Parla Falcioni, il giornalista zittito dal pm. Io vado avanti, sorridendo come sempre.

post30 novembre 2014 at 13:24

La-legge-non-è-uguale-per-tutti

Riportiamo qui di seguito il commento di Davide Falcioni, il giornalista che venerdì era a Torino per testimoniare al processo per i fatti della Geovalsusa e che ha dovuto interrompere le sue dichiarazioni a seguito della comunicazione da parte del pm Pedrotta che sarebbe stato sottoposto ad indagini

“Ieri ero a Torino a deporre al processo sui fatti della Geovalsusa. Sono entrato in aula come un semplice testimone, un cronista che aveva visto e raccontato puntualmente i fatti di quel 24 agosto 2012. Ne sono uscito come persona minacciata di essere sottoposta a indagini (per gli atti ufficiali occorrono mesi). Al pubblico ministero Manuela Pedrotto non frega nulla del “diritto di cronaca” e degli articoli che produssi, per AgoraVox Italia, sulla lotta NO TAV di quell’estate.
Ricordo che dopo quegli articoli, uno in particolare, ricevetti le telefonate di un importante giornalista di Repubblica. Chiamò al mio cellulare e a casa (ma chi gli diede i miei recapiti?): prima di cercare di intimidire me, lo fece con mio padre raccontandogli che il figlio rischiava di mettersi nei guai con certi articoli e testimonianze. Mio padre lo mandò a fanculo. Io so che se potessi riavvolgere il tempo di due anni rifarei esattamente le stesse cose, riscriverei esattamente gli stessi articoli.
C’è qualcuno che da anni utilizza la giustizia come una clava contro un movimento popolare come quello dei No Tav. Ora la clava si utilizza anche verso chi si macchia della colpa di raccontare ma non essere allineato. Alla Procura piacciono i giornalisti “embedded”, mentre le voci indipendenti danno fastidio (anche perché non rilanciano le veline delle questure ma partecipano e osservano coi loro occhi). Nel mio caso rischio di essere sottoposto a indagini e quindi rinviato a giudizio.
Ora: io sono solo un piccolo cronista, però voglio vedere se qualcuno ha intenzione di approfondire questa storia. A me sembra una grave lesione del diritto di cronaca. Staremo a vedere. Io vado avanti, sorridendo come sempre. Davide Falcioni”

IL FILM NO TAV “QUI” PREMIATO AL TORINO FILM FESTIVAL. LA RABBIA DI ESPOSITO: “DAVVERO PENOSO”

BY  – PUBLISHED: 11/29/2014 –

Il film “Qui” dedicato ai No Tav vince un premio speciale al Torino Film Festival, e il senatore del Pd Stefano Esposito va all’attacco. Il parlamentare Sì Tav critica il fatto che il “Premio Gandhi” sia stato assegnato alla pellicola No Tav di Gaglianone, per volontà del Centro studi Sereno Regis, responsabile del riconoscimento.

Secondo Esposito il centro Regis è “notoriamente schierato con i notav, ospita nella sua sede tutte le conferenze stampa del movimento notav. Il TFF ha tra i suoi riconoscimenti il premio Ghandi, assegnato dal centro studi Sereno Regis. Indovinate a chi hanno dato il premio? Al documentario notav di Daniele Gaglianone. Chi l’avrebbe mai detto. Solo in questa città possono capitare cose come questa, peraltro a spese dei contribuenti. Davvero penoso”.

A conclusione del Festival, il riconoscimento del Centro Studi Sereno Regis di Torino è andato al film “Qui” perché è stata la pellicola che “meglio interpreta la visione gandhiana del mondo”.

Nel documentario si raccontano in presa diretta le storie di alcuni attivisti No Tav valsusini. Dopo il successo al Festival di Torino, “Qui” parteciperà anche al Filmmaker Festival di Milano.

La difesa dei quattro No Tav: “Il terrorismo è un’altra cosa”

di OTTAVIA GIUSTETTI

26 novembre 2014

La difesa dei quattro No Tav: "Il terrorismo è un'altra cosa"

L’avvocato Claudio Novaro 

Assoluzione dall’accusa di terrorismo, concessione dell’attenuante di aver agito per “motivi di particolare valore morale e sociale”, concessione della sospensione condizionale della pena in base al calcolo di una condanna che si aggira intorno ai due anni: sono le richieste dell’avvocato Claudio Novaro, difensore dei quattro attivisti No Tav nel processo che li vede accusati di terrorismo per l’attacco del 14 maggio 2013 al cantiere di Chiomonte. Un’accusa per la quale l’accusa ha chiesto 9 anni e 6 mesi.

