No Tav, in 300 alla nuova camminata verso il cantiere di Chiomonte

L’iniziativa dopo la sentenza di qualche giorno fa. Le forze dell’ordine hanno impedito l’accesso alle reti  per evitare danneggiamenti

di FABIO TANZILLI

No Tav, in 300 alla nuova camminata verso il cantiere di Chiomonte

Circa 300 NoTav hanno percorso da Giaglione i sentieri lungo laVal Clarea per la camminata verso il cantiere della Maddalena. Le forze dell’ordine, in base a quanto stabilito dal prefetto, hanno però bloccato l’accesso alle reti, alcuni chilometri prima dell’arrivo, con i blocchi di Jersey e reti di ferro. Per questo motivo il corteo si è diviso in due: il gruppo dei più giovani ha scelto di salire lungo i sentieri nonostante il terreno scivoloso e la neve, mentre gli altri sono arrivati a ridosso della protezione messa dalla polizia.

Nominato al Quirinale Alberto Perino

Il nome del No Tav Alberto Perino ecceggia alla Camera dei Deputati pronunciato dalla Presidente Boldrini, una voce incerta che ha sbigottito e fermato l’aula, increduli, ma qualcuno ha votato e vuole Alberto Perino,  qualcuno vuole un No Tav a fare da saggio per questo paese.

Qui il momento in video

perino presi

 

GIAGLIONE. TAV: PROTESTA VAL SUSA, CORTEO CONTRO CONDANNE MAXIPROCESSO

http://12alle12.it/giaglione-tav-protesta-val-susa-corteo-contro-condanne-maxiprocesso-122737

IL SITO PIÙ VISITATO A NORD DI TORINO

 31 GEN 2015 


GIAGLIONE

Centinaia di No Tav, in maggioranza della Valle di Susa, si sono incamminati oggi dall’ abitato di Giaglione verso il cantiere di Chiomonte per una “passeggiata”. La manifestazione è in segno di protesta contro le 47 condanne pronunciate dal tribunale al termine del maxi processo ed è anche “un modo – viene spiegato – di dimostrare che la nostra lotta non si ferma”.
Uno dei due spezzoni del corteo è stato fermato poco oltre la metà del percorso da un dispositivo di betafence e recinzioni collocate sul sentiero. La prefettura, per l’occasione, ha diffuso un’ordinanza che vieta il passaggio su qualsiasi strada da Giaglione e da Chiomonte verso il cantiere. “E’ vergognoso e antidemocratico”, commenta Francesca Frediani, consigliere regionale del M5S, presente alla manifestazione. Il blocco del corteo No Tav diretto al cantiere della Torino-Lione, in Valle di Susa, è “una situazione non costituzionale”. Lo sostiene Alberto Perino, storico leader del movimento che si oppone alla nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità. “Si impedisce – aggiunge – anche ai proprietari dei terreni in prossimità dell’area di potervi accedere in modo prolungato e immotivato. E’ facile vincere – ha concluso – quando il croupier bara, il gioco è truccato e chi dovrebbe controllare il gioco è amico del banco”.

Bce e QE: dove andrà a finire quel denaro?

L’annuncio di Mario Draghi, contestato dalla Germania, che la Banca centrale europea, unitamente alle banche centrali dei rispettivi Paesi, acquisteranno una montagna di titoli pubblici per tenere bassi i tassi di interesse e gli spread, e teoricamente, per sostenere una ripresa economica, è stata seguita dalla vittoria di Tsipras alle elezioni greche. Due fatti che sono strettamente legati e sui quali si giocherà il futuro dell’Unione europea.

È chiaro infatti che tra i Paesi beneficiari dell’intervento diretto della Bce non potrà esserci la Grecia il cui debito pubblico si colloca tra una fascia del 175 e del 180% del Prodotto interno lordo e considerato che Tsipras nelle sue promesse elettorali ha già anticipato di non voler onorare in tutto o in parte. E soprattutto di voler rivedere completamente i termini del piano di austerità concordato dai governi precedenti con la Troika (Fondo monetario, Bce e Commissione europea).

Già la decisione del direttivo della Bce, presa a maggioranza, è stata contestata dal membro tedesco, Jens Weidmann, governatore della Bundesbank ed ex consigliere economico di Angela Merkel. I tedeschi fremono infatti di sdegno alla prospettiva che tali soldi possano andare a finanziare un Paese che più dell’Italia si è caratterizzato per la finanza allegra e che ha truccato i propri conti pubblici (con la complicità dei tecnici della Goldman Sachs!) per ottenere il via libera ad entrare nel sistema dell’euro. L’aspetto più significativo di questa svolta, che si può certo definire storica, è il fatto che la Bce, pur delegando il 90% degli interventi alle banche centrali, si affianca alla Federal Reserve americana come finanziatore primario del debito pubblico. La montagna di miliardi di dollari immessi nel sistema da Bernanke e dalla Yellen sono stati indicati come la premessa dell’inaspettato boom dell’economia americana che sta registrando tassi di crescita annuali sopra il 3%. Un boom a fronte del quale si sta registrando però un generale impoverimento della classe media. Guarda caso lo stesso fenomeno sociale che si sta avendo in Europa, vedi l’Italia, a dimostrazione che si è attuato, e continua ad aversi, un massiccio trasferimento di ricchezza a favore del mondo finanziario e dei suoi più forti soggetti.

È altresì chiaro infatti che chi, come le banche, si colloca all’interno del processo di creazione della moneta, finisce per esserne avvantaggiato. Soprattutto se si prende moneta a prestito dalle banche centrali quasi gratis e lo si presta poi ai privati a tassi di interesse 10 volte superiori. Ed ancora se la moneta, ricchezza virtuale, viene trasformata in ricchezza reale e palpabile. In tale ottica la Bce ha confermato il suo ruolo di tutela delle banche alle quali in precedenza (novembre 2011-marzo 2012) aveva versato ben 1.000 miliardi di euro al tasso di interesse dell’1%. Soldi che soltanto in minima parte andarono a finanziare l’economia reale ma vennero utilizzati per ricapitalizzare gli istituti attraverso l’acquisto di titoli di Stato. Gli stessi titoli di Stato che adesso la Bce vorrebbe acquistare con il fine dichiarato che questa montagna di liquidità si trasformi in prestiti agevolati per le imprese che potranno in tal modo investire nell’innovazione tecnologica e nella ristrutturazione produttiva.

Visti i precedenti è lecito dubitarne. La Commissione europea, da parte sua, continua a condividere questo approccio finanziario ed ha invitato Tsipras e il suo governo a mantenere gli impegni presi sulla politica di austerità e sul taglio del debito pubblico, infischiandosene altamente se un terzo della popolazione è ormai ridotta sotto il livello di povertà. Ci aspettiamo, ha dichiarato un portavoce di Bruxelles, il rispetto delle promesse fatte dalla Grecia nei confronti ai cittadini europei (quelli che avevano sottoscritto i titoli di Atene) e delle istituzioni. Il neo ministro delle Finanze ha sostenuto che la Grecia vuole restare nell’euro ma che non pagherà tutto il debito pubblico che ha accumulato. Il “marxista libertario” (sic) Yanis Varoufakis insegna economia in una università del Texas, il che la dice lunga su quali siano i suoi referenti internazionali. Del resto, lo stesso Tsipras è in ottimi rapporti con il noto speculatore George Soros. In precedenza Varoufakis era stato consigliere economico del governo socialista. Incarico da cui si dimise perché contrario alle misure di austerità. È meglio che falliamo, era la sua tesi, così scarichiamo l’onere della bancarotta sui piccoli risparmiatori e sulle banche. L’euro deve essere riformato, ha insistito invece nella sua prima conferenza stampa. Non è in grado di sostenere questa crisi finanziaria.

Resta da vedere se la nuova Grecia avrà i margini di manovra per imporre una svolta in tal senso sotto la minaccia di una sua bancarotta e di una conseguente uscita dall’euro che avrebbero conseguenze devastanti per tutta l’Unione.

