Anonymous supporta no tav con 3 tango down

http://www.notav.info/movimento/anonymous-supportnotav-con-3-tango-down/

553525_10151352461382445_1617127694_nDi seguito il comunicato di Anonymous che rivendica il tango down dei siti del Ministero dei Trasporti, della Regione Piemonte,e del Ministero dello Sviluppo Economico. Ancora una volta le lotte si uniscono e gli anon sono notav!
 
Attivisti NOTAV, siamo con voi. Respiriamo l’aria densa di repressione che vi perseguita da anni, inquinata da pennivendoli, servi in divisa, magistrati corrotti, politicanti dalle avide fauci. Onore alla vostra determinazione, al vostro coraggio, all’amore per le vostre terre, ai vostri animi combattivi. Continuino pure i miserabili tentativi di seppellire e denigrare la vostra lotta: come i fiori più belli e resistenti, vi si potrà ammirare anche se infangati.
Il lungo, vile percorso di intimidazione e autoritarismo iniziato anni e anni fa non potrà mai fermarvi. Non ha fermato nemmeno Sole e Baleno, sui quali pesano di più le infamie intessute da Laudi, Tatangelo e gli altri boia piuttosto che la Terra custode dei loro corpi di guerrieri e sognatori inarrestabili. Questi cyber-sabotaggi sono anche un tributo alla loro lotta e al loro coraggio.
Criminale è chi devasta i territori, non chi resiste!
Se i NOTAV sono terroristi, allora lo siamo anche noi.
SIC SEMPER TYRANNIS.
 
#AnonymousItaly #NoTav  #FreeNoTav #supportNoTav
 
 
www.mit.gov.it  TANGO DOWN
 

 

 
 
www.regione.piemonte.gov.it TANGO DOWN

 

 
www.sviluppoeconomico.gov.it TANGO DOWN

 

 
 

I politici e Napolitano sapevano dei terreni coltivati coi rifiuti tossici. Ecco la prova

By Edoardo Capuano – Posted on 17 ottobre 2013

 Giorgio            Napolitano

Un documento che risale al 1997 e che dimostra come quanto accaduto in provincia di Caserta, con lo smaltimento illecito dei rifiuti, fosse in realtà ben noto a buona parte della politica.

 È l’audizione di Lucio Di Pietro (allora sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia) e di Federico Cafiero de Raho (sostituto procuratore della Dda di Napoli) davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti sulle attività illecite ad esso connesse.

 Un’audizione nel corso della quale Di Pietro racconta dei fanghi del depuratore di Villa Literno utilizzati per concimare i terreni coltivati ed il dottore de Raho si spinge a dire, proprio relativamente a quella che diventerà poi parte della Terra dei fuochi, che il casertano “è la peggiore zona d’Italia”.

 Siamo a dicembre del 1997, il centrosinistra ha vinto da poco più di un anno le elezioni con Romano Prodi e, all’alba della prima crisi di quattro che caratterizzeranno quella maggioranza, viene istituita la commissione. Le parole dei magistrati sono chiaramente relativi alle ‘prime scoperte’ effettuate indagando sul traffico dei rifiuti del Nord Italia del clan dei Casalesi.

 E tutto viene registrato.

 E, immaginiamo, portato al vaglio del governo.

 Un governo che aveva come presidente del Consiglio dei Ministri Romano Prodi, ma, soprattutto, con ‘delegati’ nei vari ministeri che ancora oggi sono sulla scena politica nazionale. Basti pensare a Walter Veltroni (allora vice presidente del Consiglio), Anna Finocchiaro, Livia Turco, Lamberto Dini, Piero Fassino, Carlo Azeglio Ciampi, Vincenzo Visco, Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi finendo con l’attuale capo dello stato Giorgio Napolitano che era ministro dell’Interno.

 Tutte persone che, oggi, si definiscono ‘stupite’ da quello che sta accadendo a Caserta e Napoli e che invece, dai documenti, sembra davvero difficile pensare che ‘non sapessero’. Anzi, ci verrebbe da dire: non potevano non sapere.

 (clicca qui per leggere le dichiarazioni in commissione)

 Fonte: noi.caserta.it

Tav, il giudice non rivela i nomi dei poliziotti

http://torino.repubblica.it/cronaca/2013/10/25/news/tav_il_giudice_non_rivela_i_nomi_dei_poliziotti-69412160/

Gli avvocati del “Legal team” volevano le generalità degli agenti in servizio durante gli scontri al cantiere del 27 giugno e 3 luglio 2011 “per stabilire le singole responsabilità” ma la corte ha detto no: “Istanza respinta, le aree sono di interesse strategico nazionale”. In mattinata protesta in aula di alcuni imputati

Tav, il giudice non rivela  i nomi dei poliziotti

Conoscere i nomi dei poliziotti che il 27 giugno e il 3 luglio 2011, durante gli scontri al cantiere della Tav, avevano la responsabilità di gestire varie zone del cantiere e di impartire gli ordini. E’ quanto chiesto oggi dagli avvocati dei No Tav al maxiprocesso che si celebra a Torino e che vede 52 imputati alla sbarra accusati di resistenza, violenza a pubblico ufficiale e lesioni. Gli avvocati del Legal team hanno chiesto in particolare alla Corte che vengano tolti gli “omissis” dai documenti che il questore aveva emesso relativamente alle due giornate, impartendo ai sottoposti le direttive su come gestire situazioni violente e con quali mezzi. L’obiettivo delle difese era individuare “le singole responsabilità dei singoli poliziotti”. Il giudice Quinto Bosio ha respinto la richiesta con un’ordinanza. “Le aree del cantiere individuate – ha detto – sono aeree di interesse strategico nazionale. Esiste l’esigenza del segreto d’ufficio. Quindi l’istanza è respinta”.

 Il 27 giugno ed il 3 luglio 2011 l’area della Maddalena NON era sito strategico, lo è diventata solo molti mesi dopo.

Ma questi giudici “autoproclamati” applicano retroattivamente i decreti?

 E gli avvocati difensori che ci stanno a fare? Perché non ribattono immediatamente e magari ricusando il giudice? 


Articolo 101 della Costituzione della Repubblica Italiana:

“La giustizia è amministrata in nome del popolo”. 

Signori Magistrati: Voi dovreste amministrare la giustizia in nome del Popolo, ma quale Popolo vi ha nominati? Siete solo degli “autoproclamati”!

(Come la polizia che ci avvelena con gas tossici, vietati dalla convenzione di Ginevra e lo fa in nome del Popolo!).

 

Il 21 febbraio del 2012 (quasi due anni fà) il bisettimanale “Luna Nuova” ha pubblicato la mia lettera sotto riportata. Non è che “per caso” la Procura della Repubblica di Torino, non procedendo, si sia resa responsabile del reato di OMISSIONE?

