L’impegno di Obama in Medio Oriente

di Manlio Dinucci – 27/03/2013

 Fonte: Il Manifesto 


Duplice è l’impegno ribadito da Obama nella visita in Israele. La sempre più forte alleanza degli Usa con lo stato israeliano, confermata dal fatto che «i nostri militari e i nostri servizi di intelligence cooperano più strettamente che mai». Ciò è indubbio. La creazione di «uno stato palestinese indipendente e sovrano». Ciò è falso. Lo «stato palestinese» che hanno in mente a Washington somiglia molto a una «riserva indiana»: quattro mesi fa, alle Nazioni unite, gli Stati uniti hanno votato con Israele perfino contro il riconoscimento della Palestina quale «stato osservatore non-membro». Ma il dichiararsi favorevoli a uno stato palestinese accredita l’idea che gli Usa sono impegnati, come non mai, per la pace e la democrazia in Medio Oriente.

 Obama ha fatto inoltre da paciere fra Turchia e Israele: Netanyahu ha telefonato a Erdogan scusandosi per gli «errori operativi» commessi nell’attacco alla «Freedom Flotilla» che trasportava i pacifisti a Gaza. Scuse subito accettate: sulle tombe dei pacifisti uccisi dagli israeliani sarà ora scritto «morto il 31 maggio 2010 per un errore operativo». Dopo gli incontri in Israele, Obama ha fatto scalo ad Amman, ribadendo «l’impegno degli Stati uniti per la sicurezza della Giordania», messa in pericolo dalla «violenza che filtra attraverso la frontiera con la Siria». Occorre vedere, però, da quale direzione. Come documenta il giornale britannico «Guardian», istruttori Usa, coadiuvati da francesi e britannici, addestrano in Giordania i «ribelli» che vengono infiltrati in Siria. Si stringe così il cerchio attorno alla Siria, con l’operazione a guida Usa/Nato condotta attraverso Turchia e Israele (ora riconciliate) e la Giordania. Ed è pronto, per la spallata finale, il casus belli: il lancio di un razzo con testata chimica, che ha provocato la morte di decine di persone nella zona di Aleppo.

 Parlando a Gerusalemme, Obama ha espresso solidarietà con «la crescente preoccupazione israeliana per le armi chimiche della vicina Siria», avvertendo che, se l’inchiesta troverà le prove che sono stati i militari siriani a usare l’arma chimica, ciò «cambierà le regole del gioco». In altre parole, minaccia un intervento «preventivo» Usa/Nato in Siria, con la motivazione di bloccare l’arsenale chimico prima che venga usato. Se emergessero tali «prove», ciò vorrebbe dire che il governo siriano ha deciso di usare un razzo a testata chimica contro propri soldati e civili leali al governo (la quasi totalità delle vittime), per fornire agli Usa e alla Nato, su un piatto d’argento, la giustificazione per attaccare e invadere la Siria.

 Intanto Washington ha già fornito ai «ribelli», insieme a dollari e armi, il futuro premier: Ghassan Hitto, cittadino statunitense di origine siriana. Un executive texano della tecnologia dell’informazione, formalmente scelto dai «ribelli». Che cos’altro dovrebbe fare Obama per la pace e la democrazia in Medio Oriente?

 Manlio Dinucci

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=45276

 

Pd a rischio crac: e spunta una lettera ai dipendenti dove si annunciano i tagli

Per il Partito Democratico il 2013 rischia di essere l’Annus Horribilis di una storia politica decennale ma sull’orlo del baratro. Dopo l’ennesima sconfitta della gioiosa macchina da guerra, adesso il vero problema è economico: le finanze languono e si rischia il crac. Soluzione? Si taglia. Come si evince dal documento firmato da Antonio Misani e Francesco D’Avanzo.

 Nel caso il finanziamento pubblico ai partiti venisse abolito, o rivisto, la macchina del PD potrebbe collassare. La prova è finita in rete.

 Una lettera indirizzata ai circa duecento dipendenti del Partito Democratico a firma Antonio Misiani (il tesoriere), in cui si annuncia un piano di ristrutturazione “lacrime e sangue”.

 È questo il contenuto pubblicato in esclusiva dal sito de La Zanzara, popolare trasmissione radiofonica di Radio 24, condotta da David Parenzo e Giuseppe Cruciani.

