NO TAV/ Il “cortocircuito” della democrazia comincia in Val di Susa

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Markus Krienke

sabato 1 9 ottobre 201 3

In Val di Susa assistiamo da qualche tempo ad una dinamica in qualche modo unica nell’attuale democrazia europea. Ossia al fatto che una protesta civile e pacifica venga strumentalizzata da forze antidemocratiche e antagoniste come legittimazione del proprio agire. In questo senso è necessario distinguere con la massima cautela le origini pacifiche del movimento No Tav dai militanti dei centri sociali e dei gruppi anarchici e anarco-comunisti italiani provenienti da Milano, Trieste, Firenze fino alla Sicilia, e dall’estero, innanzitutto da Francia, Spagna, Austria e Germania. Inutile chiedersi quindi cosa c’entrano loro, che in parte agiscono come black blocs, con la questione della Tav, dal momento che il loro obiettivo è di trovare un motivo che legittimi le loro azioni anarchiche. Usano le piattaforme di proteste pacifiche per la resistenza violenta, e così non sorprende affatto se si lasciano evidenziare delle connessioni tra gli atti violenti in Val di Susa con quelli a Roma del 1 5 ottobre di due anni fa. 

Proprio per questo fine settimana, come sappiamo, si teme per una reiterazione della violenza nella Capitale. Poco importano le divisioni al loro interno tra anarchici insurrezionalisti e autonomisti, perché ormai la Val di Susa è diventata il laboratorio in cui poter sperimentare la lotta violenta, che si deve spingere sempre oltre, e che deve “fare il salto di qualità”, come le Nuove Br Davanzo e Sisi incitano dalla prigione di Catanzaro, per poi esportare le esperienze e conoscenze acquisite anche in altre città o paesi. Il loro bersaglio sono le istituzioni liberali stesse – quelle democratiche e quelle economiche.

“Presto ci potrebbe scappare il morto” – da poche settimane ormai questa sembra l’unica frase condivisa da tutti: dai No Tav radicali come anche da parte del  governo. Il “salto di qualità”, inoltre, non è solo da riferirsi al grado di violenza e all’intensità degli attacchi allo stato istituzionale, ma soprattutto agli schemi legittimatori impliciti. È evidente che per i radicali la responsabilità del “morto” sarebbe tutta a carico del governo e delle forze dell’ordine in quanto “provocatori”, di modo che il “morto” stesso divenga il simbolo o il martire che possa poi continuare ad alimentare la lotta continua.

In questa situazione di confronto armato, i No Tav pacifici si auto-comprendono come le uniche istanze democratiche rimaste – confermate e legittimate da personaggi pubblici come il filosofo Vattimo e il costituzionalista Rodotà, ed evidentemente da forze politiche come il Movimento 5 Stelle.

Il movimento pacifico, che combatte per salvaguardare la v alle dall’impatto ambientale che produrrebbe il progetto di alta velocità, non si è mai distanziato in maniera veramente chiara e distinta dalle azioni violente dei No Tav. 

Inizialmente ha persino esteso la portata del problema della Val di Susa ad una protesta nazionale, e solo in risposta alla lettera di Davanzo e Sisi ha formulato, con Alberto Perino, un distanziamento inequivocabile dai gruppi violenti. È così che ora esso pretende di apparire come la realizzazione più pura della democrazia italiana, come afferma Erri De Luca: “La battaglia contro la Tav in Val Susa è la più bella lotta civile e democratica del nostro Paese da una decina di anni a questa parte”.

Ciò sarebbe condivisibile soltanto se si ritenesse che la democrazia si possa ridurre a cortei e a proteste, sebbene pacifici, in realtà essa è molto di più: è dialogo costruttivo, rappresentanza, rispetto della maggioranza, sicuramente anche risoluzione della protesta e del conflitto di interessi. La democrazia allora è più di un’esperienza di protesta, essa implica infatti la responsabilità e il rispetto di una serie di istituzioni che garantiscano l’uguale libertà di tutti, e non soltanto di un gruppo di persone. Sebbene la rivendicazione delle proprie idee e la lotta in nome di esse sia un possibile mezzo per realizzare questa libertà, esse però non costituiscono il fine della democrazia. Ciò non significa che si possa  facilmente tralasciare questo mezzo, come è stato pure tentato da parte  istituzionale – governi, partiti, ecc. –, nel nome dell’ordine e di piani strategici nazionali. È indubitabilmente vero che la considerazione dell’opinione dei No Tav pacifici ha portato due anni fa a una completa revisione del piano esecutivo, e che la decisione sul Tav corrisponde ai requisiti della nostra democrazia.

Ma la popolazione oggi i non chiede più soltanto di essere amministrata, essa vorrebbe essere coinvolta nei molteplici livelli decisionali. Difficilmente si può dichiarare, come ha fatto il presidente della regione Piemonte Roberto Cota, che un’elezione regionale sostituisca un referendum sul Tav .

 Si lascia quindi constatare come il sopravvento dei gruppi radicali e violenti abbia fortemente destabilizzato la comprensione democratica di quelli che dovrebbero essere i due veri attori della causa, ossia il movimento civile No Tav e l’opinione democratica istituzionale. Il falso dualismo “Stato” vs. “popolazione”, preparato e fomentato dalle continue proteste, dai loro leader e strumentalizzato dai gruppi estremisti, è fuorviante, dal momento che il senso della democrazia consiste proprio nel superare tale antitesi. 

