Virano: “Il 23 sarò a Chiomonte per parlare coi grillini No Tav”

Il commissario della Torino-Lione tiene aperta la porta del dialogo: sono disponibile al confronto, il giorno della manifestazione risponderò a tutti, avviare un dialogo sul progetto sarebbe già un passo avanti

Da: Repubblica del 13-MAR-2013 

“Sono disponibile a essere in cantiere per interloquire, per rispondere, per dar conto”. Il commissario straordinario alla Torino-Lione, Mario Virano, in un colloquio con l’agenzia Radiocor a margine del Mipim, il salone dell’immobiliare in corso a Cannes, lascia la porta del dialogo aperta ai grillini che sabato 23 marzo saliranno con tutti i loro parlamentari in Val di Susa per ribadire la loro ferma opposizione all’alta velocità. “Per parte mia – ha aggiunto – a prescindere dalle opinioni, credo sarebbe già un grosso passo in avanti se i nuovi parlamentari discutessero sul progetto così com’è, non sullo stereotipo che è stato messo in giro per anni. Credo ci voglia molto malanimo e molta malafede a connotarlo come un progetto devastante”.

Anche grazie alla battaglia No Tav, Grillo ha costruito il suo consenso elettorale in Val di Susa con punte in alcuni comuni di oltre il 40% nelle ultime elezioni. Virano, tuttavia, rifiuta questa analisi: “Non è possibile fare letture ex post del risultato elettorale come fosse stato indetto un referendum. Che il Movimento 5 Stelle abbia ottenuto un risultato di grande peso è indubbio, che in quel territorio ci sia stato un differenziale aggiuntivo anche, ma è anche vero che Grillo è stato l’unico leader politico che è andato in valle a fare campagna elettorale. Inoltre – aggiunge il commissario – in Val di Susa c’è anche un curioso paradosso: i comuni direttamente interessati alla Tav, Susa e Chiomonte, sono favorevoli, mentre i comuni più radicalmente contrari non sono toccati dai lavori; poi c’è Bussoleno, che è in una situazione intermedia perché è toccata da pochi lavori e solo sul sedime ferroviario esistente, da sempre contraria anche se, ultimamente, ogni volta che c’è stata una discussione, il sindaco è stato presente, non ha interloquito, ma è stato presente”.
 

“Prendo 6mila euro al mese, uno stipendio nella media”: bufera sulla giornalista del Pd

Chiara Geloni ha commentato il dossier di Matteo Renzi: “E’ uno stipendio alto ma nella media dei miei colleghi”. E sul web insorgono i precari del giornalismo

di Redazione 13/03/2013

Chiamata da Radio 24 a commentare il ‘dossier’ di Matteo Renzi sui costi del Partito democratico, le parole di Chiara Gelonidirettore della web tv del Pd, “Youdem”, hanno provocato un piccolo terremoto.

“Io prendo 6mila euro al mese, credo sia nella media dei miei altri colleghi giornalisti “. Le sue parole sono immediatamente rimbalzate sul web e a poco è valso il suo tentativo di spiegarle meglio: “Al netto, nella mia busta paga -continua Chiara Geloni- ci sono un po’ meno di 6 mila euro, uno stipendio alto. Ma ho lasciato il lavoro a tempo indeterminato, che avevo prima, e ho accettato un contratto a termine, legato alle vicende della politica, perché faccio il direttore. Ho chiesto uno stipendio un po’ più alto di quello di prima, di vice direttore a tempo indeterminato di un giornale. Credo sia nella media, paragonabile alle remunerazioni di altri colleghi giornalisti.

Immediatamente sui social network, soprattutto su twitter, è impazzata la polemica, rilanciata soprattutto dai precari del mondo del giornalismo, costretti ai salti mortali per arrivare a fine mese tra una collaborazione e l’altra.

Inutile, a vedere la mole dei tweet, anche il secondo tentativo di smorzare le polemiche con il seguente messaggio: “Mai detto che il mio è lo stipendio medio di un giornalista. Leggere il virgolettato, non solo il titolo, è una buona regola”.

Gli utenti di twitter hanno così riportato per intero il suo virgolettato e sottolineato la chiarezza della seguente frase: “Io prendo 6mila euro al mese, credo sia nella media dei miei altri colleghi giornalisti”.

http://www.today.it/politica/stipendio-chiara-geloni-youdem.html


INTANTO NEL MONDO REALE CHE LA SIGNORA PER 6 MILA EURO AL MESE SI PREMURERA’ DI OCCULTARE…..

