LA CASTA NON MOLLA – NONOSTANTE IL TETTO RENZIANO DEI 240MILA EURO I MANDARINI DI STATO CONTINUANO A INCASSARE MAXI-STIPENDI – CORTE COSTITUZIONALE E BANKITALIA SURCLASSANO I COLLEGHI STRANIERI – IDEM PER MAGISTRATI E AMBASCIATORI

1 DIC 2014 12:32

Stipendi più bassi che altrove per maestre, professori di scuola superiore e vigili del fuoco, ma nei ministeri c’è una cupola che guadagna benone. Alla Salute e allo Sviluppo economico ci sono 290 dirigenti di seconda fascia che incassano 110mila euro, quanto i 17 dirigenti di prima fascia del ministero dell’Economia britannico…
Angelo Allegri per “il Giornale”

Alessandro Criscuolo, da poche settimane presidente della Corte Costituzionale, ha di che essere soddisfatto. Rispetto ai suoi colleghi del resto d’Europa è una specie di nababbo. Tra ponderose sentenze e sottili valutazioni giuridiche porta a casa uno stipendio di 432mila euro l’anno. Roba da far sfigurare i poveri giudici costituzionali degli altri Paesi: il presidente del Bundesverfassungsgericht tedesco si deve accontentare di 196mila euro, quello inglese di poco più di 235mila.
 
Per non parlare dei giudici della Corte Suprema americana: qui il presidente è costretto a tirare la cinghia con l’equivalente di 189mila euro. Insomma, Criscuolo guadagna più del doppio degli omologhi di Paesi ben più ricchi dell’Italia. E non è che ai suoi colleghi vada peggio. Ognuno degli altri 13 giudici della Consulta guadagna 360mila euro l’anno. I loro corrispondenti tedeschi 160mila, quelli americani 166mila. All’estero siamo sempre a meno della metà che nella Penisola.

Uno scandalo? Può darsi, ma soprattutto una regola che vale praticamente per tutte le amministrazioni pubbliche: la classe dirigente italiana avrà magari qualche cosa da imparare per quanto riguarda il funzionamento della macchina statale, ma quanto a difesa dei propri interessi economici e corporativi ha pochi rivali. Il tema è annoso e il governo ha cercato di metterci una pezza con il tanto celebrato tetto di 240mila euro per gli stipendi pubblici, corrispondenti all’indennità del Presidente della Repubblica. Ma in Italia le leggi corrono sempre il rischio di trasformarsi in grida manzoniane. E il limite ai salari sembra già un colabrodo. Dai funzionari parlamentari (vedi anche articolo alla pagina successiva) alla Banca d’Italia, chi poteva opporsi all’abbassamento degli stipendi lo ha fatto con decisione degna di miglior causa. E nella giungla dell’amministrazione italiana i privilegi rimangono una costante.
Da questo punto di vista la Corte Costituzionale è un caso di scuola. La sua indipendenza è doverosamente ancorata nella Carta Fondamentale e il tetto di Renzi & C. dalle sue parti non conta. I giudici, nella loro totale autonomia, hanno deciso di tagliarsi stipendio e indennità di ben 100mila euro a partire dal primo maggio 2014. Atto meritorio. Volendo cavillare il problema era il mostruoso punto di partenza. Fino al 30 aprile il presidente della Corte guadagnava quasi 550mila euro l’anno (quasi tre volte tanto che in Germania) e i suoi colleghi seguivano a ruota. Anche dopo l’autoriduzione restano a disposizione di ogni singolo giudice una foresteria e un’auto blu. Auto e autista sono assegnati fino a un anno dopo il raggiungimento della pensione.
Interessante il confronto con la Corte Costituzionale tedesca dove le auto blu sono in tutto due: una per il presidente e una per il vice. Gli altri magistrati si dividono un’auto di servizio. Anche così, probabilmente, si spiegano i bilanci tanto diversi tra loro: la Corte Costituzionale italiana costa ai cittadini 41 milioni di euro (a cui si aggiungono 20 milioni per le pensioni di ex giudici e dipendenti), la Corte tedesca 29 e quella inglese addirittura 13. Differenze non da poco, ma si sa, noi italiani per fare bella figura non badiamo a spese.
 
Un altro bastione impermeabile al tetto dei 240mila euro è Banca d’Italia. Qui l’indipendenza è legata all’appartenenza al Sistema europeo delle banche centrali. Anche in Europa ci sono però Governatori di serie A e Governatori di serie B. A Mario Draghi, numero uno della Banca Centrale di Francoforte, è affidata la politica monetaria e sotto molti aspetti la sopravvivenza della moneta unica. Compito impegnativo remunerato con 378mila euro l’anno, a cui si aggiungono 90mila euro di benefit vari. Sempre a Francoforte è il potentissimo Jens Weidmann, Governatore della Bundesbank, l’istituzione più amata dai tedeschi. Il suo stipendio viaggia di conseguenza: 418mila euro. Molto più modesto il salario del numero uno del Banco de España: 166mila euro l’anno.
 