Irene Sabeni

http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2015/1/30/bce-e-qe-dove-andra-a-finire-quel-denaro.html?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

1. “SPECCHIATO” E “SCHIENA DRITTA”, MA ANCHE IL CARO MATTARELLA TIENE FAMIGLIA. E SOPRATTUTTO UN FRATELLO CHE ERA IN AFFARI CON ENRICO NICOLETTI, BOSS DELLA MAGLIANA –

30 gen 2015 11:16

2. L’AVVOCATO ANTONINO, O EX AVVOCATO, VISTO CHE SECONDO ALCUNI DOCUMENTI SAREBBE STATO CANCELLATO DALL’ORDINE, HA AVUTO PIÙ VOLTE A CHE FARE CON LA GIUSTIZIA

3. TRA GLI ANNI ’80 E ‘90 SI INDEBITÒ PESANTEMENTE CON NICOLETTI, MA FU ANCHE CURATORE DEL SUO FALLIMENTO. FINO A ESSERE ACCUSATO DI AVER RICICLATO SOLDI SPORCHI INVESTENDOLI IN GROSSI ALBERGHI A CORTINA (FU ARCHIVIATO PER MANCANZA DI PROVE) –

4. IL FRATELLO PIERSANTI, POI VITTIMA DELLA MAFIA, FU COLUI CHE FECE ELEGGERE VITO CIANCIMINO SINDACO DI PALERMO. E IL PADRE, BERNARDO, SEMPRE NOTABILE DC SICILIANO, FU DENUNCIATO COME AMICO DEI MAFIOSI DA DANILO DOLCI E DALLA SINISTRA SICILIANA

1. LE OMBRE DEL PICCOLO SCALFARO – SAN SERGIO FINÌ NEI GUAI PER FINANZIAMENTO ILLECITO. E IL FRATELLO…

Tommaso Montesano per “Libero Quotidiano”

«Con la schiena dritta». Eccola la formula più usata, dai sostenitori della sua candidatura al Quirinale, per descrivere Sergio Mattarella. «Un politico per bene», twitta il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Un ex popolare con un rigore morale, a leggere i ritratti comparsi sui giornali, La Repubblica in primis, da fare invidia a Oscar Luigi Scalfaro.

Nelle biografie ufficiali e non, Sergio Mattarella risulta avere un solo fratello: Pier Santi, l’ex presidente della Regione Sicilia assassinato a Palermo da Cosa Nostra il 6 gennaio 1980. In realtà il candidato del centrosinistra al Quirinale di fratello ne ha anche un altro. Si chiama Antonino ed è balzato agli onori delle cronache alla fine degli anni Novanta nell’ambito di un’inchiesta della procura di Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione mafiosa.

Procedimento poi archiviato nel 1996 per mancanza di prove. Le cronache dell’epoca consentono di ricostruire la vicenda. Secondo l’allora sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Roma, Andrea De Gasperis, citato dal Giornale di Sicilia del 18 ottobre 1999, Antonino Mattarella, insieme al commercialista trapanese «Giuseppe Ruggirello, avrebbe convogliato nella perla del Cadore (Cortina d’Ampezzo, ndr) un’ingente massa di soldi sporchi, riconvertendo in multiproprietà alcuni grandi alberghi».

Tra gli indagati ci furono anche Enrico Nicoletti, il «cassiere» della banda della Magliana, Riccardo Lo Faro, legale rappresentante della «Cortina Sport», proprietaria di una delle strutture acquisite (l’hotel Mirage), e un imprenditore di Frosinone, Mario Chiappisi. Indagine chiusa per mancanza di prove sulla presunta provenienza illecita del denaro. A macchiare l’immagine di Sergio, invece, c’è la confessione di aver accettato, alla vigilia delle Politiche del 1992, un contributo elettorale di tre milioni di lire – sotto forma di buoni benzina – dall’imprenditore agrigentino Filippo Salamone, noto in Sicilia per essere vicino a Cosa Nostra.

Il padre di Pier Santi e Sergio, Bernardo, è stato pure lui in politica. Deputato per cinque legislature, oltre che uno dei leader della Dc siciliana nel Dopoguerra. Un ruolo di primo piano, alla guida della corrente morotea dell’isola, che emerge anche dalla relazione di minoranza che nel 1976 depositò in Parlamento l’allora deputato comunista Pio La Torre, assassinato a Palermo il 30 aprile 1982 per mano di Cosa Nostra. Dal nonno al nipote.

Il figlio di Sergio, Bernardo Giorgio, docente di Diritto amministrativo (all’università di Siena e alla Luiss di Roma), è capo dell’ufficio legislativo della Funzione pubblica al ministero della Pubblica amministrazione guidato da Marianna Madia. Quella Madia che è stata fidanzata con Giulio Napolitano, il figlio dell’ex presidente Giorgio. Forse è anche in nome di questi legami che ieri Napolitano senior ha fatto per la prima volta il suo ingresso nell’Aula di Montecitorio nella nuova veste di senatore a vita.

L’ex capo dello Stato non ha nascosto di tifare per l’elezione di Mattarella: «È persona di assoluta lealtà, correttezza, coerenza democratica, alta sensibilità costituzionale». Un endorsement in piena regola che testimonia l’attivismo di Napolitano per l’ascesa del giudice costituzionale – nominato alla Consulta dal Parlamento proprio sotto la sua presidenza – al Colle. «Io lo conosco bene, da quando era deputato», ripete il presidente emerito in Transatlantico prima di lasciare il Parlamento.

2. IL FRATELLO ANTONINO E QUEGLI AFFARI COL RAS DELLA MAGLIANA

Marco Lillo per “il Fatto Quotidiano”

Un fratello che chiedeva prestiti a Enrico Nicoletti: non è certo un punto a favore della candidatura di Sergio Mattarella la presenza in famiglia di un tipo come l’avvocato Antonino Mattarella, o forse sarebbe meglio dire ex avvocato perché, stando ad alcune pubblicazioni di una decina di ani fa, sarebbe stato cancellato dall’ordine professionale per i suoi traffici.

Le colpe dei fratelli non ricadono sui presidenti in pectore però è giusto conoscere a fondo la storia delle famiglie di provenienza quando si parla di capi di Stato. Sia nella luce, come nel caso del fratello Piersanti, nato nel 1935 e ucciso nel 1980 dalla mafia, sia nell’ombra, come nel caso di Antonino, nato nel 1937, terzo dopo Caterina (del 1934) e prima del piccolo Sergio, classe 1941.

Antonino Mattarella ha fatto affari con quello che è da molti chiamato “Il cassiere della Banda della Magliana” anche se in realtà quella definizione è imprecisa e sta stretta a don Enrico Nicoletti, una realtà criminale, come dimostra la sua condanna definitiva per associazione a delinquere a 3 anni e quella per usura a sei anni, autonoma e soprattutto di livello più alto.

Enrico Nicoletti era in grado di parlare con Giulio Andreotti, faceva affari enormi come la costruzione dell’università di Tor Vergata, si vantava di conoscere Aldo Moro, ha pagato parte del riscatto del sequestro dell’assessore campano dc Ciro Cirillo. Ora si scopre che ha prestato, 23 anni fa, 750 milioni di vecchie lire al fratello di un possibile presidente della Repubblica.

Il Tribunale di Roma nel provvedimento con il quale applica la misura di prevenzione del sequestro del patrimonio di Nicoletti nel 1995 si occupa dei rapporti tra l’avvocato Antonino Mattarella e Nicoletti. Nell’ordinanza scritta dal giudice estensore Guglielmo Muntoni, presidente Franco Testa, si descrive la storia di un palazzo in zona Prenestina comprato da Nicoletti, tramite una società nella quale non figurava, grazie anche alla transazione firmata con il curatore di un fallimento di un costruttore, Antonio Stirpe.