Potrebbe interessarti:http://www.today.it/politica/stipendio-chiara-geloni-youdem.html
Leggi le altre notizie su:http://www.today.it/o seguici su Facebook:http://www.facebook.com/pages/Todayit/335145169857930

L’Italia in mutande va alla guerra

dedicato a chi si chiede dove si prendono i soldi per il reddito di cittadinanza

Quante e dove sono le missioni militari, “umanitarie” e no, nelle quali è impegnata l’Italia? Qual è il costo in vite e soldi? E qual è il vero bilancio della Difesa?

  di Ennio Remondino

 Pallottole e palle. C’è un aforisma attribuito all’austriaco Karl Kraus, lingua tagliente degli inizi del ‘900, che m’è sempre piaciuto. «Le guerre cominciano perché i diplomatici (e i politici Ndr) raccontano bugie ai giornalisti e poi credono a quello che leggono». Era accaduto anche a un importante politico qualche decennio fa -De Mita mi pare- che aveva creduto ai suoi propagandisti radio televisivi e aveva preso una botta elettorale tremenda. Avendo frequentato un bel po’ di guerre, posso soltanto confermare. La bugia è la regina incontrastata di ogni ammazzatoio. Anche la guerra più perversa avrà sempre una sua presunta “Idealpolitik” raccontata da qualcuno per convincere altri a farla. Con contraddizioni evidenti non soltanto morali. Esempio l’Italia che, da Costituzione, articolo 11, «Ripudia la guerra», negli ultimi 30 anni ha partecipato a missioni militari in quasi tutti i continenti. E non gratuitamente. Prezzo di vite umane pagato in contanti, 149 morti sul campo. 

 La pace armata. Limitiamoci agli anni vicini. L’Italia ha partecipato alla 2° guerra del Golfo (agosto 1990-febbraio 1991) e a numerose e presunte missioni di “peace keeping”, dall’Europa, nei Balcani soprattutto, in Africa, Medio Oriente, sino all’Asia Centrale. Vediamo dove sono stati mandati a morire i nostri militari. 51 caduti in Afghanistan, dalla missione Unsma del 1998 a quella Isaf, che dovrebbe terminare nel 2014. 39 in Iraq, operazione “Antica Babilonia” dal maggio 2003 al novembre 2006. 32 nei Balcani, dalla missione Ecmm del 1992 in Croazia a quella Kfor in Kosovo del 2012 e ancora in corso. 13 in Somalia, missione Unosom “Ibis II” dal 1993 al 2004. 11 in Libano, dalla missione Italcon “Libano 2” del 1983 a quella Unfil, tuttora in corso. 2 in Mozambico, missione Onumoz “Albatros” del 1993. 1 in Ruanda nell’Operazione Ippocampo del 1994. La cifra di 149 morti esclude malattie e sorvola sul mistero delle morti da Uranio Impoverito.

 Il Kosovo duole. La ‘Ingerenza umanitaria’ pensata dalla politica, diventa la meno credibile ‘guerra umanitaria’ della propaganda e del giornalismo di trascinamento. Prima esperienza italiana in materia, i bombardamenti sulla Jugoslavia di Milosevic per la questione Kosovo. Da testimone sul campo, qualche dettaglio meno noto o mai chiarito. Intanto è stata la prima volta della Nato contro uno Stato sovrano. Una guerra classica, verrebbe da dire, in cui l’esercito più potente del mondo ha scaricato bombe per 77 giorni sulla Jugoslavia grande come la nostra Lombardia e sul Montenegro grande come l’Umbria. Si applica l’Opzione Zero. Zero morti in casa scaricando bombe da alta quota. Più morti da imprecisione sul bersaglio. Costi economici per chi la guerra l’ha decisa e per chi l’ha subita, enormi. Migliaia di vittime civili serbe e centinaia di kosovari bersagli per errore. In più siamo stati partecipi-vittime (?) della trattativa-inganno a Rambouillet per una guerra gi à decisa. 

 Guerre al risparmio. Le missioni militari in corso sono loro stesse vittime della spending review che ha toccato anche il Ministero della Difesa. Tagli che dovrebbero comportare una riduzione delle Forze Armate a circa 150 mila unità, dagli attuali 180 mila. Meno uomini/donne, più tecnologia, ci dicono. Ma per noi contano i numeri più delle buone intenzioni. I fondi per le missioni sono il 10% del bilancio assegnato alla “funzione Difesa”, cioè alle tre Forze Armate, mentre i Carabinieri hanno un bilancio autonomo di 5,8 miliardi di euro. Il decreto legge di fine 2012 ha assegnato 935 milioni di euro per tutte le missioni in cui è impegnato il personale militare per 9 mesi, dal 1° gennaio al 30 settembre 2013. Le missioni più costose restano quella in Afghanistan, che dovrebbe passare dai 747,6 milioni di euro annuali del 2012 a 426 milioni per il 2013. E le missioni in Libano -dai 157 dell’anno precedente a circa 119 per il 2013- e nei Balcani, con tagli dai prec edenti 98,5 a circa 50. 

