ci furono sopravvissuti, né corpi, né foto e nessuna prova reale disponibile che dimostri le creative versioni del governo. Come facciamo a sapere se quegli uomini, in realtà, morirono tutti nello stesso incidente del Chinook? Riusciremo mai a saperlo? No, se il governo degli Stati Uniti è autorizzato a dire al popolo continue bugie, il tutto in nome della sicurezza nazionale.

Dopo aver visto l’intervista televisiva pakistana, l’ex-assistente del segretario del Tesoro Paul Craig Roberts spiega, “Credo che nessun organo d’informazione potrà affrontare in questo modo un così notevole mito nazionale degli Stati Uniti. L’uccisione di bin Ladin soddisfa il bisogno emotivo di vendetta e giustizia. In ultimo, una testata giornalistica che aveva contestato la storia del governo sarebbe stata esclusa dalle fonti governative e denunciata da politici e da buona parte della popolazione credulona degli Stati Uniti come organizzazione filo-terroristica anti-americana”.

Leggasi la trascrizione della traduzione del notiziario pakistano qui.

A proposito, nessuno ad Abbotabad, e in Pakistan, sembra credere all’immaginaria drammatica incursione contro bin Ladin.

 Copyright © 2013 Global Research

 Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Italia: legge Stabilità, 5 mln di pensionati perderanno 615 euro a testa

Martedì, 22 Ottobre 2013 17:37
Italia: legge Stabilità, 5 mln di pensionati perderanno 615 euro a testa

ROMA – La legge di Stabilità è una mazzata per i pensionati. Una media
di 615 euro in meno nel triennio 2014-2016.

E’ questa – secondo le proiezioni dello Spi-Cgil – la perdita prodotta 
per circa 5 milioni di pensionati dai nuovi meccanismi di indicizzazione
previsti dalla legge di stabilità. “Ancora una volta – ha dichiarato il
Segretario generale dello Spi-Cgil Carla Cantone – i pensionati vengono
usati dal governo come un bancomat. Con la legge di stabilità non solo
si vanno a peggiorare le norme previste fino ad oggi ma viene
completamente smantellato il sistema previdenziale così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi”. “Non staremo a guardare – ha continuato Cantone – e daremo battaglia in Parlamento perché si cambi nel segno dell’equità. Continueremo con la mobilitazione che con Fnp-Cisl e Uilp-Uil stiamo già mettendo in atto in tutti i territori”.

http://italian.irib.ir/notizie/economia/item/133442-italia-legge-stabilit%C3
%A0,-5-mln-di-pensionati-perderanno-615-euro-a-testa

questo governo pensa che fare le riforme sia chiamare con un altro nome  le tasse che c’erano prima quindi la finanziaria diventa legge di
stabilità.
A chi poi è indirizzata questa stabilità non ci è noto.
E’sempre il popolino che deve pagare e non cambia una virgola dalla
finanziaria di prima, ma confonde.

Banche: Unimpresa, boom sofferenze +22% a 141 miliardi in 12 mesi

o porca paletta, le banche si scoprono povere….