Novaro è stato il primo difensore a parlare affrontando, in una arringa durata due ore, la sola imputazione di terrorismo, quella stessa che già la Cassazione ha fatto vacillare con un pronunciamento in relazione alla misura cautelare impugnata prima al riesame e poi alla Suprema Corte. La Cassazione ha infatti confermato il carcere ai quattro imputati ma in ragione degli altri reati contestati, e in particolare al possesso di armi da guerra, riferito alle molotov. Tant’è vero che Mattia Zanotti, Niccolò Blasi, Claudio Alberto e Chiara Zenobi sono detenuti dal 9 dicembre scorso in regime di massima sicurezza con divieti di colloqui, divieto di comunicare tra loro e con alcuni periodi di isolamento. “La carcerazione sofferta dai quattro signori che sono dentro le gabbie – ha detto Claudio Novaro – è purtroppo consona a quella violenza terroristica di cui forzatamente sono stati accusati. Per questo ritengo che sia arrivato il momento di ricondurre anche questo aspetto alla ragionevolezza e discutere dei reati corretti quelli che anche la Cassazione ha riconosciuto motivati”.

Proprio la Cassazione viene citata dai difensori per la qualificazione del reato di terrorismo con le sue precedenti sentenze. In particolare viene i citata la sentenza del processo Pellissero partito proprio da Torino: “Non basta che la finalità terroristica sia ideativa ma è necessario che nel comportamento si possa concretizzare questa finalità eversiva. Non può essere finalità terroristica la volontà se non c’è l’idoneità offensiva delle condotte”. E nel blitz al cantiere che si discute nel processo, secondo la difesa, non si riscontra in alcun modo l’idoneità offensiva degli imputati. Né si ritiene che l’azione degli imputati sia mai stata in grado di mettere lo Stato in condizione di rinunciare all’opera. “Siamo nel campo dell’iperbole fantastica – ha detto Novaro – quando parliamo di un’opera messa a rischio dall’azione No Tav di quella notte”. “E temo che ci troviamo anche di fronte a un grave deficit di conoscenza politica” ha aggiunto.

“Il gesto del maggio 2013 non aveva alcun altro intento che quello simbolico e di comunicazione politica, nessuno può davvero aver pensato che quell’azione potesse rallentare i lavori. Se ci confrontiamo con pubblicazioni come la Lavanda, come hanno fatto i pubblici ministeri, non possiamo non sapere che nessuno qui si pone il problema della interlocuzione politica. I nuovi movimenti anarchici da cui provengono pubblicazioni come lavanda e evidentemente gli imputati non si pongono minimamente la questione, non appartiene al lessico culturale, all’alfabeto politico di quelle aree il tema della interlocuzione politica. Qui è tutta un’altra storia, che non riguarda nessun rapporto diretto con le istituzioni. La violenza che possiamo condannare è solo quella diretta al povero compressore, che è l’unica vera vittima di quell’azione. Ma che non è riconducibile in alcun modo  alla violenza terroristica”.

Anche sul fatto dei danni imputabili al’Italia per una eventuale rinuncia alla costruzione dell’opera, ha spiegato Novaro, la penale citata dal pubblico ministero, non esiste perché è scritto negli accordi che la retrocessione dagli impegni presi per motivazioni corrette è a costo zero. Inoltre tra gli accordi emergerebbe che l’urgenza della realizzazione della Torino-Lione sarebbe collegata a una eventuale saturazione della linea esistente. “È stato calcolato che la linea attuale può tollerare il passaggio di venti milioni di tonnellate di merci e al momento ne passano quattro – ha detto Novaro – dunque è chiaro che è tutt’altro che satura la linea attuale”. Inoltre secondo i calcoli di un osservatorio indipendente citati nell’arringa i costi per un chilometro di alta velocità in Italia sono stati calcolati 235 milioni di euro contro i 10 milioni dell’Europa. “Dunque l’Italia sarebbe un paese inaffidabile per l’azione No Tav o per queste cifre?”.

Processo compressore. Quando si mette ordine: “Nessuno voleva far male alle persone”

Spinta dal Bass

Processo compressore. Quando si mette ordine: “Nessuno voleva far male alle persone”

di Gabriella Tittonel

“Quando si cominciano a nominare  bene le cose  si comincia a mettere ordine” – così ebbe a dire Camus. Parole queste ricordate dall’avvocato della Difesa Claudio Novaro ad inizio processo dello scorso mercoledì, un processo dai più ormai conosciuto come  quello del compressore, unica metallica vittima di un fatto che vede da ormai un anno in carcere i giovani Chiara, Mattia, Nicco e Claudio accusati di terrorismo.

E questa “messa in ordine” ha contraddistinto tutta l’udienza, nel corso della quale tutti i dati portati dall’accusa sono stati oggettivamente confutati.