C’è poi quella dimensione che tutti i No Tav non considerano, e cioè che il vero sovrano e quindi il punto di riferimento rimane il popolo in quanto tale, e non in quanto gruppo particolare. Se le odierne strategie/strutture parlamentari, in teoria v olte ad includere ciò che politicamente è il popolo, non soddisfano più le stesse esigenze democratiche, allora probabilmente sarebbe opportuno  rivalorizzare, nell’orizzonte delle istituzioni già esistenti, uno strumento più diretto di democrazia, ossia il referendum. 

Ciò che interessa non è tanto la domanda, pur importante e fondamentale, su chi dei due attori, i No Tav oppure il governo, avrebbe dovuto proporlo, ma piuttosto perché nessuno dei due lo abbia ancora fatto. Forse così si sarebbe riusciti a contribuire alla formazione della volontà politica più all’interno dei processi formali della democrazia stessa – e ciò prima che la Val di Susa si prestasse a diventare la piattaforma legittimatrice di quella violenza anarchica ed autonomista radicale. Se proprio in Italia certe forme di protesta duratura evolvono con  particolare propensione in azioni violente di antagonismo radicale, allora il rafforzamento democratico e la responsabilizzazione della popolazione dovrebbero essere tra le prime priorità. Quello di interpretare un’elezione regionale o persino nazionale come un referendum su una questione specifica, oppure di identificare il referendum con il conteggio delle persone che si radunano alle manifestazioni, peraltro in decrescita drammatica rispetto agli inizi, non sono modi di valorizzare la democrazia.

Evidentemente, alla questione di un eventuale referendum sono connesse molte questioni specifiche.

Innanzitutto non dovrebbe essere realizzato soltanto nelle province della Val di Susa stessa, ma dovrebbe estendersi almeno a livello regionale, data la portata strategica ed economica del progetto. Tramite un tale strumento si sarebbe potuto porre definitivamente fine ad una protesta che, proprio con il suo dilagarsi, ha la potenzialità di logorare la forza della democrazia stessa. 

Afferma Cacciari giustamente, proprio con riferimento alla Val di Susa, che “la democrazia non è un’assemblea permanente”. Il coinvolgimento della popolazione nel processo politico avrebbe aiutato senz’altro a distinguere meglio la protesta civile e le manifestazioni legittime dalle forze violente provenienti da quel gruppo assolutamente minoritario di radical-anarchici e autonomisti, che in parte come black blocs si oppongono al sistema con l’uso della violenza, legittimando qualsiasi forma di escalation. Forse, qualcuno obietterà, in questo momento è troppo tardi per ricorrere allo strumento democratico del referendum. Questa è una valutazione politica. Ma v alga pure come ragionamento politico-etico, e quindi in un certo senso come “lezione” da imparare dal caso della Val di Susa, per il futuro 

Roma blindata per giorni di proteste – trovato furgone con armi – cinque fermi

Roma blindata, sfilano i Cobas
Domani il pericolo «black bloc»

Si temono scontri nella manifestazione No Tav a Roma 

Fermati ed espulsi cinque francesi, Trovato un furgone carico di biglie e manganelli.

Arrivano i No Tav

Roma

Il primo round sembra andato senza troppi danni -ma per la Capitale c’è ancora da superare il secondo giorno consecutivo di manifestazioni di protesta, con la prova degli antagonisti. Oggi il corteo dei Cobas e dell’Unione sindacale di base (Usb) contro l’austerità si è svolto in maniera sostanzialmente pacifica, mentre 5 francesi sono stati fermati ieri sera e allontanati dall’Italia. Conosciuti come black bloc, si erano già resi responsabili di violenze e devastazioni in passato. Biglie, manganelli ed estintori sono stati sequestrati dalle forze dell’ordine lungo il percorso del corteo, che secondo gli organizzatori ha raccolto 50 mila persone contro le politiche economiche del governo e dell’Unione europea. La situazione era complicata anche dallo sciopero dei mezzi pubblici, seppur mitigato dopo l’appello del sindaco. Domani il rischio saranno di nuovo i black bloc, i ribelli in nero. 

 I SINDACATI: SIAMO IN 50 MILA  

In una Roma blindata hanno sfilato i Cobas in 50mila. Tra loro anche operai dell’Ilva e vigili del fuoco. Tra i vessilli bandiere No Tav contro l’Alta velocità in Val di Susa e No Muos (movimento che si oppone in Sicilia all’installazione di un sistema radar militare Usa). Docenti, maestre e avvocati precari erano vestiti da scheletri, «perché ci stanno dissanguando», hanno spiegato. Fumogeni sono stati lanciati dal Blocco precari metropolitani (Bpm). La Cgil del Lazio ha denunciato l’esplosione di due bombe carta vicino alla propria sede di via Buonarroti, seguita dal lancio di uova contro la facciata. 

 I BLACK BLOC E IL FURGONE-ARSENALE  

La vera prova del fuoco, secondo le forze dell’ordine, sarà la manifestazione No Tav di domani, che porterà in piazza antagonisti di varia estrazione, con il rischio concreto di infiltrazioni di black bloc ed estremisti. Viene monitorata attentamente la tendopoli allestita in piazza San Giovanni davanti alla Basilica: da lì partirà il corteo diretto a Porta Pia, dove è prevista una Notte Bianca del Dissenso. Molti dei manifestanti di oggi con i Cobas saranno in piazza anche domani e passeranno la notte in tenda. I 5 del “blocco nero” fermati ed espulsi ieri, due anche con precedenti per terrorismo, sono un campanello d’allarme dei tafferugli che potrebbero scatenarsi durante la protesta dei No Tav, che comprende un’anima dura e violenta. Inoltre è stato trovato e sequestrato anche un furgone vicino all’Università La Sapienza con biglie, manganelli ed estintori. Alcune decine di anarchici, una parte nascosta dietro i cappucci, sono stati intercettati dalla Digos a un chilometro dal corteo 

 CITTÀ BLINDATA  

Misure di sicurezza rafforzate anche in vista del cortei dei no Tav di domani. Camionette di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza già da stamani presidiano gli snodi importanti della città e i palazzi istituzionali, ministeri compresi. Particolarmente rafforzata la vigilanza alle vie d’acceso al Viminale, Palazzo Chigi, Senato e Quirinale. A questo proposito pannelli di protezione sono state installate davanti ai dicasteri dell’Economia e delle Infrastrutture. Continue bonifiche vengono fatte lungo il percorso del corteo degli antagonisti da San Giovanni a Porta Pia. 