 Nella lettera, si parla senza mezzi termini di un “severo ridimensionamento della struttura dei costi del PD nazionale per arrivare preparati ad affrontare la complessa fase di passaggio ad un nuovo modello di finanziamento dei partiti“, che comincerà immediatamente, a partire dal mese di aprile.

 Con la chiusura delle sedi di “via del Tritone 87 e 169”, “la riorganizzazione degli spazi assegnati a dipendenti, collaboratori e dirigenti politici”, la riduzione del 75% dei budget “assegnati ai membri della Segreteria nazionale e ai Giovani democratici”, l’azzeramento del budget ai forum.

 Ma non solo, perché ad essere toccati direttamente saranno anche i dipendenti e “i contratti con i fornitori, del PD e di YouDem, al fine di massimizzare le economie di spesa”.

 CLICCA E LEGGI LA LETTERA

 LEGGI DALLA FONTE ORIGINALE – Fanpage.it


http://www.infiltrato.it/notizie/italia/pd-a-rischio-crac-e-spunta-una-lettera-ai-dipendenti-dove-si-annunciano-i-tagli

 

Etiopia: “silenzio, genocidio in corso”.

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giovedì 28 marzo 2013

 “Ogni notte prendono a noi ragazze per “interrogarci”. Ci separano e ci picchiano. Poi hanno preso a me e tre uomini mi hanno stuprata a turno.

 OGADEN, ETIOPIA, ALTRO GENOCIDIO DIMENTICATO DA DIO… E DAGLI UOMINI.

 HUMAN RIGHT WATCH: Il governo etiope cerca di mantenere il resto del mondo all’oscuro sulla campagna di genocidio contro la popolazione somala della regione etiope dell’Ogaden.

 Human Rights Watch (HRW) riporta che nell’ottica di “punizioni collettive” assieme ad altre 15 ragazze, questa innocente diciassettenne ragazza del’Ogaden è stata tenuta prigioniera per tre mesi in un “buco nero” nel terreno e stuprata 13 volte. Questo è solo uno degli innumerevoli rapporti di abusi che giungono dalla regione etiope dell’Ogaden, dove è ampiamente riportato di atti criminali come questo perpetrati quotidianamente dai militari etiopi e forze paramilitari. Sconosciute atrocità come questa, passate e presen ti, aspettano di essere investigate in questo conflitto interno quasi sconosciuto dall’opinione pubblica internazionale.

 Per nascondere i fatti al resto del mondo nel 2007 il governo etiopico ha vietato l’accesso a questa regione a tutti i media ed ha espulso molte gruppi di aiuto internazionali. Ogni ONG a cui è permesso di rimanere in zona deve sottoscrivere un documento in cui si impegna a non riportare violazioni dei diritti umani da parte del governo etiope.

 Leslie Lefkow di HRW dichiara: “E’ uno dei posti più difficili dove operare per i gruppi di diritti umani e le agenzie umanitarie del continente africano e ci sono grandi sfide per fare investigazioni sul territorio perché gli apparati del governo sono estremamente estesi e presenti ad ogni livello e sono presenti spie e informatori di regime che segnalano ogni movimento e ogni persona sospetta!

 Le informazioni su ciò che accade nella regione arrivano deboli e soprattutto da coloro che hanno subito violenze e che ora vivono fuori dall’Etiopia. Molti sono in campi di rifugiati in Kenia e Yemen, da dove raccontano storie di orribili abusi.

 Mohammed, dal campo profughi di Dadaab in Kenya, ha descritto a Ogaden Online (OO) come lui fu catturato dai militari etiopici, accusato di dare supporto al Fronte nazionale di Liberazione dell’Ogaden (ONLF – Ogaden National Liberation Front) e torturato senza pietà. “Mi hanno legato e messo a testa in giù e picchiato selvaggiamente”. Il volto di Mohammed è sfigurato al punto di di non potere essere riconosciuto.

 Ci sono rapporti di torture ed esecuzioni, molteplici stupri di gruppo con braccia e collo legati, le cui cicatrici sono ancora visibili, tecniche di barbare torture alle mani da parte dei militari e paramilitari etiopi, la nota e semilegale forza di polizia Liyu, della quale La etitia Bader di HRW dice: “C’è un contesto di impunità nel quale le forze di sicurezza possono fare qualsiasi cosa vogliano”.

