VALSUSA: HASTA LA VICTORIA SIEMPRE! CUBA: HASTA LA VICTORIA SIEMPRE?

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MONDOCANE

LUNEDÌ 22 DICEMBRE 2014

Cortesia di Marco Scibona, senatore 5Stelle
“La storia della nostra specie e l’esperienza di ogni individuo sono colmi di prove che non è difficile uccidere una verità e che una bugia ben raccontata è immortale” (Mark Twain)
Così la Procura di Torino, impostata da Giancarlo Caselli come missile Hellfire contro i No Tav e tutta la Valsusa, salvo che contro la piovra criminale che ci pascola, passata sotto i denti da Caselli affilati di Paladino e Rinaudo che per i gli autori dell’incendio di un compressore, Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia, avevano mosso  l’accusa di terrorismo, chiesto oltre 9 anni e li avevano tenuti in carcere duro per un anno, che manco Carminati, si sono trovati una tranvata in faccia. E ne siamo tutti felicissimi, come gli irriducibili cittadini della Valle, campioni e modello di resistenza, non solo  localistica ma di sistema, in Italia e nel mondo.
Hanno invece preso 3 anni e mezzo e qui l’incazzatura supera il giubilo. Perché consacra una legalità  illegittima, d’emergenza, di parte, un diritto penale “del nemico”, che vorrà continuare a imperversare contro la Valsusa da intimidire e sottomettere, ridotta (come anche altre enclaves del diritto speciale, vedi Niscemi, Sardegna, Friuli, Vicenza) a laboratorio di una militarizzazione che mira a un assetto da imporre a tutto il paese. E altri tre, Lucio, Graziano e Francesco, restano detenuti in isolamento con le stesse accuse di terrorismo che perfino questa Cassazione aveva respinto. Il teorema dei forcaioli, graditi agli speculatori predatori della Valle, è stato incrinato, ma qui ogni oggetto in mano a manifestanti sotto occupazione militare, capace di graffiare un compressore, sporcare le scarpe a un alpino reduce dai fasti afghani, o  rischiarare la notte, diventa “arma di guerra”. E delitto di lesa maestà, dal singolo gendarme al Capo dello Stato connivente, diventa ogni mano o voce che si levi a contrastare l’ecocidio e sociocidio del proprio territorio. E’ grazie a questo stato di cose che la gioia di riavere presto i quattro compagni seviziati e avere visto digrignare i denti agli accusatori, non può occultare la consapevolezza che la guerra a bassa intensità di regime continua.
 I No Tav assolti dall’accusa di terrorismo
I No Tav, No Muos, No Triv, No Tap, No TTIP, No Poligoni, No Mose e tutti gli altri, dalle Alpi al Lilibeo e oltre, guardando alla Val di Susa e al suo quarto di secolo di resistenza vincente (il Tav ha iniziato a spegnersi a Roma e a Parigi, e solo grazie ai valligiani), traggono consolazione, incoraggiamento, rabbia, tenacia e visione da quanto è uscito il 17 dicembre dal Tribunale “Speciale” di Torino. Con un particolare grazie a Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia, a quelli che per i tribunali speciali ci stanno passando e quelli che ci passeranno, alla Valle che li ha sostenuti e li sosterrà con la lotta..
E ci offre un sorriso l’immediata risposta del regime, e dei suoi servizi di provocazione, alla disintegrazione dell’accusa di terrorismo ai No Tav, con il ritrovamento di bottiglie incendiarie sulla linea di alta velocità di Firenze. I due puntualissimi paginoni di Repubblica e degli altri giornali scandalistici, che si stracciano le vesti su Molotov e pronuncia della Corte d’Assisi torinese e s’inventano dichiarazioni anonime secondo cui l’assoluzione di Torino ora incoraggerebbe l’impunità di nuovi potenziali “terroristi”, integra la cosca di Stato addetta alle provocazioni. Questi patetici praticoni non sono che gli imbranati apprendisti dei signori di Piazza Fontana, dell’11 settembre e affini.
Patria o Muerte
Il commento grafico del vignettista Vauro è, in tutta la sarabanda dei festeggiamenti politici e mediatici per la “distensione” tra Cuba e Usa e il ritorno degli ultimi tre dei Cincos antiterroristi sequestrati negli Usa, è  l’uscita più squinternata. Colui che si definisce “l’Ur- comunista”, l’archetipo, è riuscito a celebrare l’evento con la boiata di una crasi tra il Che Guevara e Bergoglio: un tipo con la faccia e cotta del papa e con il basco e la barba del Che.  Del resto, quella che Cuba si sia liberata di un incubo e di una costrizione ottusa e inutile agli stessi Usa e che tutto ciò si debba ai meriti dei papi conciliatori, il polacco e l’equipollente argentino, è la vulgata narrata da ogni dove, a manca come a dritta. Un po’ più flebile è l’assicurazione che “Cuba proseguirà il cammino verso il socialismo”. Come lucidità e, forse inconsapevole chiaroveggenza, prevale su Vauro perfino il successore al “manifesto”, il solitamente ermetico Biani, con il suo omino con il sigaro che dice “Cuba ha tolto l’embargo agli Usa”….
Grandi pontefici, cioè costruttori di ponti! Quale, cavando dai caveau di Cia e mafia dobloni per costruire ponti tra banditi d’Occidente e Oriente, da Pinochet a Walesa, e smantellare quel poco o molto di giustizia sociale che c’era; quale, già fiorellino bianco delle pampas ammiccante tra i fiori neri carnivori della dittatura, lanciando appelli ai leader islamici che condannino il terrorismo, per costruire ponti tra noi tutti e chi il terrorismo lo produce e conduce. Ponti da farci correre sopra convogli di superstizioni, paure, illusioni, sottomissioni.  Grandi distruttori di ogni anelito teologico e sociale liberatorio delle loro chiese in America Latina, proprio mentre si facevano vedere accanto ai rivoluzionari cubani. Alla pari dei parenti coltelli delle sette evangeliche, che ho visto colmare moltitudini latinoamericane e cubane di risposte che nella rivoluzione non cercavano più.