Forse anche per l’imbarazzante confronto il Consiglio Superiore di Banca d’Italia sta riducendo anno dopo anno gli emolumenti dei vertici: tre anni fa il governatore guadagnava 758mila euro, poi diventati 495. Un mese fa altro taglio: 450mila euro al governatore Ignazio Visco; 400mila al direttore generale Salvatore Rossi, 315mila ai tre vicedirettori.
 
Resta il fatto che, Bce a parte, a superare la pattuglia tricolore è solo il Governatore britannico Mark Carney con più di un milione di euro (compresi benefit pensionistici e valore dell’affitto dell’abitazione nel centro di Londra che gli è stata assegnata). Qualche differenza a dire la verità c’è: a Carney, che era numero uno della Banca del Canada ed è stato strappato con un’offerta sonante al precedente datore di lavoro, spetta una responsabilità, quella di determinare i tassi di interesse, che i colleghi italiani non hanno più.
 
In generale per quanto riguarda il livello degli stipendi nell’amministrazione pubblica italiana vale un principio: lungo tutta la scala gerarchica si guadagna meno che all’estero. La cuccagna inizia quando si arriva ai vertici: Roberto Perotti, economista e docente alla Bocconi, sul sito lavoce.info l’ha chiamata la regola del «poco a tanti e tanto a pochi». In una serie di articoli Perotti e il suo collega Filippo Teoldi hanno passato in rassegna gli emolumenti dell’alta burocrazia. Il confronto con quanto avviene oltre le nostre frontiere è sconfortante, basta qualche esempio per rendersene conto.
 
Scrivevano qualche mese fa i due economisti: in Italia «i ministeri della Salute e dello Sviluppo economico hanno rispettivamente 125 e 165 dirigenti di seconda fascia che guadagnano in media 110mila euro, quanto i 17 dirigenti di prima fascia del Ministero dell’Economia britannico. I 300 dirigenti apicali di Regioni e Province guadagnano 150mila euro, quanto uno dei quattro direttori generali del Ministero dell’Economia e il capo di gabinetto del ministero degli Esteri britannico. I quasi 700 dirigenti apicali del Servizio Sanitario nazionale guadagnano ben più di un dirigente di prima fascia del Ministero (in tutto, come detto, sono 17, ndr) dell’Economia britannico». E si potrebbe continuare.
 
I soldi per pagare gli alti burocrati ci sono, grazie anche al fatto che si paga poco chi sta sotto. Sempre Perotti e Teoldi hanno fatto un test e messo a confronto gli stipendi di maestre, professori di scuola superiore e vigili del Fuoco in Italia e Gran Bretagna. In tutti e tre i casi gli stipendi britannici sono molto più alti, sia in valore assoluto, sia in rapporto al Pil procapite.
Si spiega anche così il fatto che nel suo complesso la pubblica amministrazione italiana (contrariamente al luogo comune) non costi più che negli altri Paesi. Nicola Bellè, docente di management pubblico, in un recente studio condotto insieme ad altri professori della Bocconi, ha fissato a 2.717 euro la spesa per retribuzioni nell’amministrazione statale per residente. Meno della media europea, fissata a 2.736. La retribuzione dell’amministrazione pubblica incide sul Pil per il 10,6%: anche qui meno della media europea, e meno anche dell’amministrazione statale del Regno Unito (10,8%) i cui dirigenti di vertice guadagnano così poco rispetto ai loro colleghi italiani.
 
Un altro esempio di differenza tra stipendio della base e dei vertici è la magistratura. Qualche settimana fa un ponderoso rapporto del Consiglio d’Europa ha messo a confronto le retribuzioni dei magistrati del Vecchio Continente. A fine carriera gli italiani sono tra quelli che guadagnano di più (vedi anche tabella in pagina). Al secondo posto assoluto dopo i britannici se si considera lo stipendio in rapporto al salario medio del Paese. A inizio carriera, invece, non è affatto così: i giovani magistrati precipitano alla ventesima posizione della graduatoria continentale.
 
Ancora più interessante il caso dei circa 900 ambasciatori italiani. A giudicare dallo stipendio non guadagnano poi molto. Ma il più volte citato Perotti è riuscito a quantificare gli emolumenti reali dei vertici della diplomazia italiana, tenendo conto cioè delle varie indennità incassate, e a confrontarli con i diplomatici stranieri: gli italiani in servizio nelle capitali d’Europa e Nord America guadagnano in media quasi tre volte i loro colleghi tedeschi. Qualche ambasciatore ha parlato di «gogna mediatica», il Ministero ha avviato una faticosa riforma. Perotti è stato chiamato a far parte di un gruppo di lavoro costituito a Palazzo Chigi per il riordino della spesa pubblica. Auguri.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/casta-non-molla-nonostante-tetto-renziano-240mila-euro-89757.htm?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

GRAFICO DEL GIORNO: #STATESERENI

lunedì 1 dicembre 2014
 
Il grafico di seguito riportato rappresenta la variazione dei redditi reali disponibili delle famiglie dal 2001 al 2013, con base 100 nel 2001. Si osserva che  i redditi  crescono in tutti i paesi considerati tranne che in  l’Italia, che riesce a far peggio del Portogallo. L’area Euro, nel suo complesso, cresce meno di altre importanti aree del mondo. Sarebbe interessante confrontare il grafico in esame anche con l’aumento del debito privato in questi paesi. Per coloro che dicono che in Italia il debito privato (famiglie e imprese non finanziarie) è cresciuto meno che altrove, andrebbe ricordato che il nostro paese ha subito un maggior  deterioramento di reddito rispetto ad altre economie. Circostanza che incide significativamente sulla sostenibilità del debito privato, sulla capacità di consumo e non solo. Non è un caso se il sistema bancario italiano si trova a fronteggiare livelli di sofferenze significativamente alti.
 