L’affare puzza, secondo i giudici, perché il curatore, Antonino Mattarella era indebitato con lo stesso Nicoletti. Il palazzo si trova in via Argentina Altobelli in zona Prenestina e ora è stato confiscato definitivamente dallo Stato. “Davvero allarmanti sono le vicende attraverso le quali il Nicoletti ha acquistato l’immobile in questione – scrivono i giudici – Nicoletti infatti ha rilevato l’immobile dalla società in pre-fallimento (fallimento dichiarato il 20 luglio 1984) dello Stirpe con atto 9 gennaio 1984; è riuscito ad evitare una azione revocatoria versando una cifra modestissima, lire 150 milioni, rispetto al valore del bene, al fallimento.

La transazione risulta essere stata effettuata tramite il curatore del fallimento Mattarella Antonino, legato al Nicoletti per gli enormi debiti contratti col proposto (dalla documentazione rinvenuta dalla Guardia di finanza di Velletri emerge che il Nicoletti disponeva di titoli emessi dal Mattarella, spesso per centinaia di milioni ciascuno)”.

La legge fallimentare cerca di evitare che i creditori di un imprenditore restino a bocca asciutta. Il curatore dovrebbe evitare che, prima della dichiarazione di fallimento, i beni prendano il volo a prezzo basso. Per questo esistono contro i furbi le cosiddette azioni revocatorie che riportano i beni portati via con questo trucco nel patrimonio del fallimento. Il curatore dovrebbe vigilare e invece, secondo i giudici, l’avvocato Antonino Mattarella aveva fatto un accordo con Nicoletti e il palazzo era finito nella società di don Enrico.

Per questo le carte erano state spedite in Procura ma, prosegue l’ordinanza del sequestro, “una volta che gli atti furono trasmessi dal Tribunale Civile alla Procura della Repubblica per il delitto di bancarotta si rileva che le indagini vennero affidate al Maresciallo P. che risulta tra i soggetti ai quali Nicoletti inviava generosi pacchi natalizi”.

Non era l’unica operazione realizzata dalla società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata, la Cofim, con Antonino Mattarella. “In data 23 aprile 1992 risulta il cambio a pronta cassa dell’assegno bancario di lire 200 milioni non trasferibile, tratto sulla Banca del Fucino all’ordine di Mario Chiappni”, che è l’uomo di fiducia di Nicoletti per l’attività di usura. “In data 28 aprile viene versato sul predetto c/c altro assegno di lire 200 milioni sulla Banca del Fucino, tratto questa volta all’odine della Cofim dallo stesso correntista del primo assegno: questo viene richiamato dalla società, a firma dell’Amministratore sig. Enrico Nico-letti. In data 30 aprile 1992 la Banca del Fucino comunica l’avvio al protesto del secondo assegno).”

L’assegno citato – concludono i giudici di Roma – risulta essere stato emesso dal Prof. Antonino Mattarella”.

I giudici riportano le conclusioni del rapporto degli ispettori della Cassa di Risparmio di Rieti, Cariri. “A tal proposito – scrive il Tribunale – viene esemplificativamente indicato il richiamo di un assegno di 550 milioni emesso sempre dal Prof. Mattarella. Si riporta qui di seguito per estratto quanto esposto dall’ispettorato Cariri: ‘In data 15 maggio 1992 (mentre era in corso la presente ispezione), è stato effettuato dalla Succursale il richiamo di un assegno di Lire 550 milioni, tratto sulla Banca del Fucino da Mattarella Antonio, versato in data 4 maggio sul c/c 12554 della Cofim (società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata, ndr).

Il richiamo è avvenuto previo versamento sul c/c della Cofim di altro assegno di pari importo tratto dallo stesso Mattarella, essendo il primo insoluto’. La Banca del Fucino ha regolarmente informato la nostra Succursale (il giorno 21 o 22) che anche il secondo assegno, regolato nella stanza di compensazione del 18 maggio, era stato avviato al protesto. (…).

L’assegno di 550.000.000 lire è tornato protestato il 4 giugno e, al termine dell’ispezione, è ancora sospeso in cassa per mancanza della necessaria disponibilità per il riaddebito sul conto della Cofim”. I rapporti tra Nicoletti e Antonino Mattarella risalivano ad almeno 3 anni prima. I giudici riportano un episodio: il 17 luglio del 1989 Nicoletti telefona al suo uomo di fiducia Mario Chiappini mentre sta nell’ufficio di un tal Di Pietro della Cariri. Chiappini prende il telefono e dice al suo boss “che aveva prelevato e fatto il versamento e che era tutto a posto. Doveva sentire solo Mattarella con il quale aveva un appuntamento”.

Massimo Bordin per “Il Foglio”

Nel settembre 1970 Vito Ciancimino divenne sindaco di Palermo. Durò pochissimo. Fu il segretario della Dc di allora, Arnaldo Forlani, a imporre da Roma le sue dimissioni. Del resto la maggioranza che lo aveva eletto fu molto risicata. Nella stessa Dc votarono contro gli andreottiani di Lima, la corrente di Alessi e qualche spirito libero, oltre a socialisti e comunisti. I neofascisti si divisero nel segreto dell’urna, a favore votarono repubblicani e socialdemocratici oltre ai Dc fanfaniani, guidati da Gioia, e morotei, guidati dal giovane Piersanti Mattarella che aveva proposto la candidatura di Ciancimino.

E fu proprio Piersanti Mattarella ad essere convocato a Roma da Forlani, segretario nazionale del partito e fanfaniano, eppure convinto che fosse meglio evitare un sindaco del genere. Ciancimino dovette dimettersi e Piersanti Mattarella fu, dieci anni dopo, un coraggioso presidente della regione che pagò con la vita il suo diniego alle pretese di Ciancimino e dei mafiosi.

Il fratello di Piersanti, Sergio, entrò in politica qualche anno dopo l’omicidio di suo fratello, chiamato da De Mita a rappresentare in Sicilia la svolta della Dc e il suo e emendarsi da un passato di contiguità con la mafia, rappresentato anche da Bernardo Mattarella, notabile Dc siciliano, padre di Piersanti, più volte denunciato come amico dei mafiosi da Danilo Dolci, e da tutta la sinistra, negli anni 50 e 60.

Oggi si vuole al Quirinale suo figlio Sergio, persona irreprensibile. Almeno si sappia che, incolpevolmente, rappresenta questa storia, familiare e politica. Molto più tragica e grave di un carrello dell’Ikea o di un processo per truffa.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/specchiato-schiena-dritta-ma-anche-caro-mattarella-tiene-93493.htm

Toh, Mattarella jr è consulente della Madia

Mica è un choosy

Il suo superstipendio da 125mila euro una mina sulla via del padre verso il Quirinale

Gian Maria De Francesco  – Ven, 16/01/2015 – 08:13

 Roma – Non piace ai grillini che lo considerano «un democristiano di lungo corso, in piena continuità col passato».

Non piace ai bookmaker come l’irlandese Paddy Power che lo banca a 11 contro i 7 di Veltroni. Ma c’è un motivo per il quale il giudice costituzionale nonché ex ministro ed esponente Dc-Ppi-Pd, Sergio Mattarella, potrebbe incontrare qualche difficoltà nella corsa al Quirinale. E non ci riferiamo alla decisione polemica di abbandonare il governo Andreotti nel 1990 in polemica antiberlusconiana con la legge Mammì: 25 anni sono un’era geologica al giorno d’oggi. Un episodio di cui non si ricorda quasi nessuno, forse nemmeno il Cavaliere.

C’è una questione parentale che potrebbe ostacolare l’irresistibile ascesa (in quanto gradito a renziani e minoranza Pd e non sgraditissimo al centrodestra) dell’inventore del Mattarellum. Il primogenito, Bernardo Giorgio, è infatti capo dell’ufficio legislativo del dipartimento della Funzione pubblica, cioè è un uomo di punta dello staff del ministro Maria Anna Madia. Lo rivela anche il compenso: 125mila euro annui lordi.

