Notizie dal fronte della CRISI CHE NON C’è – si rovinerebbe l’aurea di paradiso che l’Italia trasmette

i suicidi italiani? Luridi choosy che non meritano certo solidarietà… pure invenzioni

Ancora una vittima della crisi, si uccide nel bagno dell’Ospedale: era disoccupato da tempo
Non trovava più un lavoro da tempo dopo che una grande azienda della zona dell’eugubino-gualdese aveva chiuso i battenti. Ha raggiunto l’ospedale senza motivo e all’interno del bagno si è tolto la vita

Redazione 14 Ottobre 2013

Dramma, l’imprenditrice si dà fuoco per via di un mancato pagamento: è ancora grave
L’Umbria affamata di lavoro, i suicidi salgono del 9% ed è boom di psicofarmaci

Se questa è vita, a 52 anni non riesce a ritrovare un posto di lavoro: si impicca in casa

Ha deciso di uccidersi nel bagno dell’Ospedale di Branca che aveva raggiunto senza un reale motivo o una visita medica programmatica. A casa sua invece ha lasciato un biglietto dove ha spiegato il motivo di quel terribile gesto. A trovarlo privo di vita sono stati alcuni dipendenti dell’Ospedale che si erano insospettiti della lunga permanenza in bagno e temevano un malore. Purtroppo hanno trovato l’uomo – T.L. di Costacciaro – privo di vita. I tentativi di rianimazione dei sanitari, prontamente intervenuti, sono purtroppo risultati vani. Il 50enne è morto per asfissia a causa di un sacchetto di plastica sigillato intorno al collo.

Da quanto si apprende da fonti ospedaliere, l’uomo era disoccupato dopo aver lavorato all’Antonio Merloni ora fallita. Lascia una moglie e due figli. Sembra che abbia deciso di farla finita proprio per via della mancanza di lavoro. I carabinieri di Gubbio hanno effettuato gli accertamenti di rito.
http://www.perugiatoday.it/cronaca/gubbio-disoccupato-suicidio-ospedale.html

Finisce la storia industriale della Bartoletti: “Restano solo 10 lavoratori in cassa”
In questi giorni sono usciti dalla Bartoletti Rimorchi, aderendo al percorso di mobilità volontaria cinque lavoratori

Redazione14 Ottobre 2013 14

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In questi giorni sono usciti dalla Bartoletti Rimorchi, aderendo al percorso di mobilità volontaria cinque lavoratori. “Queste uscite – scrivono in una nota Fiom Cgil, Fim Cisl, e Uilm Uil – si sommano a quelle dei mesi scorsi, che hanno visto diversi lavoratori trasferiti in altre aziende del Gruppo Cangialeoni, prevalentemente alla San Giorgio Lamiere, azienda che ha rilevato uno spazio del sito ex Bartoletti e che vede la maggioranza societaria detenuta proprio dal Gruppo Cangialeoni. Oggi restano in Bartoletti Rimorchi 10 lavoratori ed è stata attivato fino a fine anno l’ultimo periodo disponibile di cassa integrazione ordinaria”.

“E’ evidente che siamo di fronte, anche alla luce delle recenti ultime cinque uscite, che comunque sono dei licenziamenti, – sostengono i sindacati – alla fine della storia industriale della Bartoletti per come questa città l’ha conosciuta. La Bartoletti è riuscita ad occupare anche 800 lavoratori negli anni ’80, e comunque anche nel 2004, prima del fallimento, erano 120-130 i dipendenti dell’azienda, e ad essere una tra le più importanti aziende del settore metalmeccanico forlivese, con una produzione annua tra i 1.000 e i 1.200 rimorchi. Oggi di rimorchi se ne producono 3/4 al mese”.

Sicuramente hanno pesato in questi anni le difficoltà del settore dei rimorchi e dei semirimorchi, “ma sono ormai chiare anche le responsabilità di chi ha rilevato l’azienda e che non ha mai seriamente investito per il rilancio del marchio e del prodotto della Bartoletti. – accusano i sindacati – Si poteva fare di più, anche perché, oggi, a poco più di 8 anni dall’intervento del Gruppo Cangialeoni, prima con l’affitto e poi con l’acquisto dell’area ex-Bartoletti, nei fatti l’esperienza della Bartoletti Rimorchi ha avuto più le caratteristiche di un’operazione sull’area che quelle di un progetto industriale. Il sito ex Bartoletti è stato re-industrializzato, anche con un ruolo attivo delle Istituzioni locali, grazie alla presenza della Fiorini Industries, ma la fine della storia industriale della Bartoletti segna il fatto che il declino industriale è una realtà e non più un rischio”.
http://www.forlitoday.it/economia/bartoletti-avoratori-cassa-integrazione-mobilita-volontaria.html

I dipendenti Plasmon distribuiscono biscotti in strada. Oggi l’incontro a Roma sui licenziamenti
Posted by Redazione on 15/10/2013
I dipendenti della Plasmon di Ozzano sono scesi ancora una volta in strada per protestare contro il piano di tagli al lavoro dell’azienda. Stanno distribuendo biscotti per bambini ad automobilisti e camionisti di passaggio su via Spezia fra Parma e Collecchio.
Ieri presso Assolombarda a Milano si è tenuto il primo incontro previsto dalla procedura di mobilità. Le parti hanno ribadito le proprie posizioni: la Heinz Plasmon vuole lasciare a casa un dipendente su quattro. I sindacati hanno sostenuto che i buoni bilanci di Plasmon Italia non giustificano una simile scelta e hanno proposto di contrattare soluzioni per i lavoratori alternative ai licenziamenti. L’azienda ha rimandato all’incontro di oggi al ministero dello Sviluppo economico un più ampio confronto sul piano industriale.
A questo punto si attende di sapere cosa uscirà dall’incontro odierno. Per l’occasione, i sindacati hanno proclamato due ore di sciopero.

“Auspichiamo l’inizio di una vera trattativa sullo sviluppo industriale del marchio Plasmon”, afferma la Cgil di Parma.
http://www.parmaquotidiano.info/2013/10/15/14689/

è gentaglia che non vuole lavorare ad un euro l’ora….per fortuna arrivano “risorse” da impiegare subito

Indotto Ansaldo, disastro occupazionale: 200 licenziamenti

15/10/2013
Storia della Simmi di Acerra. Dalla costruzione della metropolitana di Milano ai licenziamenti e alla chiusura definitiva di oggi.

Un dramma che si sta consumando in silenzio e che per questo appare irreversibile. La Simmi, indotto Ansaldo, ha spedito infatti le lettere di licenziamento a tutti i suoi operai e tecnici, 200 lavoratori, molti dei quali altamente specializzati.

Dipendenti che si sentono beffati. La decisione dell’azienda è stata presa prima che scadesse la cassa integrazione, il cui termine è stato fissato al 9 novembre. Una situazione occupazionale da brivido. Finora in Campania il provvedimento più duro in questa direzione era stato preso dalla Fiat, che mercoledì 9 ottobre ha deciso di spedire 421 lettere di licenziamento a casa degli operai della Irisbus, lo stabilimento di autobus fatto chiudere nel 2010. E ora è ancora una volta il settore metalmeccanico a pagare il prezzo più alto della crisi, con la seconda batosta occupazionale e produttiva di quest’autunno caldo.