 Il Libia zitti zitti. In Afghanistan verranno ritirati -operazione in corso- i 200 componenti del “Provincial Reconstruction Team”, la struttura militare per la ricostruzione civile, e il contingente italiano ad Herat scenderà a 4 mila unità, mentre in Libano le Forze Armate sono a quota 1115 militari rispetto ai precedenti 1780. I tagli di 800 militari, ci raccontano che sono bilanciati dalla dislocazione del personale in altri Paesi. Sorpresa: cento militari verranno inviati in missione di addestramento, costo di 10 milioni di euro, in Libia dove opera anche la Guardia di Finanza per la manutenzione delle navi cedute nel 2009 dall’Italia a Tripoli per l’addestramento della Guardia costiera libica nel contrasto alla emigrazione verso l’Italia. Costo della missione 4,6 milioni. Costo della guerra di marzo-ottobre 2011, 202 milioni di euro. Duecento rinforzi saranno assegnati alle Forze Nato in Kosovo, dove l’Italia ha un contingente di 650 militari e prevede ulteriori rinforzi. 

 Poi i Mali minori. Vi sono poi, semi clandestine o semi sconosciute diverse missioni minori. Per il conflitto in Mali, mentre l’Ue ha stanziato 20 milioni di euro per aiuti umanitari nel Paese, l’Italia ha destinato 2 milioni per personale militare alla missione europea Eucap-Sahel. Un primo gruppo di addestratori militari, da 15 a 24, parte dei 200 previsti dall’Ue, e trasporto aereo. Due C 130 e un 767 per il rifornimento in volo. In Mali la base operativa italiana potrebbe essere a Bamako o nel Niger, dove la missione Eucap-Sahel è già attiva. Secondo il governo, ministro-ammiraglio Di Paola- sarebbero necessari circa 100 militari. Esattamente quanti sono schierati ad Al Bateen, negli Emirati da dove seguono le operazioni logistiche da e per l’Afghanistan e, prima, per l’Iraq. Da affiancare a quelli già schierati -udite udite- in Congo, Sudan, Uganda, Minurso nel Marocco con team di 3-5 persone e a Gibuti dove ci sono una decina di marò. Scommessa si quanti sape vano. 

 Italia planetaria. L’Italia con le stellette è, insomma, in grado di sorprendere. Intanto perché i nostri militari sono bravi. Poi perché sono sostanzialmente tenuti nascosti dalla parte politica che li manda in missione per il mondo. Alcuni esempi. In Uganda, dall’agosto 2012, l’Esercito ha un team a Kampala per addestrare le milizie locali a contrastare gli jihadisti della Somalia e della Regione dei Grandi Laghi. In Kenya, dal novembre 2012 è stata avviata un’intesa sulle questioni della sicurezza. Tra un po’ saremo anche lì. E come dimenticare il Pakistan? Cooperazione alla sicurezza, fornendo 500 veicoli blindati M 113 al Pakistan, 3 veicoli blindati e 10 semoventi a Gibuti e materiale ferroviario in Eritrea. Per le missioni anti pirateria di Ue e Nato sono destinati 34 milioni e 144 per la copertura di assicurazione e trasporto e per le infrastrutture necessarie alle missioni. Il brutto incidente dei due Marò ancora detenuti in India non fa parte della pianif icazione dei costi.

 Bilanci ballerini. Il vero segreto militare difficile da superare, per assurdo, è quello dei conti. Sui budget esistono dati contrastanti. Secondo il Ministero della Difesa i tagli ammontano a 236,1 milioni per il 2013, 176,4 nel 2014 e 269,5 nel 2015. Ma. Gli allegati tecnici della recente legge di stabilità prevedono un incremento del bilancio. In sintesi, il budget della Difesa cresce da 19.962 milioni di euro del 2012 a 20.935 del 2013 fino a 21.024 nel 2014, con un aumento delle risorse del 5,3% in tre anni sulla base dell’assunto che la Difesa inciderebbe poco sul Pil italiano: lo 0,84% nel 2012, contro una media europea dell’1,61%. Due questioni da chiarire. Prima, i presunti risparmi da spending review. Pare di capire che si sia tagliato qualche soldo rispetto ad un consistente aumento di spesa già programmato. Ci sono di mezzo i tanto discussi cacciabombardieri F-35 o quello è un conto a parte? Poi il giallo sull’incidenza della spesa militare sul Pil. Qualc uno gioca coi numeri. 