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I presunti reati che potevano e dovevano essere contestati potrebbero essere ad esempio:

 

1) Attentato alla Costituzione della Repubblica Italiana (violazione degli articoli 16, 17, 35 e 42 della Costituzione a causa di una Ordinanza del Prefetto di Torino reiterata illegittimamente più volte)

2) Crimini di guerra in tempo di pace (in più occasioni, sono state sparate granate, a volte migliaia, contenenti gas tossici, contro la popolazione civile, contro abitazioni civili e in terreni coltivati)

3) Attentato alla salute pubblica (in più occasioni, sono state sparate granate (a volte migliaia) contenenti gas tossici, contro la popolazione civile, contro abitazioni civile e in terreni coltivati)

4) Tentato omicidio (in più occasioni sono state sparate granate contenenti gas tossici, a distanza ravvicinata, a tiro teso, direttamente contro le persone)

5) Tentata strage (il 3 luglio 2011 sono state sono state lanciate pietre e sparate granate contenenti gas tossici da un viadotto dell’autostrada A32 sulle persone sottostanti, l’altezza del viadotto è quasi di 20 metri. Ricordo che quando erano dei ragazzi a lanciare sassi dai ponti sulle autostrade sono stati minacciati di essere incriminati appunto per strage)

6) Devastazione di beni privati e pubblici (è stato devastato un sito archeologico di oltre 6.000 anni. In assenza di progetti esecutivi ed autorizzazioni sono stati occupati e devastati terreni di proprietà privata e pubblica e su questi sono state realizzate recinzioni del tutto abusive)

7)  Altre illegalità e violenze varie; tra cui almeno un possibile sequestro di persona.

 Per i fatti citati esisteva la procedibilità d’ufficio in quanto:

1)  si tratta di reati gravi

2)  sono stati commessi pubblicamente

3)  hanno coinvolto migliaia di persone

4) di quanto successo, i mezzi di informazione hanno dato notevole risalto nelle cronache

5) Il bisettimanale “Luna Nuova” il 21-febbraio-2012 ha pubblicato una lettera dello scrivente, in risposta all’intervista rilasciata dal Dottor Giancarlo Caselli, la settimana precedente, in cui si evidenziavano alcuni reati commessi da dipendendti pubblici, per cui esiste la perseguibilità d’ufficio.

6)  sono stati commessi da dipendenti pubblici.

7) La Procura non poteva non sapere; in quanto per i fatti citati, ha inquisito ed imposto misure restrittive delle libertà personali a decine di persone che protestando, per richiedere il rispetto della Costituzione ed il ripristino della legalità, in qualche caso potrebbero aver superato certi limiti.

 

Ampia documentazione dei fatti citati (fotografie, filmati ecc.) è disponibile sui siti internet, nelle redazioni dei giornali e telegiornali e nelle documentazioni depositate in Procura della Repubblica di Torino dalla Questura .

 http://www.lastampa.it/2013/10/25/cronaca/al-processo-tav-show-degli-imputati-V5fVyEPst4LqtsJDUwSGXN/pagina.html

Al processo Tav show degli imputati

 25/10/2013

Un paio di imputati si sono avvicinati alla cella dell’aula bunker del carcere delle Valette, dove si svolge il procedimento, chiedendo che l’imputato detenuto sedesse in aula insieme a loro

Piccolo show di alcuni imputati No Tav alla ripresa del maxi processo per gli scontri con la polizia avvenuti in Valsusa nell’estate 2011. 

 Un paio di imputati si sono avvicinati alla cella dell’aula bunker del carcere delle Valette, dove si svolge il procedimento, chiedendo che l’imputato detenuto sedesse in aula insieme a loro.  

 Si tratta di Marcelo Jara, in carcere dopo essere stato arrestato durante i disordini alla statale di Milano. «È uno di noi, voi cercate di dividerci» ha urlato Maurizio Ferrari, ex brigatista imputato anche lui nel processo. Alla fine il giudice Quinto Bosio ha consentito a Jara di seguire il procedimento seduto vicino al suo difensore. «Alla prossima intemperanza – ha però avvertito Bosio rivolgendosi al pubblico che aveva applaudito – continuo il processo a porte chiuse».  

 

Verità cercasi, prima che la montagna ci frani addosso

http://www.libreidee.org/2013/10/verita-cercasi-prima-che-la-montagna-ci-frani-addosso/

La montagna è una fatica di cui non si vede mai la vetta, è Giorgia Meloni che nella trasmissione di Santoro denuncia i 90 miliardi di euro che grazie al governo Letta il gioco d’azzardo legalizzato ha sottratto al fisco, sono i No-Tav che in quello stesso studio aggiungono sul conto anche i 24 miliardi iniziali (solo previsti, mai stanziati perché inesistenti) per la grande opera più ridicola, costosa e inutile d’Europa, di cui i politici in trasmissione ammettono di sapere poco o nulla, nonostante sia diventata un caso nazionale per via delle gravi accuse di eversione piovute sulla protesta. La montagna sono le due ore di trasmissione che scorrono prima di “scoprire” che il famoso cantiere di Chiomonte, epicentro dello scontro, non è certo quello del futuro tunnel ferroviario: si sta solo scavando una mini-galleria di servizio, archiviabile alla svelta se solo si volesse farla finita, una volta per tutte, con la leggenda del treno veloce – non più per i passeggeri ma per le merci, che notoriamente viaggiano a bassa velocità.

Merci letteralmente scomparse dalla tratta, dove peraltro Italia e Francia sono già perfettamente collegate dalla ferrovia Torino-Modane che attraversa la valle di Susa, appena ammodernata con 400 milioni di euro per consentire ai treni di caricare anche i Tir e i grandi container navali. La montagna è la fatica che occorre, ogni volta, per spiegare che i container navali sbarcati a Genova ormai evitano il Piemonte e la Francia e corrono verso Rotterdam attraverso i valichi del nord. Mentre per i Tir – lungi dal caricarli sui treni – si sta scavando il secondo traforo autostradale del Fréjus, sempre in valle di Susa, cioè nel territorio a cui, per buon peso, si vorrebbe infliggere anche l’Armageddon di vent’anni di cantieri Tav, coi paesi devastati e la popolazione minacciata da pericoli per la salute (cancro, causa polveri con amianto e uranio) ammessi dagli stessi tecnici della grande opera, che riconoscono che i lavori potrebbero anche aprire serie incognite idrogeologiche.

Un’impresa folle, sempre più improbabile e irreale per tutti – docenti universitari compresi – tranne che per i decisori politici, i parlamentari a corto di informazioni che però vanno in televisione e scrutano i No-Tav come animali strani, un po’ naif, forse affetti dalla sindrome Nimby, evidentemente non credibili, persino quando ricordano palesi verità ormai incresciosamente ufficiali come quelle provenienti dalla Francia: al netto delle rituali cortesie diplomatiche con l’Italia, Parigi ha infatti stabilito definitivamente che il capitolo Torino-Lione verrà riaperto, eventualmente, solo a partire dal remotissimo 2030. La montagna è impervia: ci sono voluti anni prima che Santoro, paladino di tante cause civili, si decidesse a spedire il fido Ruotolo nella valle in rivolta: accadde nel 2012, quando il contadino anarchico Luca Abbà precipitò (folgorato) dal traliccio su cui si era inerpicato per protesta, tallonato da un poliziotto. Rivisto un anno dopo, sempre grazie a Ruotolo, Luca Abbà non denuncia gli oscuri attentati incendiari che hanno colpito le imprese collegate al cantiere, ne prende nota e rivendica in linea di principio il diritto di ricorrere anche al sabotaggio come strumento legittimo di lotta.