Una vicenda zeppa di ombre. Il 27 luglio di quest’anno il tribunale di Nola ha emanato la sentenza di fallimento della Simmi. La magistratura civile ha accertato una situazione gravissima per l’azienda dell’imprenditore di Pomigliano Carmine Bassolino (solo omonimo del più noto Antonio, ex governatore della Campania). Un’impresa ad alto valore aggiunto, la Simmi, tutta “made in Naples”. Non solo cablaggi. Ad Acerra sono stati costruiti anche i vagoni della nuova metropolitana di Milano. Il declino dell’azienda napoletana è stato segnato due anni fa dall’improvviso dirottamento al nord, in Emilia, delle commesse fino ad allora assegnate dalla capofila Ansaldo, l’azienda di Finmeccanica che a Napoli, in via Argine, produce treni e che a sua volta si trova in difficoltà.

Clamoroso il caso scoppiato a giugno della cancellazione di ordini da mezzo miliardo di euro da parte dei governi di Belgio e Olanda. Mentre ora si parla di una vendita dell’azienda di Finmeccamica ai colossi coreani del settore. A ogni modo un intero pezzo dell’industria ferroviaria italiana è saltato e il suo naufragio sta creando l’ennesimo dramma occupazionale nell’hinterland napoletano. Nel tentativo di impedire la loro definitiva estromissione dal mondo del lavoro le tute blu dell’indotto Ansaldo hanno messo a segno una valanga di manifestazioni, blocchi stradali, cortei, occupazioni dello stabilimento. Una volta hanno anche bloccato, per ore, tutti i treni in partenza dalla stazione centrale di Napoli.

Ma non c’è stato niente da fare. La proprietà della Simmi nel frattempo è scesa sul piede di guerra contro Ansaldo: c’è una lite giudiziaria, sia civile che penale, intentata dai legali della Simmi. Nella denuncia gli avvocati dell’azienda scrivono di “ordini fantasma imposti, di false fatturazioni che avrebbero consentito di utilizzare a piacimento la manodopera dell’impresa acerrana”. L’avvocato Lucio Sena, del foro di Nola, sostiene che il tutto sarebbe stato commesso attraverso ripetuti atti di prepotenza esercitati dalla committente.

Sena per conto della Simmi ha chiesto, a giugno, un risarcimento danni di 51 milioni di euro per il dirottamento al nord delle commesse per lungo tempo lavorate nell’impianto acerrano. Ma si tratta di accuse tutte da provare. Del caso si sta occupando il pubblico ministero di Nola Ciro Capasso.
http://www.ilmediano.it/apz/vs_art.aspx?id=7095

Licenziati dopo lo sciopero
Alla Mediterraneo Trade 15 lavoratori sono stati licenziati perché avevano scioperato.
Licenziati dopo lo sciopero
Torino – E’ successo alla Mediterraneo Trade di Rondissone, in provincia di Torino.
Quindici dipendenti sono stati ieri licenziati in tronco, denza preavviso, per aver scioperato ad oltranza.
Gli uomini licenziati volevano semplicemente difendere il loro posto di lavoro sempre più traballante visto il periodo di crisi che stava passando l’azienda.
La fabbrica che un tempo si chiamava Tms Tecnologie, si occupava della produzione di componenti per auto, ma già da tempo la crisi aveva colpito la piccola fabbrica.
“Operai licenziati soltanto perché hanno scioperato, perché hanno cercato di proteggere il loro diritto, il lavoro. Una vergogna”, così commenta Iulia Vermena, sindacalista Fiom che per mesi è stata al fianco di questi lavoratori.
Parole dure anche dal segretario provinciale della Fiom, Federico Bellono: “Licenziare dei dipendenti perché scioperano è un atteggiamento indegno di un paese civile”.
http://www.ogginotizie.it/276211-licenziati-dopo-lo-sciopero/#.Ul0lJFAvm7k

Licenziato ad Acerra emigra a Varese: “Stanno peggio di noi” 15/10/2013
Storia di Raffaele Esposito, lavoratore appena licenziato dalla Simmi, indotto Ansaldo. Non riesce a trovare lavoro al nord.

“Non so che fare, sento di aver perso tutte le speranze, tutti noi abbiamo perso la speranze. Cosa potrò inventarmi?”. L’operaio Raffaele Esposito, 46 anni, moglie e tre figli piccoli, non riesce a darsi pace dopo aver firmato, a casa, la notifica del telegramma dell’azienda, la Simmi. Una lettera di licenziamento che ha spinto Raffaele a emigrare subito al nord.

Raffaele, dove si trova adesso, precisamente?
“A Venegono, in provincia di Varese, ospite di un amico che si è offerto di aiutarmi. Sono partito subito da Acerra, l’altro giorno, non appena ho firmato a casa la lettera di licenziamento”.

E’ riuscito a trovare lavoro?
“Non sono riuscito a trovare un bel niente. Ho scoperto di essere venuto in una zona del nord, e più precisamente in una zona della provincia di Varese, che, a parte la presenza dell’Aermacchi di Venegono, non offre niente. Addirittura mi appare povera questa zona: stanno peggio di noi”.

Anche il nord è in crisi…
“Già, e lo sto provando sulla mia pelle. Intanto sto sempre più male. Mi trovo qui, a novecento chilometri di distanza da casa, da mia moglie, dai miei figli. Provo solo rabbia, amarezza, delusione, soprattutto per quello che è successo con l’azienda”.

Cosa è successo?
“Ci avevano detto che dopo il fallimento sarebbe stata costituita una nuova società, che non saremmo andati a finire in mezzo alla strada. E invece ora non riusciamo a farci dare nemmeno le liquidazioni. Ci hanno detto che anche le liquidazioni sono finite nel fallimento e che i soldi non si sa dove siano. Intanto abbiamo dato mandato a un legale per tentare di recuperarle. Ma abbiamo ricevuto un’altra brutta sorpresa. L’avvocato infatti ci ha fatto sapere che il trattamento di fine rapporto è stato erogato regolarmente, in via ordinaria, dal 1999 al 2006. Poi l’azienda ha stipulato un’assicurazione, che in sette anni ha fatto maturare una liquidazione di appena duemila euro”.