 Chi conta frottole. La Nato -citando informazioni fornite dal Governo italiano- presenta dati ben diversi secondo i quali il budget della Difesa sarebbe stato nel 2011 di 21,7 miliardi di euro, l’1,4% del Pil, mentre secondo l’Istat, lo stesso anno sarebbero stati spesi oltre 25 miliardi, l’1,6% del PIL, in linea con le richiesta della Nato e degli altri Paesi europei. Due “verità” da usare a seconda della convenienza o problema di ‘fonti’? Nel 2010 alcuni dei più importanti paesi europei hanno tagliato le spese per la difesa. Il Regno Unito le ha ridotte di più del 10%, la Spagna di quasi del 4%, l’Italia di circa il 2%, mentre la Germania e la Francia le hanno mantenute sostanzialmente stabili (+0,3%). Sulla incidenza “variabile” del bilancio Difesa ecco il possibile trucco. Calcolo stretto alla “funzione difesa”, ossia ai costi relativi al funzionamento delle Forze Armate: personale, addestramento, equipaggiamenti, ricerca, e infrastrutture. Escludendo ad esempio le pensioni.

 Nuove tentazioni. Il 28 febbraio a Roma, i ministeri degli Esteri di 11 Paesi “Amici della Siria”, fra cui, oltre all’Italia, Usa, Gran Bretagna, Egitto, Turchia, Arabia Saudita, Giordania e Qatar, hanno confermato al leader della “Coalizione Nazionale Siriana” l’aiuto umanitario di 60 milioni di dollari per la Cns e l’ “Esercito Libero Siriano” al quale verrà fornita anche “assistenza non letale” e “un supporto diretto di tipo politico e materiale”. Geniale quell'”assistenza non letale”. Petardi? L’Italia ha annunciato il riconoscimento della Cns come “unico legittimo rappresentante del popolo siriano” e assicurato un’assistenza “più mirata interna alla Siria”. Tradotto: si ripropone il “modello libico” con un intervento militare esterno adeguato a invertire i rapporti delle forze in campo. La Russia critica ha ammonito su un esponenziale aumento della violenza in tutta l’area. Il 4 marzo almeno 33 soldati siriani e 7 iracheni sono stati uccisi un’imboscata al confine di Yaarubiyeh. 

 Garante di questi intento romani pacificatori, lo Sheykh egiziano trasferito in Qatar e predicatore anti-siriano dell’emittente “Al Jazeera”. Chi bene comincia . . .

http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=41111&typeb=4&Loid=112&L-Italia-in-mutande-va-alla-guerra

 

Israele: università di Tel Aviv organizza conferenza “Divisione tra Sunniti e Sciiti “

Israele: università di Tel Aviv organizza conferenza "Divisione tra Sunniti e Sciiti"

TEL AVIV (IRIB) – Domenica l’Università di Tel Aviv ha ospitato una conferenza di una giornata denominata “Divisione tra Sunniti e Sciiti”.

La conferenza che dal titolo lascia trasparire non certo buoni intenti, si è tenuta nel palazzo Dan David dell’Università di Tel Aviv. In passato anche altre università israeliane hanno ospitato incontri e convegni su questo argomento.Al centro di tali conferenze vi è il sostegno ai gruppi cosiddetti “salafiti” in nazioni come Arabia Saudita, Egitto e Giordania per perseguitare gli sciiti negli stessi paesi ed in altre nazioni del Medioriente.

http://italian.irib.ir/notizie/mondo/item/122518-israele-universit%C3%A0-di-tel-aviv-organizza-conferenza-divisione-tra-sunniti-e-sciiti

Israele irrompe in un matrimonio-sfida discriminazione

News – 12/3/2013

Ramallah -Ma’an. Le forze israeliane sabato hanno sciolto un corteo nuziale organizzato in un posto di blocco in Cisgiordania per sfidare le leggi israeliane che impediscono ai palestinesi di vivere con il proprio coniuge in Israele (Territori occupati del 1948, ndr).

Due autobus  sono partiti da Jaffa e Ramallah per incontrarsi ai lati opposti del checkpoint di Hizma, a nord est di Gerusalemme, per il matrimonio di Hazim, di Abu Dis e la sua sposa, che è di Nazaret.

Entrambi gli autobus sono stati fermati dalle forze israeliane prima di raggiungere il checkpoint: esse hanno lanciato bombe sonore contro gli ospiti che avevano iniziato a cantare e ballare sul lato cisgiordano di Hizma. 

“Mentre stavano ballando e cantando per lo sposo, le forze di occupazione israeliane hanno iniziato a lanciare bombe sonore e a spingere indietro le persone. Hanno poi sparato gas lacrimogeni, costringendo la gente a scappare”, ha raccontato l’organizzatore Najwan Berekdar. 

Oltre 200 persone hanno partecipato al matrimonio, tra cui il fondatore della Palestine National Iniciative, Mustafa Barghouti, e l’autrice palestinese Rima Nazzal Kitana.