 Il Fronte di Liberazione dell’Ogaden è mostrato all’opinione pubblica come nemico di stato e, come tutti i gruppi e le minoranze che dissentono in Etiopia, come terroristi. In verità essi presero il 60% di seggi al parlamento regionale, nelle uniche elezioni democratiche tenute nel 1992. I civili sospettati anche vagamente di supportare i cosidetti ribelli, sono forzatamente rimossi dalle loro località. I villaggi sono evacuati e chi rimane rischia di essere ucciso, torturato e, le donne, stuprate. I bambini vengono impiccati, i villaggi vengono rasi al suolo, il bestiame viene rubato per sfamare i soldati e le risorse idriche vengono distrutte. Sistematici e strategici metodi di violenza e di intimidazione sono perpetrati dal regime etiope che sta attuando un vero e proprio genocidio nei confronti della popolazione somala dell’Ogaden.

I racconti di violenze e abusi sono innumerevoli. La situazione è estremamente critica e si richiama l’attenzione della comunità internazionale. Continuare a ignorare questo evidente stato di criminalità e continuare a supportare il governo etiope è una complicità negli omicidi e negli abusi delle persone innocenti della regione dell’Ogaden.

 Traduzione a cura di Senza PELI Sula Lingua.

 Fonte e articolo completo:http://www.unpo.org/article/15688

 http://www.nocensura.com/2013/03/etiopia-silenzio-genocidio-in-corso.html

 

SCOVA E DISTRUGGI: LO STUPRO DELL’IRAQ

Data: Mercoledì, 27 marzo

 DI PEPE ESCOBAR 

Asia Times

 L’invasione dell’Iraq dieci anni dopo

 Come prima cosa, liberiamoci (più o meno legalmente) di tutti i mitografi: la violenza carnale subita dall’Iraq è il più grande disastro umanitario dei nostri tempi causato dall’uomo. E’ essenziale tenere a mente che tale violenza è diretta conseguenza della distruzione del diritto internazionale messa in atto da Washington; dopo l’Iraq, chiunque può servirsi della guerra preventiva citando come precedente le campagne di Bush e Cheney nel 2003. 

 Ancora oggi, a 10 anni dallo “Shock and Awe” (campagna “shock e terrore”, n.d.t.), persino i cosiddetti liberali stanno ancora tentando di legittimare anche solo in parte le vicende del “progetto Iraq”. 

 Non c’è mai stato un vero e proprio “progetto”, solo un intrico contorto di menzogne, incluse le giustificazioni a posteriori per il bombardamento del Grande Medio Oriente in nome della “democrazia”. 

 Recentemente ho pensato al Catalyst. Il Catalyst era il carro armato con cui ogni volta ero costretto a negoziare i miei faticosi andirivieni da o verso la zona rossa, durante la prima settimana di occupazione statunitense a Baghdad. I marines provenivano in prevalenza da Texas e New Mexico. Solitamente si chiacchierava. Essi erano convinti di aver colpito Baghdad perché “i terroristi ci hanno attaccato l’11 settembre”. 

 A distanza di anni, la maggior parte degli americani crede ancora alla Colossale Menzogna. Il che è la prova che gli arroganti ed ignoranti cosmici neocons hanno fatto almeno una cosa giusta. La connessione tra Saddam Hussein ed al-Qaeda potrà non essere una delle tessere del “puzzle” del “progetto” iniziale di invasione e ricostruzione da zero dell’Iraq (c’erano anche le inesistenti armi di distruzione di massa), ma è stata incredibilmente efficace per il lavaggio dei cervelli e per farsi strada. 

 Quando nel 2004 fu reso pubblico l’indecente spettacolo delle torture di Abu Ghraib (io stavo guidando attraverso il Texas per un lavoro, e tutti virtualmente consideravano questo show una cosa “normale”) la Colossale Menzogna regnava ancora sovrana. A dieci anni di distanza, dopo Abu Ghraib, la distruzione di Fallujah, il diffuso “dead-checking” (pratica per cui si uccidevano gli iracheni feriti, anziché soccorrerli, n.d.t.), i “fuochi di rotazione a 360 gradi” (esercizi di tiro al bersaglio a punti sui civili iracheni), attacchi aerei sui civili, senza menzionare l’ “uccisione di tutti gli uomini appartenenti alle fasce di età in cui si può prestare servizio militare”; dopo aver speso 3 mila miliardi di dollari, se bastano (ricordiamo che i neocons avevano promesso una guerra rapida e semplice che non sarebbe dovuta costare più di 60 miliardi di dollari), e dopo l’uccisione diretta o indiretta di 1 milione di cittadini in seguito all’invasione e occupazione, le menzogne ci avvinghiano ancora, come una gigantesca Medusa. 