Autore: Pino Neri
http://www.ilmediano.it/apz/vs_art.aspx?id=7093

Invalido e disoccupato dal 2008 «Cerco un lavoro… purché in nero»
15 ottobre 2013
Invalido e disoccupato dal 2008
None Varese –
«Cercasi lavoro di ogni genere, purché sia in nero!». “Mario” ha iniziato ad appendere questi cartelli per la città come una provocazione e per cercare di reagire alla disperazione di non trovare lavoro, nonostante le tante promesse.
«Ho sempre lavorato come meccanico – spiega – poi, qualche anno fa, ho avuto un incidente in moto, molto grave. Sono vivo quasi per miracolo».
Da quell’incidente, Mario ha iniziato ad avere seri problemi di salute: dopo qualche settimana di coma, si è risvegliato con importanti disfunzioni all’apparato audiovestibolare.
Alla fine, dopo anni di cure e diverse operazioni chirurgiche, si è dovuto rassegnare a convivere con problemi di udito e di equilibrio.
«Ho imparato a cavarmela lo stesso – racconta – ho anche provato, per qualche tempo, a continuare con il mio lavoro come se niente fosse. Ma la fatica era tanta, e i rischi troppi. Mi hanno detto che chiedendo l’invalidità e iscrivendomi al collocamento mirato per disabili avrei trovato lavoro facilmente».
Mario è stanco, e decide di provare. Abbandona l’officina dove ha lavorato per tanti anni, e si iscrive alle liste speciali.
Il risultato è quantomeno deludente: «Dal 2008 non ho un lavoro. Capita che qualcuno mi prenda, ma dopo poco tempo mi lasciano a casa, perché hanno paura che i miei problemi di equilibrio possano diventare un pericolo. Io ho imparato a gestire la cosa, ma i datori di lavoro non mi credono».
Mario non si perde d’animo, e lancia la provocazione della ricerca di un lavoro in nero perché, dice, «almeno così nessuno guarderà la pratica dell’Inps, mi pagheranno solo per quello che faccio e per come lo faccio. Mi sono pentito di aver chiesto l’invalidità, ho anche scritto all’Inps perché me la tolgano».
Una richiesta impossibile da accontentare, ma a cui l’uomo non intende rinunciare.
Perché il riconoscimento dell’invalidità, per Mario, più che un diritto conquistato è stato l’inizio dei problemi peggiori: niente lavoro significa niente indipendenza, e ora per lui la strada è tracciata.
«Ho riconsegnato anche la scheda elettorale, rispedendola al ministero dell’Interno. Perché questo Stato, invece di tutelarmi in un momento di difficoltà, mi ha illuso e poi abbandonato».
© riproduzione riservata
http://www.laprovinciadivarese.it/stories/Cronaca/invalido-e-disoccupato-dal-2008-cerco-un-lavoro-purche-in-nero_1027962_11/

Mivar, addio alla tv made in Italy Carlo Vichi: «Produrremo mobili»
La fabbrica smetterà di lavorare entro i primi di dicembre. Centinaia di cassintegrati: ne rimarranno poche decine

«Ma quale chiusura dell’azienda? Non è vero niente, i cancelli della Mivar resteranno sempre aperti». Carlo Vichi, 90 anni, il patron della Mivar, l’ultima fabbrica di televisori italiani smetterà di lavorare, dice lui, solo «quando mi trasformerò in spirito». Ma per la sua impresa, fondata nel 1945, si prepara una svolta epocale. Tra poche settimane, quando si esauriranno le scorte della componentistica, chiuderanno per sempre le linee di produzione. Anche quelle inaugurate solo qualche mese fa, che assemblano le Smart Tv con sistema operativo Android. La virata verso la tv interattiva non è riuscita a risollevare le sorti della Mivar, dove oggi lavorano 60 operai. Ma Carlo Vichi già lo sapeva. «Non posso più produrre televisori. Spendo 10 e posso vendere a 8», spiega. «E poi la Mivar non fa più televisori da anni». Le migliaia di apparecchi che uscivano in questi anni dalla sua fabbrica erano semplicemente assemblati. Mancava «il genio italiano, la tecnologia italiana» in questi televisori e per questo non li sentiva più «suoi».

Mivar, una storia di tecnologia italiana

STOP ALLA PRODUZIONE – Il 30 novembre si concluderà la cassa integrazione straordinaria. Cosa succederà dopo? «Non lo so e non mi interessa», sbotta Vichi, come è nel suo stile. Di certo si sa che quando finiranno le scorte dei componenti non ne saranno ordinate altre. È probabile che la produzione cessi entro quella data, oppure ai primi di dicembre. I sindacalisti della Cigl e della Cisl, che in questi anni sono riusciti a garantire a centinaia di operai (erano 900 negli anni ‘60) la cassa integrazione prima ordinaria e poi straordinaria, sono al lavoro per gestire la loro uscita dall’azienda. Per la prima – e unica volta – alla Mivar si parla di mobilità, spalmata su tre anni. La stragrande maggioranza dei dipendenti sono donne e l’età media si aggira sui 50 anni. «Con me ne resteranno pochissimi, una decina, per altri non c’è lavoro», dice Vichi. «Si occuperanno della manutenzione e cose del genere».

LA FABBRICA MAI UTILIZZATA – Cosa succederà alla sua «Fabbrica ideale», la nuova, grandiosa sede della Mivar, completata nel 2001 e mai utilizzata? Progettata interamente da Vichi, è vasta 120 mila metri quadrati, di cui 60 mila a parco alberato. Il patron non ha mai voluto spostare lì la produzione perché non voleva «che insieme ai lavoratori ci entrassero anche i sindacati». Vichi non è mai stato democratico, per lui «In fabbrica si dice sissignore, come nell’Esercito, nessuno può venire a comandare in casa mia». Ma al di là dei proclami e della sua ammirazione per i dittatori, nel 2001, proprio l’anno in cui la nuova sede è stata completata, è cominciata la crisi, con la concorrenza delle tv a Led che ha sancito la fine delle tv a tubo catodico. Oggi si parla di trattative per la cessione di alcuni spazi dello stabilimento in vista di Expo 2015, ma Vichi taglia corto: «Quello è un gioiello nato per fare i televisori o qualcosa di simile, non può prostrarsi a cose diverse. L’Italia se vuole ripartire deve riempire di nuovo le fabbriche. E io sono certo che tra 100 anni nella mia fabbrica qualcuno farà televisori, saranno americani, o forse cinesi»

IL FUTURO? NEI MOBILI – Nel 1998 dallo stabilimento di Abbiategrasso uscirono 917 mila televisori a tubo catodico. Quest’anno solo poche centinaia. Da mesi Carlo Vichi è al lavoro per progettare una linea di mobili, soprattutto tavoli. «Da usare nelle mense, nei self service, nei luoghi affollati come aeroporti e stazioni. E li farò al meglio, come sempre. Saranno prodotti al massimo della tecnologia. Chi non lavora non vive».

15 ottobre 2013
http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/13_ottobre_15/mivar-addio-tv-made-italy-carlo-vichi-produrremo-mobili-207063b0-3578-11e3-9c0c-20e16e3a15ed.shtml

ma sono notizie tutte false messe in giro dai razzisti xenofobi per scoraggiare gli stranieri dal cercare GRANDIOSE OPPORTUNITA’ ED UN RADIOSO FUTURO qui.

Le ditte che chiudono? Non è vero niente, malelingue per evitare di dividere queste immense ricchezze italiane con i più sfortunati. Gli italiani fingono di essere poveri per “sfuggire alle tasse”.

Eh già, e se non c’è lavoro di cosa si presume vivano?
Tutti rifugiati?