VARIAZIONE REDDITI REALI DISPONIBILI
 

Flash: In Moldavia Vincono i Filo-Russi. Ma Sarà comunque un Macello

anche loro han i “comunisti yankizzati”……..” Tra poco partiranno le denunce di scarsa democrazia in Moldavia, di totalitarismo, e bla bla il solito corollario politically correct pre rivoluzione colorataQuindi la maggioranza relativa, il 22.29% va al partito socialista apertamente filo-russo, seguito dal partito comunista al 19.18% più moderato sulla questione.”
 

1 dicembre 2014
 
 
Partiamo dalle ultime notizie (da un sito peruviano):
 
MOSCÚ.- Moldavia dio un gran paso atrás en su integración europea al otorgar la victoria electoral en los comicios parlamentarios celebrados este domingo a dos partidos que defienden el acercamiento a Rusia y ponen en duda el futuro del Acuerdo de Asociación con la UE firmado este año. Con más del 50 por ciento del escrutinio, el hasta hace nada insignificante Partido Socialista (PS) ha cosechado el 22.29 por ciento de los votos y se ha convertido en la primera fuerza política del país. Le sigue el Partido Comunista, del expresidente Vladímir Voronin, que pierde su histórica condición de primera fuerza política del país al recoger el 19.18 por ciento de los votos.
Nada más conocer los primeros resultados oficiales anunciados por la Comisión Electoral Central (CEC) moldava, los socialistas liderados por el excomunista Ígor Dodón declararon que el pueblo se ha manifestado por un vector distinto de desarrollo.
Durante la campaña, el partido de Dodón ha defendido la denuncia del Acuerdo con Bruselas y la integración en la Unión Aduanera liderada por Rusia. El PS, mucho más agresivo en su discurso antieuropeo, parece haber recogido el voto de los simpatizantes de Patria, formación claramente prorrusa.
 
Quindi la maggioranza relativa, il 22.29% va al partito socialista apertamente filo-russo, seguito dal partito comunista al 19.18% più moderato sulla questione.
 
Però non è possibile nessuna coalizione omogenea per formare un governo, e tanto meno per eleggere un presidente della repubblica (61% dei deputati).
 
Ovviamente nelle zone a est hanno stravinto i filo-russi in quelle a ovest i filo europei.
 
Film già visto, si spera solo che non si passi alla violenza.
 
Una cosa è certa, l’Europa e l’occidente hanno definitivamente perso il loro status di baluardo di libertà e sviluppo, anche nell’immaginario degli abitanti delle ex-repubbliche sovietiche.
 
Il fallimento del progetto europeo si avvicina.

Pimco, esodo da 100 miliardi di dollari

di       Andrea Giacobino
Non solo fuga dal Total Return: i riscatti colpiscono anche altri fondi della casa controllata da Allianz. Maglia nera della classifica Morningstar.

100 MILIARDI DI RISCATTI – Oltre 100 miliardi di dollari. A tanto ammonta la fuga dai fondi di Pimco, la grande casa di gestione basata a Newport Beach (California) e controllata dal colosso assicurativo tedesco Allianz. La disaffezione degli investitori per Pimco è testimoniata da un rapporto di Morningstar che evidenzia come a fine dello scorso ottobre più della metà dei maggiori 10 fondi colpiti da riscatti sono, appunto, prodotti dalla controllata di Allianz.

NON SOLO TOTAL RETURN – A guidare la classifica non lusinghiera è ovviamente il Pimco Total Return, il più grande fondo obbligazionario del mondo che a settembre ha visto uscire il suo fondatore e “guru” Bill Gross: i riscatti a ottobre hanno toccato i 75 miliardi di dollari da inizio anno. Male però hanno fatto anche l’High Yield Fund (-5,1 miliardi di dollari), Eqs Pathfinder Fund (-1,6 miliardi di dollari) e il Floating Income Fund (-1,5 miliardi).