 Si, la CIA, vincitrice dell’Oscar e calata nel personaggio, continua a coprire tutto. 

 Più veloce, controguerriglia, uccidete, uccidete

 L’Anno Zero in Iraq è durato circa 10 giorni. Ho osservato la nascita ufficiale della resistenza; un rally di massa a Baghdad, che iniziando in Adhamiya, univa sunniti e sciiti. Poi fu il momento degli sfruttamenti della cosiddetta Coalition Provisional Authority (CPA), una spalla centrale, guidata dall’agghiacciante Paul Bremer, infallibile nel dimostrare un’ignoranza cosmica sulla cultura della Mesopotamia. Seguì un’interminabile offensiva “search and destroy” (tattica militare nota in Vietnam, letteralmente “cerca e distruggi”, n.d.t.), una “tattica” mascherata da controguerriglia. Non stupisce quindi il fatto che si sia rapidamente trasformato in un sabbioso Vietnam. 

 La resistenza sunnita ha fatto letteralmente impazzire il Pentagono. Così appariva il “triangolo della morte” nell’estate del 2004. Così rispose il Pentagono quattro mesi dopo, mettendo in atto quella che io chiamo “democrazia di precisione.” 

 Alla fine ha vinto il triangolo della morte, o quasi. Passiamo ora oltre, verso la “Surge” di G.W. Bush (Escalation delle truppe in Iraq del 2007, ndt). In merito a questo, milioni di ingenui negli Stati Uniti ancora credono ai racconti dell’arrapato generale David Petraeus. Io ero là quando la “surge” è iniziata, nell’estate del 2007. L’orrenda guerra civile condotta dagli USA, ricordiamo che il motto è sempre “divide et impera”, andava già avanti da sola perché i commando sciiti, l’Organizzazione Badr e l’esercito del Madhi, avevano messo in atto una devastante pulizia etnica dei sunniti nelle aree in cui precedentemente convivevano le due etnie. Baghdad, che prima era una città con una leggera predominanza sunnita, è ora prevalentemente sciita. Questo non ha niente a che vedere con Petraeus. 

 Per quanto riguarda gli “Awakening Councils” (i Consigli per il Risveglio), erano essenzialmente milizie sunnite (con più di 80.000 uomini) organizzate in gruppi e stanche delle sanguinose tattiche di al-Qaeda in Iraq, principalmente proprio nel triangolo della morte comprendente Fallujah e Ramadi. Petraeus li ha pagati con valige di contanti. Prima di questi avvenimenti, quando ad esempio difendevano Fallujah nel novembre 2004, essi venivano etichettati come “terroristi”. Ora sono diventati dei “lottatori per la libertà” stile Ronald Reagan. 

 Io ho incontrato qualcuno di questi sceicchi. Il loro era un piano subdolo e a lungo termine, invece di combattere gli americani prendiamo i loro soldi, stiamo buoni per un po’ di tempo, ci liberiamo di quei fanatici di al-Qaeda e poi attacchiamo i nostri veri nemici, gli sciiti al potere a Baghdad. 

 Questo è esattamente il passo successivo per l’Iraq, dove sta già lentamente fermentando un’altra guerra civile. Tra l’altro alcuni di questi ex “terroristi”, con grande esperienza sul campo di battaglia, sono oggi i comandanti chiave di quell’insieme di unità “ribelli” che combattono il regime di Assad in Siria. Si, sono ancora considerati “lottatori per la libertà”. 

 Balcanizzare o lasciare

 Gli americani ovviamente non ricordano che, quando era ancora al senato, Joe Biden, spingeva impazientemente per la balcanizzazione dell’Iraq in tre zone. Considerando che ora è l’uomo di punta dell’amministrazione Obama per l’evoluzione in Siria, potrebbe anche finire per portare a termine il suo progetto. 

 E’ vero che l’Iraq è stato il primo paese arabo ad avere un governo sciita da quando nel 1171 Saladino si liberò dei Fatimidi in Egitto, ma è anche vero che questo paese va nella direzione di una frammentazione totale. 