Un portavoce dell’esercito israeliano ha riferito che “100 rivoltosi a Hizma hanno lanciato pietre contro i servizi di sicurezza, che hanno usato mezzi di dispersione antisommossa, tra cui gas lacrimogeni, per disperdere la rivolta.

Il matrimonio è stato organizzato dalla campagna “L’amore ai tempi dell’apartheid”, una iniziativa di base, messa su da giovani palestinesi per contestare la questione della cittadinanza e quella dell’ingresso nella legge di Israele, che nega lo status di residenza in Israele per i palestinesi della Cisgiordania sposati con israelo-palestinesi.

“Questa legge israeliana sfida l’unità nazionale palestinese e impedisce ai palestinesi persino di sposarsi con un altro palestinese dall’altra parte”, ha detto Berekdar.

“Divide i palestinesi non solo geograficamente, ma anche a livello nazionale, sociale e culturale e ha un grave effetto economico e psicologico sulle famiglie palestinesi.

“Chiediamo una pressione internazionale, da parte di gruppi della società civile, dalle Nazioni Unite affinché esercitino pressioni su Israele per far sì che revochi questa legge razzista, che interferisce con le realtà umane di base, come la scelta di un partner e di una vita futura”, ha aggiunto Berekdar.

La legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso nel diritto di Israele è stata emanata dalla Knesset nel 2003, e vieta la concessione di residenza o cittadinanza ai palestinesi dei Territori Occupati che sono sposati con cittadini palestinesi di Israele, ha spiegato Adalah.

Il sito del ministero israeliano degli Affari Esteri dichiara che la legge al momento è “orientata sulla sicurezza” ed è stata adottata dopo che alcune persone hanno approfittato del fatto di avere un’identità israeliana per effettuare “attacchi terroristici”.

Human Rights Watch ha affermato che “la legge viola gli obblighi di Israele ai sensi della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, che si applica non solo alla razza, ma anche all’origine nazionale o etnica”.

Il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale nel 2003, ha invitato Israele a revocare tale legge.

Traduzione per InfoPal a cura di Giovanna De Luca

http://www.infopal.it/50333/

 

MUOS: Mafia e CIA contro Crocetta?

//davi-luciano.myblog.it/media/02/01/2617327528.jpg

Quando lo scorso mese il Presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, ha dato mandato all’assessore regionale all’Ambiente Mariella Lo Bello e al dirigente Giovanni Arnone di revocare le autorizzazioni per la realizzazione del Muos, l’impianto militare di antenne satellitari di Niscemi, in tanti avevano accolto la notizia come uno straordinario successo per tutto il movimento “No Muos” che da anni si batte per questo. Nonostante ciò, però, all’interno della base Usa si continua a lavorare, come denunciato da alcuni attivisti, con gli Stati Uniti che si fanno forti del protocollo d’intesa siglato nel 2011 tra l’allora ministro della Difesa italiano Ignazio La Russa e il governatore siciliano Raffaele Lombardo, favorevoli alla realizzazione.

Di Aaron Pettinari 

Antimafiaduemila

Ci sono poteri forti a spingere per quest’opera e la conferma arriverebbe dalle dichiarazioni dell’ex Idv Sergio De Gregorio che, interrogato dai magistrati, ha raccontato i retroscena in merito alla campagna acquisti del 2007 che affossò il governo Prodi. L’ex senatore ha dichiarato agli inquirenti che l’allora governo di centrosinistra cadde per le pressioni di altri poteri, ovvero la Cia, che avevano messo nel mirino Prodi e il suo esecutivo soprattutto per l’ostilità manifestata nei confronti del Muos. Un fatto che nei giorni scorsi ha allarmato non poco lo stesso Crocetta il quale ha dichiarato: 

“Sono seduto su una polveriera. Già dai primi giorni dal mio insediamento sono partiti i dossier nei miei confronti. Ed è chiaro che a muoversi, in questi casi, sono i poteri forti. Non è mafia. O meglio, non stiamo parlando solo di mafia. Questi poteri, in passato, a mio parere, furono responsabili, ad esempio, della sparizione di Enrico Mattei. Figuriamoci se si preoccupano di intervenire su un presidente della Regione”. 

Una considerazione forte ma che potrebbe anche non essere sconsiderata. Anche il presidente dell’Eni, morto sul cielo di Bescapé (in provincia di Pavia) la sera del 27 ottobre 1962 a causa dell’esplosione dell’aereo che lo stava riportando a Milano dopo una visita in Sicilia, con la sua politica energetica aggressivia stava “pestando i piedi” ai poteri dell’economia mondiale. Mattei aveva bene in testa l’idea di un’Italia libera dalla dipendenza dalle Sette Sorelle. Recenti documenti, recuperati dallo storico Mario Cereghino e pubblicati su “I Quaderni de L’Ora”, riportano una conversazione di un diplomatico italiano a cui Mattei aveva confidato che nell’arco di sette anni avrebbe tirato fuori l’Italia dalla Nato ponendola a capo dei Paesi non allineati. Una sorta di terzo blocco mondiale rispetto al blocco Usa e a quello dell’Unione Sovietica. 