E’ esattamente questo atteggiamento, diffuso in larghi settori del movimento “ribelle”, che spinge il procuratore Caselli a chiarire che – dal punto di vista della legge – non sono ammissibili infrazioni alla legalità, specie se violente come l’intimidazione o il lancio di sassi e petardi contro operai e agenti. Per contro, lo stesso Ruotolo mette a fuoco le aziende colpite dagli incendi: alcune hanno alle spalle vicissitudini giudiziarie, qualcuna è stata addirittura sfiorata da indagini dei Ros sul rapporto opaco trapolitica, affari e ‘ndrangheta. Anche questo fa parte della montagna grigia, in una serata in cui Beppe Grillo tuona da Trento contro il presidente Napolitano, che il giorno dopo il blitz al Senato per disinnescare l’antifurto della Costituzione, l’articolo 138, a tarda ora ha convocato al Quirinale i partiti delle larghe intese per “invitarli” a cestinare finalmente l’impresentabile legge elettorale, tanto vituperata quanto cara ai privatizzatori dellademocrazia.

La montagna è questa deriva infinita, nella quale gli italiani – valsusini e non – hanno ormai la certezza di non contare più niente, e di non sapere neppure più bene come arrivare alla fine del mese. La soluzione, dice Giorgia Meloni, non può essere che la partecipazione democratica: rifiutare il vittimismo passivo e scendere in campo direttamente per cambiare le cose, nonostante l’insormontabile muraglia del patriziato economico, dell’oligarchia finanziaria, della lebbra partitocratica. E anche della catastrofe nazionale dell’informazione: su questo versante, almeno, Santoro e Travaglio hanno accorciato le distanze, recuperando terreno prezioso. Certo, c’è voluta la manifestazione di Roma. Tutti i civili appelli all’ascolto, rivolti dalla valle di Susa alle maggiori istituzioni, erano sempre caduti nel vuoto – lettera morta anche per giornali e televisioni. La montagna è ancora lì. Si chiama Troika, rigore, Fiscal Compact, pareggio di bilancio, tetto del deficit al 3% del Pil. Politici sintonizzati? Zero: non pervenuti. Aspettano che la montagna ci frani addosso?

La montagna è una fatica di cui non si vede mai la vetta, è Giorgia Meloni che nella trasmissione di Santoro denuncia i 90 miliardi di euro che grazie al governo Letta il gioco d’azzardo legalizzato ha sottratto al fisco, sono i No-Tav che in quello stesso studio aggiungono sul conto anche i 24 miliardi iniziali (solo previsti, mai stanziati perché inesistenti) per la grande opera più ridicola, costosa e inutile d’Europa, di cui i politici in trasmissione ammettono di sapere poco o nulla, nonostante sia diventata un caso nazionale per via delle gravi accuse di eversione piovute sulla protesta. La montagna sono le due ore di trasmissione che scorrono prima di “scoprire” che il famoso cantiere di Chiomonte, epicentro dello scontro, non è certo quello del futuro tunnel ferroviario: si sta solo scavando una mini-galleria di servizio, archiviabile alla svelta se solo si volesse farla finita, una volta per tutte, con la leggenda del treno veloce – non più per i passeggeri ma per le merci, che notoriamente viaggiano a bassa velocità.

Merci letteralmente scomparse dalla tratta, dove peraltro Italia e Francia sono già perfettamente collegate dalla ferrovia Torino-Modane che Servizio Pubblicoattraversa la valle di Susa, appena ammodernata con 400 milioni di euro per consentire ai treni di caricare anche i Tir e i grandi container navali. La montagna è la fatica che occorre, ogni volta, per spiegare che i container navali sbarcati a Genova ormai evitano il Piemonte e la Francia e corrono verso Rotterdam attraverso i valichi del nord. Mentre per i Tir – lungi dal caricarli sui treni – si sta scavando il secondo traforo autostradale del Fréjus, sempre in valle di Susa, cioè nel territorio a cui, per buon peso, si vorrebbe infliggere anche l’Armageddon di vent’anni di cantieri Tav, coi paesi devastati e la popolazione minacciata da pericoli per la salute (cancro, causa polveri con amianto e uranio) ammessi dagli stessi tecnici della grande opera, che riconoscono che i lavori potrebbero anche aprire serie incognite idrogeologiche.

Un’impresa folle, sempre più improbabile e irreale per tutti – docenti universitari compresi – tranne che per i decisori politici, i parlamentari a corto di informazioni che però vanno in televisione e scrutano i No-Tav come animali strani, un po’ naif, forse affetti dalla sindrome Nimby, evidentemente non credibili, persino quando ricordano palesi verità ormai incresciosamente ufficiali come quelle provenienti dalla Francia: al netto delle rituali cortesie diplomatiche con l’Italia, Parigi ha infatti stabilito definitivamente che il capitolo Torino-Lione verrà riaperto, eventualmente, solo a partire dal remotissimo 2030. La montagna è impervia: ci sono voluti anni prima che Santoro, paladino di tante cause civili, si decidesse a spedire il fido Ruotolo nella valle in rivolta: accadde nel 2012, quando il contadino anarchico Luca Abbà precipitò (folgorato) dal traliccio su cui si era inerpicato per protesta, tallonato da un poliziotto. Rivisto un anno dopo, sempre grazie a Ruotolo, Luca Abbà non denuncia gli oscuri attentati incendiari che hanno colpito le imprese collegate al cantiere, ne prende nota e rivendica in linea di principio il diritto di ricorrere anche al sabotaggio come strumento legittimo di lotta.

E’ esattamente questo atteggiamento, diffuso in larghi settori del movimento “ribelle”, che spinge il procuratore Caselli a chiarire che – dal punto di vista della legge – non sono ammissibili infrazioni alla legalità, specie se violente come l’intimidazione o il lancio di sassi e petardi contro operai e agenti. Per contro, lo stesso Ruotolo mette a fuoco le aziende colpite dagli incendi: alcune hanno alle spalle vicissitudini giudiziarie, qualcuna è stata addirittura sfiorata da indagini dei Ros sul rapporto opaco tra politica, affari e ‘ndrangheta. Anche questo fa parte della montagna grigia, in una serata in cui Beppe Grillo tuona da Trento contro il presidente Napolitano, che il giorno dopo il blitz al Senato per disinnescare l’antifurto della Costituzione, l’articolo 138, a tarda ora ha convocato al Quirinale i partiti delle larghe Giorgia Meloniintese per “invitarli” a cestinare finalmente l’impresentabile legge elettorale, tanto vituperata quanto cara ai privatizzatori dellademocrazia.

La montagna è questa deriva infinita, nella quale gli italiani – valsusini e non – hanno ormai la certezza di non contare più niente, e di non sapere neppure più bene come arrivare alla fine del mese. La soluzione, dice Giorgia Meloni, non può essere che la partecipazione democratica: rifiutare il vittimismo passivo e scendere in campo direttamente per cambiare le cose, nonostante l’insormontabile muraglia del patriziato economico, dell’oligarchia finanziaria, della lebbra partitocratica. E anche della catastrofe nazionale dell’informazione: su questo versante, almeno, Santoro e Travaglio hanno accorciato le distanze, recuperando terreno prezioso. Certo, c’è voluta la manifestazione di Roma. Tutti i civili appelli all’ascolto, rivolti dalla valle di Susa alle maggiori istituzioni, erano sempre caduti nel vuoto – lettera morta anche per giornali e televisioni. La montagna è ancora lì. Si chiama Troika, rigore, Fiscal Compact, pareggio di bilancio, tetto del deficit al 3% del Pil. Politici sintonizzati? Zero: non pervenuti. Aspettano che la montagna ci frani addosso?