(AGI) – Roma, 19 ott. – Boom di sofferenze nelle banche: negli ultimi 12 mesi sono cresciute del 22% arrivando a quota 141 miliardi di euro. La fetta maggiore di prestiti che non vengono rimborsati regolarmente agli istituti di credito e’ quella delle imprese (97 miliardi). Le “rate non pagate” dalle famiglie valgono oltre 30 miliardi mentre quelle delle imprese familiari piu’ di 12 miliardi. A 1,8 miliardi ammontano invece le sofferenze della pubblica amministrazione, delle assicurazioni e di altre istituzioni finanziarie.
  Complessivamente le sofferenze ora corrispondono al 9,9% dei prestiti bancari (1.433,7 miliardi), in aumento rispetto al 7,8% di un anno fa. Questi i dati principali di un rapporto del Centro studi Unimpresa.
  Secondo lo studio dell’associazione, basato su dati della Banca d’Italia, in totale le sofferenze sono passate dai 115,8 miliardi di agosto 2012 ai 141,8 miliardi di agosto 2013 (+22,4%) in aumento di 25,9 miliardi. Nel dettaglio, la quota delle imprese e’ salita da 77,1 miliardi a 97 (+25,7%) in aumento di 19,8 miliardi. La fetta relativa alle famiglie e’ cresciuta da 26,5 miliardi a 30,4 miliardi (+14,8%) in salita di 3,9 miliardi. Per le imprese familiari c’e’ stato un aumento di 1,7 miliardi da 10,7 miliardi a 12,5 miliardi (+16,4%). Le “altre” sofferenze sono passate invece da 1,4 a 1,8 miliardi (+27,4%) con 397 milioni in piu’.
  Parallelamente c’e’ la serrata dei rubinetti del credito.
  Negli ultimi dodici mesi le banche hanno tagliato oltre 50 miliardi di euro a imprese e famiglie. I finanziamenti al settore privato sono crollati del 3,5% da 1.485 miliardi a 1.433 miliardi. Nel dettaglio, tra agosto 2012 e agosto 2013, il totale dei prestiti ai privati e’ calato di 52,1 miliardi passando dai 1.485,8 miliardi a 1.433,7 miliardi (-3,51%). In particolare, sono calati di 45,5 miliardi (-5,20%) i finanziamenti alle imprese, scesi da 875,5 miliardi a 830 miliardi, mentre quelli alle famiglie sono diminuiti di 3,3 miliardi (-0,66%) da 501,3 miliardi a 498 miliardi. Giu’ anche i prestiti alle imprese familiari, calati di 3 miliardi (-3,09%) da 98,7 miliardi a 95,6 miliardi. Il credit crunch colpisce anche le organizzazioni senza fine di lucro: per le onlus la riduzione dei finanziamenti e’ stata pari a 249 milioni (-2,44%) da 10,1 miliardi a 9,9 miliardi. Agosto ha fatto registrare una battuta d’arresto assai rilevante per le erogazioni. Complessivamente quelle del settore privato sono scese in un solo mese di 14,7 miliardi (-1,02%) e a farne le spese sono state soprattutto le imprese, che hanno visto ridursi i finanziamenti di 12,4 miliardi (-1,48%); per le famiglie -1,6 miliardi (-0,34%), per le imprese familiari -552 milioni (-0,57%), per le onlus – 7 milioni (-0,07%).
  “Mese dopo mese siamo costretti a fotografare una situazione che si aggrava sempre di piu’. E’ evidente che la recessione acuisce l’ingessamento del mercato del credito: le imprese non incassano, non fanno investimenti, non chiedono prestiti e fanno fatica a rimborsare quelli gia’ concessi”, osserva il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi.
  “Auspicavamo una soluzione con la legge di stabilita’, con importanti risorse destinate da un lato alla creazione di meccanismi di garanzia statali rilevanti dall’altro ad abbattere la pressione fiscale, unico modo per far ripartire i consumi. Speriamo che con le correzioni in Parlamento al disegno di legge licenziato dal consiglio di ministri si imbocchi la strada giusta”, conclude Longobardi. (AGI) .
 http://www.agi.it/economia/notizie/201310191434-eco-rt10107-banche_unimpresa_boom_sofferenze_22_a_141_miliardi_in_12_mesi

Daily news

PCN-TV/ ALTERNATIVE INFORMATION (005): ‘RT’ NEWS OF THE DAY

 BREAKING NEWS/

Bloodshed in Volgograd/

Djihadists to Syria from Norway/

PCN-TV with RT – PCN-SPO / 2013 10 22/

 The Russian TV channel ‘RT’ daily news – former Russia Today – for an alternative information to the dual language, double standards, lies and propaganda of the NATO’s medias ...

 Video on:

https://vimeo.com/77538475

 Today main topics:

Bloodshed, death and tears – six killed and dozens injured as a peaceful autumn Monday in Russia’s Volgograd is shattered by a suicide attack on a passenger bus;

Civilian casualties, a lack of transparency and no justice for the victims – Amnesty International lashes out at Wasington for its drone war in Pakistan, saying some of the killings amount to war crimes;

And, Norway becomes the latest EU country to sound alarm over its citizens joining the Syrian Jihad – as Oslo launches a global hunt for two teenage girls thought to have gone to Syria to fight alongside the Islamists there…

 RT / PCN-TV

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 https://vimeo.com/pcntv

https://www.facebook.com/PCN.NCP.TV

LA POVERTÀ CHE CI ASPETTA – GIOVANNINI CONFESSA: “IN FUTURO SARA’ MOLTO DIFFICILE ASSICURARE PENSIONI DIGNITOS E” (INIZIARE A TAGLIARE LE PENSIONI D’ORO, NO?)