 La Zona Verde, prima americana, potrebbe ora essere sciita. Persino il più importante leader religioso sciita, Grand Ayatollah Sistani, che spaccò letteralmente la schiena ai neocons e al CPA a Najaf nel 2004, è disgustato dallo scompiglio orchestrato dal Primo Ministro Nouri al-Maliki. Anche Teheran è in una situazione difficile. Contrariamente al think tank del governo federale (ma queste persone non ne azzeccano mai una?) l’Iran non manipola le politiche dell’Iraq. Ciò che principalmente teme Teheran è una guerra civile in Iraq, piuttosto simile a ciò che sta accadendo in Siria. 

 Il report di Patrick Cockburn sull’Iraq nei 10 anni passati come corrispondente estero è senza pari. Questa è la sua valutazione attuale. 

 Un fatto importante è che l’influente Muqtada al-Sadr (vi ricordate di quando veniva descritto come l’uomo più pericoloso dell’Iraq su tutte le prime pagine dei giornali americani?) non vuole cambiare il regime, nonostante abbia criticato Maliki per la sua propensione all’egemonia sciita. Gli sciiti hanno i numeri, quindi anche in un Iraq unito c’è la possibilità di un governo di maggioranza sciita in ogni caso. 

 Il sud, di forte prevalenza sciita, continua ad essere molto povero. L’unica fonte di lavoro possibile sono i lavori nella pubblica amministrazione. Ovunque le strutture sono ridotte in brandelli, conseguenza diretta delle sanzioni ONU e USA, seguite dall’invasione e dall’occupazione. 

 Ma poi c’è un’isola felice, il Kurdistan iracheno, una specie di distorto sviluppo di “Pipelineistan”. 

 Le “Big Oil” non hanno mai avuto l’occasione di realizzare il loro sogno del 2003 di abbassare i prezzi nuovamente a 20 dollari (al barile), in linea con il pensiero di Rupert Murdoch. Ma c’è gran fermento ovunque. Greg Muttitt non ha rivali come osservatore del nuovo boom del petrolio in Iraq. 

 In nessun altro posto la situazione è più intricata che nel Governo Regionale del Kurdistan (KRG), dove sono in campo fino a 60 compagnie petrolifere, dalla ExxonMobil alla Chevron, Total e Gazprom. 

 Il sancta sanctorum è un nuovo condotto che unisce il Kurdistan iracheno alla Turchia, che rappresenta il passaporto curdo per esportare petrolio bypassando Baghdad. Nessuno può sapere se questa sarà la goccia che farà traboccare il vaso per l’Iraq, dal momento che i Kurdi iracheni si stanno sempre più avvicinando ad Ankara e allontanando da Baghdad. La palla è sicuramente nelle mani del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, dal momento che i kurdi hanno una rarissima possibilità di poter giocare con gli interessi di Ankara, Baghdad e Teheran e magari chiudere la partita con la costituzione di un Kurdistan indipendente ed economicamente autosufficiente. 

 Quindi è certo, ci sono numerosi segni di balcanizzazione all’orizzonte. Ma cos’hanno imparato gli USA dopo il più grande disastro di politica estera della storia? Niente. Nada. Dovremo aspettare che nei prossimi anni Nick Turse pubblichi un’egregia opera sull’Iraq come quella che scrisse sul Vietnam Kill Anything That Moves (Uccidete qualsiasi cosa si muova, n.d.t.). Gli orrori commessi in Iraq sono ancor peggio del Vietnam, perché sono l’inevitabile risultato delle politiche ufficiali del Pentagono unite a quelle della Casa Bianca. 

 Questa straziante spirale di sofferenze in Iraq sarà mai riconosciuta? Si potrebbe sempre cominciare da qui, ovvero dal caso annunciato da Hans Sponeck, ex coordinatore umanitario delle Nazioni Unite. 

 Oppure, con una vena pop, un produttore che sia indipendente da Hollywood e dalla CIA potrebbe investire in un film “made in Iraq”, distribuito in tutto il mondo, il cui finale vede Dubya (W. Bush), Dick, Rummy, Wolfie e il restante gruppo di cialtroni della ciurma di Douglas Feith, spediti senza possibilità di ritorno in una Guantanamo fedelmente ricostruita proprio nel triangolo della morte. Come colonna sonora “Masters of War” di Bob Dylan. Sarebbe una morte catartica. 

 Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007) e Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge. Il suo nuovo libro s’intitola Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Il suo indirizzo è pepeasia@yahoo.com 

 Fonte: www.atimes.com 

Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MID-01-200313.html 

20.03.2013

 Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA REYMONDET FOCHIRA 

http://www.comedonchisciotte.org/site//modules.php?name=News&file=print&sid=11660

 

Tav: no al fare per fare, sì al fare che serve di Laura Puppato

post 28 marzo 2013 at 10:54 – da: NOTAV.INFO

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A margine del convegno di sabato scorso
a Bussoleno in Val di 
Susa e del dibattito –
ormai trasversale – che si è aperto intorno
alla Tav, vorrei svolgere alcune
considerazioni partendo dalla 
relazione
presentata nel giugno del 2008 dai tecnici
nominati 
dalla Comunità Montana Bassa
Valle di Susa. La proposte 
contenute
dimostravano già allora, oltre ogni
ragionevole 
dubbio, la necessità  
di un ripensamento dell’opera. Dietro il progetto della Tav c’è unastrategia sbagliata,
dettata fin 
dall’inizio da una non-valutazione che una ulteriore opera infrastrutturale creerebbe nel contesto della stretta Val di Susa che già ospita 2 statali, una ferrovia
e un’autostrada ed ha subito 
ben 3 alluvioni nel corso degli ultimi 15 anni.

A monte vi è anche un’errata valutazione dei flussi sia del traffico passeggeri che di
quello merci e la vicenda è sempre stata gestita senza tener 
conto delle osservazioni
di assoluta logica e buon senso dei 
sindaci.

L’osservatorio della Presidenza del Consiglio doveva chiarire aspetti fondamentali
che sono ancora oggi i nodi da sciogliere, e 
sono la ragione per cui non dei singoli facinorosi e violenti ma ben 23 amministrazioni comunali con a capo
i loro indignati 
sindaci si oppongono a questa opera. Che non è come appare, la Tav Torino/Lione ma molto più banalmente un buco sulla montagna del
Frejus che vale 8 mld di euro. Eh si, perché l’unico 
pezzo per cui l’Italia ha chiesto il finanziamento Ue che arriverà per circa 2mld su 8 è proprio la nuova galleria. Tutte le altre tratte: la Torino/alta valle di Susa, la Chambery/Lione
non sono 
finanziate né da fondi francesi né da quelli italiani e valgono altri 16 Mld di euro.

Ma c’e di più, la nuova linea ferroviaria denominata Tav è in realtà una linea mista persone/merci che giustifica la sua esistenza con l’ipotesi di incremento
del traffico merci quando, ad oggi, la 
linea storica della Valle non e’ affatto satura, anzi ha un carico di 6/7mil di T/annue a fronte di una capacità di linea già 4 volte superiore, di oltre 20mil di T/annue.

I veri problemi sulla linea esistente sono i numerosi ‘colli di

bottiglia’ del sistema, il più rilevante è nella tratta da Torino alla

bassa Val di Susa, inoltre ancora e per diversi anni i TGV francesi

non potranno utilizzare la nuova linea ad alta velocità Torino-

Milano, mentre i treni ad alta velocità italiani non potranno

utilizzare le linee francesi per una diversa alimentazione

energetica. Il traffico merci in Italia è al suo minimo storico con

l”8% di merci trasportate in ferrovia e un continuo – e finanziato

anche dallo Stato – incremento di trasporto su gomma. Nessuna

politica di inversione di tendenza è stata attuata ed anzi, proprio lì

in Val di Susa si sta ampliando anche l’autostrada per la Francia.

Già nel 2008 esisteva però un’alternativa alla Tav

che, superando l’approccio delle grandi opere, poteva definire

“una prospettiva di potenziamento del trasporto ferroviario

coerente, equa e credibile, inserita all’interno di un sistema di

trasporto sostenibile e moderno”. L’Osservatorio aveva

evidenziato che serviva una politica integrata del trasporto

alpino, finalizzata a migliorare le condizioni ambientali delle valli,

basata sulla rinuncia all’ulteriore potenziamento della rete stradale

ed autostradale; sull’introduzione della Borsa dei Transiti Alpini;

su un’effettiva liberalizzazione dei servizi ferroviari, in modo tale

da renderli più efficienti; sul potenziamento graduale della rete

ferroviaria.

Riprendere quelle proposte sarebbe un buon punto di partenza.

Intanto bisogna adottare degli standard ragionevoli parlando

di ferrovie miste passeggeri-merci a pendenza ridotta e velocità

ordinaria (100-120 km/h per i merci, 160-180 km/h per i

passeggeri), eliminando i grandi impianti ferroviari previsti

all’interno della Valle. In secondo luogo è preferibile operare per

fasi, in quanto le opere che oggi sono in discussione hanno costi

molto superiori alle risorse ora effettivamente disponibili e hanno

tempi di costruzione misurati in decenni. Con un preciso ordine di

priorità, si possono rimuovere i ‘colli di bottiglia’ che impediscono

la crescita del traffico, anticipare e massimizzare i benefici e

posticipare i costi, minimizzandone l’impatto finanziario.