Letta militarizza mediterraneo.Ci guadagnano commesse guerra

Migranti, Letta militarizza il Mediterraneo. Ci guadagnano le commesse di guerra
Nel piano “umanitario” per prevenire nuovi naufragi come quello di Lampedusa saranno utilizzati veri e propri mezzi militari. Abbastanza per giustificare le richieste di investimenti nel settore. Mentre si spendono senza successo milioni di euro per aiutare Tripoli a prevenire i viaggi della speranza nel canale di Sicilia
di Enrico Piovesana | 14 ottobre 2013

In risposta ai naufragi di migranti, il governo Letta decide di militarizzare il canale di Sicilia mobilitando navi da guerra, elicotteri, aerei e droni per pattugliare quel tratto di mare allo scopo di “evitare nuove tragedie”. Un dispiegamento di forze militari “umanitario” che tra i suoi effetti avrà anche quello di tornare utile al capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica la sua recente richiesta di 10 miliardi di euro di investimenti pubblici per rinnovare la flotta navale italiana: a partire dall’acquisizione di dodici unità multiruolo di tipo Lcs (Litoral Combat Ship, ovvero navi da combattimento costiero) che dovrebbero rimpiazzare proprio quei pattugliatori e quelle fregate che saranno impiegati nella vetrina di Mare Nostrum.

Come ha recentemente osservato l’ammiraglio Falco Accame, ex presidente della commissione Difesa della Camera, per avvistare tempestivamente i barconi di migranti nel canale di Sicilia sarebbe più logico investire in motovedette piuttosto che in navi da guerra. Analogo discorso di marketing umanitario vale per l’utilizzo degli aerei da pattugliamento e soprattutto dei droni Predator: i velivoli senza pilota di media altitudine e lunga autonomia (Male), utilizzabili a scopo di sorveglianza aerea ma anche come bombardieri, sono in cima alla lista della spesa dell’Aeronauta militare, dopo gli F35 ovviamente.

A parte tutto questo, la missione decisa da Letta appare fortemente contraddittoria rispetto a quello che è l’attuale impegno italiano dall’altra parte del Mediterraneo, ovvero sulle coste libiche da cui salpano i barconi dei migranti. Se è sacrosanto evitare che migliaia di persone muoiano affondando davanti alle coste di Lampedusa, risulta altrettanto urgente fermare sul nascere queste traversate messe in piedi dalle organizzazioni criminali di trafficanti di esseri umani. Ma su questo fronte l’intervento dell’Italia, per quanto costoso, si sta dimostrando assolutamente inutile.
[u]Solo quest’anno, infatti, il governo italiano ha speso quasi 18 milioni di euro per aiutare il governo di Tripoli a rafforzare il controllo delle sue frontiere e delle sue coste.[/b]

La gran parte di questi soldi (7,5 milioni) è servita per manutenzione e addestramento equipaggi delle motovedette italiane regalate a Gheddafi nel 2009 “per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani”. Motovedette che i libici hanno più volte usato per abbordare, sequestrare e addirittura per mitragliare i pescherecci italiani che si spingono in acque internazionali (ultimo caso il 7 ottobre 2012), una volta (il 12 settembre 2010) in presenza degli stessi finanzieri italiani imbarcati come istruttori sulle motovedette libiche. Una pratica che viene poi ripetuta contro i barconi di migranti appena salpati, come accaduto nei giorni scorsi secondo le testimonianze dei sopravvissuti al naufragio di venerdì scorso, con un bilancio di almeno due morti e diversi feriti.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/14/migranti-governo-militarizza-canale-di-sicilia-ci-guadagnano-commesse-di-guerra/743610/

Obama espelle 34.000 immigrati clandestini al giorno

di REDAZIONE

C’e’ una direttiva del Congresso Usa, poco nota al pubblico, in base alla quale i funzionari del Dipartimento della sicurezza interna degli Stati Uniti hanno posto sotto detenzione un numero record di immigrati illegali. La direttiva, conosciuta nei circoli di Capitol Hill con l’appellativo di “bed mandate”, impone alla US Immigration and Customs Enforcement (Ice), l’agenzia che si occupa della sicurezza delle frontiere e delle dogane, di mantenere in custodia una media di 34mila detenuti al giorno.

Una ‘quota’ che e’ costantemente cresciuta a partire dal 2006, quando venne istituita dai Repubblicani, convinti che l’agenzia non stesse facendo abbastanza per espellere dal Paese gli immigrati irregolari. Gli effetti paradossali di quella norma appaiono oggi in tutta la loro evidenza. Se l’immigrazione illegale dal Messico e’ scesa quasi ai livelli minimi dal 1970, l’Ice per raggiungere gli obiettivi fissati dal Congresso ha dovuto procedere a una vera e propria ‘caccia all’irregolare’ per trovare un numero sufficiente di stranieri da espellere. In alcuni casi si e’ trattato e si tratta di immigrati irregolari che non hanno commesso alcun reato, ma che semplicemente sono stati fermati dalla polizia stradale senza avere i documenti in ordine. In altri casi, di stranieri che risiedono legalmente negli Stati Uniti, ma che per aver commesso un reato, anche di natura minore, e avere anche scontanto l’eventuale pena in carcere, possono essere espulsi.

Il Dipartimento della sicurezza interna nega di avere usato con troppa facilita’ le manette pur di raggiungere i numeri imposti dalla norma. Con circa 11 milioni di immigrati non in regola che vivono negli Stati Uniti, il Dipartimento e’ “pieno di clienti”, ha commentato il deputato del texas John Abney Culberson. Ma i critici del “bed mandate” sostengono che la maggior parte delle persone poste sotto la custodia dell’Ice sono responsabili di reati non violenti e che a molti di loro, una volta comparsi davanti a un giudice, e’ consentito di rimanere negli Stati Uniti. Mentre altri, rimangono per mesi in custodia, con un notevole spreco di risorse, perfino quando si potrebbe ricorrere ad alternative meno costose, come i braccialetti elettronici o altre forme di controllo elettronico.

Poiche’ la spesa del governo federale per la detenzione e l’espulsione degli immigrati irregolari ha raggiunto la cifra record di 2,8 miliardi di dollari l’anno, piu’ del doppio rispetto all’introduzione della norma nel 2006, la direttiva comincia ad attirare le critiche non solo dei Democratici, ma anche di quei falchi Repubblicani favorevoli a drastici tagli al bilancio del governo federale. In particolare, dopo che il Dipartimento per la sicurezza interna ad aprile ha riferito al Congresso che si potrebbero risparmiare parecchi soldi abbassando la quota a 31.800 detenuti e adottando misure alternative alla detenzione.

I Repubblicani della Camera sono pero’ riusciti con successo a respingere i tentativi di riforma, hanno confermato la quota di 34mila detenuti e ordinato all’Ice di spendere 400 milioni di dollari in piu’ rispetto a quanto richiesto dalla stessa agenzia. (Adnkronos/Washington Post)
http://www.lindipendenza.com/obama-espelle-34-000-immigrati-clandestini-al-giorno/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=obama-espelle-34-000-immigrati-clandestini-al-giorno&utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Portogallo: tagliate le pensioni di reversibilità + Grecia: la Troika impone nuove misure di austerità, ritoc care stipendi e pensioni

naturalmente nell’interesse dei popoli….