“I PM – ha ricordato l’avvocato Novaro nella lunga e circostanziata arringa –  si sono rifatti solo alle prove portate da loro.. non va così, ma occorre un confronto con la controparte per raggiungere la verità…. Nella notte tra il 13 e 14 maggio vi fu un assalto per andare a dar fuoco ad un compressore… attentato con finalità di terrorismo? Occorre tenere ben presente il punto di vista rilevantissimo della Corte di Cassazione…. E quanto è emerso nell’intercettazione ambientale avvenuta in un ristorante cinese a Milano dalla quale emerge chiaramente la volontà di non arrecare nessun danno alle persone.”

Che si sia trattato di sabotaggio e non di atto terroristico lo ha ribadito anche l’avvocato Eugenio Losco, che ha ricordato come  l’azione sia durata pochi minuti, che chi ha agito non poteva essere a conoscenza della presenza di operai in galleria e che, parlando di possibili danni per arresto del lavoro, lo stesso lavoro in galleria, a detta degli operai, è ripreso dopo pochi minuti. “Del fumo dei lacrimogeni parlano molti testimoni, di un fumo acre, che dava fastidio, che pizzicava, mai sentito prima e c’è chi ha affermato di essersi accorto che la polizia aveva sparato lacrimogeni, le cui esalazioni erano filtrate all’interno del cunicolo… non si può pertanto escludere che i danni riferiti dai testimoni non possano essere addebitati anche al fumo dei lacrimogeni lanciati dalle Forze dell’Ordine” – così ha ricordato Losco.

“Il dolo diretto deve essere provato, come in tutti i processi…il PM nella requisitoria ha fatto un lungo elenco per affermare dove ci fosse il dolo diretto, ma mi pare che si possa dire che  lo stesso PM non ha offerto di fatto nessun elemento in modo preciso – così ha ricordato il  Professor Oreste Dominioni, ex Presidente dell’Unione Camere Penali di Milano.

Dei danni economici ha invece parlato l’avvocato Giuseppe Pelazza :”..il compressore era della ditta Giuliano che lo noleggiava al consorzio d’imprese.. la ditta Giuliano non ha presentato nessuna querela… paradossalmente, a mio giudizio, deve essere dato un giudizio di improcedibilità dell’azione penale per quanto riguarda il suo danneggiamento per la mancanza della querela”

Molto circostanziata e precisa è stata dunque la ricostruzione fatta dalla Difesa su quanto avvenuto  quella notte nel cantiere  del tunnel geognostico di Chiomonte,  difesa che ha demolito punto dopo punto con precisione e dati inattaccabili il castello innalzato dall’accusa, confutando molte delle deposizioni fatte dai suoi testimoni.

E che ha chiesto la sospensione condizionale della pena.

Ora il processo dovrebbe vedere il suo ultimo atto il prossimo 17 dicembre. In cui si conoscerà la decisione della Corte. L’auspicio è che la stessa sappia con intelligenza e mente limpida guardare ai fatti.

G.T. 28.11.14

Susa 4/12: serata d’informazione organizzata dal Comune

post — 30 novembre 2014 at 17:41

imageGiovedì 4 dicembre alle ore 21, presso il salone Pro Susa l’amministrazione comunale incontra i cittadini per fare il punto della situazione sulla Torino-Lione.

La serata verrà introdotta dal sindaco Sandro Plano, in seguito i tecnici Luca Giunti, Roberto Vela e Alberto Poggio
presenteranno le loro relazioni sullo stato di fatto del progetto Tav ai cittadini, che potranno infine aprire un dibattito su quanto emerso.

Partecipiamo numerosi!

905827_1506952276253995_8066169974389755481_o

“Qui” il film di Daniele Gaglianone – La Val Susa e la strana guerra contro tutti noi

 

Martedì 25 Novembre 2014 17:12

alt

“Qui”, di Daniele Gaglianone, Italia 2014, 120′, prodotto da Gianluca Arcopinto e Domenico Procacci – produzione “Axelotil Film”, “Fandango”, in collaborazione con Babydoc Film – distribuito da “Pablo”. In rete: “Qui” su Facebook. Twitter: @qui_notav. Pablo Distribuzione: su YouTube e Facebook

L’intervista (a cura di notav.info) a Daniele Gaglianone, regista e autore di “QUI”, in concorso nella trentaduesima edizione del Torino Film Festival nella sezione TFFDOC/DEMOCRAZIA.