 Un caso? Certamente no. Bernardo Giorgio Mattarella (scriviamo il nome per esteso per evitare confusioni con il cugino omonimo, manager di Invitalia) è un superesperto di diritto amministrativo. Maturità classica con 60 sessantesimi e menzione dopo il liceo dai Padri Gesuiti del Gonzaga di Palermo, 110 e lode in Giurisprudenza nell’ateneo del capoluogo siciliano, ha seguito le orme paterne nell’ambito universitario (non in quello politico). Mattarella junior è infatti ordinario amministrativista all’Università di Siena, è condirettore del Master in management della Pa della Luiss di Roma e, prima di entrare nello staff della Madia, insegnava anche alla Scuola superiore della pubblica amministrazione (vero «parcheggio» dei superburocrati di Stato).

A Palazzo Vidoni, sede del dicastero, Mattarella è entrato praticamente giovincello. A 25 anni, nel 1993, il suo «mentore» universitario e allora ministro, Sabino Cassese (altro candidato per il Quirinale), lo volle nella commissione incaricato di redigere il Rapporto sulle condizioni della pa . Vi ritornò un quindicennio dopo con Renato Brunetta e da lì non si muoverà più, tranne il breve intermezzo del governo Letta per il quale seguirà Maria Chiara Carrozza come capo del legislativo al ministero dell’Università.

Pochi in Italia possono vantare un curriculum lungo 50 pagine fitto di pubblicazioni e relazioni ai convegni. Tuttavia proprio portare quel cognome gli ha creato attorno un clima di sospetto che potrebbe nuocere anche al padre. Anche se non si tratta del solito «raccomandato».

http://www.ilgiornale.it/news/politica/toh-mattarella-jr-consulente-madia-1083281.html

307 MORTI PER L’URANIO IMPOVERITO SULLA COSCIENZA: SAI COSA DICEVA MATTARELLA, ALL’EPOCA MINISTRO DELLA DIFESA? LEGGI QUI E RIFLETTI SE QUESTO CATAFALCO SIA DEGNO DI ESSERE IL “TUO” PRESIDENTE!

di Lorenzo Sani, inviato de Il Resto del Carlino (dalla sua pagina Facebook)

Ho avuto occasione di incontrare il candidato di Renzi al Quirinale, Sergio Mattarella, quando questi era ministro della Difesa del governo Amato. Chiedo scusa per la lunghezza del post, ma lo devo a tanti ragazzi che non potranno mai leggerlo. Lavoravo da qualche mese sulla vicenda dell’Uranio Impoverito e sull’impressionante numero di leucemie linfoblastiche acute e linfomi tra i nostri militari che erano o erano stati in missione nei Balcani, soprattutto in Bosnia, ma non solo.

Sergio Mattarella negò a più riprese il possibile nesso tra l’insorgere delle patologie e il servizio. Negò che la Nato avesse mai utilizzato proiettili all’uranio impoverito (DU, Depleted Uranium), tantomeno che questo fosse contenuto nei Tomahawk (missili) sparati in zona di guerra dalle navi Usa in Adriatico. Insomma, Mattarella, candidato di Renzi al Quirinale, negò su tutta la linea.

Negò pure ciò che era possibile reperire nei primi giorni di internet sugli stessi siti della Difesa Usa, che magnificava l’efficacia degli armamenti al DU e dettava, contestualmente, le precauzioni sanitarie da adottare in caso di bonifica: protocolli di sicurezza molto rigidi, che prevedevano l’utilizzo di tute, guanti e maschere protettive, per svolgere il lavoro che invece a mani nude e senza protezioni facevano i nostri soldiati. I quali, nel frattempo, continuavano ad ammalarsi e morire. Ero a Nuxis, in Sardegna, al funerale di caporal maggiore della Brigata Sassari Salvatore Vacca, riconosciuto poi come il primo morto di Uranio Impoverito, che aveva prestato servizio alla caserma Tito Barak di Sarajevo.

Ero il solo giornalista presente, il 9 settembre 1999. Tutta questa triste storia incominciò da quel funerale. Pensai che l’argomento DU dovesse interessare a un ministro della Difesa, dal momento che quei ragazzi in divisa oltre che “nostri” erano soprattutto suoi, ma evidentemente ero troppo ingenuo. Per i principali quotidiani e le televisioni il problema dell’Uranio Impoverito non esisteva e non ne avevano ancora parlato. Alle mie ripetute richieste di intervista Mattarella ha sempre risposto negativamente. Ricevetti anche strane minacce mentre stavo indagando per conto del mio giornale in Sardegna. I militari italiani, nel frattempo, continuavano ad ammalarsi.

Ricordo anche che il comando della Brigata Sassari, dopo la morte di Salvatore Vacca, convocò una conferenza stampa per smentire ciò che io non avevo ancora scritto: fu il cappellano della Brigata, al quale mi ero rivolto per sapere, in un incontro riservato, qualcosa di più su Salvatore e sul possibile nesso tra la malattia e la missione in Bosnia, che spiattellò tutto al comandante e cioè che un giornalista stava indagando sulla morte di un loro soldato, dovuta, forse, a quei proiettili. Smetita preventiva. Non mi è mai più capitato. Iniziai così a scrivere.

Dapprima da solo o quasi, poi qualcun altro incominciò a farlo, ricordo il Manifesto, Liberazione, la Nuova Sardegna, ma ancora poca roba. Per i big della stampa il problema non esisteva e lo scandalo DU non era ancora diventato un caso planetario. Il candidato di Renzi al Quirtinale, Sergio Mattarella, nel nome della trasparenza e della libera informazione, continuava a respingenere le mie richieste di intervista. Provai anche con uno dei suoi sottosegretari, Gianni Rivera, il popolare ex Golden Boy, non ancora eroe di “Ballando con le stelle”, che raggiunsi telefonicamente mentre questi stava dispuntando una partita al circolo del tennis. Non malignate: l’orario di lavoro di un giornalista non sempre coincide con quello di una persona normale. Mettiamola così. Rivera non sapeva neppure cosa fosse l’Uranio Impoverito.

Si arriva così al 27 gennaio 2001, giorno in cui decido di tendere un’imboscata al ministro Mattarella, che si trova ad Ascoli col presidente della commissione Difesa della Camera Valdo Spini per il giuramento del primo contingente di donne militari di truppa dell’Esercito italiano, lo stesso in cui qualche anno dopo si distinse l’istruttore Salvatore Parolisi (ma questa è un’altra storia). Avvicinai Mattarella nella ressa dei giornalisti e riuscii a porgli un paio di domande, alle quali, assai piccato, si rifiutò ancora una volta di rispondere.

O meglio, anche in quell’occasione negò qualsiasi nesso tra DU e i linfomi o le leucemie. Fantasie della stampa. Provai a insistere, ma lui mi respinse con toni e modi definitivi «Questa non è un’intervista» mi disse. «Io le interviste le concordo prima, poi voglio per iscritto le domande e infine leggere il testo del giornalista prima che questi lo dia alle stampe».

Tutte le volte che ho letto qualche sua intervista sui maggiori quotidiani, negli anni a venire, è ovvio che poi ho pensato male. Mattarella girò i tacchi se ne andò, così mi beccai anche il rimprovero dei colleghi perché avevo fatto scappare il ministro con domande “fuori tema”.

Raccontai questa scena nel mio pezzo che conclusi lasciando al lettore ampia facolta di scelta sul caso dell’Uranio Impoverito, che non era diventato un “caso” solo perché Striscia la Notizia non se ne era ancora occupata (l’Italia è questa). Insomma, scrissi, come volete la verità: liscia, gassata o Mattarella? E’ una domanda che ora pongo anche a chi ha avuto la pazienza di leggere tutto il post, del quale mi scuso ancora una volta per la lunghezza. Come deve essere la verità in questo Paese allo sbando: liscia, gassata o Mattarella?