Portogallo: tagliate le pensioni di reversibilità
Pubblicato da ImolaOggiEUROPA UE, NEWSott 15, 2013
portog15 OTT – Il Governo portoghese ha deciso di tagliare le pensioni di reversibilità quando il cumulo supera i 2.000 euro. Il provvedimento, subito contestato da cittadini, opposizioni e sindacati, è stato adottato in una riunione urgente svoltasi ieri sera per adottare ulteriori misure di contenimento della spesa.
Secondo fonti Governative, il taglio riguarderebbe solo 25 mila delle 800 mila pensioni di reversibilità attualmente erogate e consentirebbe un risparmio annuo di 100 milioni di euro. Le stesse fonti hanno sostenuto che le minore entrate per i contribuenti verrebbero compensate in parte dall’abbassamento di una specifica tassa sul reddito di pensione.
Il taglio è inserito nel bilancio 2014 che dovrà essere approvato entro domani.
Il Portogallo, che nel 2011 ha ottenuto dalla Troika (UE-BCE-FMI) un prestito di 78 miliardi, deve chiudere il 2014 con un disavanzo del deficit PIL al 4% del PIL. L’obiettivo sembra arduo da raggiungere, tanto che negli ultimi tempi l’esecutivo ha adottato ulteriori misure di contenimento della spesa nella pubblica amministrazione. (ANSAmed).
http://www.imolaoggi.it/2013/10/15/portogallo-tagliate-le-pensioni-di-reversibilita/

Grecia: la Troika impone nuove misure di austerità, ritoccare stipendi e pensioni
Pubblicato da ImolaOggiEUROPA UE, NEWSott 15, 2013
troika
15 OTT – E’ ormai scontro aperto tra il governo di Atene e i rappresentanti dei creditori internazionali della Grecia sulla necessità di adottare o meno nuove misure di austerità per il 2014 che potrebbero andare di nuovo a toccare stipendi e pensioni.
La troika (Fmi, Ue e Bce) insiste che per l’anno prossimo serviranno nuove misure per recuperare due miliardi di euro a causa del superamento del tetto della spesa pubblica, della diminuzione degli introiti in seguito alla ristrutturazione del sistema fiscale e del buco che verrà a crearsi per l’applicazione della tassa unica sugli immobili. Dal canto suo, il ministro delle Finanze, Yannis Stournaras, sostiene che per il 2014 non serviranno nuove misure. Non a caso, prima della riunione dell’Eurogruppo di ieri, l’esponente del Consiglio esecutivo della Bce Joerg Asmussen ha consigliato al governo di Atene di fare “ciò che è necessario per la conclusione dei controlli da parte dei rappresentanti della troika” che si sono interrotti nei giorni scorsi.
Oltre alle misure per il 2014 e il controllo sull’andamento del programma di risanamento dell’economia greca, rimane in sospeso anche il completamento delle misure considerate indispensabili dai rappresentanti della troika per procedere alla concessione della tranche da un miliardo di euro approvata già dallo scorso luglio ma che non è ancora stata assegnata.
(ANSAmed).
http://www.imolaoggi.it/2013/10/15/grecia-la-troika-impone-nuove-misure-di-austerita-ritoccare-stipendi-e-pensioni/

Algeria: la casa è bene primario, 60 mld di dollari per alloggi popolari – in italia si tassa anche i mutuatari

Pubblicato da ImolaOggiESTERI, NEWSott 15, 2013
case15 OTT – Sessanta miliardi di dollari, una montagna di denaro certamente superiore al Prodotto interno loro di gran parte dei Paesi del mondo e non solo di quelli più poveri. E’ questo l’ammontare della scommessa che l’Algeria ha lanciato per risolvere, entro il 2014, il suo problema più importante, insieme alla disoccupazione giovanile ed anche al terrorismo, che cova sempre nelle regioni più inquiete.
Un impegno economico enorme che ha attirato il naturale interesse dei giganti delle costruzioni, a cominciare dagli onnipresenti cinesi, che però, in tempi recenti, hanno meritato delle giustificate rampogne da parte delle autorità per il dilatarsi dei tempi di consegna.
La casa viene considerata anche in Algeria un bene primario, anzi ”il bene primario” per eccellenza perchè è intorno ad essa che si costruiscono i nuovi nuclei familiari o magari si incrementano quelli esistenti, quando, per via dei matrimoni dei figli, essi si allargano dovendo pur dare un tetto alle nuove coppie.
Un bene che, quando non c’è, scatena la rabbia della gente, soprattutto quando si vede esclusa dalle chilometriche liste di assegnatari, immancabilmente contestate – spessissimo cedendo alla violenza – da chi non vi legge il proprio nome ed addebita questa situazione a magagne, trucchi, bassezze, corruzione. Ora l’Algeria – Paese peraltro in cui la gente s’è ormai abituata ad una certa politica degli annunci – ha fissato per la fine del 2014 una importantissima scadenza, entro la quale completare il piano quinquennale da due milioni e 600 mila alloggi di edilizia popolare.
Abdelmadjid Tebboune, ministro dell’Habitat (entro le cui competenze ricadono tutte le politiche per la casa) ha tracciato l’ambiziosa road map, a cominciare da un piano intensivo di costruzioni per le zone rurali – oggi certamente le più penalizzate – dove sorgeranno 900 mila case popolari, l’80 per cento delle quali è già in fase di realizzazione.
Tebboune, intervistato dal sito Tsa, si è dilungato sulle varie formule di attribuzione degli alloggi, articolate a seconda delle localizzazioni, della metratura, dei redditi degli inquilini assegnatari e, quindi, della tempistica per il riscatto, trattandosi tutte abitazioni che sono costruite dallo Stato e dai suoi soldi, ma che vengono conferite a chi, almeno sulla carta, in un lasso più o meno lungo di tempo, le potrà acquistare.
La formula che viene privilegiata dagli acquirenti è quella dell’acquisto-affitto, che consente agli assegnatari di pagare mensilmente una quota molto contenuta e, alla scadenza del contratto, di comprare la casa, sottraendo dal prezzo le mensilità. Davanti ad un piano di queste dimensioni, il numero di chi ha chiesto di entrare nelle liste degli assegnatari è stato enorme, oltre un milione e seicentomila. Ma, in cinque mesi, le commissioni comunali incaricate dell’esame della fondatezza delle domande ne ha scartate 130 mila. (ANSAmed).
http://www.imolaoggi.it/2013/10/15/algeria-la-casa-e-bene-primario-60-mld-di-dollari-per-alloggi-popolari/

in Italia possedere una casa anche con mutuo in essere è considerato ostentazione di ricchezza, reato punito con una caterba di tasse

15/10/2013 – retroscena
Rifiuti e servizi insieme  sulla casa si paga la Trise

La nuova tassa sulla casa coprirà insieme raccolta rifiuti e servizi come l’illuminazione delle strade
Spazzatura più cara: la tariffa dovrà coprire per intero i costi di raccolta
paolo russo
roma