“Qui viene ripetuto spesso dai protagonisti e si riferisce ad un posto e un tempo preciso, ma man mano che va avanti questo Qui diventa ovunque, perchè quello che ho imparato facendo questo viaggio, la situazione della Valle di Susa fa emergere qualcosa di latente in tutta la società”

“L’autorità per essere rispettata dive essere autorevole, se l’autorevolezza sparisce l’autorità diventa autoritarismo”

Ma è anche la metafora di una condizione che trascende la Valsusa e il qui diventa ovunque”

“Si è un film schierato, è un film partigiano, è un film di uno che aveva voglia di ascoltare”

qui

Di seguito una recensione da Libreidee:

alt

Non possiamo non dirci NoTav? E’ la domanda che aleggia attorno all’indagine cinematografica che Daniele Gaglianone conduce in valle di Susa, tra la popolazione che da oltre vent’anni si oppone al progetto di una grande opera come la Torino-Lione, considerata devastante, costosissima e completamente inutile. In due ore, il regista de “I nostri anni”, “Ruggine” e “Rata Nece Biti” interroga l’umanità della “valle che resiste” – ieri al progetto Tav in quanto tale, oggi anche e soprattutto al sistema di potere, percepito come oligarchico e repressivo, post-democratico, che vorrebbe imporre ad ogni costo i maxi-cantieri, ai quali ormai persino l’Ue e la Francia sembrano aver voltato le spalle. Nel documentario “Qui” (Torino Film Festival 2014), emergono le voci di un popolo, fatto di italiani che si sentono abbandonati e traditi dalle istituzioni politiche, dopo anni di vani appelli al dialogo, sempre respinti. In controluce, una tacita rivelazione: siamo ormai in tempo di guerra, e i primi a scoprirlo sono stati proprio loro, i NoTav della valle di Susa.

Travolti dal loro problema – il conflitto fisiologico tra grande opera e benessere del territorio – si sono comportati da cittadini democratici, appellandosi ai diritti previsti dalla Costituzione. Tutto inutile: sono convinti che il potere non abbia lasciato loro altra scelta che vedersela coi reparti della polizia antisommossa. La vertenza NoTav ha origini ormai lontane anni luce dall’attualità odierna, risale infatti a prima del Duemila. Nel documentario di Gaglianone, il primo grande scontro – quello del 2005 – è rievocato dal sindaco di Venaus, Nilo Durbiano, che fece suonare le campane a distesa per far accorrere la popolazione a sostegno degli inermi manifestanti, manganellati a freddo in piena notte. La rottura istituzionale è già perfettamente leggibile: Durbiano racconta di come, in quanto primo cittadino, fu convocato alle tre di notte alla Prefettura di Torino. Un colloquio gelido, evidentemente per sondare il sindaco alla vigilia del pestaggio destinato a sgomberare i NoTav dall’area di Venaus, dove allora doveva sorgere il cantiere della galleria preliminare esplorativa, oggi trasferito a Chiomonte.

Assenza di dialogo: come se fosse già in corso una sorta di guerra, non dichiarata, contro la popolazione. L’unico precedente, all’epoca, era stato il trauma del G8 di Genova, la Diaz e Bolzaneto, che stroncò il movimento no-global, di cui le multinazionali globaliste avevano paura. Subito dopo, l’infarto mondiale dell’11 Settembre e la “guerra infinita” da esso originata: Afghanistan, Iraq, Gaza, Libia, Siria, Ucraina. E poi ancora Iraq, seguendo le eroiche imprese dell’Isis guidato dal “califfo” Al-Baghdadi. Un avventuriero che, secondo varie fonti – ultimo, il massone Gioele Magaldi col suo libro sulle super-logge del potere occulto – fu liberato proprio perché mettesse in piedi l’armata jihadista. Quanto è lontana la valle di Susa dalle “armi chimiche” siriane e dalla manipolazione dello spread per imporre Monti a Palazzo Chigi? Molto meno di quanto si pensi, stando ai resoconti disarmati degli interlocutori di Gaglianone, praticamente smarriti di fronte alla dissoluzione di ogni solido Gabriella Tittonel, attivista cattolica NoTav punto di riferimento: la solitudine siderale del cittadino trova parziale conforto solo nella democrazia spontanea che la stessa cittadinanza alimenta, sotto forma di movimento civile.

Servono risposte, e non arrivano mai. Così, dopo un po’ ci si arrende all’evidenza. Magari pregando, come fanno gli attivisti cattolici, il gruppo di Gabriella Tittonel che accompagna la troupe lungo i reticolati di Chiomonte, filo spinato di fabbricazione israeliana. O cercando di dialogare coi reparti antisommossa, come fa l’infermiera Cinzia Dalle Pezze, esasperata dall’abuso di lacrimogeni e gas tossici. Il documentario propone la voce di antagonisti come Aurelio Loprevite di “Radio Blackout”, in diretta telefonica con Luca Abbà quando l’attivista precipitò dal traliccio sul quale si era arrampicato per protesta, e militanti dal passato sorprendente come Alessandro Lupi, carabiniere in congedo e convinto NoTav, gravemente ferito al volto da un lacrimogeno. La telecamera raccoglie parole e silenzi di persone finite in carcere, Marisa Meyer, pasionaria NoTav, pensionati decisi ad ammanettarsi alle recinzioni militarizzate, famiglie disposte a tutto per difendere la loro casa, minacciata dalla nuova arteria ferroviaria.