 ACCAMPATI A SAN GIOVANNI/NOTTE BIANCA A PORTA PIA  

Finito il corteo alcuni manifestanti si sono accampati a San Giovanni davanti alla Basilica. Rimarranno tutta la notte in attesa della manifestazione di domani. E domani è prevista una Notte Bianca del dissenso a Porta Pia con teatro di strada ma anche impegno. Vi parteciperanno realtà di centri sociali e occupazioni. 

ROMA, SCONTRI ANNUNCIATI I NO TAV: “NOI NON C’ENTRIAMO”

Da: “Il Fatto”

DAL PALCO: “AT TACC H E R E M O ”. DALLA VALSUSA: “IL CORTEO NON È NOSTRO”

di Enrico Fierro

  La spaccatura si manifesta in pubblico, sul palco di piazza San Giovanni dove Cobas e Usb concludono la prima parte della due giorni di lotta a Roma. Parla Piero Bernocchi, il segretario generale dei Cobas. Si lancia in raffinate analisi economiche: “La Germania è più forte dell’Italia perché i nostri capitalisti sono delle merde”. Poi pensa al corteo del giorno dopo e fa la voce grossa, ma per nascondere obiettivi “moderati”: “Domani vogliamo arrivare a un ministero per bloccare gli sfratti”. Applausi poco convinti, perché l’estremista moderato Bernocchi viene smentito subito dopo. Sul palco sale Paolo dei blocchi precari metropolitani: “Domani (oggi per chi legge, ndr), bloccheremo la città. Domani chiuderemo Porta Pia, i ministeri dell’Economia e delle Infrastrutture e la Cassa depositi e prestiti. Saremo in tanti, stanno arrivando almeno 60 pullman. Domani resisteremo e se proveranno a fermarci ci difenderemo. Non si torna a casa, altro che trattativa per bloccare qualche sfratto”. E la tensione sale. In mattinata vengono fermaticinque black bloc francesi tra i 20 e i 40 anni, tutti con precedenti. “Professionisti del casino”, li definiscono alla Digos, che si aggiravano per il centro della città nei pressi di uno degli obiettivi sensibili del corteo di oggi. “Erano lì come se stessero facendo un sopralluogo”, spiega un agente della Digos.   NON AVEVANO cellulari addosso, forse per non farsi intercettare. Un gruppo di anarchici, invece, è stato individuato a qualche chilometro del corteo e inseguito dagli agenti. Erano una decina e sono scappati al Pigneto, un quartiere popolare di Roma, non lontano da San Giovanni, dove hanno dato vita a tafferugli con la polizia all’interno del mercato rionale. Infine, un furgone con mazze, biglie di acciaio, un martello per le demolizioni, è stato individuato e sequestrato in una zona del centro. “Inquilinato resistente”, No Tav, precari, anche oggi scende in piazza la disperazione sociale. Ieri, nel corteo che da piazza della Repubblica si è snodato fino a piazza San Giovanni, c’erano decine di migliaia di persone. Cinquantamila per gli organizzatori, meno per la Questura, comunque tanti. C’era anche una nutrita delegazione di Vigili del fuoco. “Donne e precarie”, dice Annalisa che indossa la divisa del corpo. “Siamo quelli che intervengono nei terremoti, salviamo le persone e ci danno quattro soldi al mese”, dice un pompiere. Un altro: “Ma lo sai che un subacqueo di quelli che hanno ripescato i morti dal mare di Lampedusa guadagna appena 1.500 euro?”. E poi insegnanti precari che lottano per la loro stabilità, “ma anche per salvare la scuola”. Lavoratori del commercio con gli striscioni che portano impresso il logo dell’ipermercato dove lavorano. Ce ne sono tanti delle Coop. “I lavoratori Coop per il salario, la dignità e la democrazia”. “Dovevano essere società cooperative – dice Maria Rosa, cassiera precaria in un ipermercato toscano – e invece sono capitalisti, ci sfruttano esattamente come gli altri. Eppure la Coop siamo noi”.   CI SONO I PUPAZZI con la faccia di Marchionne, con i denti di vampiro e Berlusconi con la divisa da detenuto. Ma osservando striscioni e cartelli, sentendo slogan e ascoltando le storie di chi è in piazza, il corteo offre una panoramica drammatica della disperazione italiana. Il lavoro che non c’è, soprattutto, e che quando c’è è precario, sfruttamento senza regole, ricatto. Un quadro delle industrie e del-l’economiada brivido. Alitalia, Telecom, e poi i servizi privatizzati, il pubblico impiego (tanti presenti in piazza). Gli immigrati con un cartello che dice tanto: “Scusate se non siamo affogati”. Tutto va come deve andare, senza disordini, con un concerto finale a piazza San Giovanni, suonano la Banda Bassotti e i 99 Posse, interviene Ascanio Celestini, i balli e le tende montate per passare la notte in attesa del corteo di oggi. Piero Bernocchi è soddisfatto: “Siamo oltre 50 mila”, dice a ogni microfono che gli passa sotto il naso, ma non riesce a nascondere le preoccupazioni per la giornata di oggi. Dal palco ha parlato della manifestazione del 15 ottobre 2011, che, proprio a San Giovanni, finì con durissimi scontri con la polizia. “Abbiamo messo insieme i movimenti più diversi con il sindacalismo di base, ci siamo ripresi questa piazza. Siamo uniti e siamo tanti”. Ma la preoccupazione per il corteo di oggi cresce. Anche i movimenti No Tav si dissociano: “Non è la nostra manifestazione – dicono alcuni esponenti dalla Valsusa – visto che esiste il rischio concreto di incidenti per la presenza di provocatori e infiltrati. Non vogliamo finire in una trappola”. Le prime 24 ore delle 48 giudicate “a più alto rischio dell’anno”, finiscono nel prato di piazza San Giovanni tra birre e concerti, discussioni interminabili su Bce, Fondo monetario e la perfida Germania. Si canta e si balla fino a notte fonda. Roma spera di non ballare oggi, tra ministeri assaltati, vetrine sfasciate, lacrimogeni e botte.