Alla fine il ballo del mattone ha partorito la Trise, traducibile in Tassa rifiuti e servizi, che farà un sol boccone di un tris di imposte, mandando in soffitta Imu sulla prima casa, Tares sui rifiuti e la tanto annunciata service tax, che nelle aspettative almeno di un’ala del Pd avrebbe dovuto reintrodurre una progressività dell’imposta immobiliare rispetto al reddito. Una specie di “patrimonialina” della quale invece non c’è più traccia nella Trise, che come si legge nella bozza della Legge di stabilità «si articola in due componenti: la prima a copertura dei costi per la gestione dei rifiuti solidi urbani (Tari); la seconda, a fronte dei costi relativi ai servizi indivisibili dei Comuni (Tasi)».
I due spezzoni dell’imposta si pagheranno insieme. Probabilmente in quattro rate a gennaio, aprile, settembre e dicembre, anche se nella bozza i termini di pagamento non sono ancora specificati. Ma cosa si pagherà? Partiamo dai rifiuti. Le tariffe saranno fissate dai comuni ma dovranno in ogni caso coprire totalmente il costo del servizio smaltimento rifiuti. Cosa che con l’attuale imposta non avviene. Ergo in parecchi comuni si pagherà di più. Anche se, è bene dirlo subito, nel complesso la Trise costerà circa 2,3 miliardi in meno di Imu e Tares sui rifiuti sommate insieme perché 2 miliardi sono stati coperti dal Governo. La componete rifiuti sarà dovuta anche dagli inquilini e i comuni, in base al principio «chi inquina paga» sancito da una direttiva europea, potranno anche commisurare la tariffa alle quantità e tipologie di rifiuti prodotti. Ossia far pagare di più le famiglie numerose o chi svolge attività che producono parecchi rifiuti, come la ristorazione. «Nella modulazione della tariffa – è scritto nel testo – sono assicurate riduzioni per la raccolta differenziata riferibile alle utenze domestiche». La Tasi diventa poi mini se il servizio di raccolta rifiuti non viene svolto o è interrotto per motivi sindacali. In questi casi si deve solo il 20%. Sconti sono previsti anche per case abitate da single, o da persone che ci vivono per periodi inferiori a sei mesi l’anno e per i fabbricati rurali ad uso abitativo.
La Tasi sui servizi indivisibili, cose come illuminazione e strade, sarà dovuta dai proprietari e da una quota tra il 10 e il 30% anche dagli affittuari. La decisione spetterà ai Comuni che potranno stabilire anche quale base imponibile utilizzare per far pagare l’imposta. Nelle grandi città si pagherà quasi sicuramente l’1 per mille della rendita catastale rivalutata del 65%, così come per l’Imu. Questo perché in media nei centri maggiori le rendite sono più alte. Nel piccoli comuni si pagherà probabilmente minimo un euro al metro quadro. Le amministrazioni locali potranno poi decidere se esentare completamente o meno le prime case dalla Tasi, che di fatto per le abitazioni principali sostituisce l’Imu. I comuni potranno aumentare tanto l’1 per mille che l’euro al metro, ma c’è una clausola di salvaguardia per i contribuenti, dove è previsto che il gettito Tasi e Imu non deve eccedere l’aliquota massima di quest’ultima maggiorata dell’uno per mille, ossia non deve varcare la soglia del 7 per mille quando l’imposta grava sulla prima casa e del 11,6 per mille sulle seconde. Il servizio politiche del territorio della Uil ha fatto a caldo delle simulazioni e per un appartamento signorile classificato in A2 di 80mq la quota servizi della nuova tassa comporterà un esborso di 198 euro a Roma, di 250 a Milano, 217 a Torino, 269 a Bologna, solo 88 a Palermo. Con la tariffa di un euro/mq in provincia si pagherà invece 112 euro ad Asti e 109 a Savona.

http://www.lastampa.it/2013/10/15/economia/rifiuti-e-servizi-insieme-sulla-casa-si-paga-la-trise-D7fge3Q9BlTF8nAHMP0FbP/pagina.html

TSO a Lauryn Hill, perchè “complottista”! In evidenza

TSO a Lauryn Hill, perchè “complottista”!In

evidenza

Posted By Redazione On 14 ottobre 2013 

Fonte: http://coscienzeinrete.net/arte/item/1576-tso-a-lauryn-hill,-perch%C3%A8-complottista [1]

12 Ottobre 2013Scritto da  Redazione [2]
Lauryn

Hill, la cantante, vincitrice del prestigioso Grammy
award si è vista ordinare da un giudice una “consulenza
psicologica a causa delle sue teorie cospirazioniste”.
Qual è la sua teoria del complotto? Che l’industria
musicale opprime i veri artisti per pompare sciocchezze
insensate.

Lo scorso 7 maggio, la Hill è stata

condannata a 3 mesi di carcere e 3 di domiciliari, per non
aver pagato alcune tasse a seguito del suo ritiro dalle
scene dovuto a minacce alla sua famiglia.

Nel giugno dello scorso anno, la Hill ha
pubblicato una diatriba su Tumblr lamentandosi di come
l’industria musicale è “manipolata e controllata da un
complesso industriale militare protetto dai media.”

Come abbiamo evidenziato numerose volte in
passato, altri artisti hanno reso chiaro che tutti coloro
che non sono conformi alle richieste rigorose
dell’industria musicale, o addirittura, come Nicole
Scherzinger ha recentemente osservato, non sono pronti a
“vendere la propria anima a Satana”, tendono a trovare il
successo difficile da mantenere in un settore che punisce
gli individui che hanno il coraggio di dire la loro.

In
numerosi spettacoli e interventi negli ultimi anni, la
Hill ha tentato di avvertire i giovani di come “il
cannibalismo della cultura pop” ed il riduzionismo
deliberato dell’arte e della musica, danneggino intere
generazioni per trasformarli in consumatori passivi,
spensierati – e di come l’ispirazione e la creatività vera
vengano distrutte in nome del profitto.

L’ordinanza del giudice che la Hill
subisca ciò che equivale ad un lavaggio del cervello e
alla rieducazione, è semplicemente parte della crescente
tendenza ad etichettare il buonsenso come una malattia
mentale, se va contro l’establishment.

Già abbiamo assistito a molti casi in cui
persone che postavano veementi opinioni politiche su
Facebook sono state forzatamente inviate nei reparti
psichiatrici in tutto il paese. Quanto tempo passerà prima
che ogni critica dello stato sia ufficialmente
riconosciuta come disturbo mentale?

Chi è considerato ostile all’autorità
è già stato contrassegnato sofferente di “disturbo
oppositivo provocatorio” nel il manuale DSM-IV-TR (Il
vademecum delle malattie psichiatriche, NDR)
.

La definizione di questa malattia
mentale è, “un modello ricorrente negativistico,
provocatorio, disobbediente. e di comportamento
ostile verso figure di autorità, che persiste per
almeno 6 mesi.”

Il
tentativo di bollare i pareri alternativi come pericolosi
disturbi mentali è entrato anche nella politica. Nel 2009,
su “Psychology Today” è comparso un pezzo su Alex Jones in
cui si insinua che chi crede in una cabala segreta che
governa il mondo, che altro non è che una descrizione, ad
esempio, del gruppo Bilderberg, soffre di disturbo
mentale.

VIDEO I GET OUT CON TESTO – LAURYN HILL

 Abbiamo anche notato recentemente come i

cittadini in Florida sono incoraggiati a segnalare i loro
vicini alle autorità in caso di commenti negativi al
governo, aprendo così la strada a visite a casa della
polizia e dei ‘professionisti della salute mentale’.

Il caso di Lauryn Hill ci ricorda che le
istituzioni non solo cercano di ridicolizzare,
ostracizzare ed emarginare coloro che pronunciano “teorie
della cospirazione”, che è diventato un termine
peggiorativo per chi mette in discussione l’autorità, ma
cercano in realtà di classificare il dissenso contro il
sistema come forma di malattia mentale per imporre
legalmente “trattamenti”.