Dichiarazioni di un certo peso che, seppur non portano prove sulle motivazioni che hanno portato alla morte l’ex presidente dell’Eni (su cui vi è ancora un forte alone di mistero ndr), certamente fanno riflettere rendendo non così remota l’idea che con il decesso di Mattei in molti, in Italia e all’Estero, possono aver tirato un sospiro di sollievo. E’ quasi una certezza che la carica esplosiva sul velivolo venne piazzata a Catania. 

Nella sentenza De Mauro, dove viene messo nero su bianco che il disastro aereo di Bescapé fu frutto di un attentato e non un semplice incidente aereo, viene elogiato il grande lavoro del pm di Pavia Vincenzo Calia, titolare della terza inchiesta sul caso aperta il 20 settembre 1994 e chiusa nel 2003. Nella richiesta di archiviazione Calia scrive: 

 “L’esecuzione dell’attentato venne decisa e pianificata con largo anticipo, probabilmente quando fu certo che Enrico Mattei, nonostante gli aspri attacchi e le ripetute minacce non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’ente petrolifero. La programmazione e l’esecuzione dell’attentato furono complesse e comportarono – quantomeno a livello di collaborazione e di copertura – il coinvolgimento degli uomini inseriti nello stesso Ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano”. 

E poi continua: 

“E’ facile arguire che tale imponente attività, protrattasi nel tempo, prima per la preparazione e l’esecuzione del delitto e poi per disinformare e depistare, non può essere ascritta – per la sua stessa complessità, ampiezza e durata – esclusivamente a gruppi criminali, economici, italiani o stranieri, a ‘Sette (… o singole…) sorelle’ o servizi segreti di altri Paesi, se non con l’appoggio e la fattiva collaborazione – cosciente, volontaria e continuata – di persone e strutture profondamente radicate nelle nostre istituzioni e nello stesso Ente petrolifero di Stato, che hanno eseguito ordini o consigli, deliberato autonomamente o col consenso e il sostegno di interessi coincidenti, ma che, comunque, da quel delitto hanno conseguito diretti vantaggi”. Un’analisi che non esclude comunque il coinvolgimento della mafia. Per lo stesso Calia “la tesi della mafia come ente di supporto può essere molto verosimile seppur non esistono riscontri certi”. 

L’ex “boss dei due mondi”, Tommaso Buscetta, aveva raccontato che “il primo delitto eccellente di carattere politico ordinato dalla commissione di Cosa Nostra, costituita subito dopo il 1957, fu quello del presidente dell’Eni, Enrico Mattei. In effetti, fu Cosa Nostra a deliberare la morte del Mattei, secondo quanto mi riferirono personalmente alcuni dei miei amici che componevano quella commissione, come Greco Salvatore “Cicchiteddu” e La Barbera Salvatore. L’indicazione di uccidere Mattei giunse da Cosa Nostra americana, attraverso Bruno Angelo (autorevole esponente della famiglia di Philadelphia) che chiese questo favore a nome della commissione degli Usa e nell’interesse sostanziale delle maggiori compagnie petrolifere americane”. Dello stesso avviso il collaboratore di giustizia gelese Antonio La Perna mentre per il catanese Antonino Calderone il coinvolgimento di Cosa Nostra è da escludere perché “ …non c’era il motivo di uccidere Mattei. Portava ricchezza in Sicilia e alla mafia interessano i soldi…”. 

Tuttavia non è inverosimile che l’attentato al presidente dell’Eni rientri nello scambio di favori tra mafia americana e siciliana. Così come non è “campata in aria” la possibilità che oggi si possa ripetere un fatto tanto grave nei confronti del Presidente dell’Ars, Crocetta. Dietro all’installazione del Muos ci sono interessi e poteri forti, internazionali e locali. E storicamente Cosa nostra si presta ad essere braccio armato del potere, ancor di più quando gli uomini da colpire sono già al centro del proprio mirino.

 Antimafiaduemila


http://www.vocidallastrada.com/2013/03/muos-mafia-e-cia-contro-crocetta.html

 

Il metodo Boffo contro Grillo +ELLEN BROWN: I PIANI DI GRILLO TESTATI DA ALTRI PAESI CON SUCCESSO, MENTRE L’AUSTERITA’ HA SEMPRE FALLITO

Di Lameduck
http://ilblogdilameduck.blogspot.it/

La dimostrazione che ormai PD e PDL utilizzano gli stessi metodi per la bastonatura squadrista a mezzo stampa degli avversari – il metodo Boffo, o casa di Montecarlo o “calzini azzurri” – è in questo articolo de l’Espresso intitolato, come un pornazzo autoprodotto: Grillo, l’autista e la cognata”.

