Susa, la “nobile decaduta”: un declino che inizia con le scelte di un tracciato ferroviario

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Avigliana? La città dei laghi. Bussoleno? Il polo ferroviario. Susa? La nobile decaduta.

Pare un triste destino quello dell’antica Segusium, da sempre snodo della storia e, più di recente, addirittura capoluogo dell’omonima provincia del Regno di Sardegna, poi confluita in quella torinese.

A dare il via a quella che molti interpretano come una decadenza, nella seconda metà del 1800, l’appuntamento mancato con la linea ferroviaria del Frejus; da lì in poi è stata una storia di progressiva marginalizzazione. Mica come la vicina Pinerolo, cuore pulsante della Val Chisone. O Aosta, centro dell’omonima Regione a Statuto Speciale.

Susa, è vero, può vantare importanti vestigia storiche romane e una lunga memoria che da Re Cozio arriva fino alla Marchesa Adelaide, per giungere al vescovo Beato Edoardo Rosaz. Oggi, l’essere rimasta sede scolastica e vescovile (in quest’ultimo caso poco più che formalmente) e l’aver tenuto in piedi un ospedale di provincia (giustificato anche dalla vicinanza delle piste da sci delle montagne olimpiche), rappresentano forse gli ultimi aspetti di importanza vitale e strategica che le sono rimasti.

La stazione ferroviaria di Susa all'inizio del '900, quando esistevano ancora i portici sul lato di Piazza d'Armi

La stazione ferroviaria di Susa all’inizio del ‘900, quando esistevano ancora i portici sul lato di Piazza d’Armi

La storia ci dice che le avvisaglie del declino vanno ricercate proprio nel momento in cui Susa avrebbe potuto “esplodere”, confermando la sua vocazione di città capace di accogliere viandanti e passeggeri più o meno illustri.

All’alba di quel 22 maggio 1854, giorno dell’inaugurazione ufficiale della nuova ferrovia Torino-Susa e della stazione di testa segusina, la Città di Cozio e della Marchesa Adelaide guardava al futuro con grande fiducia e ottimismo. Certo, il binario si fermava lì, ai piedi del Moncenisio, ma la prospettiva era chiara, certa, definita: diventare, un giorno non lontano, parte integrante della linea ferroviaria destinata a collegare Piemonte e Savoia, mettendo in comunicazione i porti affacciati sul Mediterraneo con il cuore dell’Europa, e diventando per davvero la porta delle Alpi.

La posa del binario, lungo 54 km, era stata decisa due anni prima, il 14 giugno 1952, quando a presiedere il Consiglio dei Ministri del Regno di Sardegna era il marchese Massimo d’Azeglio. Ora veniva inaugurato alla presenza nientemeno che del re Vittorio Emanuele II (1), della regina Maria Adelaide, del duca e della duchessa di Genova (sopra al titolo un acquarello di Carlo Bossoli rappresenta la partenza del treno reale).

Le principesse Letizia ed Elena d'Aosta durante l'inaugurazione

Le principesse Letizia ed Elena d’Aosta durante l’inaugurazione

Tante teste coronate e l’inaugurazione in pompa magna diedero il via a un traffico assai redditizio. La Torino- Susa, da subito, si rivelò un comodo e veloce collegamento col servizio postale delle diligenze che da Susa, attraverso il valico del Cenisio, raggiungevano la valle del Rodano. In quello stesso 1854, anno dell’inaugurazione, in 221 giorni di esercizio la linea venne percorsa da 1.354 convogli, capaci di trasportare 249.686 viaggiatori che, nell’anno successivo, salirono a 314.919.

Ma l’illusione di diventare punto “strategico” della linea ferroviaria internazionale che un giorno non lontano avrebbe bucato il Frejus, per la Città di Susa durò poco.

Alcune ricostruzioni storiche raccontano che il tracciato della linea ferroviaria del Frejus “fu oggetto di lunghi e accurati studi” (2)“Si sarebbe voluto farla partire da Susa, per non privare la città del transito tra l’Italia e la Francia di cui essa aveva goduto dall’età medioevale”. Perchè non accadde? La versione accredita la tesi che a sconsigliarlo sarebbero state “le condizioni del terreno” che “non consentivano di porre in Susa l’origine della nuova linea, senza comportare spese eccessive”. Di qui la decisione di far partire la diramazione da Bussoleno e seguire poi, da questo punto, la Valle della Dora fino all’ingresso del Traforo”.