Fonte: http://www.infowars.com/judge-orders-conspiracy-re-education-for-lauryn-hill/ [3]

Tradotto da Enrico Carotenuto per
Coscienzeinrete Magazine

Bardonecchia NO TIR – NO FREJUS – NO TAV

http://www.tgvallesusa.it/?p=2705

WRITTEN BY: LEONARDO CAPELLA – OTT• 15•13
Bardonecchia 12 ottobre 2013

Bardonecchia 12 ottobre 2013

Sabato 12 ottobre ore 15, sotto un insistente pioggia mista a neve Bardonecchia accoglie in Piazza Statuto un presidio NO TIR – NO FREJUS – NO TAV. La giornata del 12 è stata scelta dagli organizzatori per raccogliere l’appello ad una giornata nazionale in difesa dei territori. “Abbiamo deciso di rilanciare ancora una volta la mobilitazione in opposizione non solo al TAV ma anche al raddoppio del tunnel autostradale del Frejus” dichiarano gli organizzatori. La preoccupazione dei NO TIR – NO FREJUS è legata principalmente al problema ambientale indotto dai lavori prima e dall’aumento del transito merci successivo all’apertura della canna di sicurezza al transito. Ricordiamo che il secondo tunnel ha avuto come prima giustificazione quella legata alla sicurezza del traffico e quindi da utilizzarsi come canna i sicurezza; successivamente diverse dichiarazioni, anche di esponenti del Governo, hanno indicato come possibile l’apertura di questa canna al transito veicolare. Ad oggi l’opera è iniziata ma i lavori procedono solo dal lato Francese del traforo mentre in Italia tutto è fermo. I manifestanti, scortati dalle Forze dell’Ordine, hanno poi deciso di avvicinarsi in corteo al cantiere. Raggiunto il quale si è improvvisato un piccolo comizio dove si sono avvicendati al microfono esponenti NO TIR e NO TAV con interventi che  hanno dipinto il quadro funesto legato a queste opere infrastrutturali. Una proposta emersa fra le tante è quella di ragionare sin da subito ad un contingentamento del transito di TIR con lo scopo di salvaguardare la salute pubblica e la vocazione turistica della Valle, senza aspettare che la nuova canna faccia da catalizzatore a nuovi accessi, favoriti anche dalle restrizioni applicate al transito merci nel traforo Monte Bianco.

MALTA, CHIAGNE E FOTTE – GLI ISOLANI INCASSANO UN MARE DI SOLDI DALL’UE MA GLI SCAFISTI LI LASCIANO AFFOGARE

Il primo ministro di La Valletta, Joseph Muscat, si lamenta: “Italia e Malta lasciate sole da Bruxelles, dove i quattrini contano più delle vite umane” – Peccato che a La Valletta sono arrivati dall’Europa 994 milioni in 9 anni: sono stati spesi anche per combattere la tratta dei migranti?….

Luigi Offeddu per “Il Corriere della Sera”

Sostiene Joseph Muscat, primo ministro maltese, che la sua isola e l’Italia «sono state lasciate sole» a gestire l’enorme problema dei migranti: a Bruxelles, aggiunge, «i quattrini contano più delle vite umane» perché conta di più «trovare miliardi per la Grecia» che «girare quei soldi per salvare esseri umani». Si può condividere il suo appello. Ma un po’ di soldi, forse, li può «girare» anche Malta: dal 2004, anno della sua adesione alla Ue, l’isola ha ricevuto da Bruxelles fondi per circa 994 milioni di euro; 885 milioni in fondi strutturali e per la coesione, il resto per altri programmi o finanziamenti particolari.
Se è stata «lasciata sola» dalla Ue, questo non è avvenuto certo nel campo finanziario. E una parte di queste risorse sarà stata presumibilmente destinata anche alla sorveglianza dei confini marini, alla protezione dei diritti umani, sulla porta meridionale dell’Europa: ma i risultati non sembrano finora sconvolgenti.
Può darsi naturalmente che non vi sia alcun mistero, che i fondi europei siano stati usati anche per salvare i migranti extracomunitari, e più volte negli anni: esiste fra l’altro anche un «programma Italia-Malta 2007-2013» per la cooperazione in vari settori fra Malta e la Sicilia, cui La Valletta ha contribuito con 11,4 milioni. Però agli occhi della opinione pubblica la prima conferma tangibile dell’azione maltese è giunta solo con il salvataggio dell’altro giorno, peraltro molto ben organizzato. Nelle altre occasioni, come testimoniano le telecamere, si sono visti all’opera soprattutto le motovedette, gli elicotteri, gli aerei italiani.
Per tornare ai soldi che «girano», c’è anche da ricordare che Malta non ha nulla da invidiare all’Italia: le sue banche hanno in cassa un gruzzolo pari a 7 volte il Pil isolano (quasi il 790% del Pil, per la precisione), e tutte insieme sono considerate la seconda entità bancaria della zona euro, preceduta solo dal Lussemburgo. Pure, e probabilmente a ragione dal suo punto di vista, Malta ha chiesto altre risorse alla Ue, per partecipare alle operazioni di salvataggio. Forse, non è solo a Bruxelles che «i quattrini contano più delle vite umane».
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/malta-chiagne-e-fotte-gli-isolani-incassano-un-mare-di-soldi-dallue-ma-gli-64539.htm


 

Venezuela: CARTA IGIENICA ed ESPORTAZIONE di CARTAMONETA

Braccio di ferro tra lo Stato e la “mafia dell’importazione”- “Sciopero selvaggio” delle multinazionali,

Tito Pulsinelli – Ha fatto il giro del mondo la non-notizia che in Venezuela mancano i rotoli di carta igienica. Ohibò, non c’è merce più negativamente simbolica per chi deve produrre una distorsione della percezione della realtà. Se manca la carta igienica significa che le cose vanno proprio male, altro che socialismo e fisime populiste d’accatto. Ben gli sta ai demagoghi che hanno osato prendere le distanze dal FMI o che ignorano i saggi orientamenti di Goldman Sachs.  Sghignazzano a New York o
a Roma, dove certamente non manca nulla sui scaffali, però sono calati i consumi per il diminuito reddito delle fammiglie, che autoriducono gli acquisti.

Ridicolizzano e diffama all’unisono quelli che a  riprendere il controllo del potere politico non è proprio possibile per la via elettorale.

I destabilizzatori professionali esultano per l’eco gratuita trovata nella nota claque d’oltrefrontiera e nella platea mediatica internazionale. Però in Venezuela, non riescono a spiegare perchè la medesima carta che si utilizza per la fabbricazione dei fazzoletti di carta, salviette, tovagliole da cucina e carta igienica per il bagno, scarseggia solo se ha la forma di rotolo. Strananamente, sul mercato abbonda la carta in forma quadrata, rettangolare, profumata ecc ed è assente quella con il formato cilinfrico del rotolo.

Eppure escono dalle stesse fabbriche, solo che una ha un prezzo contenuto e controllato, mentre le altre so vendono a prezzi in crescita accelerata, in senso contrario a quello delle Borse occidentali. Stranezze del commercio quando è trasformato in lotta politica asimettrica, in strumento della guerra piscologica atto a destabilizzare e -en passant- speculare senza limiti. Lottare e speculare è bello, sembrano dire i cellulitici amici endogeni del “libero mercato”.