Sullo sfondo, i fantasmi di ogni realizzazione faraonica – devastazione ambientale, crisi idrogeologica, dissesto urbanistico, impatto insostenibile dei cantieri, rischi concreti per la salute e l’incolumità della popolazione – e in più, in questo caso, la sordità autistica ed esasperante dell’élite di potere di fronte alle più argomentate osservazioni tecniche, sciorinate dai migliori esperti dell’università italiana: la linea Tav Torino-Lione non è solo l’ennesimo attentato alle dissanguate finanze pubbliche del paese, non è solo l’ennesimo invito a nozze per l’imprenditorialità mafiosa, ma è anche e soprattutto uno spreco totalmente folle, visto che l’attuale linea ferroviaria internazionale che già attraversa la valle di Susa è praticamente deserta. Nonostante il recente e costoso ammodernamento del traforo del Fréjus, non esiste più traffico merci tra Italia e Francia: secondo l’osservatorio europeo per i trasporti alpini, affidato alla Svizzera, l’attuale linea valsusina italo-francese potrebbe tranquillamente incrementare del 900% il volume dei transiti. Perché allora incancrenire lo scontro sociale rincorrendo il miraggio di un super-treno miliardario da imporre a mano armata?

Perché non siamo più in tempo di pace, e da parecchi anni, sembrano suggerire i valsusini ascoltati da Gaglianone, i primi a constatare sulla loro pelle l’avvento del cambio d’epoca: loro erano già sulle barricate molto prima di Occupy Wall Street, prima degli “attentati” all’articolo 18, prima della guerra di Marchionne contro la Fiom. Erano in campo, i cittadini italiani della valle di Susa, ben prima della riforma Fornero, o delle recenti “rivelazioni” di Geithner sul “golpe dello spread”. La Merkel, Draghi, la “dittatura bancaria” dell’euro, la privatizzazione globale. E poi il Ttip, le torture inflitte alla Grecia, la teologia disonesta dell’austerity, la fine del welfare europeo. Ormai il capolinea lo vedono tutti: l’abisso precario della disoccupazione, la sparizione del futuro. Loro, i valsusini, l’hanno avvistato in anticipo. Se c’è una parola che può riassumerli tutti, probabilmente questa parola è “democrazia”. Se ne avverte la dolorosa assenza, la nostalgia. «Se qualcuno mi parla ancora di Tav», scrisse GaglianoneGiorgio Bocca all’indomani dell’insurrezione popolare della valle del 2005, «tiro fuori il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo seppellito nel ‘45».

Vedeva lungo, il giornalista-partigiano. E oggi, la causa NoTav vanta autorevolissimi sostenitori, nel mondo culturale italiano: ormai le istanze democratiche della popolazione hanno trovato piena cittadinanza, nell’Italia tramortita dalla cosiddetta crisi. Malgrado il costante depistaggio dalla disinformazione “mainstream”, ognuno percepisce la minaccia concreta di un declino che pare inesorabile. Finalmente, con Gaglianone, protagonisti e testimoni della remota trincea valsusina ora affiorano in superficie, mostrando le loro voci e i loro volti, in una quotidianità che si sforza di restare ordinaria, benché terremotata dagli eventi. E’ un’umanità che si esprime con gesti semplici e rivela una natura mite, costretta a misurarsi con la violenza dell’imposizione, nel vuoto cosmico della politica. Anni fa, espressioni come “destra” e “sinistra” avevano ancora maschere rappresentative. Puro teatro, ormai, come sperimentato nella valle alpina che unisce Torino alla Francia. Dove però la grande calamità collettiva ha cementato una comunità plurale, di italiani che resistono e sperano. E che, nel film di Gaglianone, parlano una lingua immediatamente riconoscibile e universale.

Dopo l’uso in guerra ora i droni a disposizione di Polizia e Carabinieri

Un accordo firmato fra Areonautica Militare, Polizia e Carabinieri permetterà l’uso degli APR per il controllo di cortei, manifestazioni e territori.

di Leonardo Capella

Dai teatri di guerra all’uso in patria dei velivoli a controllo remoto (APR) Predator (nelle versioni A e B) del 32° Stormo dell’Areonautica Militare di stanza a Amendola (FG). Questo il contenuto dell’accordo firmato a Roma martedì 26 novembre fra il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, Generale  Pasquale Preziosa,  il Capo della Polizia Prefetto Alessandro Pansa e il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale di Corpo d’Armata Leonardo Gallitelli.