(secondo l’Osservatorio Militare sono 307 i militari italiani morti e oltre 3.700 i malati: è la macabra contabilità della cosiddetta “Sindrome dei Balcani”. Il contingente italiano era di stanza nell’area più inquinata dai colpi sparati in Bosnia e Kossovo: 50 siti, per un totale di 17.237 proiettili, secondo fonti ufficiali Nato/Kfor. Non solo: la missione Nato in cui si parlava di armamenti al DU e dei 13 Tomahawk con testata al DU sparati dall’Adriatico, è stata presentata dall’ammiraglio Leighton Smith alla Base di Ponticelli, Napoli. Solo Mattarella non sapeva o diceva di non sapere).

http://www.grandecocomero.com/sani-mattarella-difesa-uranio-impoverito-leucemia-militari/

MATTARELLA, DEMOCRISTIANO D.O.C. CON UNO STIPENDIO DA 400MILA EURO SCROCCA CASA AGLI ITALIANI

LA STAMPA ASSERVITA STA GIA’ RIEMPIENDO LE PROPRIE PAGINE ED I PROPRI SITI INTERNET DI SANTIFICAZIONI INCREDIBILI DEL FUTURO (SIC) PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DELLE BANANE.

ATTUALMENTE E’ MEMBRO DELLA CORTE COSTITUZIONALE, ROBETTA DA 400MILA EURO L’ANNO DI STIPENDIO. E COSA SCOPRIAMO? CHE DA QUANDO E’ DIVENTATO VEDOVO, HA AFFITTATO LA SUA DIMORA ROMANA ED E’ ANDATO A VIVERE “A SCROCCO” NELLA FORESTERIA DELLA CONSULTA (COME DA DIRITTI ACQUISITI, OVVIAMENTE).

FORSE CON QUEL POCO STIPENDIO CHE SI RITROVA NON ERA IN GRADO DI POTERSI PERMETTERE UNA GOVERNANTE?

Dal palazzo della Consulta fino alla foresteria dei giudici della Corte Costituzionale, sono poche centinaia di metri. Una passeggiata che Sergio Mattarella fa tutti i giorni, forse deviando verso il Quirinale nei prossimi giorni. La vita del giudice palermitano, il più quotato al momento per la corsa alla presidenza della Repubblica, è racchiusa in questo piccolo triangolo di sampietrini e palazzi.

Già, perchè Mattarella vive alla foresteria dei Giudici, lautamente pagata dagli italiani, mentre il suo appartamento a Roma è in affitto.

“È sempre gentile, molto schivo e discreto”, dicono. Stesse parole degli ex inquilini dell’edificio in zona Barberini dove l’appartamento romano di Mattarella è ora abitato in affitto da una coppia che ha avuto un bambino da poco. “Ogni tanto chiacchieravamo delle questioni condominiali. Niente di più. È una persona che non si sbottona facilmente”.

Eh no, non si sbottona facilmente… neanche con 400mila e rotti euro di stipendio al mese, la casa ce la facciamo pagare (lautamente) dagli italiani.

http://adessobasta-blog.blogspot.it/2015/01/mattarella-democristiano-doc-con-uno.html?m=1

Legnago: 41enne tenta suicidio, «Le banche mi hanno rovinato». Ricoverato in Psichiatria

Dobbiamo considerarlo fortunato??? E’ così che lo stato “garantisce” un tetto e vitto ad un disperato italiano?

 30 gennaio 2015

«Sono senza lavoro, le banche mi hanno rovinato, ho una moglie e due bimbi piccoli da mantenere, non ce la faccio proprio più a vivere in queste condizioni». Era un grido di disperazione, inframezzato dall’intenzione di farla finita per sempre gettandosi nelle acque gelide del Bussé, quello rivolto, l’altro pomeriggio, alle pattuglie della polizia locale intervenute a soccorrerlo, da un 41enne legnaghese che ha tentato il suicidio a Vangadizza. E che, dopo una «trattativa» durata un’ora e mezza, in cui l’agente Domenico Mora e l’assistente Luca Zamperlin si sono improvvisati psicologi ed assistenti sociali, è stato convinto a desistere dal compiere un gesto estremo frutto di una drammatica situazione economica culminata nella depressione e in un’inevitabile fragilità psicologica.

Ancora pochi minuti e per l’ex autotrasportatore – che la scorsa primavera aveva patteggiato in tribunale a Verona una pena di otto mesi per stalking nei confronti del direttore dell’istituto di credito di cui è cliente, colpevole di non volergli concedere ulteriori finanziamenti per la sua attività – non ci sarebbe stato più nulla da fare. Fortuna ha voluto che una ragazza abbia avvisato la centrale dei vigili urbani dopo aver letto sul profilo Facebook dell’ex imprenditore un terribile annuncio: quello di togliersi la vita dopo l’ennesimo attacco contro le banche, diventate la sua ossessione. Così una pattuglia del distretto «Basso Adige» non ha perso tempo e, verso le 14, si è precipitata in via Mazzanta, all’altezza del sovrappasso della 434, trovando il 41enne, molto agitato, tremante ed in lacrime, sulla sponda del canale, aggrappato alla rete che lo separa dalla pista ciclabile, in procinto di buttarsi in acqua dopo aver abbandonato nelle vicinanze la bicicletta con cui era arrivato poco prima da casa. «State lontani, non avvicinatevi, lasciatemi morire», ha iniziato a ripetere come un disco rotto l’uomo senza smettere di lanciare bordate contro l’istituto di credito che, a suo dire, l’avrebbe ridotto sul lastrico per non averlo aiutato in un momento di crisi lavorativa». E mentre gli agenti, usando tutta la delicatezza e la cautela richieste in casi del genere, si avvicinavano progressivamente per impedirgli di lanciarsi in acqua, l’ex autotrasportatore ha chiesto di poter parlare con il direttore di un’altra filiale – collega di quello che l’aveva denunciato – che in passato gli aveva acceso il mutuo per costruirsi la casa in campagna e l’aveva seguito nella sua professione.

Di lì a poco anche il dirigente è piombato a Vangadizza e gli ha parlato con il cuore in mano, come un padre ad un figlio in difficoltà, assicurandogli che l’istituto di credito di cui è cliente non lo priverà dell’abitazione e gli garantirà il sostegno necessario. Parole rassicuranti che hanno calmato l’ex imprenditore raggiunto nel frattempo da altri cinque agenti e dal medico del Centro di salute mentale che lo segue proprio a causa del tunnel in cui è finito dopo aver dovuto rinunciare al suo camion. E quindi ad un reddito che fino a qualche anno fa gli permetteva di vivere serenamente. Il 41enne è stato quindi trasferito nel reparto di Psichiatria dell’ospedale cittadino.(…)

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Da Tsipras a Mattarella, standing ovation – Vuoti di memoria – Da Parigi a Buenos Aires e Sanaa

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MONDOCANE

VENERDÌ 30 GENNAIO 2015

 Kobane
 
“Quando si tratta di marciare / molti non sanno / che il nemico marcia in testa. / La voce che dà loro gli ordini / è la voce del nemico / e colui che parla del nemico / è il nemico stesso”. (Bertold Brecht)
La verità è che un miliardo di falsità raccontate un miliardo di volte da un miliardo di persone rimangono falsità”. (Travis Walton)
 
“Raul ha fatto bene, appoggio la soluzione negoziata e pacifica dei conflitti. Ma non mi fido degli Stati Uniti”.(Fidel Castro). Troppo poco troppo tardi.
 