PIMCO: USCITE IN RALLENTAMENTO – A questa vera e propria fuga degli investitori Pimco ha risposto sottolineando che il flusso di riscatti è andato comunque rallentando dopo l’uscita di Gross.
http://www.bluerating.com/mercati/226-di-la-tua-andrea-giacobino/37060-pimco-esodo-da-100-miliardi-di-dollari.html?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Il discorso di D. Strauss-Kahn (un mese prima dello scandalo sessuale) che i media hanno censurato

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“Strauss-Kahn andava in una direzione incompatibile con gli interessi dei tagliagole che governano il FMI”
Ci sono su Google News oltre 455 articoli che riportano le scuse del FMI sugli errori di scelte di politica economica “consigliati” agli stati all’inizio della crisi. Ma, scrive Mike Whitney, non si tratta di un errore. “E’ stata una decisione deliberata”. Il FMI ha svolto un ruolo cruciale nell’immensa redistribuzione di ricchezza al contrario avvenuta. Il suo compito è stato quello di spingere per riduzioni di spesa pubblica e profondi tagli fiscali, mentre le banche centrali inondavano i mercati finanziari di liquidità (tramite il QE). I risultati sono evidenti, al punto che uno dei funzionari della Fed, Andrew Huszar, ha ammesso che il QE è stato un massiccio piano di salvataggio per i ricchi.
L’aspetto che, secondo Whitney, resta più incredibile è come i media non facciano alcun cenno alla storia e alle idee di chi era il Direttore Generale dell’epoca del FMI, Dominique Strauss-Kahn.
Non sarà forse che (secondo NPR):
“Il Direttore Generale del FMI voleva dare a Grecia, Portogallo e Irlanda il tempo necessario per rimettere in ordine i conti e sosteneva anche un alleggerimento delle misure di austerità connesse ai salvataggi di quei paesi.
Gli economisti greci dicono che, sotto la guida di Strauss-Kahn, il FMI faceva da contrappeso alle politiche di rigorosa austerità invocate dai leader del Nord Europa. Infatti, secondo il quotidiano Le Monde, a Strauss-Kahn piace chiamare i sostenitori della stretta austerità “fous furieux,” che si traduce approssimativamente come “pazzi furiosi”.
Secondo Strauss-Kahn le terapie-shock imposte alla Grecia e ad altri paesi europei che dovevano affrontare una crisi del debito sovrano avrebbero portato solo alla recessione economica e a gravi disordini sociali.
Diversi commentatori hanno sottolineato che, in una fase di fermento dell’eurozona e di divisione tra i leader europei, era il Fondo Monetario Internazionale, sotto la direzione di Strauss-Kahn, a tenere nei binari la strategia di salvataggio dell’eurozona.
Il Financial Times ha detto che la più importante influenza del FMI nella risoluzione della crisi dell’eurozona è stata politica – in un momento di mancanza di leadership politica, ha detto il giornale, il FMI ha riempito un vuoto.”
Ah-ah! Quindi Strauss-Kahn non condivideva la prescrizione di una terapia-shock del FMI. Di fatto, era contrario. Quindi c’erano voci ragionevoli all’interno del FMI,  è solo che non hanno prevalso nella discussione sulle politiche da applicare. Ma perché non hanno prevalso? Dopo tutto, Strauss-Kahn era il Direttore Generale del FMI, le sue opinioni avrebbero dovuto avere un peso maggiore rispetto a quelle di chiunque altro, giusto?
Giusto. Solo che DSK ricevette un duro colpo a causa di un incontro sessuale al Ritzy Hotel Sofitel di New York. Così i cambiamenti che aveva in mente non si sono verificati, il che significa che la distribuzione della ricchezza ha continuato a fluire verso l’alto come i ricconi che costituiscono il FMI avevano sperato.
Buffo come che funziona, non è vero? Buffo che siano sempre gli Elliot Spitzers e i Scott Ritters e i Dominique Strauss-Kahn che vengono inchiodati per i loro flirt, ma i ragazzi importanti di Wall Street non si fanno mai prendere.
Come mai?
Il fatto è che Strauss-Kahn era fuori dal giro giusto e non appoggiava più le politiche che le élite che pilotano il Fondo Monetario Internazionale volevano vedere implementate. Si sentivano minacciati dall’approccio keynesiano di DSK e volevano sbarazzarsi di lui. Ecco cosa è successo in poche parole.
 
Sapete perchè gli alti papaveri odiavano DSK?
 