Una giustificazione sufficiente? Non secondo quanto scrive Sergio Sacco nel suo libro dedicato alla realizzazione del Traforo del Frejus, citando a sua volta uno scritto del 1904 di M.Buffa (3).

Il manifesto dell'inaugurazione della stazione e gli orari ferroviari del 1857

Il manifesto dell’inaugurazione della stazione e gli orari ferroviari del 1857

La legge che nel 1857 dava il via alla realizzazione della linea e del Traforo del Frejus, sembrava dare per scontato che i binari verso Bardonecchia e la galleria ferroviaria dovessero prendere il via proprio dalla stazione appena inaugurata a Susa da Sua Maestà, Re Vittorio Emanuele II.

Questa era anche la convinzione del Municipio di Susa, che – si legge nelle parole citate da Sacco – “dormì tranquillamente sugli allori e giammai venne il dubbio ad alcuno dei suoi amministratori che si potesse altrimenti accedere al gran traforo”.

Accadde invece che “la direzione tecnica che compilò il progetto definitivo non tenne conto della legge che prescriveva di partire dalla stazione di Susa, e stabilì la diramazione per Modane dalla Stazione di Bussoleno”.

Solo che, dettaglio non insignificante, a Susa “nulla si sapeva di questa variante” e per questo “si continuò a rimanere sonnacchiosi”. La direzione tecnica che – annota l’autore – “ebbe sempre poco simpatici rapporti col Municipio, per cause sempre rimaste ignote, compì il suo progetto senza punto dargliene partecipazione”.

E dire che lo stesso consiglio comunale segusino, nel 1860, entusiasta dopo l’inaugurazione e l’avvio della Torino-Susa, propose al Governo la creazione di una zona franca doganale formata da Susa e dai comuni dell’Alta Valle.

La stazione di Susa in una incisione d'epoca

La stazione di Susa in una incisione d’epoca

Della proposta non si fece nulla e, anzi, Susa venne tagliata fuori dal tragitto della nuova linea. A nulla valse l’improvviso risveglio del Comune che, una volta reso pubblico il nuovo progetto, ne compilò uno alternativo, facendolo redigere a un ingegnere torinese.

Questa la proposta: dalla stazione di Susa e dalla zona di Urbiano (Mompantero), la linea entrava sotto il monte Rocciamelone con una galleria semicircolare, e poi usciva sopra Venaus in Val Cenischia, poi attraversata con un alto viadotto e con un’altra galleria sotto Giaglione. La linea attraversava poi diagonalmente la valle della Dora con un ponte colossale, al termine del quale raggiungeva la linea attuale nei pressi di Chiomonte.

L’ipotesi progettuale avanzata da Susa (costata 5.000 lire alle casse comunali) venne respinta. Tra le motivazioni, l’allungamento del percorso di circa 4 km, le maggiori pendenze e gli alti costi determinati dal gran ponte diagonale sulla Dora.

Un’ipotesi alternativa poteva essere quella di allestire, sulla nuova linea, una stazione per Susa nel tratto tra le regioni S.Saturnino, Marchetta e Grosse Pietre.

La direzione tecnica preferì invece impiantare un costosissimo casello-stazione in quel di Meana: il vallone di Pian Barale dovette essere colmato di materiali per formare il piazzale, sostenuto dalle grandiose arcate ancora oggi visibili.

Una stazione praticamente irraggiungibile nei primi tempi, visto che la strada carreggiabile oggi esistente non era ancora stata realizzata.

Nel 1870 al danno sopraggiunse la beffa, con la proposta di sopprimere il tronco Susa-Bussoleno. Ipotesi poi rientrata ma a più riprese ripresentata nell’arco dei decenni, per non dire dei secoli, successivi.

Gia.Col.

Bibliografia

(1) Segusium, ottobre 2003, n. 42, Follis R., Il formidabile “vapore”. La ferrovia Torino-Susa compie 150 anni.

(2) Segusium, dicembre 1972, n° 9, numero speciale sulle vie di comunicazione in valle di Susa, pag. 165-166.

(3) Sergio Sacco, Frejus. Sbocco europeo della rete ferroviaria cavouriana, edizioni del Graffio, pag 127-129.

Susa, la “nobile decaduta”: un declino che inizia con le scelte di un tracciato ferroviarioultima modifica: 2020-05-15T21:51:16+02:00da davi-luciano
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