AMF3715

Il Generale Preziosa ha così commentato: «l’esperienza maturata in anni di utilizzo nei vari teatri operativi all’estero, ci ha consentito di acquisire un know how che ora torna utile anche per altri scopi. La tecnologia esce dagli hangar e si mette al servizio delle forze di polizia».

I Predator vengono impiegati dall’Areonautica Militare per l’effettuazione di missioni di ricerca, sia puntiforme che d’area, grazie all’impiego di avanzati sistemi di scoperta elettro-ottici ed infrarosso, diurno e notturno, radar per l’individuazione di obiettivi di superficie. I Predator hanno un raggio di azione che supera i 900 km e un autonomia di volo di 24 ore. Sono in grado di trasmettere informazioni in tempo reale e tra queste anche i filmati (capacità Near Real Time e Full Motion Video).

Non è la prima volta che i Predator vengono utilizzati sul suolo italiano, vennero usati durante  il vertice intergovernativo Russia–Italia, tenutosi a Bari nel marzo 2007 e anche durante il G8 dell’Aquila del 2009.

Dopo questo accordo il controllo su cosa faranno nello specifico i droni e quando verranno utilizzati sarà nelle mani della polizia e dei carabinieri.

Non è difficile immaginare che questi APR verranno utilizzati per la sorveglianza di manifestazioni e cortei, come potrebbero essere quelli del movimento No Tav, ma anche per sorvegliare intere aree, magari proprio il cantiere “la Maddalena” di Chiomonte.

Potremmo immaginarli mentre sorvolano la piana di Susa durante l’installazione dei cantieri della Torino-Lione o magari aggirarsi come un falco fra le pendici che circondano la Val Clarea.

L.C. 29.11.14
 

PREDATOR SULLE CITTA’ ITALIANE PER CONTROLLARE LA POPOLAZIONE

di Gianni Lannes – Dalla prossima settimana saranno a disposizione di Polizia di Stato e Carabinieri i velivoli Predator (aerei senza pilota costruiti dall’Alenia),
impiegati per il controllo dall’alto del cosiddetto ordine pubblico, in base a un accordo appena siglato con l’Aeronautica militare tricolore. Ecco come spiare, a norma di legge (si fa per dire!) al meglio l’intimità degli italiani, già vessati da un livello di tassazione che non ha eguali nel mondo.
 
DSC_6326
_AMF3691
_AMF3678
Osservate con attenzione gli affreschi alle spalle dei firmatari in divisa e doppiopetto istituzionale, mentre siglano il protocollo di intesa. Sono per caso scie biancastre: di condensa o chimiche? Avete mai sentito nominare Eurogendfor? Dimenticatevi una volta per tutte i diritti civili.
 
riferimenti:
 
 
 

Gangster al governo, brogli d’oro per salvare il dollaro

Scritto il 01/12/14
Truccano il prezzo dell’oro, giocando al ribasso e colpendo l’economia e i risparmiatori, solo per proteggere il dollaro, cioè la grande speculazione finanziaria. Peggio ancora: controllati e controllori sono le stesse persone. In un sistema sano, dovrebbero finire in galera. Lo affermano Paul Craig Roberts e Dave Kranzler: la finanza americana è un colossale imbroglio, scrivono, e cospira contro l’economia reale, a cominciare da quella degli Stati Uniti, aziende e famiglie. Sono accusa i “bankster” delle famigerate “bullion bank”, soprattutto Jp Morgan, Hsbc, ScotiaMocatta, Barclays, Ubs e Deutsche Bank: «Agendo probabilmente per conto della Federal Reserve, hanno sistematicamente spinto al ribasso il prezzo dell’oro», dal settembre del 2011. «Tenere basso il prezzo dell’oro serve a proteggere il dollaro Usa da una esplosione incontrollata dell’aumento del valore del dollaro e dei debiti in dollari». Certo, la domanda di oro continua a salire. Ma il prezzo viene tenuto basso col trucco dei “futures”: il prezzo dell’oro non è determinato dal mercato fisico, ma dalle scommesse speculative sul prezzo che si vuole stabilire.