ATTESA Ieri, la polizia in difesa degli obiettivi sensibili. Sopra, l’accampamento per la notte in piazza San Giovanni. Sotto, i sindacati di base LaPresse – Ansa

Traffico illecito di rifiuti, Pansa rischia il processo

Da: “Il Fatto

 LA PROCURA DI NAPOLI CHIEDERÀ IL RINVIO A GIUDIZIO PER IL CAPO DELLA POLIZIA INDAGATO NELL’AMBITO DELL’INCHIESTA “MAREA NERA”

di Nello Trocchia

  Per il capo della polizia, Alessandro Pansa, la Procura di Napoli vuole chiedere il rinvio a giudizio per traffico illecito di rifiuti. I fatti si riferiscono al periodo nel quale Pansa ha ricoperto l’incarico di commissario straordinario per l’emergenza rifiuti a Napoli esattamente dal luglio del 2007 fino al dicembre di quell’anno. Una decisione che emerge negli atti di un’inchiesta sulla gestione dissennata dei rifiuti in Campania, dei quali Il Fatto ha preso visione.   L’indagine è quella denominata “marea nera”, che riguarda lo smaltimento del percolato, la sostanza liquida inquinata e inquinante, prodotta dallo stato di decomposizione dei rifiuti solidi urbani, in particolare la parte umida, che finiva in mare. Secondo l’accusa, c’era una struttura organizzata che ha consentito lo smaltimento di percolato da discarica, presso gli impianti di depurazione campana, che non solo non potevano ricevere quel veleno liquido e neanche smaltirlo, ma che erano malfunzionanti e di questa carenza tecnica ne erano ben consapevoli gli indagati. I pm Paolo Sirleo e Giuseppe Noviello, che hanno scoperchiato il pentolone delle responsabilità alte sul disastro rifiuti campano, firmarono la richiesta di arresto, convalidata dal Gip collegiale nel gennaio 2011, per 14 persone. Coinvolti uomini del commissariato come Corrado Catenacci, Marta Di Gennaro, numero due di Guido Bertolaso, Antonio Bassolino, ex presidente della Regione, dirigenti e tecnici che avevano messo su il sistema “illecito” utilizzando depuratori che si sapevano non funzionanti con il percolato che finiva in mare senza alcun trattamento. La marea nera è il terzo tronconedi indagine originatosi dall’inchiesta madre su Impregilo-Bassolino, il cui processo di primo grado è alle battute finali. Per “Marea Nera”, nel dicembre 2011 la pubblica accusa emise un avviso di conclusione indagine, firmato dai pm Noviello, Sirleo, Pasquale Ucci e dall’allora aggiunto Aldo De Chiara. Avviso che fu notificato a 41 persone, tra i quali oltre gli originari indagati figurava anche l’attuale capo della polizia Alessandro Pansa, coinvolto per tutte le ipotesi di reato per il suo ruolo di commissario all’emergenza. Il tempo è trascorso, i pm sono stati trasferiti, e si è arrivati, nel maggio scorso, a una nuova assegnazione del procedimento alla direzione distrettuale antimafia in co-delega con la procura ordinaria. E arriva la svolta.   LA PROCURA DI NAPOLI ha chiesto, nel luglio scorso, l’archiviazione per diversi capi di imputazione, richiesta accolta dal Gip del Tribunale in questi giorni. Per Pansa, quindi, archiviazione per il reato di associazione a delinquere perché, questo il ragionamento del giudice terzo, da un punto di vista temporale la costituzione della presunta associazione avviene prima del suo arrivo in commissariato. Insomma lui non c’era quando si decide di evacuare il percolato presso i fatiscenti depuratori. Ma dalla lettura della richiesta di archiviazione emerge l’intenzione della Procura di chiedere il rinvio a giudizio per Pansa per traffico illecito dei rifiuti. Stessa sorte anche per Guido Bertolaso e per l’ex direttore del ministero del-l’Ambiente, Gianfranco Mascazzini. In particolare: “I predetti – si legge nella richiesta di archiviazione – risultano infatti aver posto in essere condotte tali da integrare il delitto di traffico organizzato di rifiuti contestato nell’avviso di conclusione indagine, e poi nella richiesta di rinvio a giudizio che questo ufficio avanzerà”. Gli indagati, tra cui Pansa, avrebbero insomma consentito lo smaltimento del veleno prodotto da alcune discariche campane presso impianti e vasche inidonee, non ancora soggetti a collaudo. Addirittura, alcuni impianti erano sprovvisti di autorizzazione e dovevano essere chiusi. A supportare la richiesta di rinvio a giudizio, c’è anche una responsabilità e consapevolezza degli indagati per quanto emerso in fase di indagine preliminare. “I vertici – si legge   – erano costantemente messi al corrente della disastrosa situazione degli impianti e delle caratteristiche qualitative e quantitative del percolato (…); gli stessi esponenti apicali disposero e consentirono il conferimento del percolato là dove non doveva e non poteva essere conferito, cioè nei depuratori regionali”.