 Mi ricordo, durante una visita a Cuba già qualche anno fa, le chiese nientemeno che dei Testimoni  di Jehova, le più controrivoluzionarie, zeppe di giovani e famigliole. In un incontro  con il leader dei Giovani Comunisti chiesi cosa cercassero quelle persone che la Rivoluzione non gli offriva e come mai il governo non ostacolasse quegli infiltrati Usa. Rispose piatto piatto: “A Cuba tutte le religioni sono rispettate”. Non potevano mancare ii peana dell’ultrà sionista Furio Colombo, compassionevole appassionato di Rom e migranti, ma non di palestinesi sminuzzati dai suoi, agli eccelsi Bergoglio e Obama, artefici di ogni fortuna del mondo. A quel punto, tra sette religiose e pontefici dilaganti, impoverimento e sconvolgimenti economici, ai Cubani erano restati l’amore per le loro sacre icone e, come forza cementificatrice della nazione, l’antimperialismo, la resistenza agli Stati Uniti. Sopravviverà alla frequentazione di milioni di turisti yankee con i dollaroni, al fast food, ai biscottini delle agenzie di cooperazione?
 Cambiare la data in 2014
E a Colombo vanno aggiunte le messe solenni celebrate a Raul Castro e a Obama in ben 10 paginoni di Repubblica, come da tutto il coro mediatico e politico della larghe intese. Dal che si potrebbe desumere chi abbia vinto e chi perso. Siamo tutti felicissimi che, in cambio della spia israelo-statunitense Alan Gross (definita dall’ormai obsoleta spia Yoani Sanchez onesto cittadino), che aveva portato alla comunità ebrea di Cuba strumenti per l’intelligence, gli Usa abbiano liberato dopo 15 anni di sevizie in carcere i patrioti antiterroristi cubani (definiti spie dalla Sanchez). Al netto del possibile sabotaggio della fine dell’embargo e di altri fatti distensivi da parte del Congresso a maggioranza repubblicana, auguriamo all’amato ed eroico popolo della rivoluzione che, qualunque siano gli sviluppi, possa uscire dall’insostenibile situazione di malessere che soffre da vari lustri, possa conservare le salvaguardie di istruzione, sanità, alimentazione e, soprattutto, patriottismo che fino ad oggi ha difeso al prezzo di tutto.
Un malessere, una povertà gravissima, determinata in buona parte dal bloqueo, seppure da tempo molto attenuato poiché. alla fin fine, erano rimasti solo gli Usa a imporlo, mentre crescevano gli scambi con l’America Latina, con Russia, Cina, India e perfino con paesi europei. Ma, come confermano alcuni tra i migliori esponenti del socialismo cubano e latinoamericano, malessere aggravato da una burocrazia ossificata, da una corruzione endemica, dai processi di liberalizzazione e privatizzazione che avevano allargato il varco tra tanti poverissimi e pochi privilegiati, specie quelli che ruotavano intorno al turismo e si avvalevano della moneta forte. Un malessere determinato da scelte economiche sbagliate e industriali inesistenti e che non avevano mai fatto superare la condizione di dipendenza dell’isola, anche in settori (industria di base, agricoltura, beni primari, utilenseria) che, come auspicava il Che, avrebbero dovuto essere sviluppati. A condizione che la divisone del lavoro imposta dall’URSS, non si fosse perpetuata anche dopo la fine del fornitore universale.
Prima di formulare ipotesi su cosa potrebbe accadere con le relazioni tra Cuba e Usa normalizzate, conviene, per capire il percorso, rifare al volo la cronistoria di quanto è successo – e di quanto abbia agevolato l’apertura di Obama, con dietro banche,  multinazionali, Pentagono e Cia – a partire dalla successione di Raul e dei suoi generali ottuagenari ai dirigenti giovani della seconda generazione post-rivoluzione del 1959. Rivado a quegli eventi con il rischio di essere additato dai “duri e puri”, quelli mummificati in una visione stereotipata e ormai arcaica dell’Isola, che è l’ultima cosa di cui i cubani hanno bisogno, come provocatore, infedele, revisionista e, peggio, infiltrato anticastrista. Pazienza. A me interessa essere solidale con il popolo cubano, o iracheno, o siriano, o vietnamita, e non necessariamente con le sue classi dirigenti. Che sono transeunti.
Mi era già successo quando, di ritorno dal Vietnam qualche anno fa, spiegai ai bravi compagni dell’Associazione Italia-Vietnam  che quel Vietnam, Giap o non Giap, non c’era più. Che erano arrivati gli americani con le multinazionali, le banche e i campi da golf, che erano ricomparse con violenza le classi, una estesa e deprivata, un’altra fiorita nel lusso dell’economia neoliberista. Di “comunista” rimaneva solo la denominazione del partito unico. E Cuba, ahinoi, da anni declama la sua identità di vedute con il modello di Hanoi (che manda i propri ufficiali a studiare nelle accademie militari Usa) e. giorni fa, i due governi, vietnamita e cubano, hanno potenziato le loro intese politiche ed economiche, ovviamente per “avanzare verso un socialismo moderno”. Il che non inficia minimamente il dato fondamentale che Cuba è stata per 66 anni il bastione dell’antimperialismo, di una via alternativa al capitalismo e il faro delle emancipazioni latinoamericane.
Le radici del percorso dei governo cubani affondano lontane, forse risalgono perfino ai tempi dei dissensi con Che Guevara. Ma la pianta è apparsa cresciuta quando, il 2 marzo del 2009, in un sol colpo, Raul ha decapitato la direzione politica del paese e del partito. 60 ministri e dirigenti sostituiti e poi scomparsi dai radar come detriti spiaggiati. Tra questi Felipe Perez Roque, già braccio destro di Fidel, poi eccezionale ministro degli esteri e dal popolo amatissimo e considerato il naturale successore del comandante. Insieme a lui, Carlos Lage, vicepresidente e, come Perez Roque, considerato un duro della rivoluzione. Il che non ha impedito che Fidel gli attribuisse oscuri maneggi economici e intese col nemico. Chi su queste sostituzioni, opportune o sbagliate che fossero, sta lavorando si vede bene ora. Per sei mesi al popolo della rivoluzione non è stato spiegato niente di questo colossale e traumatico evento. Poi si sono tirati fuori motivi tanto irrisori quanto infamanti. Durante un po’ di baldoria i reprobi avrebbero scherzato sulle condizioni psichiche di Fidel. Il che poteva forse significare decapitazione politica sotto Hitler, ma non nella società riscattata dalla rivoluzione socialista.