«Praticamente tutte le scommesse effettuate sul mercato dei “futures” sono pagate in contanti, in moneta e non in oro», spiegano Craig Roberts e Krnzler. Così, «il pagamento in contanti dei contratti serve a spostare dal mercato fisico al mercato Paul Craig Roberts e la Casa Bianca il luogo in cui si determina il prezzo dell’oro». E’ il terreno perfetto per manipolazioni d’ogni genere. L’ultima macchinazione orchestrata? E’ legata alla Fed, per esempio, che ha deciso di far salire il picco del tasso di cambio del dollaro dopo aver annunciato la fine del “quantitative easing”. Appena la banca centrale Usa ha dichiarato che avrebbe smesso di stampare dollari per sostenere il prezzo delle obbligazioni, ha dato mandato alle banche di far scendere il prezzo dell’oro con nuove vendite “naked”, cioè “allo scoperto”. Funziona così: enormi quantità di contratti a termine “scoperti”, cioè solo di carta, vengono stampati per essere buttati, tutti in una volta, sul mercato dei “futures” nei momenti in cui il mercato tende a salire. «Aumentando l’offerta di “oro di carta”, le vendite di enormi quantità  servono a far scendere il prezzo dei “futures”, ed è il prezzo del “future” che determina il prezzo a cui le quantità fisiche dei lingotti possono essere acquistate».

Stesso schema in Giappone, dove il prezzo dell’oro – su pressione di Washington – è stato fatto crollare per compensare l’effetto del nuovo massiccio programma di “Qe”. Obiettivo: impedire che l’oro si valorizzasse come bene-rifugio, a scapito della speculazione finanziaria. «L’annuncio del Giappone di voler creare moneta all’infinito avrebbe dovuto provocare un rialzo del prezzo dell’oro. Quindi, per evitare questa prevedibile risalita, alle 3 di notte – ora occidentale – mentre era in corso un intenso scambio di “futures” dell’oro, il mercato dei “futures” elettronico (Globex) è stato investito da una improvvisa vendita di 25 tonnellate di contratti Comex di “oro di carta”, allo scoperto, facendo scendere immediatamente il prezzo dell’oro a 20 dollari. «Nessun venditore onesto avrebbe buttato via il proprio capitale con una vendita di quel genere, in quel modo». Il prezzo dell’oro si è stabilizzato con un lieve rialzo, ma alle 8 del mattino – ora della costa orientale Usa – 20 minuti prima della apertura del New York Futures Market (Comex), sono state messe in vendita altre 38 tonnellate di oro in “futures di carta allo scoperto”, sempre per far scendere il prezzo del lingotto. «Anche in questo caso, nessun investitore onesto si sarebbe liberato di una quantità tanto enorme di suoi beni personali, cancellando così improvvisamente la sua propria ricchezza».

Il fatto che il prezzo dell’oro sia determinato in un mercato di carta – in cui non c’è nessun limite di quantità nel creare la carta su cui scrivere i contratti – produce lo strano risultato che la domanda di lingotti di oro fisico si trovi in un mondo fuori dal tempo, senza rapporti con la produzione reale, e quindi il prezzo può continuare a scendere, annotano Craig Roberts e Kranzler. «La domanda asiatica è pesante, in particolare quella dalla Cina, e le aquile d’argento e d’oro stanno volando via dagli scaffali della zecca degli Stati Uniti in quantità da record. Le scorte dei lingotti si stanno esaurendo, ma i prezzi dell’oro e dell’argento continuano a scendere giorno dopo giorno». Spiegazione: «Il prezzo del lingotto non è determinato in un mercato reale, ma in un mercato truccato, fatto solo di carta,  in cui non c’è nessun limite alla quantità e alla possibilità di creare “oro di carta”». Cinesi, russi e indiani «sono ben lieti che autorità americane corrotte, con questo sistema, rendano loro possibile acquistare sempre maggiori quantità di oro a prezzi sempre più bassi». Infatti, «un mercato truccato è proprio quello che ci vuole per gli acquirenti di lingotti, così come è proprio quello che ci vuole per le autorità Usa che si sono impegnate a proteggere il dollaro da un aumento del prezzo dell’oro».

Certo, «una persona onesta potrebbe pensare che esista una incompatibilità tra una forte domanda per un bene che può essere fornito solo in quantità vincolata e un contemporaneo calo del suo prezzo». Il fenomeno è più che anomalo: «Una situazione del genere dovrebbe suscitare l’interesse degli economisti, dei media finanziari, delle autorità finanziarie e delle commissioni del Congresso». Tutto tace, invece. «Dove sono le class action delle compagnie delle miniere d’oro contro la Federal Reserve, e contro le banche che custodiscono i lingotti, e contro tutti quelli che stanno danneggiando gli interessi delle società minerarie con contratti di vendita “allo scoperto” a breve?». Sottolineano Craig Roberts e Kranzler: «La manipolazione dei mercati, soprattutto sulla base di informazioni privilegiate, è illegale e altamente immorale. La vendita allo scoperto – “naked” – sta causando danni agli interessi delle miniere. Una volta che il prezzo dell’oro sarà portato sotto i 200 dollari l’oncia, molte miniere diventeranno antieconomiche. Dovranno chiudere. I minatori diventeranno disoccupati. Gli azionisti perderanno soldi. Come si può continuare a mantenere un prezzo a questo livello, ovviamente truccato, e continuare a manipolarlo?».