A. Pansa LaPresse

Libia – Résistance verte 2013

ELAC & ALAC Committees/ LE CHEF DE LA POLICE MILITAIRE FANTOCHE ‘LIBYENNE’ ABATTU À BENGHAZI !

 Luc MICHEL pour ELAC Website /

avec PCN-SPO – AFP/ 2013 10 18/

http://www.elac-committees.org/

https://www.facebook.com/elac.committees 

Pendant que la Libye made in NATO s’enfonce dans le chaos et la Somalisation, et que pro-américains du gouvernement fantoche de Tripoli installé par l’OTAN et milices et islamistes radicaux s’affrontent, une troisième force agit dans l’ombre.

 C’est la RESISTANCE VERTE khadafiste qui combat pour la restauration de la Jalmahiriya. Impitoyable, radicale, armée, elle frappe depuis l’automne 2011 les kollabos de l’OTAN de tous bords. Sa caractéristique est de ne jamais revendiquer exécutions de traîtres et frappes contre leurs bases et locaux. Les médias de l’OTAN n’en parlent jamais, sur ordres sans aucun doute !

 Ce 17 octobre 2013 c’est un officier félon de la Jamahiriya et un traître éminent qui a reçu le juste prix de sa trahison. Le chef de la police militaire libyenne a en effet été tué ce vendredi par balles à Benghazi, dans l’est de la Libye, a indiqué à l’AFP un porte-parole des services de sécurité. Mustapha al-Barghathi avait été le premier officier de l’armée de la Jamahiriya  à trahir et à former un groupe de combattants – une « katiba » dans le jargon islamiste du CNT – contre les forces de Mouammar Kadhafi.

 “Le chef de la police militaire, qui dépend du chef d’état-major de l’armée, le colonel Mustapha al-Barghathi a été tué devant chez lui par des balles tirées par des inconnus”, a déclaré le colonel Abdallah al-Zaidi. Le colonel al-Barghathi “a succombé à ses blessures à l’hôpital al-Jala”, a ajouté M. Zaidi, précisant que l’officier félon avait été touché à la tête et à la poitrine.

 QUE SAIT-ON DE SERIEUX SUR LA ‘RESISTANCE VERTE’ ?

 Oubliez tout d’abord les bobards sur certains réseaux sociaux – où la Résistance est fantasmée par des sympathisants qui ne connaissent rien de la Libye, ancienne ou « nouvelle – et de certains livres choc qui les recopient !

 La Résistance Verte des pro Kadhafi continue le combat depuis l’automne 2011. Et dès les premiers jours de mars 2011 dans Benghazi occupée pour ses réseaux dans l’est de la Cyrénaique. Il n’y a nulle part les « batailles de rues » de certains illuminés sur les réseaux sociaux ou des mytho-mensonges de certains journalistes « non mainstream ». C’est quelque chose entre la Résistance française de 1943, les débuts de la Bataille d’Alger du FLN ou encore, dans le centre et le sud de la Libye, les combats des Titistes yougoslaves vers 1942.

 Une résistance bien armée, qui peine à s’organiser et manque d’un leadership. Mais qui se bat, tue des kollabos et des djihadistes, attaque des prisons et fait évader des prisonniers – on estime à plus de 17.000 les détentions illégales de Kadhafistes, mais aussi d’africains innocents frappé par le racisme anti-noir des islamistes, dans les prisons des islamistes et du CNT -, on fait sauter des dépôts d’armes. Et dans le sud, on contrôle des routes, des localités, des quartiers. Partout on frappe les kollabos du CNT.

 Luc MICHEL

 http://www.lucmichel.net/2013/10/18/elac-alac-committees-le-chef-de-la-police-militaire-fantoche-libyenne-abattu-a-benghazi/

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 http://www.elac-committees.org/

https://www.facebook.com/elac.committees

 

Radio Cameroun 1er sept 2013

PCN- TV / LUC MICHEL ON RADIO CAMEROON : GLOBAL GEOPOLITICS AND SYRIAN CRISIS

 Luc MICHEL live on RADIO CAMEROON /

PCN- TV PCN -SPO / 2013 10 18 /

https://vimeo.com/pcntv 

Programme “Sans Détour ” September 1, 2013 …

hosted by Christian Musampa and Joli-beau Koubé .

Theme : “Towards a planned destruction of Syria .”