Alla rimozione forzata dei giovani postrivoluzionari, fidelisti più che chiunque altro, sono seguiti provvedimenti che difficilmente si sarebbero potuti interpretare come passi verso il socialismo. In Venezuela si procedeva con le nazionalizzazioni, con gli organismi di autodeterminazione (le Comuni), con lo smantellamento dei residui di neoliberismo, con la raccolta di paesi allo schieramento antimperialista. Così in Bolivia, Ecuador, Nicaragua, attirandosi le ire vieppiù violente, sul piano golpista, terroristico ed economico, degli Usa. A Cuba si rovesciava l’intero assetto nato dalla rivoluzione e difeso tenacemente per mezzo secolo e si privatizzava metà dell’economia, con mezzo milione di “statali” mandati a farsi imprenditori. E l’Avana si riempì di quelle bancarelle di biscotti, bibite e centrini fatti in casa che avevamo conosciuto nella desolazione delle metropoli centroamericane. L’altra metà restava allo Stato, in buona parte sotto controllo dei militari di Raul. Il superamento dell’inefficienza cronica dell’agricoltura di Stato veniva affidato a privati e a investitori stranieri. Ora, dopo gli ultimi episodi, l’agrobusiness statunitense sta affilando i denti.
Pur messi in guardia dal modello nostrano delle inversioni a U, PCI-PDS-DS-PD, vogliamo credere alle migliori intenzioni dei nuovi-vecchi dirigenti cubani. Qualcuno ha sottolineato il silenzio prolungato dell’ottantanovenne Fidel, interpretandolo vuoi come effetto di un’incapacitazione psicofisica, vuoi come dissenso. Cosa, quest’ultima, che mi convince se penso alla lucidità e acutezza con cui, negli anni dei rivolgimenti del fratello, Fidel si è espresso su questioni mondiali e contro le malefatte degli Usa.Tenderei invece verso la prima ipotesi se ricordo come Fidel abbia avallato la defenestrazione dei suoi più stretti collaboratori. In ogni caso, forse sta scritto nei manuali della Terza Via di Tony Blair, ma certamente non lo troverete in nessun testo di teoria e pratica rivoluzionaria, che privatizzare e sparrtire propositi economici con gli Usa significa procedere verso il socialismo. I miracoli sono sempre possibili, ma nel Vietnam non li ha fatti nessuno.
Nel mondo gli Stati Uniti sbranano un paese dopo l’altro, impestano il pianeta di terrorismo, si agitano sull’orlo di una guerra atomica mondiale. Sono  l’unica minaccia mondiale all’umanità. Giocoforza s’impone che si stringa un’alleanza con tutti quelli, Stati, popoli, cittadini, che gli si oppongono. Molti lo fanno, rischiando o perdendo l’esistenza. Per mesi nel 2014, dopo il fallito golpe del 2002, il tentativo di strangolare il Venezuela con la serrata padronale, gli attentati terroristici, i complotti contro la vita di Chavez (alla fine riusciti), gli Usa hanno fatto mettere il Venezuela a fuoco e sangue dai loro sussidiari del padronato. Per dire poco di un assedio costante, feroce, asfissiante, alimentato a livello internazionale da campagne di oscena diffamazione. Esattamente nei giorni delle “aperture” di Obama, lo stesso liquidatore dell’embargo ha imposto nuove pesanti sanzioni al Venezuela. Il Venezuela intimo amico e grande sostenitore dell’economia cubana.
Mentre a casa  loro praticano la più feroce violenza razzista e dal “Patriot Act” in poi costruiscono, tra repressione, assassini extragiudiziali autorizzati, forze di polizia equipaggiate e addestrate come Marines a Kandahar, campi di internamento per detenuti senza processo, droni di sorveglianza,  il più grande Stato di Polizia del mondo, come alleati, vassalli e sguatteri esteri hanno, tra Kiev e Riad, le più repressive tirannie del mondo.
In Honduras hanno cacciato un presidente renitente e hanno instaurato un regime del terrore e del narcotraffico, dove si muore (specie se giornalisti o attivisti dei diritti umani) più che in qualsiasi parte del mondo. Contro l’Argentina, che intende autodeterminarsi, hanno scatenato l’asfissia finanziaria. In Brasile si sono fatti scoprire scandalosi spioni delle stessa vita privata della presidente. In Ecuador gli è fallito un colpo di Stato della polizia. Dalla Bolivia, per stroncarne le mene, Evo ha dovuto cacciare diplomatici e sedicenti cooperanti. Nutrono le proprie banche con il narcotraffico di una Colombia in cui hanno installato 7 basi militari da cui controllare e destabilizzare il continente (o bombardare l’Ecuador). Il Messico è stato ridotto dal trattato NAFTA, equivalente del TTIP destinato al nostro disfacimento, a buco nero sociale, economico, ambientale, del pianeta, con i narcos al potere grazie alla cortesia dei governanti esecutori dei diktat yankee.
E tutto questo per imporre ovunque quelli che il “conciliatore” Obama ha chiamato gli interessi dei predatori Usa, che dovranno essere promossi ora anche a Cuba e ai quali l’embargo non ha prodotto alcun vantaggio. Già, ha detto proprio così: “gli interessi degli Stati Uniti” a cui l’embargo non è servito a nulla. Ora, dunque…. Sono questi interessi che dovranno essere soddisfatti dal nuovo stato di cose. Per vedere come sono difesi gli interessi degli Stati Uniti, basta riandare, alle dittature latinoamericane dell’Operazione Condor,  alle vecchie e nuove repubbliche delle banane, al genocidio nel Salvador e in Guatemala, all’occupazione e depredazione di Haiti e, se si vuole allungare lo sguardo, all’immane mattatoio allestito in Ucraina, Libia, Siria, Iraq, agli artigli del condor che si allungano su Iran, Russia, Cina, Africa, alle condizioni a cui ha ridotto buona parte dell’Europa la ricetta economico-politico-militare del padrino Usa.
Sui blocchi di partenza del Nord America e dell’Europa già stanno coloro che andranno a godere della fitness e della wellness offerte dagli stabilimenti del benessere che promettono di essere le nuove zone franche annunciate a Cuba. Sontuosi alberghi  delle grandi catene a 5 stelle, magari con qualche casinò della nostalgia, papponi del turismo sessuale, ma ora su scala industriale, hamburger e consolle, Hollywood a Varadero, banda larga e ascolto minuto per minuto, persona per persona, a cura della NSA. Monsanto, Coca Cola e Novartis. Se a Cuba devono arrivare, come prospettato, milioni di turisti americani e decine di migliaia di rimpatriati da Miami, cosa vuoi, tocca offrirgli un ambiente accogliente e famigliare. E la Cia, e le sue agenzie, NED, House of Freedom, USAID…? Hai voglia! Chi si lascerebbe sfuggire un tale mercato vergine, un tale paradiso di bellezze naturali, un tale presidio off-shore, una tale forza lavoro a basso prezzo?