Le sue acrobazie sessuali al Sofitel Hotel non c’entravano nulla. A nessuno è mai importato di quella spazzatura. Quello di cui erano preoccupati erano i suoi piani riguardo il FMI, piani che lui aveva esposto in un discorso alla Brookings Institution nell’aprile 2011, un mese prima di essere silurato. Il discorso non si guadagnò molta attenzione all’epoca, ma – di fatto – fu il canto del cigno di DSK. E penso di riuscire a mostrarvi il perché.
L’esperienza deve essere stato un vero shock per la truppa di magnati e parassiti che frequentano questi raduni, generalmente noiosi. Invece di lodare la “disciplina di mercato”, la “flessibilità del lavoro” e il “consolidamento fiscale”, Strauss-Kahn si lanciò in un travolgente elogio di 30 minuti agli ideali di sinistra e alla condivisione delle ricchezze, più come un giovane Leon Trotsky davanti alla Quarta Internazionale che come un burocrate senza cuore messo a dirigere l’organizzazione di prestiti usurai più nota al mondo. Nel momento in cui il discorso si è concluso, sono sicuro che già si affilavano i coltelli per il direttore generale ribelle. Per dirla senza mezzi termini, DSK era fritto. Ecco una parte dal discorso che ci aiuta a spiegare il perché:
“…Le incredibili colpe della società economica in cui viviamo sono la sua incapacità di arrivare alla piena occupazione e la sua arbitraria e iniqua distribuzione della ricchezza e dei redditi”…
Non tutti saranno completamente d’accordo con questa dichiarazione. Ma quel che abbiamo imparato nel corso del tempo è che la disoccupazione e la diseguaglianza possono minare i successi dell’economia di mercato, e seminare instabilità…
… il FMI non può rimanere indifferente sulle questioni di redistribuzione…
Oggi abbiamo bisogno di una vigorosa risposta lungimirante di questo genere  per garantire la ripresa di cui abbiamo bisogno. E questo significa non solo una ripresa che sia sostenibile ed equilibrata tra i paesi, ma anche una ripresa che porti occupazione ed un’equa distribuzione…
Ma la crescita da sola non è sufficiente. Abbiamo bisogno di politiche dirette sul mercato del lavoro…
Fatemi parlare brevemente del secondo pilastro della crisi sociale — la disuguaglianza… la ricerca del FMI dimostra anche che la crescita sostenibile nel tempo è associata con una più equa distribuzione del reddito…
Abbiamo bisogno di politiche che riducano le disuguaglianze e garantiscano una distribuzione più equa delle risorse e delle opportunità. Reti di sicurezza sociale forti, combinate con una tassazione progressiva, possono ridurre le disuguaglianze provocate dal mercato. Gli investimenti nella sanità e nell’istruzione sono fondamentali. I diritti di contrattazione collettiva sono importanti, soprattutto in un contesto di stagnazione dei salari reali. La concertazione sociale è un utile schema, in quanto permette di condividere equamente sia i guadagni dei periodi di crescita sia le sofferenze degli aggiustamenti…
Abbiamo anche sostenuto una tassa sulle attività finanziarie (e) ci siamo organizzati congiuntamente con l’OIL… per capire meglio le politiche necessarie a una crescita che crei occupazione…
In definitiva, l’occupazione e l’equità sono elementi costitutivi della stabilità economica e della prosperità, della pace e della stabilità politica. Ciò va al cuore del mandato del FMI.  Esse devono essere collocate al centro dell’agenda politica. Grazie mille.”
(The Global Jobs Crisis— Sustaining the Recovery through Employment and Equitable Growth, Dominique Strauss-Kahn, Direttore Generale del FMI, 13 aprile 2011)
Potete immaginare il coro di lamenti che si sarà sollevato dal pubblico in sala mentre Strauss-Kahn caldeggiava una “tassazione progressiva”, la “contrattazione collettiva dei diritti”, le “reti di protezione di sicurezza sociale”, le “politiche dirette sul mercato del lavoro ” e le “imposte sulle attività finanziarie”? E come pensate che abbiano reagito mentre diceva che preferiva un modo più illuminato di distribuire la ricchezza che loro avevano accumulato in una intera vita di insider trading, accordi segreti dietro le quinte e transazioni di affari loschi?
Pensate che l’idea sia loro piaciuta, o pensate che si siano lanciati sulle loro pillole per la pressione prima di precipitarsi disordinatamente verso le uscite?
Diciamocelo; Strauss-Kahn andava in una direzione incompatibile con gli interessi dei tagliagole che governano il FMI. Questo è molto chiaro. Ora, se siano stati questi stessi ragazzi ad architettare la trappola all’Hotel Sofitel, non potremo mai saperlo. Ma quello che sappiamo è questo: se sei il Direttore Generale del FMI, è meglio non usare il tuo potere per promuovere la “redistribuzione” o i diritti della contrattazione collettiva, altrimenti finirai come Strauss-Kahn, trascinato in gattabuia in manette, senza capire cosa diavolo è andato storto.
DSK è stato probabilmente fatto fuori dalla gente che odiava il suo coraggio. Ora questi stessi vogliono ripulire la propria immagine riscrivendo la storia.
E, sapete, sono anche abbastanza ricchi da riuscirci.
Notizia del: 30/11/2014

Col 40% di tasse in più. Metastasi Italia

1 Dec 2014 
 
di REDAZIONE
 

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Sulle famiglie italiane grava un carico fiscale medio annuo di oltre 15.300 euro. Tra il 1995 e il 2013 il peso delle tasse, delle imposte, dei tributi e dei contributi previdenziali è aumentato di oltre 4.400 euro (+40,4 per cento): si tratta di una crescita più che doppia rispetto a quella fatta registrare dal reddito nominale netto medio disponibile (+19,1 per cento).
Purtroppo, il trend dei redditi cambia completamente segno se depuriamo l’inflazione dal reddito disponibile: sempre nello stesso arco temporale, il reddito reale, ovvero il potere d’acquisto, è crollato del 19 per cento.
 
I dati forniti dall’Ufficio studi della CGIA fotografano un quadro di complessiva criticità per i quasi 26 milioni di famiglie italiane, aggravatosi ulteriormente con l’avvento della crisi.
 
Dal 2007 (ultimo anno pre-crisi) al 2013, nonostante il peso fiscale sia leggermente diminuito registrando nell’ultimo anno addirittura una contrazione di 325 euro a seguito anche dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa, il reddito disponibile netto ha subito una “sforbiciata” di quasi 3 mila euro.
 