On RADIO  CAMEROONVOICE

International Radio / Montreal – New York – Paris – Yaounde …

To listen to the Radio: cameroonvoice.com / radio / radio.html

 Audio interview in full on :

https://vimeo.com/76823051

 SOME NEWS ITEMS DEVELOPED BY LUC MICHEL :

 * GEOPOLITICS /

Paris- Moscow Axis / New Axis Washington – Paris / Greater Europe / EU and NATO / De Gaulle / French Foreign Policy / Greater Middle East / Damascus – Tehran Axis / Damascus -Moscow Axis / American Party / U.S. Zionist lobby , AIPAC / Zionist lobby in France , CRIF / Eurasia / Africom / French Africa / Mali / destruction of the Libyan Jamahiriya / destruction of Ba’athist Iraq /

 * SYRIAN CRISIS /

The provocation of sarin gas / threats of Western strikes / FSA and jihadists / al- Qaeda , al- Nosra , EIIL / Israeli role / role of Saudi / Syrian Kurdistan , PKK and PYD / military status / Lebanon and Hizbollah / Bachar al-Assad / myths and realities of the Syrian regime / war aims of the U.S. / who has WMD in the Middle East ? / Saudi Chemical Weapons / Israeli atomic weapons / Expert Missions of the UN / NATO Special Forces in Syria /

 * SYRIAN ARAB ARMY /

Ba’athist ideology / Syrian Revolution of 1963 / People’s Army and Militia / Popular Committees / Anti-aircraft defence system and Syrian missiles / Russian Armaments / Strategy of the Syrian Army / Battles of Damascus, Homs, Quseir , Aleppo / Syrian Republican Guard / Hafez el-Assad / Maher el-Assad / defections to the FSA and purge / the case of former General  Manaff Tlass /

 PCN- TV & PCN –SPO

 http://www.lucmichel.net/2013/10/18/pcn-tv-luc-michel-on-radio-cameroon-global-geopolitics-and-syrian-crisis/

https://vimeo.com/pcntv

https://www.facebook.com/PCN.NCP.TV

http://www.scoop.it/t/pcn-spo

Scandalo giudici costituzionali: si fanno eleggere presidenti per incassare pensioni d’oro

venerdì 18 ottobre 2013

1. DAJE GIORGIA! LA MELONI SOLLEVA LO SCANDALO DEI GIUDICI COSTITUZIONALI, CHE SI FANNO ELEGGERE PRESIDENTI SOLO PER INCASSARE PENSIONI D’ORO E BENEFIT DA CAPOGIRO –

2. IL PRESIDENTE DOVREBBE DURARE IN CARICA 3 ANNI (RINNOVABILI). INVECE PER PRASSI SI ELEGGE IL MEMBRO PIÙ ANZIANO, CHE RESTA IN CARICA POCHI MESI E POI VA IN PENSIONE. COSÌ OTTIENE UN ASSEGNO E UN’INDENNITÀ SUPERIORI A QUELLI MATURATI –

3. COME FACCIAMO A PRENDERCELA CON I FALSI INVALIDI QUANDO PURE I RICCHI GIUDICI DELLA CONSULTA, MASSIMA AUTORITà MORALE, USANO TRUCCHI PER FREGARE L’INPS? –

4. SONO TUTTI RICCHI, EX GIUDICI, AVVOCATI, PROFESSORI, HANNO GIÀ 3-4 PENSIONI A TESTA (VEDI AMATO). EPPURE SAPETE QUANTI PRESIDENTI SONO CAMBIATI NEGLI ULTIMI 23 ANNI? 23! –

5. E, CASUALMENTE, HANNO BOCCIATO IL PRELIEVO DI MONTI E SILVIO SULLE PENSIONI D’ORO –


Luca De Carolis per “Il Fatto Quotidiano”

Dichiara guerra “a tutte le pensioni d’oro, che ci costano ogni anno 14 miliardi”. Ma ce l’ha soprattutto con quelle dei presidenti della Corte costituzionale: “Sono i guardiani della Carta, dovrebbero dare l’esempio. E invece ignorano sistematicamente una norma della Costituzione, guadagnandosi benefit e pensioni più ricche”. Giorgia Meloni, deputata e co-fondatrice di Fratelli d’Italia, ha scritto sul tema anche al presidente della Repubblica.

Onorevole, nella sua lettera a Napolitano parla di possibile “elusione” della Carta da parte della Consulta.
L’articolo 135 stabilisce che la Corte elegge tra i suoi membri il presidente, che rimane in carica per un triennio. Per prassi consolidata viene scelto sempre il più anziano, che rimane in carica pochi mesi e poi va in pensione. E ciò gli permette di ottenere un trattamento pensionistico e un’indennità superiori a quelle maturate prima che diventasse presidente.

Quindi?
Come ho spiegato anche martedì a Ballarò, chiedo al Capo dello Stato di utilizzare il suo ruolo per far cessare questa consuetudine. Dal 1957 a oggi solo cinque presidenti della Consulta sono rimasti in carica almeno tre anni (l’incarico è rinnovabile, ndr).

Nello scorso luglio voi di Fratelli d’Italia avevate protestato sotto la sede della Corte.
Certo, perché i giudici avevano bocciato come incostituzionale il prelievo di solidarietà sulle pensioni d’oro. Era stata una mia battaglia: pretendere un contributo del 5 per cento sulla parte eccedente il tetto dei 90 mila euro di pensione. E aveva funzionato: il prelievo è stato applicato sia dal governo Berlusconi che da quello Monti.

Poi però la Consulta ha detto no.
I giudici sostenevano che il prelievo violasse l’articolo 3, quello che prevede l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, perché colpiva solo una categoria, ossia i pensionati. In più, facevano distinzione tra redditi e pensioni. Ma è la stessa Corte che l’anno scorso aveva definito illegittimo anche il prelievo sui maxi-stipendi del settore pubblico.

È davvero arrabbiata con la Corte.
Io dico che fa riflettere come tutti i presidenti della Consulta siano pensionati d’oro. So che questa non è una battaglia facile, ma voglio andare avanti.

Come?
A luglio avevo chiesto un incontro a Napolitano, senza esito. In agosto ho presentato una proposta di legge: prevede un tetto massimo di 5 mila euro alle pensioni. Se qualcuno ha versato contributi che giustifichino una cifra superiore, si può ritoccare. Altrimenti il tetto è quello.