Uno s’è già messo sulla buona strada. Con la motocicletta. Ernesto Guevara junior, figlio del Che, ha subito assorbito il soffio imprenditoriale che spira dal nuovo Zeitgeist.  Con l’agenzia turistica intitolata scaltramente al nome della motocicletta con cui il Che attraversò il Sud America, “La Poderosa”, il rampollo al passo con i nuovi tempi organizza tour su lussuose Harley Davidson tra l’Avana e Santa Clara per spendaccioni che per l’epica impresa possono spendere 5.800 dollari (non i pesos trasparenti del comune cittadino cubano) per 9 giorni di inebriamento rivoluzionario. Il Che, dall’alto della sua colonna, guarda oltre.
Quando Lambroso ha ragione.
Non si può essere certi di niente. E tutte le mie apprensioni potranno dissolversi al nuovo vento che contempererà aperture all’ex-nemico mortale, con la strenua difesa dei propri principi e assetti, come definiti dalle migliaia di caduti per la rivoluzione (3000 uccisi dal terrorismo Usa. Riparazioni in vista?). Che vada così, o, come molti temono, alla vietnamita, siamo stati con il popolo cubano quando si riconosceva nel suo regime. Lo saremo ancora di più, se tale riconoscimento dovesse venir meno.
TODOS SOMOS AMERIKKANOS
·         Dagli Usa giunge notizia che, caso più unico che raro, stavolta due neri hanno ucciso tre poliziotti. Potrebbero essere soddisfazioni, se non fosse che il fatto rischia di rovesciare nel suo contrario la collera antirazzista e contro la più feroce polizia del mondo, che ha acceso qualche luce in quel paese disastrato e violentato. Basta sentire il caporale di giornata di Obama, Giovanna Botteri, dagli schermi Rai. Il che suscita il sospetto di una provocazione. Poliziotti martiri che piangono gli eroici colleghi giustiziati e la nazione tutta che deve stringersi attorno ai custodi della sua sicurezza, scivolando via leggera dai fiumi di sangue di afroamericani decimati dai titolari di licenza di uccidere e diritto all’impunità. Roba seria, professionale. Questi, come Israele insegna, non ci mettono niente a sacrificare i loro, specie se è bassa forza pretoriana.
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Una volta di più, Svendola (vedi l’ottimo libro in basso, ottenibile dall’autore) si è confermato ruotino di scorta della carovana su cui ci fanno viaggiare verso il Paese dei Balocchi e dei ciuci. Non si è peritato, con una clamorosa uscita applaudita da Wall Street, Lockheed e Casa Rothschild, di nominare Prodi candidato alla presidenza della Repubblica. A parte le idiosincrasie epidermiche, quale Napolitano, JPMorgan, Goldman Sachs, Partito Unico Renzusconi, potrebbe non augurarsi sul Colle, a continuare a imperare contro la Costituzione e il suo popolo, il Grande Vecchio che ha inaugurato e gestito la stagione della disintegrazione dell’apparato produttivo nazionale, privatizzando, svendendo, disintegrando; che ha concorso, violentando un paese di pace, agli stermini bellici in mezzo mondo; che ha governato il degrado e la commercializzazione di scuola e sanità; che sguazza tra i banchetti degli eletti di Bilderberg? A proposito, la  “bomba” Svendola per Prodi è diventata sul “manifesto” due righe in fondo a un trafiletto sullo Svendola che sventra il PD.
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La nobilissima mamma di Ilaria Alpi, Luciana, un’amica,  indefessa combattente per la verità contro un regime di complici dell’assassinio di sua figlia, si è ritirata dal Premio Giornalistico “Ilaria Alpi”. Ha detto che, di fronte alla pervicace inerzia delle autorità deputate a stabilire le cause, circostanze e gli autori dell’assassinio a Mogadiscio di Alpi e Hrovatin, non vedeva alcun senso nel mantenere in piedi l’iniziativa, nata per sollecitare, denunciare, far conoscere, ma evolutasi nel segno della più vieta ritualità di regime. Ero stato inviato del TG3 in Somalia prima della mia collega al Tg3. Ilaria era giovane e alla sua prima esperienza e non condividevo la sua interpretazione della rivolta patriottica contro gli occupanti Nato come “estremismo integralista islamico”, né il suo silenzio sulle malefatte degli invasori. Ma il coraggio nell’andare a scoperchiare uno dei più infami crimini compiuti dai trafficanti italiani di armi e rifiuti tossici, ne ha fatto la legittima titolare di un premio dedicato ai giornalisti onesti. E chi è stato premiato? Christiane Amanpour (ferro di lancia bellico della CNN), Lucia Goracci, Maria Cuffaro, Amedeo Ricucci, Bernardo Valli, Toni Capuozzo, Corrado Formigli, Giovanna Botteri, Roberto Saviano, giornalisti siriani “perseguitati da Assad”. Gente che alla vittima dei nemici della verità, Ilaria, sta come l’avvoltoio alla colomba.
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 Bandiera messicana in faccia alla Nobel
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Sono state insignite del Nobel della Pace la pachistana Malala Yousafzai, che i Taliban veri hanno sempre negato di aver colpito e che la sua comunità ha respinto perché spia degli Usa, e Tawakkoi Karman, della Primavera Yemenita. Entrambe sono state festeggiate in tutto l’Occidente guerrafondaio e celebrate all’ONU, a Washington e in tour nelle capitali dell’emisfero. Entrambe si sono prodigate in espressioni di elogio per le democrazie occidentali e di anatema a chi ne sta fuori e contro. L’episodio più significativo è stato quando un giovane messicano ha fatto irruzione nella premiazione di Malala sventolando una bandiera del suo paese. A Malala chiedeva perché non denunciasse anche il massacro degli studenti messicani, vittime di un regime vassallo degli Usa. La ragazza ha risposto con il silenzio, allora e sempre. Todos somos amerikkkanos.
Pubblicato da alle ore 19:53

NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE

Martedi 22 dicembre 2014

di Luca Giunti

Remarque ha scritto un libro fondamentale per condannare la guerra e tutti i suoi orrori. Primo tra questi, la propaganda. Una classe di studenti neanche ventenni viene persuasa ad arruolarsi dai propri insegnanti e dalla pubblica esaltazione. Moriranno tutti, prendendo man mano coscienza delle vere ragioni di ogni guerra: interessi e potere.

Il romanzo e il suo titolo tornano in mente in questi giorni. La Torino-Lione mostra crepe sempre più larghe. I costi, i ritardi, le incertezze, l’inutilità e la vecchiaia dell’opera sono ormai evidenze riconosciute. Eppure una propaganda monocorde non smette di esaltarla come irreversibile, progressista, strategica. Una settimana fa la Corte d’Assise di Torino ha stabilito che quattro persone hanno danneggiato un macchinario ma non sono terroristi. Accidenti. La gente potrebbe pensare che le loro ragioni sono altre. Che sono sempre le stesse da un quarto di secolo. Il TAV è devastante per la salute e le finanze pubbliche, è superfluo e drogato, è giustificato soltanto da brame di potere e da interessi indicibili. Ogni nuovo cittadino che ne diventasse consapevole sfilerebbe un altro mattone dal muro sempre più traballante. Non si può permettere. Occorre rimediare, perbacco. Come?