Tasse, non servizi
“Nonostante l’Italia sia un Paese di tartassati – dichiara il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi – i servizi che le famiglie e le imprese ricevono dallo Stato spesso non sono all’altezza delle aspettative. Dalle infrastrutture alla sanità, dai trasporti all’istruzione, in molte Regioni la qualità e la quantità di questi servizi erogati è spesso inaccettabile. Con gli effetti della crisi che non accennano a diminuire e con una pressione fiscale che rimane su livelli record, i bilanci familiari rischiano di rimanere ancora in rosso, penalizzando anche quelli degli artigiani e dei piccoli commercianti che vivono quasi esclusivamente dei consumi del territorio in cui esercitano l’attività”.
 
Crollo dei consumi
Con troppe tasse e meno soldi a disposizione, tra il 2007 e il 2013 i consumi delle famiglie al netto dell’inflazione hanno subìto una caduta verticale:  -13,4 per cento che, in termini assoluti, equivalgono ad una contrazione media della spesa per ciascuna famiglia italiana di quasi 5.500 euro.
 
Ovviamente, la riduzione del reddito disponibile è ascrivibile anche all’aumento della disoccupazione: tra il 2007 e i primi 9 mesi di quest’anno è più che raddoppiata: se sette anni fa era al 6,1 per cento, ora è al 12,6 per cento.
 
Almeno sul fronte fiscale, nel 2014 la situazione sembrerebbe destinata a migliorare, anche se non per tutti. I nuclei che non beneficiano del bonus Renzi, infatti, quasi certamente subiranno un aggravio fiscale. Tuttavia, in linea generale possiamo affermare che la detrazione Irpef di 80 euro per i lavoratori dipendenti con redditi medio bassi (che genererà un taglio di imposte pari a circa 6 miliardi di euro) dovrebbe più che compensare il maggior prelievo richiesto alle famiglie con l’introduzione della Tasi sull’abitazione principale che, secondo una nostra stima, dovrebbe portare nelle casse comunali almeno 3,5 miliardi di euro.
 
Ad elevare il peso delle tasse sulle famiglie ha contribuito in maniera determinante la tassazione locale. Tra la metà degli anni ’90 ad oggi, sono aumentate del 190 per cento, mentre quelle erariali hanno subìto un incremento medio del 43 per cento circa: seppur significativa, quest’ultima è stata una variazione percentuale comunque inferiore alla crescita del Pil nominale che è stata di quasi il 50 per cento.
 
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 Il botto locale
 
“L’aumento delle tasse locali – conclude Bortolussi  – è il risultato del forte decentramento fiscale iniziato negli anni ‘90. L’introduzione di alcune tasse locali – come l’Isi, l’Ici, le addizionali comunali/regionali Irpef, l’Imu e la Tasi – ha fatto impennare il gettito della tassazione locale che è servito a coprire le nuove funzioni e le nuove competenze che sono state trasferite alle Autonomie locali. Non dobbiamo dimenticare che in questi ultimi 18 anni le Regioni e gli enti locali hanno assunto la gestione di settori importanti come la sanità, il lavoro, il trasporto pubblico locale e la formazione professionale senza aver ricevuto un corrispondente aumento dei trasferimenti. Anzi, la situazione dei nostri conti pubblici ha costretto lo Stato centrale a ridurre progressivamente i trasferimenti, creando non pochi problemi di bilancio a molte realtà locali che, a loro volta, si sono difese facendo leva sulle nuove imposte locali introdotte dal legislatore. Insomma, né lo Stato né le Regioni e gli enti locali sono riusciti a frenare la spesa, continuando invece ad agire sulla leva fiscale, penalizzando soprattutto le famiglie e le piccole imprese”.
 

LE IMPOSTE PIÙ ODIATE DAGLI ITALIANI NEL 2014: LA TOP 10

1 dicembre 2014
E’ questa la nuova la top ten 2014 delle imposte più odiate dagli italiani. Lo studio, è stato condotto attraverso Lo Sportello del Contribuente, su un campione casuale di cittadini maggiorenni residenti in Italia, intervistati telefonicamente nella seconda settimana di novembre.
  1. Canone Rai
  2. Aggio esattoriale
  3. IVA
  4. Accise su benzina, energia elettrica e metano
  5. Bollo auto
  6. IMU/TASI/TARI/TARES
  7. Ticket sanitari
  8. Contributi consorzi di bonifica
  9. Irap
  10. Irpef
Come si evidenzia nella classifica, la tassa più invisa agli italiani è il Canone Rai, che è risultato anche l’imposta più evasa. Dal sondaggio è emerso che due cittadini su tre pensano che il Canone Rai sia un “abbonamento annuale” e non una tassa.
 
Al secondo posto si colloca l’aggio esattoriale percepito da Equitalia che unitamente agli interessi della riscossione incidono sensibilmente nei bilanci familiari. Dal sondaggio è emerso che tre cittadini su quattro ritengono che il compenso per l’attività di riscossione dei tributi sia oltre che esoso, un aiuto di Stato.
 