Perché proprio 5 mila euro?
Perché è una cifra dieci volte superiore alle pensioni minime. Mi pare che sia sufficiente per vivere tranquilli.

Quante sono le pensioni sopra questo tetto?
Circa 288mila, per un valore di 14 miliardi. Io voglio tagliarle, così da ricavarne risorse per i giovani, i precari, le famiglie.

C’è qualcuno che appoggia il suo ddl?
Ho scritto ai capigruppo e a tutti i parlamentari, invitandoli a sostenere il testo. Sono disposta anche a non comparire come prima firmataria. Mi hanno promesso appoggio esponenti di tutti i partiti.

Ma il testo a che punto è?
Il presidente della commissione Lavoro, Cesare Damiano, non l’ha ancora messo in calendario. Lo chiamerò presto per sollecitarlo.
Twitter @lucadecarolis

DA WIKIPEDIA: NOMI E DURATA DEI PRESIDENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE DAL 1990 A OGGI: IN 23 ANNI, 23 PRESIDENTI!
Giovanni Conso 23 ottobre 1990 3 febbraio 1991 3 mesi e 11 giorni
Ettore Gallo 4 febbraio 1991 14 luglio 1991 5 mesi e 10 giorni
Aldo Corasaniti 15 luglio 1991 14 novembre 1992 1 anno, 3 mesi e 30 giorni
Francesco Paolo Casavola 15 novembre 1992 25 febbraio 1995 2 anni, 3 mesi e 10 giorni
Antonio Baldassarre 26 febbraio 1995 8 settembre 1995 6 mesi e 13 giorni
Vincenzo Caianiello 9 settembre 1995 23 ottobre 1995 1 mese e 14 giorni
Mauro Ferri 24 ottobre 1995 3 novembre 1996 1 anno e 10 giorni
Renato Granata 4 novembre 1996 4 novembre 1999[9] 3 anni
Giuliano Vassalli 11 novembre 1999 13 febbraio 2000 3 mesi e 2 giorni
Cesare Mirabelli 23 febbraio 2000 21 novembre 2000 8 mesi e 29 giorni
Cesare Ruperto 5 gennaio 2001 2 dicembre 2002 1 anno, 10 mesi e 27 giorni
Riccardo Chieppa 5 dicembre 2002 23 gennaio 2004 1 anno, 1 mese e 18 giorni
Gustavo Zagrebelsky 28 gennaio 2004 13 settembre 2004 7 mesi e 16 giorni
Valerio Onida 22 settembre 2004 30 gennaio 2005 4 mesi e 8 giorni
Piero Alberto Capotosti 10 marzo 2005 6 novembre 2005 7 mesi e 27 giorni
Annibale Marini 10 novembre 2005 9 luglio 2006 7 mesi e 29 giorni
Franco Bile 11 luglio 2006 8 novembre 2008 2 anni, 3 mesi e 28 giorni
Giovanni Maria Flick 14 novembre 2008 18 febbraio 2009 3 mesi e 4 giorni
Francesco Amirante 25 febbraio 2009 7 dicembre 2010 1 anno, 9 mesi e 12 giorni
Ugo De Siervo 10 dicembre 2010 29 aprile 2011 4 mesi e 19 giorni
Alfonso Quaranta 6 giugno 2011 27 gennaio 2013 1 anno, 7 mesi e 21 giorni
Franco Gallo 29 gennaio 2013 16 settembre 2013 7 mesi e 18 giorni
Gaetano Silvestri 19 settembre 2013 in carica

Fonte: dagospia.com
http://www.nocensura.com/2013/10/scandalo-giudici-costituzionali-si.html#_

Ministro Mauro: ci occuperemo del sviluppo. in Afghanistan

//davi-luciano.myblog.it/media/02/01/2747407744.gif

Pubblicato da ImolaOggiNEWS, POLITICA

ott 18, 2013
RAVAGLI – VERTICE DI GOVERNO SU MISSIONE MILITARE UMANITARIA NEL MEDITERRANEO

18 ott –  Il vero investimento della Difesa è nelle persone. E in Afghanistan dal 2015, previa approvazione del Parlamento, inizierà una missione che vedrà l’Italia ancora più vicina al paese asiatico, per aiutarne lo sviluppo. Mentre dal 2014 il contingente italiano in Afghanistan sara’ ridotto fino a 1.800 unità. Lo ha spiegato il ministro della Difesa, Mario Mauro a margine della consegna della cittadinanza onoraria della bandiera di guerra all’85esiamo Rav a Verona.
“Oscilliamo – ha spiegato il Ministro – tra le forze politiche che ci dicono che bisogna abbattere il bilancio della Difesa e quelli che ci chiedono di moltiplicarla. Io credo che il vero investimento della Difesa è sulle persone, sulla loro educazione, sulla loro capacità di rimanere nelle circostanze più difficili degli uomini”.
“Noi siamo all’interno di un’alleanza, la Nato, – ha aggiunto- che col 2014 termina il periodo cosiddetto Aisaf, cioè una missione incaricata di sostenere gli afgani anche nel combattimento. Dal 2015 – ha annunciato Mauro – comincerà una missione di supporto in cui saremo ancora vicini agli afgani, ma non più per aiutarli a combattere ma bensì per aiutarli nello sviluppo del Paese.
Questa missione- ha precisato il ministro- deve essere approvata dal Parlamento. I nostri uomini fino alla fine del 2014, pur riducendosi di numero fino a 1.800 uomini, saranno però in grado facendo il loro dovere, di garantire sicurezza per le popolazioni afgane”, ha concluso il ministro della Difesa.
http://www.imolaoggi.it/2013/10/18/ministro-mauro-ci-occuperemo-del-sviluppo-in-afghanistan/