Gioie e dolori
Kobané liberata, Mariupol vittima di strage False Flag per arrestare l’avanzata dei patrioti di Novarussija, garrota ai No Tav con la mostruosa condanna dei 47 compagni, Sinistra Radicale (?) vittoriosa in Grecia e subito inciucio con la Destra e la Nato, rinfrescante dipartita di un presidente della Repubblica colpevole di alto tradimento e arrivo di un successore correo (e qui, più che altro, “il modo ancor m’offende”, con questi ciarlatani che se la briscolano tra di loro di nascosto e ci sbattono in faccia il classico “Io so’ io e voi nun siete ‘n cazzo”). Il regime masso-mafioso ha dato il meglio di sé occultando con l’ammuina dei nomi, uno più scandaloso dell’altro, la scelta consacrata al Nazareno e ora rafforzata dagli scilipoti ex-M5S. I quali, così, hanno guadagnato un compenso che non solo consiste nel recupero dello stipendio ridotto dal Movimento, ma anche nella prospettiva di una lunga carriera di politici, piuttosto che di “cittadini”. Nel frattempo ci dovevano distrarre dalla violenza fatta alla Legge, alla democrazia, alla Costituzione, dando la stura alla fogna della Prima Repubblica: candidati al Colle, tutti ovviamente buoni, giacché tutti ricattabili. La rottura del patto del Nazareno era una recita dei berlusconidi. Rimane salda la profonda sintonia renzusconiana sotto l’ombrello della cupola mondialista.
Mamma, la DC s’è mangiata il PCI

La “sinistra”, invece, con il portabandiera “manifesto”, si unisce, con soddisfazione appena temperata rispetto all’esultanza per Tsipras, al gaudio a larghe intese per la scelta renzista del “democristiano perbene”, conseguenza della “rottura senz’ombra di dubbio”, neanche solo pro-tempore, del patto del Nazareno con il guitto mannaro delinquente. Consolidata la nuova  “sinistra radicale tsiprasiana” con Fassina, Civati, Vendola e le note teste d’uovo, sotto  l’occhio benevole del “democristiano perbene”, un virgulto ammuffito di De Mita, scongelato e servito in pasto a volponi e boccaloni. Che incidentalmente, oltre a essere patriarca di un clan famigliare che vanta fedine penali, marchiate mafia e Banda della Magliana, più di ogni famiglia siciliana, ci ha inflitto il “mattarellum”, figlio del referendum Segni, che affossava la proporzionale con il sistema maggioritario, prodromo dell’involuzione antidemocratica dal bipolarismo al bipartitismo e, infine, al monopartitismo, ora in versione renzusconiana. Da ministro della Difesa ha anche sostenuto in prima linea, con Germania, Usa e Wall Street, la distruzione della Jugoslavia del “dittatore” Milosevic, ha fatto rivoltare nella tomba centinaia di militari italiani uccisi dall’uranio, per aver negato ogni connessione  tra cancro e servizio nei Balcani e ha completato il viaggio verso la de-democratizzazione dello Stato, abolendo la Leva (esercito di tutti, poco propenso a guerre e repressione) e introducendo l’esercito dei professionisti ben pagati. Mercenari del potere da addestrare in funzione del soldo e della fregola bellica dell’Occidente. Davvero perbene. Tutti contenti di morire democristiani.

 Ora e sempre No Tav!
E, ancora, oltre lo squallore nazionale, i pirati nazisionisti colpiscono Iran e Hezbollah e i patrioti libanesi rendono pan per focaccia: la guerra si estende… A Kobane una resistenza di popolo con insegne della Comune di Parigi  e del Che, sconfigge i  mercenari dell’ISIS e solo la tracotante ignoranza dei giornalisti italiani può parlare di vittoria dei Peshmerga (che sono le milizie del Kurdistan iracheno colonizzato da Usa e Israele). Ce n’è di roba,.ma, prima, due parole sul terribile segno dei tempi che dà la sentenza di Torino, frutto dell’aria che tira e che, con il concorso di forcaioli come l’ex-procuratore Caselli e i PM suoi  discepoli, Paladino e Rinaudo, hanno trasformato la Valsusa nel laboratorio nazionale dell’extra-legalità, della repressione, dell’annientamento della sovranità  e autodeterminazione popolare, della dittatura. Insomma, in Valsusa deve nascere un piccolo Stato di Polizia. Per vedere che effetto che fa in giro….
I 143 anni di carcere e i 150mila euro di spese a parti civili, come i gassatori della Valle, devono   piegare e sbancare, non solo le persone che si sono erte a difesa del loro territorio, contro abusi, violenze, devastazioni, occupazione militare, ma anche tutti quelli nel paese per i quali la Valle è stata un’università  Poi ci sono gli altrettanto scandalosi 220mila euro inflitti ad Alberto Perino e altri per aver “danneggiato”  la LTF. Siano un avvertimento a chiunque in questo paese si preoccupa di obiettare all’avvelenamento da inceneritore, discarica, poligono, elettromagnetismo, trivelle a gogò, guerra, ma anche da giustizia, esclusione e repressione. In buona sostanza, non ci si azzardi a buttare sabbia negli ingranaggi del rullo compressore “Sblocca Italia”. Più che con la reclusione, con cui un popolo in lotta sa starci, vogliono strangolare la resistenza finanziariamente, riducendola sul lastrico, anzi, sotterrandocela. Occorre davvero, anche per riconoscimento di quanto la Valsusa ha dato all’antagonismo italiano e internazionale, una grande mobilitazione di militanti  e di massa che unisca tutte le aeree di sofferenza e di contrasto – Muos, Mose, Grandi Navi, servitù sarde e friulane, forze contro la devastazione sociale e ambientale in Puglia, Basilicata, Sicilia, ovunque – per sostenere, fino all’ultimo respiro di libertà, la lotta dei No Tav.
Una bella e valida proposta è stata quella del senatore Scibona (M5S) di nominare Alberto Perino, icona nazionale della battaglia No Tav, candidato alla Presidenza della Repubblica. Quanto a Erri De Luca, stiamo appassionatamente al suo fianco nel processo per un reato d’opinione trasformato da piccoli Torquemada in istigazione a delinquere. Condividiamo la sua inconfutabile asserzione del diritto all’autodifesa di chi è minacciato nella comunità e nella persona. Su altri argomenti trovo De Luca sul lato opposto della barricata, ma i cartelli “Je suis Erri”, branditi in aula da un pubblico consapevole, hanno nobilmente ribaltato in autenticità il fariseismo e l’ottusità dei “Je suis Charlie”.
Scherzi della memoria
Siamo riemersi illesi dal “Giorno della memoria”. L’anti-storica rivendicazione dell’ “unicità” di quel crimine non ci ha distratto dall’attenzione sull’olocausto dei palestinesi, degli arabi, dei musulmani, dei balcanici, degli africani, dei relativi milioni inconfutabili, tuttora in atto e in crescendo.  Cosa che ci ha dato una nuova, sempre più estesa, misura dell’ipocrisia dei regimi, dei loro cantori e della strumentalità dell’evocazione delle povere vittime. Per quanto fossero 60mila o 6 milioni, per come fossero periti, per fame e tifo, o per esecuzioni programmate. Sono le due teorie degli storici alle quali entrambe spetta il diritto al rispetto. Anche nei tempi in cui storici non conformi vengono sbattuti in prigione e cacciati dalle cattedre, anche nei tempi in cui lo scrittore De Luca viene processato per aver manifestato un’idea, giusta e legittima e molto meglio di Charlie Hebdo.
Qualcuno ci spiegherà il sistematico vuoto di “memoria” sulla collaborazione tra organizzazioni ebraiche e governo nazista, prolungatasi dal 1933 al 1942, per promuovere il trasferimento degli ebrei in Palestina, o il fatto che i potenti e occhiuti alleati non abbiano mai bombardato le linee ferroviarie per bloccare il trasporto dei deportati, o anche quale fosse la responsabilità dei governi occidentali nel rifiutare l’immigrazione ebraica.  Ma qualcuno dovrà anche chiedere conto a Ovadia e Furio Colombo, due stelle del varietà mediatico ebraico, del loro strabismo nel deprecare l’abitudine umana ai genocidi. Poliziotto buono e poliziotto cattivo. Lo showman “ebreo di sinistra”, impegnato da sempre a glorificare, se non altro, l’eletta qualità della religione scaturita dalla bibbia, di cui ricorda l’invito ad accoglienza e convivenza e dimentica l’invito incessante alla guerra e alla decimazione dei “non eletti”, come portato al parossismo oggi, lamenta scarsa attenzione ad altri stermini, tipo Tutsi in Ruanda, Cambogia, armeni, filippini, manciuri…
Il giornalista, sionista ultrà, ma veneratore del Papa quanto Ovadia, pagato pegno con i soliti lamenti su Rom, migranti, svolto il compito di perenne colpevolizzatore di tedeschi e italiani passati, presenti e futuri, si risente, invece, del fatto che qualcuno abbia potuto mettere in coda alle celebrazioni dell’ “unicità”, anche un ricordino per i periti dell’elenco ovadiano. Curioso che nessuno, tra i tanti bagni di sangue dal duo elencati, abbia come autore diretto gli Usa o Israele: niente Gaza, niente nativi americani, niente cinesi, niente giapponesi di Hiroshima, niente civili tedeschi, niente iracheni, libici, siriani, somali, vietnamiti… Scherzi della memoria. E’ nell’arco delle ore che vanno dall’accensione della Menorah, per il “Giorno della memoria”, alla fine delle sue candele, che Israele ha colpito e ucciso, in Siria, un generale dei Pasdaran iraniano e sette alti dirigenti di Hezbollah, per poi reagire alla sacrosanta rappresaglia dei libanesi (Israele dice 2 soldati morti, altre fonti, 15 e una serie di veicoli), rovesciando proiettili e missili sulla popolazione del Sud Libano e sulle forze dell’ONU (un morto). Affetti da diabolico antisemitismo questi semiti arabi. Charlie Hebdo andava ancora spremuto.
 GRECIA: Il Carro di Fetonte
Pensavano di acchiappare il sol dell’avvenire (in parlamento) grazie a un augusto padrino , ma, come l’improvvido Fetonte, impegnato a dimostrarsi figlio di Apollo, prima hanno carbonizzato un po’ di cielo e un po’ di terra, poi sono precipitati. Nichi Vendola sostiene la candidatura a capo dello Stato di Sergio Mattarella, autentica speranza per la sinistra, a dispetto della zavorra di una famiglia tra le più tartassate dai codici della Sicilia. Per uno che amoreggiava con Don Verzè e Archinà dei Riva, ci sta. Ma che Tsipras a pugno chiuso, dopo aver ripetutamente garantitosi della Nato, nomini ministro della Difesa (della futura militarizzazione e delle guerre euro-atlantiche), un destro estremo come Panos Kammenos, trucido grassone impresentabile, capo dei “Greci Indipendent”i, formazione xenofoba, razzista, omofoba, può avergli procurato indulgenza, comprensione e perfino affetto da tutta la destra (non c’è che quella) europea. Ma avrebbe dovuto mettere un po’ di sordina al tripudio del “manifesto” e ai peana dei sinistrati: orgasmo vicario di chi non può che fare il guardone.
E, qui, un inciso. “Perché il padre di questa vittoria è solo il quarantenne Tsipras” sentenzia il “manifesto” . E no, cari “giornalisti comunisti”, un po’ conta anche marxianamente, la classe e, se concedete, il popolo. O vogliamo piegarci alle personalizzazioni che, a dispetto di tante vostre sbandate per la “persona della Provvidenza” (Hillary, Obama, D’Alema, Bertinotti, Cofferati, Ingroia, Vendola) deprecate per Renzi, Grillo, Berlusconi. Per tre anni ininterrottamente centinaia di migliaia, nel totale milioni, di greci hanno occupato le piazze e hanno combattuto, senza remore nonviolente,  la consorteria dei vendipatria e i suoi pretoriani, altro che “il solo quarantenne”. Ma le richieste, allora, andavano ben oltre gli attuali propositi e forse, se il 40% dei greci non ha votato, un problemino di fiducia c’è.
Commovente e patetiche, ad Atene, le centurie di militanti rivoluzionari con la cotta di chierichietti dell’italica “Brigata Kalimera”. Insopportabile quel Bella Ciao tuttofare che include titolari come i No Tav, o i kobaniani, assieme ad abusivi come Santoro, o i parlamentari soggiogati da Napolitano. Un’altra roba che ci hanno fregato e contaminato.
Intanto, man mano che si avvicinava a posizioni di responsabilità e pragmatismo, più volte ribadite, si ammorbidiva la già inflessibile lancia dell’oplite delle Termopili: niente più trattati da cancellare, solo l’austerity da attenuare e il debito da “rinegoziare” (come fosse dovuto a chi lo ha provocato). Poi, quella nomina alla Difesa, i ministri espressi dalla cosca degli intoccabili armatori, il governo di tutti maschi (il “manifesto”, all’ottavo brindisi, l’ha chiamato dream-team – “squadra da sogno” era troppo burino), alla faccia delle tante avanguardie femminili di una lotta vincente di 4 anni. Infine il giuramento che avrebbe mantenuto intonsa la spesa militare greca (Nato), che l’Euro, patibolo della Grecia, non sarebbe stato toccato. Eccoci a quell’Europa col rossetto e le calze a rete, trasformata da ruffiana in amante di rango, che qualcuno vagheggia e che verrà comunque decapitata, alla maniera degli apprendisti ISIS, all’atto del TTIP.
Ricordate gli strepiti alla notizia dell’alleanza tecnica al parlamento europeo tra Grillo e Farage, “fascistone maschilista e xenofobo”? Tutte le combriccole fatte apposta per tagliare le gambe ai Cinque Stelle hanno sparato riprovazione per settimane. Su questa combine, dove il pugno chiuso si puntella su una spranga antimigranti e sulla più alta spesa militare d’Europa in rapporto alla popolazione, “manifesto” e allegra brigata hanno sorvolato con grande chic. I due pesi e due misure non sono esclusiva di quegli altri. Ora si odono grida e sussurri sul proposito di fermare le privatizzazioni, di far mangiare i greci scarnificati dall’euro. Vedremo.
 