Al terzo posto si piazza l’IVA che, con l’aumento dell’aliquota dal 21 al 22%, scala la top ten della classifica e si colloca al terzo posto. Si prevede che a fine anno, con l’ulteriore possibile aumento dell’ imposta sul consumo dal 22% al 23% potrebbe scalzare dal primo posto il canone Rai.
 
Al quarto posto si collocano le accise su benzina, energia elettrica e metano che quest’anno hanno fatto lievitare sensibilmente il costo del carburante, nonostante il calo del greggio, fino a farlo diventare il più caro in Europa.
 
Mantiene il quinto posto il sempre verde “bollo auto”. Molti cittadini pensano che sia un’imposta desueta al pari del Canone Rai.
 
In generale le imposte più odiate sono quelle sono indirette, che si pagano senza tener conto del reddito pro capite e quelle che incidono sul consumo.
 
Se, infatti, sembra logico da parte dei cittadini partecipare al prelievo fiscale collettivo in maniera progressiva rispetto al redditi percepiti durante l’anno, non sembra altrettanto accettabile vedersi tassare ripetutamente in base ai consumi. Tale imposizione colpisce il cittadino senza tener contro della propria capacità contributiva in dispregio al dettato costituzionale.
 
In alcuni casi, poi, addirittura si assiste ad una doppia imposizione indiretta come nel caso dell’applicazione dell’IVA sulle accise presente sull’acquisto di carburante o nel consumo di energia elettrica.
 
Nel 2014 solo 2 cittadini su 10 capiscono perché pagano le tasse. 8 su 10 si considerano sudditi di una amministrazione finanziaria sprecona, troppo burocratizzata che viola ripetutamente i diritti dei contribuenti.
 
Ciò che incentiva maggiormente l’evasione fiscale, che nel 2014 è cresciuta del 3,6% raggiungendo – considerando anche l’evasione derivante dall’economia criminale – la cifra astronomica di 180,8 miliardi di euro all’anno, sono gli sprechi di denaro della pubblica amministrazione, la sua inefficienza, la scarsa qualità dei servizi offerti, le violazioni allo statuto dei diritti del contribuente, i mancati rimborsi fiscali, il fisco lunare e l’inefficacia delle esattorie che rendono superfluo la gran parte del lavoro fatto nella lotta all’evasione fiscale dalla Guardia di Finanza e dalle Amministrazioni finanziarie. Gli Agenti della riscossione, ogni anno, riscuotono per gli enti impositori, meno del 10% di quanto accertato.
 
Dallo studio emerge anche che l’Italia è il più grande paese europeo con maggiore percentuale di frodi fiscali rispetto al PIL: su 100 euro di reddito dichiarato sfuggono al fisco ben 38,2 euro.
 
Nella speciale classifica degli evasori, l’Italia è al primo posto (38,2% del reddito non dichiarato), seguita da Romania (37,1%), da Bulgaria (35,8%), Estonia (33,1%), Slovacchia (32,4%).
 
In Italia i principali evasori sono gli industriali (33,4%) seguiti da bancari e assicurativi (30,8%), commercianti (11,6%), artigiani (9,3%), professionisti (7,5%) e lavoratori dipendenti (7,4%).
 
A livello territoriale l’evasione è diffusa soprattutto nel Nord Ovest (31,4% del totale nazionale), seguito dal Nord Est (27,1%). dal Centro (22,2%) e Sud (19,3%).
 
Perché si evade? Dall’indagine è emerso che il 42% dei contribuenti evade per l’insoddisfazione verso i servizi pubblici erogati dallo Stato a fronte dell’alto prelievo fiscale, il 29% per la complessità delle norme (fisco lunare) ed il mancato rispetto dei diritti dei contribuenti ,19% per mancanza di risorse finanziarie e solo il 10% perché non crede più nello stato sociale.
 
Inoltre, l’85,9% degli intervistati ritiene che il nostro sistema fiscale favorisce l’evasione. Un cancro che per il 66,8% degli italiani è da estirpare, risposta che presenta punte del 71,4% al Sud e del 68,2% al Centro.
 
“Per combattere l’evasione fiscale – ha affermato Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani – bisogna riformare il fisco italiano introducendo la tax compliance, seguendo ciò che avviene nei principali paesi europei che hanno ridotto le aliquote fiscali, migliorato la qualità dei servizi pubblici e soprattutto eliminato gli sprechi della pubblica amministrazione. L’evasione fiscale è diventato lo sport più praticato dalle grandi imprese italiane. Fino a quando non migliorerà l’efficienza dell’amministrazione finanziaria e si taglieranno le spese della pubblica amministrazione, il governo avrà bisogno di far cassa ad ogni costo, incassando i soldi “pochi, maledetti e subito” attraverso accertamenti con adesione o conciliazioni fiscali. E si premieranno sempre i grandi evasori fiscali, che preferiscono pagare le tasse a forfait e con il massimo sconto”.
 