La risposta, scrivono Craig Roberts e Kranzler, è che «il sistema politico e finanziario degli Stati Uniti è stato inghiottito da un sistema di corruzione e criminalità», nientemeno. «La politica della Federal Reserve di brogli sui prezzi delle obbligazioni e dell’oro per dare liquidità alla speculazione del mercato azionario ha danneggiato l’economia e decine di milioni di cittadini americani, solo per proteggere le quattro mega-banche dai loro errori e dai loro crimini». Attenzione: «Questo uso privato della politica pubblica non ha precedenti nella storia». E’ puro banditismo. «I responsabili devono essere arrestati e mandati sotto processo e dovrebbero contemporaneamente essere citati per danni». Il guaio è che, accanto alle mega-banche, sono implicate le stesse autorità Usa, che «pagano S&P per mantenere un valore artificiale del cambio del dollaro e per trovare la liquidità necessaria per sostenere i titoli azionari e obbligazionari, particolarmente quest’ultimo tanto artificiosamente alto che i risparmiatori ricevono dalle banche un interesse reale negativo sui loro risparmi investiti in obbligazioni». Tutto abusivo, perché il sistema finanziario è fuori dalla realtà dell’economia: «Quando le autorità non riusciranno più a tenere in piedi il castello di carte, il crollo del castello sarà completo».

«La costruzione di questo castello di carta – accusano Craig Roberts e Kranzler – è la prova della complicità degli economisti, dell’incompetenza dei mezzi finanziari e della corruzione delle autorità pubbliche e delle istituzioni private. I capi di una manciata di mega-banche responsabili di tutto questo problema sono le stesse persone che siedono al Tesoro degli Stati Uniti, alla Fed di New York e nelle agenzie che controllano la finanza degli Stati Uniti. Stanno usando il loro potere di controllo sulla politica pubblica per proteggersi e per proteggere le loro imprese dai loro stessi comportamenti insensati». Dettaglio: «Il prezzo di questa protezione è tutto sulle spalle dell’economia e degli americani che pagano le tasse, e il prezzo da pagare sta continuando a salire». Ok, l’America sarà anche la patria dell’economia, vista la quantità di Premi Nobel. Questo però non spiega «come gli economisti americani non abbiano notato che il prezzo dell’oro, dell’argento, delle azioni e delle obbligazioni emesse negli Stati Uniti non abbiano nessun rapporto con la realtà economica del paese. L’incompatibilità tra mercati e realtà economica non disturba, comunque, né i politici né gli economisti, che fanno solo gli interessi del governo e dei gruppi di interesse loro alleati». Il risultato? «E’ un’economia ridotta a un castello di carte», gestita da personaggi che «dovrebbero stare in galera, anziché al governo».
http://www.libreidee.org/2014/12/gangster-al-governo-brogli-doro-per-salvare-il-dollaro/?utm_source=pulsenews&utm_medium=referral&utm_campaign=feed+%28LIBRE+-+associazione+di+idee%29#comment-18602

Vaccini antinfluenzali, 9 morti sospette di cui 2 a Roma, esplode ‘psicosi vaccino’

ah ecco..è psicosi..la gente non dovrebbe far caso alle morti per vaccino….
28 novembre 2014
 
Il direttore dell’Agenzia del farmaco, Luca Pani, l’avevo previsto: “Aumenteranno le segnalazioni. Ne stiamo già ricevendo diverse”, aveva detto all’Adnkronos Salute, puntando il dito sulla grande attenzione mediatica e sull’allarme
relativo al ‘caso vaccini’. E, puntualmente, dopo le morti sospette legate alla somministrazione del vaccino Fluad in Sicilia, Molise, Toscana e Puglia, è arrivato il caso di Como, in Lombardia, quello di Parma in Emilia e i due di Roma, nel Lazio, che fanno salire questo parziale bollettino a sei casi sospetti.
A confermare le segnalazioni è l’Aifa, che precisa come a Roma siano state segnalate le morti di un’anziana donna di 92 anni e di un uomo di 77 anni. A questo punto è ormai psicosi, tanto che alla stampa e alla stessa agenzia arrivano segnalazioni da tutta Italia di decessi presumibilmente collegati alla vaccinazione anche alla lontana. Morti che in ogni caso “vanno attentamente valutate”, per poter escludere o accertare un legame con i lotti già sotto osservazione.