Ci si sono messi addirittura in tre per tirar fuori un’articolessa fatta giuridicamente di niente ma contenente sufficienti messaggi subliminali da far già gridare sui social network e sui blog al “vedi, sono come gli altri”. Riferendosi a quelli del Movimento 5 Stelle, ovvio.
Non si è ancora insediato il nuovo parlamento, non hanno ancora detto beo, né avuto modo di fare alcunché di giusto o di sbagliato ma intanto è stata istituita la Precrimine. “Beppe Grillo, ti dichiaro in arresto per la futura corruzione, pardon scouting, del tuo deputato Pinco Pallino e per la futura inadeguatezza dei tuoi eletti”.

Detto che L’Espresso non lo riconosco più da quella rivista militante e progressista che era negli anni settanta-ottanta e che certi toni, certe impostazioni e infine quest’ultima propensione all’attenzionamento degli avversari dei suoi politici di riferimento con metodi da Lavitola in missione a Santa Lucia, vale la pena soffermarsi sui dettagli di questo piccolo pezzo di propaganda ad usum piddini.

In soldoni, è proprio il caso di dire, l’articolo vorrebbe ricostruire le attività imprenditoriali in Costa Rica dell’autista di Grillo, tale Walter Vezzoli, definito come molto vicino al leader del M5S, per suggerire ai suoi piccoli lettori che dietro a tanti buoni propositi di bontà ed ecologia ci sarebbe un bel po’ di denaro accumulato da far fruttare in altro modo. Come se gli altri partiti, soprattutto quelli dai quali proviene la predica, si dedicassero solo alla cura dei lebbrosi e alla lavanda dei piedi dei derelitti, ça va sans dire.

Tornando in argomento. Visto il suo interesse ai fini dello studio dei metodi della propaganda, vi citerò alcuni estratti dall’articolo, con commento mio e sottolineando le parole chiave, quelle che servono allo scopo ultimo di accendere i ventilatori davanti al letame.
“Tredici società aperte in Costa Rica, per compiere operazioni immobiliari, investimenti, costruzioni, incluso il progetto per un resort di lusso.
Quattro di queste società risultano immatricolate con la formula della “sociedad anonima”, uno schermo giuridico che consente di proteggere l’identità degli azionisti.”
Qui già Carlo Gubitosa ha commentato che società anonima non è sinonimo di onorata società, ergo qualcosa di losco ma è la denominazione di una delle tante possibili forme giuridiche delle società. Inoltre, come prosegue l’articolo:

“Dalle carte che “l’Espresso” ha potuto consultare emerge però che tra gli amministratori compare, insieme a Vezzoli, Nadereh Tadjik, ovvero la cognata di Grillo, la sorella di sua moglie Parvin, di origini iraniane.”
Le carte. Sperando che non siano false. Messe lì da qualche Scaramella o Lavitola della situazione. Proseguiamo. La cognata. Qui i cagnolini salivano perché è suonato il campanellino e davanti agli occhi è comparsa l’immagine olografica di Tulliani, della casa di Montecarlo e di Fini. Il fatal cognato, come si potrebbe dire. La riproposizione di uno schema di successo, visto l’unhappy end di Gianfranco. Chissà mai che non funzioni anche con Grillo?
Le origini iraniane. Beh, qui è un gol a porta vuota. L’Iran è pura black list, lo spauracchio dell’impero e anche il Corriere ha pucciato a lungo il biscotto l’altro giorno sul suocero iraniano, scomparso di recente.
“Nella Armonia Parvin sa – stesso nome della signora Grillo – la presidente Nadereh Tadijk e il secretario Vezzoli sono affiancati da un terzo amministratore, un italiano residente in Costa Rica che si chiama Enrico Cungi. Cungi nel 1996 venne coinvolto in un’indagine per narcotraffico. Arrestato in Costa Rica e poi estradato in Italia ha passato tre mesi nel carcere di Rebibbia, ma non risultano condanne a suo carico.”
Non ci sarebbe nemmeno bisogno di proseguire nella lettura del pezzo. Quel “narcotraffico” è capace di cancellare tutto il resto – compresa l’ammissione dell’assenza di condanne della persona citata – e di imprimersi nelle testoline dei piddini come un marchio di fuoco. E’ la lettera scarlatta.