L’industria privata, persino quella che elabora merci composte solo di manufatti nazionali, applica questo schema operativo per ritardare, limitare e dare discontinuità al rifornimento del mercato. Si tratta di una sorta di “sciopero selvaggio” delle multinazionali, dosificato e camuffato in una mappa caratterizzata da “macchie di leopardo”.

L’avvicinarsi delle elezioni locali di dicembre, ha dato la stura a questa variante tattica dell’operazione illegale di chi con i voti sa che è difficile recuperare il potere politico. E’ la cronaca annunciata degli ultimi 14 anni. Stavolta, però, hanno accantonato gli anacronistici golpe, la paralisi totale dell’industria petrolifera o la sceneggiata urlata dell’eterno ritorno dell’imbroglio elettorale. Stavolta, percorrono il cammino più lento e insidioso del disfunzionamento programmato della rete commerciale. E’ una camuffata esasperazione speculativa, di rialzi ed accaparramenti, per ottenere un cumulativo “effetto carestia”. Atto, così calcolano, a provocare saccheggi o sommosse della plebe ignara. Fino all’agognato intervento dall’esterno. Per ristabilire ordine, abbondanza e prosperità illimitata per tutti. Do you remember Bengasi?

Com’è solito, fanno i conti senza l’oste. In realtà si gioca la partita decisiva quel settore che apporta solo il 4% all’esportazione e alle divise da essa generate, però batte i pugni sul tavolo perchè pretende l’accesso illimitato ai dollari a buon mercato generati dal petrolio. Pretendono la concessopne agevolata di dollari a 6 bolivares per comprare stock all’estero e la “libertà” di vendere senza prezzi controllati.

Arrivano a moltiplicare per 7 i loro profitti, però non sarebbero in grado di finanziare le successive importazioni, per le quali nella pratica esigono un finanziamento pubblico. E’ in corso un braccio di ferro tra lo Stato e la “mafia dell’importazione” per il controllo e l’uso delle risorse finanziarie. Si va verso una ridefinizione del rapporto di forze tra il blocco popolare e quello tradizionale parassitario. E non manca, purtroppo, chi dal nord soffia sul fuoco o fornisce fiammiferi agli incendiari.
 
 A differenza del Brasile e Argentina, dove esiste una una borghesia produttiva moderna, l’oligarchia venezuelana riesce a lucrare molto di più con i commerci (fino al 700%)  che sviluppando un una rete produttiva.
E’ un settore storicamente parassitario, da sempre dedito all’esportazione di capitali, privo di  vocazione e interesse a cimentarsi con il “made in Venezuela”. Genetica storica di chi ha sempre convogliato verso la Madrid imperiale, e successivamente verso Washington, tutte le ricchezze nazionali.
http://selvasorg.blogspot.it/2013/10/venezuelacarta-igienica-ed-esportazione.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+selvas/blog+(Selvas+Blog)

 

Cibo gettato dai ‘profughi’: nuove foto della vergogna

15-10-2013

 Ecco nuove fotografie dai cassonetti all’esterno del centro ‘profughi’ che ospita i clandestini cari al governo. Tanto cari che da oggi li andremo a prendere in tutto il Mediterraneo.

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Sulle etichette dei piatti mono-dose, sono presenti le date di produzione e quella di consumazione. Con la dicitura specifica di ‘pranzo’ e ‘cena’. Questo dovrebbe silenziare i fanatici antirazzisti: non possono essere scarti di supermercato.

 E si tratta incontestabilmente del cosiddetto ‘centro profughi’ sito a Roma in Via Staderini, 9. Perché ne siamo così sicuri?

Perché questa è una foto esterna del centro da Google Maps: centroprofughistaderini

E qui abbiamo una delle foto del cibo gettato, accanto a quella tratta da Google Maps del centro che ospita i clandestini: centroclande

Lo diciamo soprattutto a quei poveri pennivendoli e a quei derelitti siti di presunti ‘cacciatori’ di bufale, che avevano messo in dubbio la veridicità delle immagini e la credibilità di VoxNews. Sciocchi.

http://voxnews.info/2013/10/15/cibo-gettato-dai-profughi-nuove-foto-della-vergogna/

Cina: “nuova valuta riserva e nuovo ordine mondiale”

14 ott 2013 – Basta con il dollaro come moneta dominante. E’ ora di “de-americanizzare il mondo”, che sta ancora soffrendo per il disastro economico causato dalle lobby voraci di Wall Street.
NEW YORK (WSI) – Cina sempre più irritata dallo stallo nelle trattative tra Democratici e Repubblicani Usa per evitare il default Usa. D’altronde, insieme al Giappone, il paese è il maggiore detentore di Treasuries americani e i dubbi sulla convenienza a puntare ancora su questo investimento sono sempre più insistenti.

E così, nell’agenzia di stampa statale Xinhua appare un editoriale firmato da Liu Chang, che parla “del fallimento fiscale degli Stati Uniti” come un elemento che avalla la “de-americanizzazione del mondo”, sostenendo che è arrivato il momento che il mondo consideri una nuova valuta di riserva ”che deve essere creata per sostituire il dominio del dollaro, in modo tale che la comunità internazionale possa stare lontana dalle conseguenza del caos politico che si sta intensificando negli Stati Uniti”.
Ma le critiche non si fermano certo alla questione fiscale. Stando all’editoriale, da quando è emersa dal bagno di sangue della Seconda Guerra Mondiale come la nazione più potente del mondo, l’America ha tentato di creare un impero globale imponendo un ordine mondiale, alimentando la ripresa in Europa e incoraggiando cambi di regime in nazioni che non considera proprio amiche di Washington”.

In questo modo, continua l’articolo, l’America ha protetto i propri interessi “in ogni angolo del mondo, abituata a infiltrarsi negli affari di altri paesi e regioni”. Il governo americano, che si è fatto portatore di alti valori morali, ma “ha nascosto episodi di cui si è reso responsabile, come “la tortura dei prigionieri di guerra, l’uccisione di civili attraverso attacchi con i droni, lo spionaggio dei leader mondiali”.

E ancora, si ricordano gli effetti della crisi finanziaria che nel 2007 ha travolto gli Stati Uniti e il mondo intero.

“Washington ha abusato del suo status di superpotenza e ha introdotto maggior caos nel mondo nel trasferire i rischi finanziari nel resto del mondo, istigando tensioni in diverse aree per dispute territoriali”.

Il “mondo sta ancora arraccando per cercare di uscire dal disastro economico provocato dalle elite voraci di Wall Street, mentre le bombe e gli attentati sono diventati praticamente una routine quotidiana in Iraq, anni dopo che Washington ha dichiarato di aver liberato il popolo da un regime tirannico”.

In questa situazione, l’articolo invoca che “le economie emergenti e in via di sviluppo abbiano maggior voce nelle istituzioni finanziarie internazionali, inclusi la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale” e sottolinea che una riforma effettiva debba essere l’introduzione di una nuova valuta di riserva, che sostituisca il dollaro.

Fonte: http://www.wallstreetitalia.com/article/1633080/geopolitica/cina-nuova-valuta-riserva-e-nuovo-ordine-mondiale.aspx