Si tratta di proposte che sono meno impattanti dal punto di vista

ambientale e coniugano una maggiore efficienza e un minor costo

delle opere, consentendo di posticipare molti degli oneri più

rilevanti. Infine, permetterebbero di seguire l’effettivo andamento

del traffico merci, evitando salti nel buio che oggi, ma nemmeno

nei prossimi anni, saremmo in gradi di sostenere. Insomma

basta politiche schizofreniche e dispendiose senza una

pianificazione e senza una logica comprensibile solo per il ”fare

per fare” piuttosto che “fare in modo ragionato e sostenibile”.

 

Cronache di resistenza: blocco dei mezzi alla centrale di Chiomonte

 

post 28 marzo 2013 at 12:28 – da: NOTAV.INFO

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 Sotto una copiosa nevicata una trentina di no tav hanno bloccato anche questa mattina le strade di accesso al varco 1 della centrale elettrica di Chiomonte. I gruppi sono nuovamente disposti su due fronti ma a differenza delle volte scorse ci si ferma ai primi tornarti che scendono da Chiomonte e al bivio della Ramats. L’obiettivo è il blocco della strada ma anche fare in modo che in caso di uscita, le truppe nero blu debbano scomodarsi un po’ di più delle volte precedenti.

In totale dalla strada che scende da Exilles si impedisce in maniera pacifica ma
determinata, il passaggio ad una decina di 
mezzi tra furgoni, cassonati e macchine
aziendali di CMC, 
Effedue ed Iren. Alcuni vedendoci sulla strada effettuano subito la retromarcia. Sanno ormani bene che quando i no tav sono in mezzo alla strada, l’unica via
di accesso al 
cantiere è l’A32. Un bel disservizio comunque, poichè non è detto che allo svincolo autostradale dedicato al cantiere, gli sbirri abbiano in elenco i nomitativi di tutti
quanti si presentino per l’ingresso. A volte i 
tempi si allungano e noi non ce ne
dispiaciamo di 
certo.

Ci teniamo in contatto con il gruppo di Chiomonte che verso le 9.10 ci avvisa dello scioglimento del loro blocco in quanto mezzi ormai dalla loro parte non ne passano più
e sono arrivati i 
carabineri che gli hanno trattenuti per la canonica richiesta di documenti lasciandoli “liberi” in pochi minuti. Tempo di organizzarci anche noi sul da farsi e
compaiono dall’ultima curva 
prima del bivio di Ramats un blindato dei cc in
antisommossa, 
(circa 8/10 uomini), un defender della polizia di stato con un paio di
funzionari a bordo, la punto della digos e dulcis infundo, il 
capitato di Susa con il suo
tirapiedi di fiducia.

Entrambi scendono dall’auto con eleganti e lucide scarpette nere mentre nevica ancora abbondamente e di certo non ci sono temperature primaverili. Solito rito, identificazione
dei presenti, scambio di opinioni, sulle nostre ragioni e sul loro continuare a proteggere le mafie e i corrotti che stanno devastando la Clarea. Qualcuno chiede urlando alla truppa se hanno visto Giacu ma evidentemente il freddo paralizza le mandibole ai robocop
schierati che adesso bloccano la strada 
anche ai privati cittadini che transitano da li.

Dopo circa una mezz’ora restituitici i documenti se ne vanno.

L’ultimo no tav risale in macchina solo dopo averli visti scomparire definitivamente dal curvone da dove sono arrivati, giusto per non lasciar loro questa soddisfazione!

Alla prossima!

E.