Tsipras: una sintesi di Spartaco, Marx, Lenin, Zapata
Addirittura, con l’ennesima cantonata di Tommaso De Francesco sull’iper-euforico “manifesto”,  si afferma che Atene rompe la necessaria unanimità UE, opponendosi ad “altre” sanzioni alla Russia (pur deprecando le cattive maniere di Putin) e, hai visto mai, un ministro della Difesa che occhieggia verso Mosca… Dai funambolismi di De Francesco sorge uno Tsipras condottiero anti-atlantico, partner di Putin per essersi pronunciato contro le sanzioni. Falso, mai detto. Si è limitato, con la Mogherini, a lamentare il metodo, che aveva escluso la Grecia dalla deliberazione. Trattasi del  giornalista, che, a suo tempo e ancora oggi, ha definito la difesa delle istituzioni serbe dall’assalto dei tagliagole UCK in Kosovo, “contropulizia etnica”. O, più recentemente, il pogrom pro-golpe allestito dagli Usa con gli ascari nazisti a Kiev, una “giusta protesta contro il corrotto Yanukovic…  per non farlo finire nelle mani di Putin”. Chi ricorda come Marinetti definiva individui del genere?

Ceteris paribus, non pare “la grande svolta”. Ma staremo e vedere augurandoci di sbagliare. Sapremo flagellare la nostra cecità politica.Intanto preoccupa questo delirio pro-Tsipras come condiviso, in “profonda sintonia”, tra gli uni e i loro supposti opposti. Con quel Vendola dall’onnicomprensivo, celestiale vuoto pneumatico del logo “Human Factor”.  Al ragazzotto di Terlizzi non pareva vero di poterlo scrivere in inglese. Poi c’è la sposa morganatica europea del baldo greco, Barbara Spinelli, tuttora lì, nella lista Tsipras, tuttora fiduciaria “a sinistra” dei padroni del mondo riuniti in Bilderberg. Alexis, non è un bel vedere, non ti pare? Dettaglio significativo, come avrebbe detto Maria Montessori, la presentazione del libro “Alexis Tsipras, la mia Sinistra” da fan come Vendola e Fassina, moderata dalla nota Lucia Goracci, che, invece, fan appassionata era in Rai dei mozzateste in Libia e Siria. Tout se tien.
 