Puntuale, il terrorismo sepolto dai giudici risorge negli “attentati” ai treni e nelle parole ministeriali. Centraline bruciate, molotov abbandonate, scritte apocrife. Pubblica condanna, preoccupazione per l’escalation, rimproveri ai cattivi maestri. Uffa. Il copione è vecchio ma è l’unico disponibile. E’ comodo, è pronto, è oliato, perché è stato rappresentato tante volte. Il Potere lo conosce benissimo. Da sempre usa paura e distrazione per nascondere la sua vera faccia. E, con i massmedia conniventi, sovente ci riesce. Quando poi la maschera cade, si affretta a condannare poche mele marce per coprire il marcio dell’intero sistema.

Allora, sia ben chiaro che non c’è nulla di nuovo sul fronte occidentale. La differenza con il romanzo è che la nostra coscienza si rafforza sempre più ma, contrariamente a Bäumer e Kat, siamo belli vivi. Non si può dire lo stesso per Lupi e Virano.

Spot del ministro Lupi al cantiere Tav di Chiomonte

Il ministro Maurizio Lupi, accompagnato dall’amministratore delegato di FS Michele Elia, ha visitato questa mattina, 22 dicembre, il cantiere Tav di Chiomonte “la Maddalena”.

di Leonardo Capella

Il ministro Maurizio Lupi, accompagnato dall’amministratore delegato di FS Michele Elia, havisitato questa mattina, 22 dicembre, il cantiere Tav di Chiomonte “la Maddalena”. Della delegazione facevano parte anche i senatori Marco Scibona e Stefano Esposito, l’immancabile arch. Virano e Osvaldo Napoli.

La visita si è sviluppata con una breva fase di vestizione e il successivo avvicinamento all’ingresso della galleria geognostica. Sopra l’imbocco, fuori dal cantiere, una delegazione del movimento No Tav ha accolto il gruppo di politici e giornalisti con fischi, slogan e qualche piccolo petardo.

La visita della galleria, che ha quasi toccato i 2000 metri, è avvenuta in gran parte stipati nei vagoncini dove il rumore e l’aria pesante fa da padrone. Il percorso dura parecchi minuti.

Arrivati sul fondo, un poco inaspettatamente, il Ministro inizia la conferenza stampa. Quasi nessuna novità di rilievo. Viene reiterata la convinzione del Ministro relativamente al reato di terrorismo per chi attacca, “con bombe”, lo Stato. Gran parte della conferenza stampa insiste su questo tema e viene sottolineato i “quasi 20 milioni di euro” spesi per proteggere il cantiere, soldi che a detta di Lupi  “potevano essere spesi per le famiglie in difficoltà”.

Il ministro Lupi accenna anche alla possibilità, ancora da esplorare e ad invarianza di costi, di una  partenza del tunnel di base dal cunicolo esplorativo di Chiomonte, così da superare i problemi legati alla cantierizzazione nella piana di Susa.

Un ultima nota di interesse è relativa all’indicazione data dal Ministro dell’inserimento nel prossimo accordo italo-francese di clausole relative ai controlli antimafia da adottare. Clausole che hanno accolto, a detta di Lupi, la disponibilità del Governo francese.

All’uscita, tutti in mensa con gli operai. Un immagine di tempi passati, dal sapore populista e di campagna elettorale.

Una visita che non ha aggiunto nulla a quello che già si era detto e già si era scritto. Ma che sicuramente ha aumentato i costi di quell’apparato che il Ministro ritiene imputabile al movimento No Tav.

Lupi - Scibona

Scibona - Elia

Scibona - Esposito

22dicembre2014-05

22dicembre2014-06

22dicembre2014-04

L.C. 22.12.14

LA CONFERENCE ANNUELLE DE VLADIMIR POUTINE / SUR LA RADIO IRANIENNE IRIB (22 DEC. 2014)

Les experts internationaux de EODE sur les médias …

EODE-TV & IRIB/

Avec EODE Press Office/ 2014 12 22/

EODE-TV - EXPERTS beaur IRIB conférence de Poutine (2014 12 22) FR

Interview de Fabrice BEAUR,

Administrateur de EODE Zone Russia-Caucasus :

 Analyse de la Conférence annuelle de Vladimir Poutine (Moscou, 18 décembre 2014) …

 Podcast audio sur le Website d’EODE-TV : https://vimeo.com/115191890

 Diffusé sur la Radio iranienne IRIB

Lundi 22 décembre 2014

 EODE-TV / EODE Press Office /

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EODE-TV sur Vimeo: https://vimeo.com/eodetv

OBAMA ET CUBA : RIEN DE BON A ATTENDRE ! / LUC MICHEL SUR ‘AFRIQUE MEDIA TV’

Le duplex de Bruxelles avec ‘Afrique Media TV’ de ce 21 décembre 2014

Filmé en direct par PCN-TV à Bruxelles

(images brutes, non montées)

 PCN-TV - AMTV LM obama et Cuba (2014 12 21) FR

OBAMA ET CUBA : POURQUOI IL N’Y A RIEN DE BON A ATTENDRE ?

 Luc MICHEL répond aux questions suivantes :

Vous n’êtes pas vous très enthousiaste, et c’est un euphémisme, sur le rapprochement Obama-Cuba ?

Derrière le plan Obama pour Cuba, y a-t-il d’autres motivations que le changement de régime ? Que peut nous en dire le géopoliticien que vous êtes ?

Et Obama lui même ? Joue-t-il une carte personnelle dans cette affaire ?