Alla ricerca di un inguacchio da servire al popolo bue

Alla ricerca di un inguacchio da servire al popolo bue

Oggi Bersani al Colle. O “governissimo”, o incarico rinnovato al segretario verso il voto, oppure a Renzi o Grasso 

Ugo Gaudenzi

Povero governo “emerito”. Fino a qualche settimana fa la stampa paludata, quella autorevole che si omologa ad ogni alito di vento, grondava elogi su lodi per l’esecutivo dei banchieri e dei bocconiani, tessend opanegirici all’uomo che “aveva salvato l’Italia”, Mr. Monti.
E’ stato sufficiente l’insuccesso elettorale e qualche bizzosità del “capo dei capi” con il corollario delle varie figuracce incassate in sede istituzionale e all’estero (caso marò), e ora il “gabinetto” viene trattato, dagli stessi ex panegiristi, come una banda del loden, come una banda di poveracci.
Non che gli altri, quelli che hanno assicurato per un anno la sopravvivenza del governo dei tecnici, se la passino meglio…
Pensate soltanto al povero Bersani, a un passo, oggi, dal rinfoderare le sue vittoriose armi in favore di un Renzi o di un Grasso qualunque, o di accettare una coabitazione (sotterranea) con le truppe del Cavaliere, o di ripiegare verso la formazione di un proprio governo che non governi in attesa di elezioni, beninteso sempre in cambio di qualcosa e cioè di un “garante” al Quirinale del tipo Giuliano Amato (amato molto, cioè, dai banksters della Troika – Fmi, Bce, Ue – e almeno un po’ dal centrodestra).
Una quarta possibilità? Non è data.
E pensate pure al Cavaliere. Assediato dai processi – e dalle condanne che fioccheranno nei prossimi sei mesi anche da sentenze di Cassazione – sa bene (ed è per questo che pur mettendo il suo nome e la sua persona nelle piazze pre e post elettorali, non si candida personalmente ad alcunché…) che questa sua storia finirà almeno con una condanna di interdizione dai pubblici uffici.
A rendere gradevole l’atmosfera del Palazzo non restano che le esternazioni di Beppe Grillo e del M5 Stelle. Che, benché triturati dalla stampa di regime – questa sì, “impresentabile” – stanno mostrando che in Italia non esiste soltanto una classe politica stampata sui “Padri Puttanieri”, ma anche dei cittadini di buona volontà, fedeli alla parola data agli elettori, e al servizio della propria comunità nazionale e basta. Un buon segnale, almeno finché durerà.


27 Marzo 2013 14:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19971

Senza il finanziamento pubblico il PD e a rischio crac

 

 GIOVEDÌ 28 MARZO 2013
 
Senza il finanziamento pubblico il Pd è a rischio crac.
Un documento pubblicato in esclusiva sul sito de La Zanzara mostra come il Partito Democratico abbia in mente tagli sanguinosi nel caso in cui non arrivassero i finanziamenti pubblici.
Una lettera indirizzata ai circa duecento dipendenti del Partito Democratico a firma Antonio Misiani (il tesoriere), in cui si annuncia un piano di ristrutturazione “lacrime e sangue”: è questo il contenuto pubblicato in esclusiva dal sito de La Zanzara, popolare trasmissione radiofonica di Radio 24, condotta da David Parenzo e Giuseppe Cruciani. Nella lettera, si parla senza mezzi termini di un “severo ridimensionamento della struttura dei costi del PD nazionale per arrivare preparati ad affrontare la complessa fase di passaggio ad un nuovo modello di finanziamento dei partiti“, che comincerà immediatamente, a partire dal mese di aprile. Con la chiusura delle sedi di “via del Tritone 87 e 169″, la riorganizzazione degli spazi assegnati a dipendenti, collaboratori e dirigenti politici“, la riduzione del 75% dei budget “assegnati ai membri della Segreteria nazionale e ai Giovani democratici“, l’azzeramento del budget ai forum. Ma non solo, perché ad essere toccati direttamente saranno anche i dipendenti e “i contratti con i fornitori, del PD e di YouDem, al fine di massimizzare le economie di spesa”. Ecco la lettera:Lettera PD

Guantanamo: abolito incarico di inviato speciale per la chiusura

WASHINGTON – Il dipartimento di Stato Usa ha assegnato ad altro incarico Daniel Fried, attuale inviato speciale per la chiusura di Guantanamo, ed ha praticamente chiuso l’ufficio, le cui responsabilita’ vengono assorbite dall’ufficio legale.

 L’annuncio che nel secondo mandato di Barack Obama non vi sara’ un inviato impegnato nei negoziati diplomatici per il rimpatrio o il trasferimento in paesi terzi dei detenuti e’ stato interpretato, sottolinea il New York Times, come un segnale del fatto che ormai l’amministrazione democratica ha preso realisticamente atto dell’impossibilita’ della chiusura di Guantanamo, che era stato uno dei primi impegni presi da Obama dopo la sua elezione nel 2008.