74enne bastonato e minacciato con coltello da immigrati che gli occupano la casa

si tranquillizzi la Boldrini, per non fomentare odio, LE TV HANNO CENSURATO L’ACCADUTO

Pubblicato da ImolaOggi CRONACA,

NEWSott 18, 2013
RAGUSA , VITTORIA 18 ott – Violenza privata, lesioni personali, ricettazione e porto in luogo pubblico di oggetti atti ad offendere. Sono i reati di cui si sono macchiati due immigrati che avevano pensato bene di occupare abusivamente una casa estiva, sita sul lungomare di Scoglitti, di proprietà di un 74enne. La vicenda, che ha dell’incredibile, è iniziata due mesi fa, quando il vittoriese ha trovato il suo piccolo immobile occupato da due extracomunitari.
Impietosito dalla storia dei due inquilini abusivi, ha deciso di tenerli lì, di continuare ad ospitarli, anche perché era stato rassicurato che la permanenza dei due nordafricani sarebbe stata breve, in attesa che si ricongiungessero il nucleo familiare e trovassero un’altra abitazione. Dopo due mesi, però, i due stranieri erano ancora in quella casa, senza intenzione di lasciarla.
Per giunta, alla richiesta del proprietario di liberare la casa, gli «ospiti» hanno ribadito che non avevano alcuna intenzione di andare via. Un «no» pronunciato in maniera minacciosa, con l’avvertenza che se il proprietario avesse chiamato la Polizia la casa sarebbe stata bruciata. Come prova della serietà della minaccia, una bastonata che uno dei due stranieri ha affibbiato allo sventurato pensionato, costretto a fuggire ferito e velocemente alla vista di un coltello puntato alle spalle. In ospedale i sanitari lo hanno giudicato guaribile in 4 giorni di prognosi.
Poi è intervenuta la Polizia, presso l’immobile, ancora occupato dagli stranieri. Uno dei due stranieri è riuscito a scappare. L’altro è stato bloccato, K. A. S., 26 anni, bracciante agricolo, con tanto di permesso regolare. E’ stato denunciato a piede libero e deve rispondere dei reati sopracitati.
CORRIERERAGUSA
http://www.imolaoggi.it/2013/10/18/74enne-bastonato-e-minacciato-con-coltello-da-immigrati-che-gli-occupano-la-casa/

Extracomunitario pesta una donna, la spoglia e cerca di stuprarla

ne avete sentito parlare? Certe donne non sono importanti per Miss Boldrini. E’ una donna ucraina, è forse razzista la presidenta?

Pubblicato da ImolaOggi CRONACA,

NEWSset 30, 2013
MANTOVA, 30 sett – . L’ha aggredita sulla ciclabile in riva al lago di Mezzo. L’ha pestata per costringerla a tacere e a togliersi i vestiti. Infine ha tentato di stuprarla. A salvare la donna, una badante di 44 anni originaria dell’Ucraina, è stato un ciclista di passaggio che, allertato dal pianto e dalle grida di aiuto, è intervenuto, mettendo in fuga l’assalitore e telefonando alla polizia. All’episodio, accaduto sabato sera nell’area verde che costeggia il lungolago di viale Mincio, è seguita una caccia all’uomo da parte delle volanti della Questura e delle radiomobili dei carabinieri. Nessun esito, ma le ricerche sono tutt’altro che finite.
La donna, riavuta dallo shock subìto, ha fornito agli investigatori della squadra mobile una descrizione dello stupratore, un giovane di colore che prima di fuggire si è impadronito della collanina d’oro che portava al collo. La badante, trasportata in ambulanza al pronto soccorso, aveva ematomi e graffi al volto e alle braccia, i segni della violenza subìta.
La vicenda, allucinante per i particolari raccontati dalla vittima e per il luogo in cui si è svolta, è accaduta poco dopo le otto di sera. La badante era uscita per una passeggiata in riva al lago dopo cena. «Ero seduta su una panchina – ha raccontato in lacrime ai poliziotti – quel ragazzo africano si è avvicinato, mi ha detto qualcosa, non ricordo bene cosa, e poi mi è saltato addosso».
La teneva stretta per un braccio e intanto cercava di toglierle i vestiti. Siccome lei si dimenava e gridava le ha affibbiato un pugno in faccia, poi un altro. «Spogliati, togliti i vestiti» le ha intimato. Lei, spaventata e tramortita dai colpi al volto, ha obbedito e lasciato cadere sull’erba del prato accanto alla ciclabile i pantaloni mentre lui le strappava di dosso le mutande. Nuda per metà, e quindi ancora più indifesa, la donna ha continuato a dibattersi e a urlare per evitare di essere stuprata. Finché dalla direzione del centro storico è arrivato un ciclista. «Ehi, che stai facendo?..» ha urlato all’assalitore. Il quale, vistosi sorpreso, ha strappato la catenina d’oro dal collo della donna ed è corso via.
La badante, una volta rivestita, ha raggiunto la strada e atteso l’arrivo dell’ambulanza e della polizia. Tumefatta al volto e in stato di agitazione, è stata accompagnata al pronto soccorso, sottoposta a una visita e quindi dimessa. L’assalitore, ora ricercato, deve rispondere di lesioni, violenza sessuale e rapina.
gazzettamantova
http://www.imolaoggi.it/2013/09/30/extracomunitario-pesta-una-donna-la-spoglia-e-cerca-di-stuprarla/