 Video intégrale sur : https://vimeo.com/115226826

 

Luc MICHEL sur AFRIQUE MEDIA TV

dimanche 21 décembre 2014 dans le ‘Débat panafricain’

avec Bachir Mohamed Ladan.

 PCN-SPO

 Illustration : la couverture de Libération (Paris) – « Russie No, Cuba Si » – dont parle Luc MICHEL dans son analyse. L’opération d’Obama sur Cuba est avant tout une opération anti-russe …

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 https://vimeo.com/pcntv

https://www.facebook.com/PCN.NCP.TV

LES BUSH, LA FLORIDE ET CUBA / LUC MICHEL SUR ‘AFRIQUE MEDIA TV’

Le duplex de Bruxelles avec ‘Afrique Media TV’ de ce 21 décembre 2014

Filmé en direct par PCN-TV à Bruxelles

(images brutes, non montées)

PCN-TV - AMTV LM les bush, la Floride, Cuba (2014 12 21) FR

LES BUSH, LA PRESIDENTIELLE AMERICAINE, LA FLORIDE ET CUBA

 Luc MICHEL répond aux questions suivantes :

Alors les Bush sont de retour ? Illustration d’une oligarchie américaine sans vergogne, dites-vous ?

D’où vient la fortune colossale des Bush ?

Venons en à la Floride ? Pourquoi joue-t-elle un si grand rôle à la fois dans la vie politique des USA et dans celle des Bush ?

Derrière des familles comme les Bush ou les Kennedy, y a t-il une oligarchie qui gouverne les USA et s’est accaparé la démocratie ?

 Video intégrale sur :  https://vimeo.com/115223022

 

Luc MICHEL sur AFRIQUE MEDIA TV

dimanche 21 décembre 2014 dans le ‘Débat panafricain’

avec Bachir Mohamed Ladan.

 PCN-SPO

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LE CLASSEMENT DES DIX GRANDES FIGURES (PERSONNES PHYSIQUES ET ORGANISMES) QUI ONT MARQUE LA VIE PANAFRICAINE AU COURS DE L’ANNEE 2014

EODE Zone Africa avec EODE Think Tank/

2014 12 22/

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EODE ZA - dix figures africaines 2014 (2014 12 22) FR

PREMIERE EDITION 2014

 Le classement ici présenté par le conseil d’experts de EODE, qui regroupe des experts de différents pays notamment de Belgique, du Cameroun, de France, du Liban, d’Iran, de Syrie, de Belgique, de Turquie, d’Allemagne, de Russie et du Royaume-Uni. Il est la somme d’un travail de recherche et d’observation qui a duré douze mois et qui prend aussi en compte les sondages et les enquêtes issus d’un échantillon de 1.000 africains issus des 54 pays que compte le continent africain et de la Diaspora africaine.

 Il s’inscrit en droite ligne dans la vision d’EODE, qui se veut non-alignée, impartiale et objective dans l’appréciation des données que notre Ong a récoltée tout au long de l’année 2014 et qui consacrent des personnes, des personnalités et des organismes qui ont animé la vie publique, politique, culturelle et scientifique panafricaine.

 Les raisons qui justifient le classement d’EODE au cours de cette première édition tiennent compte d’un ensemble d’indicateurs.

 Les grandes figures (personnes physiques et organismes) qui ont marqué la vie publique panafricaine en Afrique au cours de l’année 2014 auront, de par leur charisme, leur dynamisme et leur opiniâtreté défendu les intérêts de l’Afrique, de leur peuple et/ou de leur pays sans économiser sur leurs efforts. 

 Ils ont entre autres :

 – développé et encouragé une vision nouvelle pour l’Afrique en s’appuyant sur les lignes idéologiques qu’ont incarnées en leur temps les grandes figures de la libération du Continent noir.

– participé de façon énergique à la renaissance de l’Afrique en s’inspirant des thèses du Panafricanisme défendues par les leaders historiques et légendaires que sont Kwame N’Krumah, Patrice Emery Lumumba, Thomas Sankara, Mouammar al-Kadhafi.

– symbolisé la lutte populaire africaine, ce que les masses populaires recherchent dans la défense de leurs intérêts.

–  sauvé l’honneur de l’Afrique contre la prédation impérialiste, l’imposture de la mondialisation des cultures, la globalisation des économies.

– dénoncé et critiqué les kollabos africains qui militent en faveur d’une Afrique assujettie aux forces étrangères impérialistes.

– appelé à une africanisation de l’Afrique derrière les principes d’une indépendance des économies africaines vis-à-vis des pays occidentaux, une africanisation de la vie sociale, politique et militaire.   

 LE CLASSEMENT EODE DES DIX FIGURES AFRICAINES DE 2014

 Il s’agit de :

 1) TEODORO OBIANG NGUEMA MBASOGO,

Président en exercice de la République de Guinée Equatoriale.

Né le 5 juin 1942 à Acoacán (Guinée Equatoriale)      

Action : activer le développement socio-infrastructurel de son pays ; renforcer l’éducation nationale ; renforcer la communication panafricaine à travers la mise en place du « Conseil Africain des Media » ; activer le dialogue sociopolitique à travers une amnistie politique générale et généralisée, dialogue qui a inclus tous les opposants politiques internes et à l’étranger ; revitaliser le panafricanisme qu’a incarné Mouammar al-Kadhafi de 1999 à 2011 ; sauver in-extremis l’Afrique d’un échec de la Coupe d’Afrique des Nations, édition 2015 suite au refus du Maroc pour cause de la pandémie de la fièvre Ebola qui sévit dans certains pays de l’Afrique de l’ouest.