(Giorgio Cattaneo, “Prima che la montagna ci frani addosso”, da “Megachip” del 25 ottobre 2013).

 

Servizio Pubblico, Richetto e Rizzo (No Tav) vs Meloni: “Dov’eri prima?”

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/10/24/servizio-pubblico-richetto-e-rizzo-no-tav-vs-meloni-doveri-prima/250679/

Scontro vivace tra Francesco Richetto e Giorgia Meloni. L’attivista No Tav accusa l’esponente di Fratelli d’Italia di aver detto “slogan e robe ridicole”. E critica ferocemente i politici chiusi nel palazzo e ciechi di fronte alle esigenze della gente, come nel caso dell’Aquila. Rincara Lele Rizzo, che ricorda alla Meloni di essere stata al governo per quattro anni e che è anche lei colpevole della crisi

 24 ottobre 2013

LETTERA DI LIVIO PEPINO A GIANCARLO CASELLI:

Sulle pagine del Fatto del 22 ottobre il procuratore della Repubblica di Torino, Gian Carlo Caselli, se la prende con il Movimento No Tav e con «i politici, amministratori, intellettuali e opinionisti» non allineati con il suo modo di gestire alcuni procedimenti relativi a vicende valsusine. Il movimento, nella sua globalità, è accusato addirittura di eversione: perseguìta da alcuni in modo diretto, da altri – la «parte buona» (sic!) – mediante condotte omissive; gli intellettuali, a loro volta, sono indicati come irresponsabili autori di «attacchi scomposti contro il doveroso accertamento delle responsabilità penali». L’oggetto della reprimenda è la (asserita) mancata o insufficiente presa di distanza da episodi di violenza verificatisi in valle. Il procuratore parla dei propri processi, anche se sottolinea di astenersi dall’esame delle responsabilità individuali (come se la ricostruzione della «materialità obiettiva dei fatti accaduti» e la relativa interpretazione non fosse parte delle indagini!), ed è questo improprio “processo a mezzo stampa” che rende l’articolo illuminante, aldilà dell’approssimazione con cui vengono liquidate l’esperienza e la storia del movimento valsusino.
Annoverandomi tra i critici chiamati in causa devo una risposta: l’ho, doverosamente, proposta al giornale su cui l’articolo è comparso, ma ho ricevuto dal direttore un cortese rifiuto a prescindere, cioè senza leggere il testo… Ritorno dunque, astenendomi da commenti e interpretazioni di tale rifiuto, a casa. Non intendo polemizzare con il procuratore di Torino su quella che lui definisce sottovalutazione della violenza “o peggio”. In cinquant’anni di vita pubblica l’ho detto e scritto infinite volte: le dure lezioni del secolo breve hanno dimostrato che un assetto sociale e istituzionale più giusto e rispettoso dei diritti delle persone si costruisce con la partecipazione, l’inclusione, il confronto e non con la prevaricazione e la violenza. Da parte di tutti: cittadini e istituzioni. Ma, qui e ora, il punto centrale, che deve interessare chi ha a cuore la sorte della società e delle persone (e che il procuratore di Torino continua a ignorare), è un altro: come si affronta e si supera la violenza? e quali sono, invece, gli atteggiamenti che la provocano o la incentivano? Sul punto sono disponibile a ogni confronto pubblico, pur se dubito che analoga disponibilità vi sia nel mio contraddittore…
Vengo, dunque, ai passaggi dello scritto pubblicato sul Fatto maggiormente indicativi di quel pre-giudizio colpevolista da me criticato e che non giova alla serenità delle indagini.
Primo. Il procuratore ricorda i «pesanti attacchi contro il cantiere di Chiomonte» e alcuni episodi connessi per arrivare alla conclusione tranchant che «a operare sono squadre organizzate secondo schemi paramilitari […] affluite nella Valle da varie città italiane ed europee per sperimentare metodi di lotta incompatibili con il sistema democratico». Può darsi che sia così, ma sarebbe prudente non scambiare le ipotesi accusatorie con le sentenze definitive e citare, almeno per completezza, a fianco dei passaggi confermativi del Tribunale della libertà, le smentite della Corte di cassazione (10 maggio 2012, in punto «sovradimensionamento» dei fatti contestati) e del Tribunale di Torino (11 luglio 2012, in punto impropria dilatazione delle ipotesi di concorso di persone nel reato).
Secondo. Il procuratore continua ricordando la catena di «attentati/sabotaggi, con danni assai gravi, contro i mezzi di lavoro delle ditte che sono impegnate nel cantiere» e l’ordigno esplosivo inviato a un giornalista. Prova granitica – chiosa – della deriva violenta del movimento. Il pre-giudizio colpevolista è qui particolarmente evidente: in forza di quali elementi quegli attentati vengono attribuiti, con apodittica certezza, ai No Tav? I principali siti del movimento hanno respinto tale attribuzione; le prevaricazioni mafiose sono in valle una realtà risalente; incendi e danneggiamenti toccano da anni presìdi No Tav e auto o beni di attivisti; la storia del Paese ci ha abituati a una moltitudine di attentati simulati; i gesti sconsiderati di chi è interessato a pescare nel torbido o di schegge impazzite di diversa estrazione non sono una novità. Ogni ricostruzione è possibile. Ma, proprio per questo, non sarebbe opportuno – soprattutto da parte di chi ha responsabilità di indagine – tacere in attesa di riscontri e indagare in tutte le direzioni…?
Terzo. Infine il procuratore evoca, a dimostrazione di un disegno «che può serenamente definirsi eversivo», la “Libera repubblica della Maddalena”, denominazione attribuita dal movimento al territorio circostante l’area presidiata dagli attivisti No Tav, fino allo sgombero del giugno 2011, per opporsi al cantiere. Le parole hanno (dovrebbero avere) un senso. «Eversione» è, secondo i dizionari della lingua italiana, «l’abbattimento o il sovvertimento dell’ordine costituito e delle istituzioni che ne sono l’espressione, compiuto mediante atti rivoluzionari o terroristici» (Devoto-Oli) e, secondo la giurisprudenza di legittimità, essa «non può essere limitata al solo concetto di “azione politica violenta”, ma deve necessariamente identificarsi nel sovvertimento dell’assetto costituzionale esistente ovvero nell’uso di ogni mezzo di lotta politica che tenda a rovesciare il sistema democratico previsto dalla Costituzione» (Cass. – sez. 2, n. 39504 del 17 settembre 2008). Difficile comprendere come l’“occupazione” di una minuscola area della Maddalena possa essere considerata segno di eversione. A maggior ragione in un Paese in cui ministri e presidenti di regione espressi da un partito che predica la secessione (con tanto di “parlamento padano” ed evocazione di fucili e proiettili) stigmatizzano l’assalto allo Stato dei No Tav e plaudono all’intransigenza della Procura di Torino…
Nessuno chiede impunità a prescindere. I reati commessi vanno perseguiti. Ma la precisione delle contestazioni e il senso delle proporzioni sono parte integrante di un diritto coerente con la Costituzione. Non
 solo per ragioni formali ma anche perché – come ha scritto Francesco Palazzo, illustre penalista di scuola liberale – «un diritto penale che vede nemici ogni dove rischia di accreditare l’immagine di una società percorsa da una generalizzata guerra civile, contribuendo così a fomentare una conflittualità, anzi uno spirito sociale d’inimicizia, che è del tutto contrario alla sua vera missione di stabilizzazione e pacificazione della società».