Giovannini, un genio brillante (quello che ha detto che siamo ignoranti) Ci voleva lui per sapere quanto Mastrapasqua disse nel 2010….

Mastrapasqua (Inps): se dicessimo ai precari quanto prenderanno di pensione rischieremmo un sommovimento sociale
18 OTT 2013 15:32

LA POVERTÀ CHE CI ASPETTA – GIOVANNINI CONFESSA: “IN FUTURO SARA’ MOLTO DIFFICILE ASSICURARE PENSIONI DIGNITOSE” (INIZIARE A TAGLIARE LE PENSIONI D’ORO, NO?)
Il ministro del lavoro sgancia l’atomica sui pensionati di dopodomani:La messa in sicurezza del sistema pensionistico non assicurerà necessariamente un futuro dignitoso per tante persone, anche a causa dell’entrata tardiva nel mondo del lavoro e per la frammentarietà del lavoro stesso”…

Da Repubblica.it

“La messa in sicurezza del sistema pensionistico non assicurerà necessariamente un futuro dignitoso per tante persone”. Sebbene l’obiettivo sia proprio quello di “assicurare pensioni dignitose tra trent’anni, con la sfida di guardare al futuro e non limitarci ad aggiustamenti per il presente”, il risultato pare comunque difficile da realizzare. E’ il timore e l’impegno espresso dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Enrico Giovannini, intervenuto in videoconferenza alla seconda edizione del convegno “Tutto lavoro” del Sole 24 Ore.
Per il ministro “il problema più ampio che si manifesterà tra trent’anni è che con questa situazione economica, con l’entrata tardiva nel mondo del lavoro, e la frammentarietà del lavoro stesso, sarà molto difficile assicurare, con questo sistema contributivo, pensioni dignitose”.
Proprio sul mondo del lavoro si è concentrata l’attenzione di Giovannini, che ha affrontato il tema della riforma delle norme che lo regolano: la stagione di riforme del mercato del lavoro “non termina mai perchè ci sono evoluzioni continue”, però “non si può ogni volta smontare tutto quanto fatto”, ha ricordato.
Rispetto alle misure per agevolare la flessibilità in uscita, il Governo “ha elaborato una proposta che non ha costi paragonabili ad altre e che prevede la compartecipazione dei lavoratori, dello Stato e delle imprese. In alcuni settori un’età media molto elevata del lavoratore non aiuta la crescità di produttività”, ha spiegato tra l’altro, aggiungendo che “sono in programma la prossima settimana” incontri con le parti sociali.
Un contratto particolare, quello per Expo 2015, secondo il ministro è “in dirittura d’arrivo: abbiamo un’ipotesi che stiamo perfezionando. Come spesso in questi casi le parti sociali si rivolgono al governo chiedendo dove sono gli incentivi”, ha spiegato, però “credo che siamo ormai in dirittura d’arrivo”. Un ottimismo che desta “sorpresa” nella Cgil, tanto che il segretario confederale Serena Sorrentino precisa: “Allo stato attuale, non c’è alcun accordo su Expo né tantomeno siamo stati informati del fatto che il Governo abbia una proposta”.
Giovannini è intervenuto anche sulla questione del taglio limitato al cuneo fiscale della Legge di Stabilità, che ha scatenato violente critiche e accuse di mancato coraggio. Ma il ministro motiva questo ridimensionamento rispetto alle previsioni iniziali per la decisione di non gravare ulteriormente sulla sanità: “La decisione di non tagliare la sanità ha ridotto, soprattutto per le imprese, la possibilità di tagliare ulteriormente il cuneo fiscale nella misura indicata da altri”. Per il ministro comunque ci sono “spazi in futuro per ridurre ancora il cuneo fiscale”.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/la-povert-che-ci-aspetta-giovannini-confessa-in-futuro-sara-molto-difficile-assicurare-pensioni-64850.htm