Usa a Hong Kong: “Usate moderazione”

come riconoscere la manovalanza al soldo del padrone (non che in Cina come qui in Ue, dominio Usa, vi sia tanta democrazia….ma che agli Usa interessi dare democrazia ad altri è una barzelletta)

02 dicembre 2014

0.06 Gli Stati Uniti rinnovano il loro appello alle autorità di Hong Kong perché usino moderazione di fronte alle manifestazioni democratiche nella regione cinese e denunciano il rifiuto di Pechino di lasciare entrare alcuni parlamentari britannici. Dopo due mesi dall’inizio della crisi nella ex colonia britannica, Washington fa attenzione a non criticare troppo apertamente la Cina, esortando semplicemente le autorità locali a non reprimere le manifestazioni che gli americani giudicano “pacifiche”.
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Putin: Ue sabota gasdotto South Stream

01 dicembre 2014
21.58 Mosca minaccia l’Europa per le forniture di gas. Il presidente russo Vladimir Putin, nel corso di una conferenza stampa ad Ankara con il suo omologo turco Recep Erdogan, ha affermato che la posizione della Ue sul gasdotto South Stream “non è costruttiva”, e la Russia potrebbe decidere di “riorientare le forniture di gas”. Intanto Mosca ha offerto uno sconto del 6% sulle forniture ad Ankara a partire dal 2015.
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La lobby sionista francese si mobilita per bloccare il riconoscimento internazionale dello Stato palestinese

Lo scorso Mercoledì, in un canale della Tv  israeliana, “ì24news”, il presidente del Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni ebraiche di Francia (CRIF), Roger Cukierman, ha affermato che era intervenuto in presenza dei parlamentari francesi dell Unione per il Movimento Popolare (UMP) per convincerli a votare contro il riconoscimento dello Stato della Palestina.

Alla domanda circa la sua reazione a proposito del voto dell’Assemblea Nazionale, Cukierman ha confessato che era intervenuto per fare due cose: che partecipassero al voto previsto per il 2 Dicembre e che votassero in modo contrario al riconoscimento dello Stato Palestinese.

Cukierman ha dichiarato anche che disponeva di “giusti contatti” nel Palazzo dell’Eliseo (sede governo francese) che gli avrebbero assicurato, allo stesso modo di come avrebbe fatto il ministro degli Esteri Laurent Fabius, che Francois Hollande ed il primo ministro Manuel Valls, entrambi conosciuti per le loro tendenze pro Israele, non avevano alcuna volontà di portare a compimento un riconoscimento dello Stato della Palestina a breve termine.

Cukierman ha accolto favorevolmente l’atteggiamento dell’ex presidente francese, Nicolas Sarkozy, manifestato alla vigilia del voto , con cui si è dichiarato contrario al riconoscimento. “E’ stato perfettamente in linea,ha dichiarato Cukierman.

Il Martedì nel pomeriggio, Sarkozy, vecchio capo di Stato e forse nuovo candidato dell’UMP alla presidenza, si è dichiarato nuovamente ostile al riconoscimento parlamentare dello Stato della Palestina.

“La battaglia della mia vita”

“Io voglio dire la mia verità. Non accetterò mai che ponga in questione il diritto alla sicurezza di Israele, giammai. Questa è la battaglia della mia vita”, ha assicurato Sakozy.

Nonostante avesse affermato in precedenza che lui voleva adoperarsi perchè ” i palestinesi possano avere un giorno un proprio stato”, Sarkozì ha detto che si rifiutava ad “un riconoscimento unilaterale pochi giorni dopo di un attentato mortale e quando non c’è in vista alcun processo di pace”.

Crif cesure palestuine

L’attivista sionista Bernard-Henry Levy ha detto da parte sua che Hamas (che si trova nell’attuale governo palestinese) propone per la distruzione di Israele.”Non possiamo riconoscere simbolicamente un governo la cui metà dei suoi ministri sognano di annichilire uno stato vicino”, ha scritto sul suo blog.

Occorre segnalare che i negoziati tra i palestinesi e gli israeliani sono falliti per la negativa di Israele nel riconoscere il diritto dei palestinesi nel realizzare un proprio stato con le frontiere del 1967, tale e quale come viene riconosciuto nelle varie risoluzioni delle Nazioni Unite. Pertanto, il presupposto riconoscimento di uno Stato palestinese come frutto di negoziati è un qualche cosa di illusorio.

In parallelo ai negoziati, Israele ha proseguito la colonizzazione dei territori palestinesi, soprattutto a Gerusalemme est.

Dall’altro lato, varie organizzazioni sioniste hanno realizzato una manifestazione lo scorso 28 di Novembre davanti alla Assemblea Nazionale a Parigi, con il fine di dimostrare il loro rifiuto al riconoscimento dello Stato Palestinese. Circa 250 persone hanno preso parte all’evento.
Tra queste organizzazioni si trovavano Siona, Grance-Israele, l’Ufficio Nazionale di Vigilanza contro l’Antisemitismo (BNVCA) e gruppi estremisti come la Lega della Difesa Ebraica o Betar. Alcuni dei manifestanti portavano cartelli come “Hamas+Fatah=Stato Terrorista”, “Gerusalemme, Toulose, Bruxelles, gli islamici sono dappertutto”.

Fonte: Al Manar

Traduzione:  Luciano Lago
http://www.controinformazione.info/la-lobby-sionista-francese-si-mobilita-per-bloccare-il-riconoscimento-internazionale-dello-stato-palestinese/