Livio Pepino

NON CITTADINI DI GOOGLE, MA SUDDITI DEI RICATTATORI NSA

Tratto da : libere idee.org
«Scusate, di quale sovranità parliamo? Oggi sappiamo cha la National Security Agency degli Stati Uniti ci spiava, ci spia e – aggiungo – ci spierà: non penseremo mica che sia finita qui», dice Giulietto Chiesa. E la Nsa «ci spierà dall’alto della sua tecnologia, quella che qualcuno anche sul web esalta come il futuro della democrazia». Solo in Francia, racconta Snowden, 70 milioni di comunicazioni telefoniche raccolte in un mese: non certo per spiare la vita privata dei parigini. I motori di ricerca, macchine spionistiche, controllano il flusso dei meta-dati: chi ha chiamato chi, da dove è partita la telefonata, e quando. Poi interviene la selezione: qualcuno estrae dettagli specifici dalla massa delle comunicazioni. «Esempio: andiamo a vedere con chi ha parlato la signora Angela Merkel l’altro ieri». Idem per tutti gli altri “alleati”: «Con la scusa di combattere il terrorismo, hanno messo sotto controllo tutti i nostri leader politici, che io continuo a chiamare “maggiordomi”, perché – essendo tutti ricattati, e sapendo di esserlo (se non lo sanno è ancora peggio) – sono stati ben zitti».

L’arma del ricatto: ti controllo, so con chi hai parlato, quando, e di cosa. Se l’agenda del grande alleato riparlasse di guerra, sarebbe più difficile opporsi. «Vale per Enrico Letta, vale per la presidente brasiliana Dilma Rousseff, come sappiamo. Vale per Hollande, il burattino di Francia. Vale per l’ex presidente messicano Felipe Calderon e per l’attuale presidente messicano, Enrique Peña Nieto. Vale probabilmente anche per il Papa», aggiunge Chiesa, in un video-editoriale su “Megachip”. «Forse non vale per Xi-Jingping, il presidente cinese, e per il presidente russo Vladimir Putin, i quali – non essendo alleati degli Stati Uniti – hanno probabilmente pensato di tutelarsi, cioè di innalzare le misure difensive». Come scrive persino il “New York Times”, la questione non è certo quella della privacy dell’uomo della strada: «Il programma di sorveglianza ha investito la politica, il business, la diplomazia, le banche». Per prima cosa, spiano con molta attenzione le mosse dei partner. «Begli alleati, che abbiamo». Controllare il cellulare della Merkel: per proteggerla dai terroristi, come dice Obama? No: «Per ricattarla, all’occorrenza, nel caso decidesse di fare qualcosa che “non deve” decidere di fare».

Non sfugge nessuno: «Se Enrico Letta va a prostrarsi a Washington, pensate che lo faccia perché è un fedele seguace del dio dollaro? Forse, anche. Ma soprattutto: teme la punizione, se sgarrasse». Dunque: «Possiamo fidarci di un alleato di questo genere? Cioè di un’America che ci spia facendo i propri interessi, contro di noi?». Per questo, Chiesa insiste nel chiedere l’uscita dalla Nato: «Non è una questione ideologica, ma pratica: voglio salvare la pelle, la mia e quella dei nostri figli. E se questi signori decidono che per i loro interessi occorre fare la guerra, diranno ai loro servi – i nostri governanti – di portarci in guerra. E se non capiamo questo, noi in guerra ci andremo ancora, finché non ci lasceremo la pelle». Date un’occhiata al grande problema americano: la finanza. «Il loro debito in realtà è il nostro: tocca a noi pagarlo, attraverso la subordinazione dell’euro». Eppure, c’è ancora chi pensa che stiamo entrando nell’era della libertà digitale, in cui potremo decidere tutto premendo un pulsante sul computer e votare insieme ai cinesi e agli indiani su come si gestisce il mondo. «Non siate ingenui, il controllo di queste macchine non ce l’avete voi. Non facciamoci illusioni: non diventeremo cittadini di Google, ma della Nsa».
http://frontediliberazionedaibanchieri.it/non-cittadini-di-google-ma-sudditi-dei-ricattatori-nsa

Banche italiane tremano, lo spettro del fallimento

25 ott 2103 –

Al via stress test Bce con Draghi che non esclude la necessità di far fallire qualche istituto. Rassicurazioni dal ministro dell’economia Saccomanni. Ma un rapporto di Goldman Sachs lancia alert…YORK (WSI) – La Bce fa tremare soprattutto le banche italiane, i cui titoli hanno reagito con pesanti ribassi a Piazza Affari alla vigilia.

Gli istituti, così come in generale tutti quelli europei, temono gli effetti dell’asset quality review, ovvero gli stress test: si tratta di una revisione della qualità degli asset, che partirà ufficialmente a novembre e durerà 12 mesi, lanciata dalla Banca centrale europea.

In Italia saranno sotto esame i 15 principali istituti di credito. Si tratta di Banca Carige, Mps, Creval, Bper, Bpm, Popolare Sondrio, Popolare Vicenza, Banco Popolare, Credem, Iccrea, Intesa SanPaolo, Mediobanca, Unicredit, Ubi Banca, Veneto Banca.

Leggendo i dettagli dell’operazione della Bce, si apprende che il parametro di riferimento per determinare l’esistenza o meno di un deficit patrimoniale sarà il Common Equity Tier 1, che non dovrà scendere sotto l’8% dell’attivo ponderato per il rischio.

Si tratta di una definizione leggermente più da un universo restrittiva di quella adottata dall’Eba (Core Tier 1) che, però al pari delle definizione Eba, non esclude, per le banche che stanno in piedi ma prive di accesso al mercato dei capitali, di colmare il deficit patrimoniale con all’aiuto statale. Questo punto è stato sottolineato più volte dallo stesso presidente della Bce, Mario Draghi.

Senza la presenza di un paracadute pubblico pronto ad aprirsi, il cosiddetto “backstop”, banche sane ma sottocapitalizzate potrebbero subire gravi danni reputazionali capaci anche di alimentare ingiustificate fughe dei depositanti.

Il ministro per l’economia Fabrizio Saccomanni sottolinea che l’Italia non ha nulla da temere, ma un rapporto di Goldman Sachs presenta una realtà diversa.

Soprattutto se si considera che lo stesso Draghi è stato chiaro, affermando che alcune banche avranno bisogno di fallire. “Se devono fallire, dovranno fallire. Non c’è alcun dubbio su questo”, ha detto.