 2) AFRIQUE MEDIA,

Chaine de télévision privée à connotation panafricaine.

Emet depuis le Cameroun et dans de nombreux pays en Afrique.

Chaine privée soutenue largement par les masses populaires africaines, notamment de l’Afrique francophone et de la Diaspora africaine.

Action : Eduquer et conscientiser les masses populaires africaines à prendre conscience des défis auxquels le continent africain est confronté : la TV a joué un rôle majeur et prépondérant dans les crises en République Centrafricaine en dénonçant avec véhémence le rôle trouble de la France derrière la Mission SANGARIS. Elle a aussi permis au Cameroun d’éviter de sombrer dans une guerre civile importée en RCA, sans compter ses nombreuses actions en faveur de la renaissance du panafricanisme. Ses nombreuses actions visent à sensibiliser les politiques de rupture avec les bases militaires des puissances coloniales et néocoloniales en Afrique, le Franc des colonies françaises en Afrique ; la préservation des ressources naturelles et minières par les Africains. 

  3) ROBERT MUGABE,

Président en exercice de la République du Zimbabwe.

Né le 21 février 1924 en Rhodésie du Sud (Actuel Zimbabwe)

Action : père de la reforme agraire post-apartheid ; a reformé l’économie zimbabwéenne tout en maintenant son nationalisme et son refus catégorique du diktat extérieur ; lutte avec acharnement pour la famille traditionnelle et défend la cause africaine sur toutes les tribunes. Est un symbole vivant de l’héroïsme africain. 

 4) LAURENT GBAGBO,

Ex-Président de la République de Côte d’Ivoire,

Né le 31 mai 1945 à Gagnoa (Côte d’Ivoire)  

Déporté et illégalement détenu à la pseudo « Cour Pénale Internationale » à la Haye depuis le 29 novembre 2011.

Action : Martyr vivant de l’Afrique. Est maintenu prisonnier à la Haye pour son combat contre l’impérialisme. Incarne la lutte pour la libération du continent du joug du néocolonialisme.

 5) PROFESSEUR ANDRE BATIONO,

De nationalité burkinabè.

Président de « Action pour le Développement Intégré », une ONG.

Action : spécialiste en chimie, a reçu le prix Kwamé N’krumah en 2013, dans la catégorie sciences de la vie et de la terre, pour ses travaux de recherche dans le domaine de la chimie de la fertilité des sols ; « Prix international UNESCO – Guinée Equatoriale » pour la recherche en sciences de la vie ; a contribué à l’amélioration de l’agriculture en Afrique à travers sa recherche fondamentale dans la gestion de la fertilité des sols.

 6) PAUL BIYA,

Président en exercice de la République du Cameroun.

Né le 13 février 1933 à Mvomeka’a (Cameroun)

Action : incarne la sagesse africaine ; moins bavard, il est connu pour ses actions lentes mais à grands effets. Son mérite en 2014 reste la lutte contre le terrorisme importé du Nigeria, de la secte islamiste nommée Boko Haram (« L’école occidentale est un péché »). Il aurait ainsi évité des infiltrations terroristes des quatre coins de son pays, est et sud des forces rebelles centrafricaines (Antibalaka et Seleka), ouest et nord du Boko Haram. Même si on ne le dit pas assez, il a un grand penchant en faveur du panafricanisme. Il reste attentif à la mise en place au Cameroun du Fonds Monétaire Africain (FMA) qui servira de base pour la monnaie unique continentale. 

 7) YOWERI MUSEVENI,

Président en exercice de la République d’Ouganda.

Né en 1944  à Mbarara (Ouganda)

Action : militer pour la révolution culturelle africaine. Mène une guerre féroce pour la famille traditionnelle.

 8) ABDELAZIZ BOUTEFLIKA,

Président en exercice de la République Arabe d’Algérie.

Né le 2 mars 1937 à Oujda (ville frontalière Maroc – Alger).

Action : beaucoup d’actions sociales – développement des infrastructures socioculturelles ; grand acteur de l’équilibre national ; lutte acharnée contre le terrorisme dans le Sahara et sur ses rives orientales bordant la Libye en plein chaos étatique et sécuritaire.

 9) IDRISS DEBY ITNO,

Président en exercice de la République du Tchad.

Né en 1952 à Berdoba au Tchad. 

Action : a fait du Tchad un vaste chantier de construction d’infrastructures socioculturelles sur l’ensemble du territoire national; s’aligne de plus en plus sur des positions d’indépendance que défendent les nationalistes et panafricanistes africains ; milite pour que l’Afrique ait une seule voix qui soit portée exclusivement par l’Union Africaine.  

 10) BRETT BAILEY,

Metteur en scène sud-africain, un africain qui compose et réalise des opéras, souvent considérés comme une production culturelle uniquement occidentale.

Né en 1967 en Afrique du Sud.

Action : travaille sur le fait colonial, la mémoire, les questions identitaires, la responsabilité ; dénonce l’exploitation, jadis par le colonialisme, aujourd’hui par l’avidité capitaliste et des élites corrompues. Il rappelle « qu’on parle bien plus de la Syrie que de l’Est du Congo où il y eut pourtant beaucoup plus de viols, d’orphelins, de déplacés, de mutilés et de mort ». Son opéra Macbeth, inspiré de Shakespeare, a été un immense succès en UE, notamment à Bruxelles.

 EODE Press Office

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