Yemen e Argentina, tenaglia sull’Iran
 Nisman
Restano due situazioni incandescenti, non per nulla anch’esse innescate dalla miccia accesa con l’operazione di Parigi. Ricadute di False Flag che, con protervia complottista, insieme alle tante altre, si possono ritenere programmate (vedi nel prossimo post sulle salmerie anti-complottiste dell’armata sinistronza): Yemen e Argentina, due paesi su cui, agevolata dall’infuocato clima di solidarietà con ebrei e Israele, si sono abbattuti, con rinnovato vigore e accresciuto tasso di disinformazione, la “comunità internazionale” e i suoi uffici stampa mediatici
L’assalto all’Argentina della renitente Cristina Kirchner dura da tempo. Forze di polizia infiltrate e sobillate, categorie di grandi produttori agricoli sollecitate alla sedizione anti-tasse, strozzinaggio finanziario a favore di un pugno di avvoltoi Usa, decretato da un giudice di New York. E, ora, la questione del suicidio-omicidio del PM Alberto Nisman, peraltro protetto da 10 (dieci) guardie del corpo. Già anni fa era stata sepolta nel ridicolo investigativo l’accusa all’Iran di aver compiuto l’attentato di Buenos Aires al Centro Ebraico di Assistenza che, nel 1994, provocò la morte di quasi 100 persone. Un Iran a cui non si era mai potuto addebitare neanche una spettinatina di avversari all’estero. Le inchieste non condussero a nulla, ma gli attentati di Parigi sono stati l’occasione perché un magistrato irriducibile, Nisman, si precipitasse in anticipo dalle ferie e rivelasse l’esistenza di un dossier che dimostrerebbe la paternità di Tehran nella strage e la complicità di Cristina nell’insabbiamento delle prove, in cambio di cospicui vantaggi commerciali (petrolio). Grande clamore della stampa, quasi tutta in mano all’oligarchia agroindustriale.
Poi si scopre che l’inflessibile procuratore era condotto per mano dall’agente segreto Antonio Stiuso, collaboratore della dittatura, provato uomo della Cia e del Mossad, da poco silurato. Il suo dossier, che il giorno dopo Nisman avrebbe dovuto presentare in parlamento, si è rivelato un insieme di fuffa, alla Mitrokin per intenderci. Il giornalista, intimo di Nisman, che ne aveva scoperto il “suicidio” (peraltro con una pistola un po’ troppo lontana dal corpo), Damian Pachter, “temendo per l’incolumità”, se n’è fuggito in grembo a mamma Israele. Cristina scioglie i servizi segreti e parla di assassinio che puzza di golpe lontano un miglio. I suoi scambi commerciali con l’Iran sono di modesta entità. Formidabili, invece, come in tutta l’America Latina, e inaccettabili per gli Usa, quelli con la Cina.Il che non impedisce alle voci del padrone in tutto l’Occidente di rinnovare l’ostracismo e l’assedio all’Iran, come esemplificato dall’isterismo di Netaniahu. Con il beneficio collaterale di gettare l’ombra del mandante sulla presidente argentina che, guarda caso, aveva appena ottenuto la solidarietà della CELAC (organo di coordinamento latinoamericano che esclude gli Usa) alla sua rivendicazione sulle Malvine e ha rapporti sempre più stretti con la Bolivia di Morales, l’Ecuador di Correa e il Venezuela di Maduro. Complottino raffazzonato, ma quanto basta perché i grandi media agevolino un altro passo verso la guerra alle due entità statali coinvolte. Vessillifero italiota Furio Colombo, correligionario del duo Nisman-Pachter, puntualissimo all’appello, che, ripetute le panzane Mossad  contro la Kirchner, l’Iran e Hezbollah, ci aggiunge la sua personale fialetta di veleno ricordando che Pachter è fuggito proprio nel “Giorno della memoria”. Sdegno!
Lo Yemen, per averci vissuto, lo conosco bene. Popolo remoto nel tempo ed effervescente nell’oggi. Paese di genti gentili e fiere. Fine anni ’70, Ibrahim El Hamdi, un presidente onesto e nazionalista e l’Arabia Saudita wahabita, che da sempre considera lo Yemen un suo protettorato, che sobilla le popolazioni del Nord, pur trattandosi di sciti, in funzione antigovernativa. Segue colpo di Stato di El Ghashmi, un generale fellone, assassinio di El Hamdi, e poi la trentennale tirannia “democratica”  e “amerikana” di Ali Saleh. Nel 2012 una primavera yemenita, che unisce classi, clan, confessioni, indipendentisti del Sud eredi della Repubblica Popolare Socialista (forzatamente riunita al Nord nel 1992), spazza via il trentennale despota che aveva ridotto il già povero paese al lumicino. Ma, combinazione, spunta Al Qaida, che inizia a disorientare e dividere le masse. Chi resiste sono gli zaiditi sciti “Huthi” (da Hussein Badreddin Al Huthi,un capo ucciso nel 2004) riuniti nel movimento “Ansarollah”, patriottico e moderatamente islamico, che si oppone alla normalizzazione dettata dal duo Usa-Saudia. Una casa regnante, quella saudita, che, a discapito delle decapitazioni, amputazioni ai ladri e lapidazioni di donne che fanno un baffo all’ISIS, va puntellata ad ogni costo. Anche con l’immondo omaggio da parte delle Grandi democrazie al testè defunto socio capo-decapitatore Abdallah. Nel giro di pochi mesi del 2014 “Ansarollah” conquista la capitale e dilaga verso Sud e si prende i grandi porti a ovest, sul Mar Rosso. E potenziano lo scontro con il regime, dove ora è stato insediato il nuovo fantoccio dell’imperialismo ,Mansur Al Hadi, succedaneo di Ali Saleh.
L’esercito, in gran parte di sciti (il 30% della popolazione), si decompone e, contro la rivolta popolare, gli vien fatto subentrare Al Qaida. Gli Usa sono presenti da tre anni con i soliti “istruttori”. I droni della Cia, con i  loro missili Hellfire, si avventano sul paese e fanno fuori famiglie, prevalentemente scite, definite “terroristi” di Al Qaida nella Penisola Arabica. L’obiettivo finale per lo Yemen: una nuova Somalia. Caos creativo.
I rapporti degli insorti col nuovo presidente sono alterni. Con la capitale occupata, il popolo mobilitato, il palazzo presidenziale assediato, Al Hadi si dimette insieme al Primo Ministro, il parlamento recalcitra per ovvie ragioni di sopravvivenza, e i due ci ripensano. Stallo politico, ma dominio militare scita. Mentre è chiarissima la funzione di Al Qaida e della sua aereonautica di droni Usa, non è facile capire i rapporti tra indipendentisti del Sud e Huthi, entrambi aggrediti da Al Qaida e bombardati dagli Usa. E neanche sono chiari gli obiettivi degli insorti. Se puntano a un rovesciamento del regime, o a una convivenza nel segno di una nuova costituzione che garantisca ai discriminati sciti un ruolo di partecipanti a pari titolo e non spezzetti il paese secondo il progetto iniziale del presidente e dei suoi suggeritori sauditi.
Intanto la centralità mediatica e geostrategica in cui i fatti di Parigi hanno collocato lo Yemen, con la presunta matrice yemenita dei presunti attentatori e le chiassose rivendicazioni delle stragi arrivate da Al Qaida nello Yemen, hanno spalancato un’autostrada a un più massiccio intervento Usa. In gioco è la posizione superstrategica dello Yemen tra Africa e Medioriente, sulle rotte del petrolio e dei pirati da sterminare. Naturalmente si tratta solo di contenere l’espansione dello Stato Canaglia iraniano, di cui, con ogni evidenza, gli Huthi sarebbero un tentacolo.Tutto questo è molto gradito ai frantumatori  israeliani degli Stati nazionali nella regione, al complesso militar-industriale Usa, alle compagnie di contractors, ai jihaidisti assoldati e importati dalle solite aree di reclutamento Cia e Mossad. Forse un po’ meno a un esausto Obama, già in difficoltà in Afghanistan e Ucraina, incapace di tagliare il nodo siro-iracheno, assediato dai cannibali repubblicani, dalla necrofila Clinton e dal matamoros Netaniahu, si sta chiedendo se la Cupola che lo ha inventato, non stia passando a sicari più efficaci.
Pubblicato da alle ore 19:51