Leggi art. completo: http://www.wallstreetitalia.com/article/1636195/finanza/b

Crisi Spagna, giovani disoccupati e poveri tentano di vendere organi online

Remedios, una donna di Malaga, separata, con due bambini di 9 e 5 anni, per evitare lo sfratto e pagare il mutuo voleva vendere il suo organo “non per meno di 30 o 40 mila euro”. Ma almeno lei ha ottenuto un colloquio di lavoro. “La crisi e la politiche di austerità hanno aumentato il tasso di impoverimento al 26,8 per cento della popolazione” dice una sindacalista

di Silvia Ragusa Il Fatto Quotidiano

Più informazioni su: Crisi Spagna, Disoccupazione Spagna, Mariano Rajoy.

“Vendo mi riñón para pagar la hipoteca”. (Vendo rene per pagare il mutuo). L’annuncio pubblicato su Internet ricorda quasi quella libbra di carne che il mercante di Venezia doveva a Shylock. Ma questa non è certo l’opera di Shakespeare. È la tragedia di Remedios, una donna di Malaga, separata, con due bambini di 9 e 5 anni. Disoccupata da due anni, riceve un sussidio di 426 euro al mese, 350 dei quali servono solo a pagare la rata del mutuo e un prestito di 5mila euro, contratto per evitare lo sfratto. Da qui la decisione di vendere un organo “non per meno di 30 o 40 mila euro”, ha precisato ai giornalisti che l’avevano rintracciata.
Il fatto è che in Spagna, e soprattutto in Andalusia, la crisi c’è, nonostante le previsioni ottimistiche del premier Mariano Rajoy o la visione “fantástica” del presidente del Santader Emilio Botín: “Stanno arrivando soldi stranieri da tutte le parti”, diceva pochi giorni fa a New York. Perché se da una parte i dati finanziari sembrano migliorare, dall’altra disoccupazione, povertà, morosità,crollo dei salari e del consumo peggiorano di giorno in giorno. Tanto da spingere gli spagnoli senza lavoro e con passivi sempre più onerosi da affrontare a mettere in vendita perfino gli organi. Una libbra di carne, appunto.
In poche ore il messaggio di Reme – così la chiamano gli amici – ha fatto il giro del web ed è finito sulle prime pagine dei quotidiani. Ma fino a poche ore fa, sul portale Milanuncios.com, se ne trovavano parecchi molto simili. Negli ultimi tre mesi – il più recente pubblicato giovedì scorso – una quindicina: messaggi postati da persone disposte a “vendere” o “donare” un rene in cambio di aiuti economici, con tanto di numero di telefono.
C’erano giovani che avevano appena compiuto vent’anni, uomini che avevano bisogno di soldi in contanti per metter su un’attività, e ultra cinquantenni senza lavoro o indebitati con le banche. “Non fumatore né bevitore, senza alcun tipo di malattia”, scrivevano in molti. Uno, poi, chiedeva 30mila euro per un suo rene e 60mila euro per un pezzo di fegato.
“La crisi e la politiche di austerità hanno aumentato il tasso di impoverimento al 26,8 per cento della popolazione. Cioè una persona su quattro vive a rischio povertà nel nostro Paese”, spiega Paloma López, segretaria del Lavoro della confederazione sindacale Comisiones Obreras. Il sindacato ha elaborato pochi giorni fa una proposta con l’obiettivo di istituire un reddito minimo garantito per le persone in difficoltà. Perché “non tutti soffrono le conseguenze della crisi allo stesso modo”, continua Paloma López. “La forbice tra ricchi e poveri si allarga e l’impoverimento generale dei cittadini è in aumento. Il governo non ascolta le proposte di certe organizzazioni su come, per esempio, penalizzare i datori di lavoro che non pagano i contributi. Nemmeno a parlare poi di quali misure prendere per fermare la frode fiscale o come un aumento dei salari possa contribuire al rilancio economico”. Insomma i continui tagli non portano da nessuna parte. Anzi “sono la causa di questi atti estremi”, conclude López.
Intanto la storia di Reme, raccontata dal quotidiano locale Elcorreo.com, è stata denunciata dall’Organización Nacional de Transplantes alla brigata per i delitti informatici della Guardia Civil. Tre giorni dopo i gestori hanno rimosso tutti gli annunci dalla pagina web, mentre la polizia postale spagnola cancellava messaggi dello stesso tenore su altri siti affini. Qualcuno però è rimasto ancora. Immortalato nei blog o nei giornali online.
“Si vende rene per motivi economici. Prezzo da valutare. Spese cliniche a carico dell’acquirente. Tutto con contratto. Non fumo, non bevo, no droghe. Totalmente sano. Urgente”. Questo, ad esempio, era il post di Juan José. A lui di violare la legge spagnola, che punisce la compravendita di organi con pene che vanno fino a 12 anni di reclusione, non importa granché. “Non sapevo fosse illegale e nella situazione in cui mi trovo non mi interessa. Prima di tutto c’è la mia famiglia”, spiega. Insieme a sua moglie e ai suoi tre figli, tutti disoccupati, sopravvive con circa 1000 euro. “Ho già perso la casa e l’auto, e adesso sono costretto a vivere in affitto”, aggiunge.
La maggior parte degli annunci online non specificavano il prezzo della vendita degli organi. Ma Rubén, ad esempio, non avrebbe immaginato di farlo per meno di 30mila euro. Anche lui, 31 anni appena compiuti, aveva scritto su Milanuncios.com. “Non ho casa. Un giorno dormo sotto un tetto, se riesco, e il giorno dopo per strada”, racconta. Dice di essere disoccupato da due anni, di avere una compagna e una bambina piccola, motivo per cui ha pensato di vendersi “un rene, il fegato o la qualunque”, così come si leggeva sul sito di annunci. Assicura di avere la licenza di idraulico e installatore di impianti termici e di aver lavorato come libero professionista, ma che non riesce più a trovare uno straccio di occupazione. Così come una coppia di 52 e 48 anni che, a cambio di una risarcimento economico urgente, voleva donare insieme un rene e il midollo osseo.
Oggi Remedios avrà forse un lieto fine: in questi giorni farà un colloquio di lavoro in un negozio di materassi di Malaga. Gli altri, invece, rimarranno solo sporadici annunci sul web.
Link
– See more at: http://www.altrainformazione.it/wp/2013/10/26/crisi-spagna-giovani-disoccupati-e-poveri-tentano-di-vendere-organi-online/#sthash.c108MjPe.dpuf
 

Daniel Ibanez ha mandato una lettera ai Deputati Francesi dopo la Tavola rotonda del 22 ottobre al Parlamento

per informazione il messaggio che ho appena rivolto ai deputati
cordialmente
daniel ibanez

Da Daniel IBANEZ

Ai signori Onorevoli

Buongiorno,

Sono intervenuto nel corso della tavola rotonda di martedì 22 ottobre alla Commissione degli Affari Europei:
http://videos.assemblee-nationale.fr/video.4769.commission-des-affaires-europeennes–le-lyon-turin-22-octobre-2013#

Il Signor Du Mesnil, in qualità di ex Presidente della Rete Ferroviaria Francese, ha enunciato delle contro-verità affermando che “la modernizzazione della linea esistente necessiterebbe di grossi lavori infrastrutturali poiché bisognerebbe rifare praticamente tutti i ponti.”

Troverete qui di seguito due documenti che dimostrano che il ponte sul Rodano è stato sostituito nel 2007 per reggere trafici di 20 millioni di tonnellate per ogni senso di marcia!
http://fr.scribd.com/doc/17780284/Reconstruction-du-pont-rail-sur-le-Rhone-a-Culoz

e che un altro ponte è stato rinnovato nell’ agosto del 2013 con 3 giorni di chiusura dal 14 al 17 agosto 2013. La linea quindi è adattata per il traffico merci gabarit così come viene dichiarato da RFF all’interno del raggruppamento “Corridor D”.

La linea esistente fa parte del Corridor D, raggruppamento economico dei gestori delle reti ferroviarie (RFF), che è uno dei dirigenti.
http://corridord.eu/

questo raggruppamento che vanta l’efficienza della linea esistente armonizzata alla rete europea che va da Algésiras alla frontiera ucraina.
Bisogna ricordare che la linea Valence Montmélian che permette di “shunter” Lyon e Chambéry è stata elettrificata e che le opere sono state adattate per il traffico merci gabarit da RFF sotto la presidenza del Signor Du Mesnil.

Per quanto riguardano i problemi di sicurezza nel tunnel franco-italiano, mi permetto di allegare la domanda del Signor Jean Pierre Vial del 5 luglio 2012 e la risposta del Ministro dei trasporti (Vedi allegato):
Jean Pierre VIAL : “…E’ importante ricordare e sottolineare che, attualemente, il traficco ferroviario in direzione dell’Italia usa un’infrastruttura costituita da un tunnel su una distanza di circa quindici chilometri, i cui i lavori sono stati iniziati da Cavour più di cento cinquanta anni fa, prima dell’annessione della Savoia alla Francia.
Infatti quest’opera non risponde più alle esigenze di sicurezza che ci si aspetta da un’infrastruttura aperta alla circolazione di viaggiatori e di merci che deve costituire il nodo centrale dell’infrastruttura del Sud dell’Europa.”

Il Ministro Frédéric CUVILLIER: “Senatore, lei ha indicato che il tunnel attuale del Fréjus non risponde alle esigenze di sicurezza. Desiro portale una precisazione, anzi una rettifica al riguardo. Quest’opera è stata adattata al gabarit detto « B+ » allo scopo di farci passare l’autostrada ferroviaria. In quell’occasione, importanti investimenti sono stati realizzati in materia di sicurezza, che si tratti di opere edili o di impianti di sorveglianza, principalmente. Questo tunnel è stato oggetto di commissioni di sicurezza ed è conforme alle esigenze richieste.”

Per quanto riguarda i costi del tunnel transfrontaliero, lo stesso giorno nelle sua risposta il ministro dei trasporti indicava:
“Per entrare nel cuore dell’oggetto, il progetto di collegamento Lyon-Turin comporta una sezione internazionale – principalmente un tunnel transfrontaliero di cinquanta sette chilometri di lunghezza sotto le Alpi – gestito da Francia e Italia, che corrisponde a un investimento di 12 milliardi di euro. L’accesso al tunnel internazionale dall’’area metropolitana di Lyon necessita anche della realizzazione di una linea nuova fino al tunnel , per un costo globale di  10 milliardi di euro. Questa sera stessa incontrerò il senatore- sindaco di Lyon, che non mancherà di sottopormi la questione.”

Il documento d’inchiesta pubblica degli accessi francesi a gennaio, febbraio e marzo 2012 indicava (documento C pagina 19), che la sezione internazionale (il tunnel transfrontaliero) sarebbe costato 10,48 Milliardi come d’altronde pubblicato sul sito internet di Lyon Turin Ferroviaire SAS:

Contrariamente a ciò che ha affermato il Signor Du Mesnil davanti alla commissione, non si tratta di un costo aggiornato ma, al contrario, di un costo del 2009 come prova il documento allegato datato 11 marzo 2012 (file Preuve modif LTF.pdf)

Allo stesso modo la richiesta di contributi europei dimostra senza ombra di dubbio che il costo è proprio di circa 14 Milliardi di euro.

Quindi dichiarare che i costi non sono variati costituisce una contro-verità palese.

In conclusione:
E’ errato pretendere che la linea attuale esistente non risponde ai bisogni, ciò emerge dai documenti di RFF stessa, o dal Corridor D, e ciò il Signor Du Mesnil non può ignorarlo proprio per le sue precedenti funzioni a capo di questa struttura pubblica.

E’ errato pretendere che il tunnel esistente non è in sicurezza salvo mettere in dubbio la dichiarazione del Ministro dei trasporti davanti ai Senatori.

E’ errato pretendere che la linea di montagna non permette l’autostrda ferroviaria, ciò emerge dalle dichiarazioni del Signor Gayssot davanti all’assemblea nazionale il 13 febbraio 2002 per ottenere la ratifica del primo trattato, ma ugualmente per i 17 millioni di tonnellate trasportate in Svizzera su una linea datata 1874 con profilo di montagna con 900 metri di dislivello.

Viene richisto alla Francia un impegno per  20 Milliardi, quando la linea esistente è utilizzata solo al 17% dopo aver ricevuto quasi un milliardo di investimenti per i lavori.

Pensiamo in coscienza, che la Francia debba utilizzare la sua rete esistente, migliorarla per l’utenza quotidiana, e destinare i fondi a un vero lavoro di sviluppo del trasporto ferroviario. Non può permettersi di finanziare delle infrastrutture chimeriche come il Lyon Turin che bloccheranno qualsiasi altro nuovo investimento e appesantiranno la pressione fiscale.

Rimango a disposizione per un colloquio prima della seduta del 31 ottobre.

Cordialmente e rispettuosamente, ringraziandovi della vostra attenzione prima di impegnare la Francia in un vicolo cieco con questo progetto.

Daniel ibanez
06 07 74 10 17

Se come dicono i pro tunnel, una nuova linea “cancellante le Alpi” deve ridare un posto concorrenziale alla ferrovia, dovremmo trovare su più del 70 % della rete ferroviaria francese “di pianura” un’attività di trasporto merci ferroviaria fiorente.
 
http://lecercle.lesechos.fr/entreprises-marches/services/transports/221179340/fret-ferroviaire-lyon-turin-cas-emblematique-limit
 Rilancio e Grandi Progetti : il principio di precauzione deve essere applicato ?
 http://lecercle.lesechos.fr/economie-societe/politique-eco-conjoncture/politique-economique/221162809/relance-et-grands-projets– 1
Lyon-Turin, la Corte dei Conti si sarebbe sbagliata ?
http://lecercle.lesechos.fr/economie-societe/politique-eco-conjoncture/territoires/221161973/lyon-turin-cour-comptes-serait-elle

 
——– Original Message ——–

Subject:

Fwd: [deputes] Fwd: Lyon Turin.

Date:

Fri, 25 Oct 2013 16:38:28 +0200

From:

niid <daniel.ibanez@framex.org>

To:

destinataires inconnus:;

 
pour information le message que je viens d’adresser aux députés

bien cordialement
daniel ibanez
De Daniel IBANEZ

A Mesdames et Messieurs les Députés

Bonjour,

Je suis intervenu au cours de la table ronde de mardi 22 octobre au sein de la Commission des Affaires Européennes:
http://videos.assemblee-nationale.fr/video.4769.commission-des-affaires-europeennes–le-lyon-turin-22-octobre-2013#

Monsieur Du Mesnil a énoncé des contre-vérités en indiquant que  “la mise au gabarit de la ligne existante nécessite énormément de travaux d’aménagement puisqu’il faut refaire pratiquement tous les ponts ….” faisant référence à sa qualité d’ancien Président de Réseau Ferré de France.

Vous trouverez ci dessous deux documents qui montrent que le pont sur le Rhône a été remplacé en 2007 pour supporter des trafics de 20 millions de tonnes par sens!
http://fr.scribd.com/doc/17780284/Reconstruction-du-pont-rail-sur-le-Rhone-a-Culoz

et qu’un autre pont a été rénové en août 2013 avec 3 jours de fermeture du 14 au 17 août 2013. La ligne est donc au gabarit comme le déclare RFF au sein du groupement “Corridor D”.

La ligne existante fait partie du Corridor D groupement économique des gestionnaires de réseaux ferrés (RFF) en est l’un des dirigeants.
http://corridord.eu/

Groupement qui clame l’efficience de la ligne existante harmonisée avec ce réseau européen de Algésiras à la frontière ukrainienne.
il convient de rappeler que la ligne Valence Montmélian permettant de “shunter” Lyon et Chambéry a été électrifiée et que les ouvrages ont été mis au gabarit par RFF sous la présidence de Monsieur Du Mesnil.

En ce qui concerne des problèmes de sécurité dans le tunnel franco-italien, je me permets de vous joindre la question de Monsieur Jean Pierre Vial le 5 juillet 2012 et la réponse de Monsieur le Ministre des transports (Voir pièce jointe):
Monsieur Jean Pierre VIAL : “…Il importe de rappeler et de souligner que, aujourd’hui, le trafic ferroviaire en direction de l’Italie utilise une infrastructure constituée d’un monotube sur une distance d’environ quinze kilomètres, dont les travaux ont été engagés par Cavour voilà plus de cent cinquante ans, avant le rattachement de la Savoie à la France.
Or, à l’heure actuelle, cet ouvrage ne répond plus aux exigences de sécurité que l’on est en droit d’attendre d’une infrastructure ouverte à la circulation de voyageurs et de marchandises devant constituer le maillon central de l’infrastructure du Sud de l’Europe.”

Monsieur le Ministre Frédéric CUVILLIER: “Monsieur le sénateur, vous avez indiqué que le tunnel actuel de Fréjus ne répond pas aux exigences de sécurité. Je souhaite vous apporter une précision, voire une rectification sur ce point.
Cet ouvrage a été élargi au gabarit dit « B+ » afin d’y faire passer l’autoroute ferroviaire. À cette occasion, d’importants investissements ont été réalisés en matière de sécurité, qu’il s’agisse de niches ou d’équipements de surveillance, notamment. Ce tunnel a fait l’objet de commissions de sécurité et il est conforme aux exigences formulées.”

En ce qui concerne les coûts du tunnel transfrontalier, le même jour dans sa réponse le ministre des transports indiquait:
“Pour entrer dans le coeur du sujet, le projet de liaison Lyon-Turin comporte une section internationale – essentiellement un tunnel transfrontalier de cinquante-sept kilomètres de long sous les Alpes – sous pilotage franco-italien, correspondant à un montant d’investissement de 12 milliards d’euros. L’accès au tunnel international
depuis l’agglomération lyonnaise nécessite également la réalisation d’une ligne nouvelle jusqu’à cet ouvrage, d’un montant total de 10 milliards d’euros. Dès ce soir, je rencontrerai le sénateur-maire de Lyon, qui ne manquera pas de me sensibiliser à cette question.”

Le document d’enquête publique des accès français en janvier, février et mars 2012 indiquait pièce C page 19, que la section internationale (le tunnel transfrontalier) coûterait 10,48 Milliards conformément d’ailleurs à ce qui était annoncé sur le site internet de Lyon Turin Ferroviaire SAS:


Contrairement à ce qu’a affirmé Monsieur Du Mesnil devant la commission, il ne s’agit pas d’un coût actualisé mais au contraire d’un coût 2009 comme le prouve le document ci-dessus et le document joint capture d’écran daté du 11 mars 2012 (fichier Preuve modif LTF.pdf)

De la même manière la demande de contribution européenne montre sans contestation possible que le coûts est bien de près de 14 Milliards en euros courants et 9,820 Millairds en euro constants 2006.

Ainsi prétendre que les coûts n’ont pas varié constitue une contre-vérité évidente.

En conclusion:
Il est faux de prétendre que la ligne actuelle existante ne répond pas aux besoins, cela ressort des documents de RFF elle-même, ou du Corridor D, ce que ne peut ignorer Monsieur Du Mesnil du fait de ses précédentes fonctions à la tête de cet établissement public.

Il est faux de prétendre que le tunnel existant n’est pas en sécurité sauf à mettre en doute les déclarations du Ministre des transports devant les Sénateurs.

Il est faux de prétendre que la ligne de montagne ne permet pas le report modal, cela ressort des déclarations de Monsieur Gayssot devant l’assemblée nationale le 13 février 2002 pour obtenir la ratification du premier traité, mais également des 17 millions de tonnes transportées en Suisse sur une ligne datant de 1874 au profil de montagne 900 mètres de dénivelé.

Il est demandé à la France de s’engager pour 20 Milliards, alors que la ligne existante n’est utilisée qu’à 17% après avoir reçu près d’un milliard d’investissements et de travaux.

Nous pensons en conscience, que la France doit utiliser son réseau existant, l’améliorer pour les dessertes du quotidien, et affecter les fonds à un véritable travail de développement du fret ferroviaire. Elle ne peut se permettre de financer des chimères infrastructurelles comme le Lyon Turin qui interdiront tout nouvel investissement et alourdiront la pression fiscale.

Je reste à votre disposition pour un entretien avant la séance du 31 octobre.

Très cordialement et respectueusement, en vous remerciant pour votre attention avant d’engager la France dans une impasse avec ce projet.

Daniel ibanez
06 07 74 10 17Si comme le disent les promoteurs du tunnel, une nouvelle ligne “gommant les Alpes” doit redonner une place concurrentielle au rail, nous devrions trouver sur plus de 70 % du réseau ferré français “de plaine” une activité fret ferroviaire florissante. http://lecercle.lesechos.fr/entreprises-marches/services/transports/221179340/fret-ferroviaire-lyon-turin-cas-emblematique-limit Relance et Grands Projets : Le principe de précaution doit-il s’appliquer ? http://lecercle.lesechos.fr/economie-societe/politique-eco-conjoncture/politique-economique/221162809/relance-et-grands-projets1  Lyon-Turin, la Cour des comptes se serait-elle trompée ? http://lecercle.lesechos.fr/economie-societe/politique-eco-conjoncture/territoires/221161973/lyon-turin-cour-comptes-serait-elle