“A che cosa serve questa costellazione di società, dotate per altro di capitali sociali minimi, non più di 10 mila dollari ciascuna?
Difficile dare una risposta precisa, visto che l’oggetto sociale indicato nelle carte appare ampio. Ad aumentare la difficoltà c’è poi il fatto che il livello di trasparenza delle informazioni societarie in Costa Rica è tra i più bassi al mondo. Non per niente il Paese del Centroamerica è inserito nella black list dei paradisi fiscali dal Tesoro italiano.”
Black list. Una parola che è in grado di pietrificare all’istante i commercialisti. Provate a portar loro una fattura, regolarissima, ma proveniente da un vostro fornitore di San Marino. “Ma sei matta?! San Marino è nella black list!” Qui parliamo addirittura di un paradiso fiscale, pensate alle associazioni che nascono nei cervellini omologati: evasione, esportazione illegale di capitali, riciclaggio, denaro sporco. Se queste parole si uniscono al narcotraffico di prima, i cervellini smettono perfino di pensare alle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia, all’affare Monte Paschi e si concentrano solo sul nuovo target. Mission accomplished.

Finora solo insinuazioni e sospetti, tutto qui, quindi? Qualcosa però l’Espresso ha trovato, nelle famose carte che ha visionato, che vi credevate.
“Almeno una delle società targate Vezzoli-Tadijk ha però in cantiere un progetto ben preciso. Ecofeudo, infatti, è il nome di un resort extra lusso da 30 ettari da costruire sulle colline della baia Papagayo. A giudicare dalle foto pubblicate Ecofeudo non sarà un villaggio popolare.
La zona è considerata una delle più promettenti per chi vuole investire nel turismo. Nel resort le ville saranno di alto livello: «potranno avere una superficie fino a 750 metri quadri coperti su un’area propria di 5000 metri quadri». “
Siete delusi, vero? Eravate convinti che, dopo la lavanda dei piedi ai lebbrosi, queste madriterese scese in politica avrebbero fondato società per la costruzione di alloggi popolari per gli esodati e i terremotati, affidandosi alle cooperative amiche. Invece no, sono degli sporchi capitalisti che vi hanno costretti con l’inganno e gli incantesimi di Casaleggio a scippare il voto al centrosinistra, facendo piangere la Bindi e spezzando il cuoricione a Bersani.

Che vi devo dire, questo è il livello del dibattito politico. Basso, come direbbe il compianto Professor Pazzaglia. Cosa vogliono dimostrare queste “inchieste”, quella dell’Espresso ripresa per altro anche in pompa magna dal TG La7 di Mentana? Niente, vogliono semplicemente cercare di appiattire il M5S sugli altri partiti politici, suggerendo che sono tutti uguali, che il popolo non è in grado di fare scelte perché si affida a dei trafficoni, ecc. E solo perché gli italiani si sono permessi di votarlo. Alla fine, non è il M5S che è colpito – chi se ne frega, dopo tutto – è il concetto di scelta democratica, di sovranità del popolo.

Mi dispiace ma sono metodi da P5, da mestatori di professione e non importa che prendano di mira Grillo o Fini o chiunque altro. Questi mezzucci dimostrano solo lo scadimento della competizione politica e dovrebbero preoccupare i piddini, visto che sono la prova che l’identificazione con l’aggressore è ormai quasi completata.

“Bisogna andare a fondo, indagare in questi fatti del Costa Rica”, gridano già. Ecco, l’esca ha già fatto abboccare il pesce.
Solo dei fenomenali ingenui possono pensare che un qualsiasi movimento politico sia formato solo da cloni della vergine Maria. Si può solo sperare che dei nuovi del mestiere ci mettano un po’ di più del solito a farsi corrompere e che in mezzo a loro ci siano parecchie persone oneste, che esistono ancora, per fortuna.

Chiudo ricordando che ieri si è ucciso David Rossi, responsabile della comunicazione di Monte Paschi. Ancora il caso MPS, che è un enorme fuoco che cova sotto la cenere. La notizia è già scesa a fondo pagina e noi di cosa stiamo parlando? Del resort di lusso nel Costa Rica.
Capito?

Titolo originale:”Ad usum piddini”

Fonte:http://ilblogdilameduck.blogspot.it/2013/03/ad-usum-piddini.html

http://officinaverde.altervista.org/blog/il-metodo-boffo-contro-grillo/

 



http://informazioneconsapevole.blogspot.it/2013/03/il-metodo-boffo-contro-grillo.html

 

ELLEN BROWN: I PIANI DI GRILLO TESTATI DA ALTRI PAESI CON SUCCESSO, MENTRE L’AUSTERITA’ HA SEMPRE FALLITO

 

Della serie… così, ANCHE, vedono dall’estero il fenomeno italiano del momento... nel seguito note da una autrice che sta proponendo, in generale, alternative al sistema occidentale in implosione.

Ellen Brown, è una  avvocatessa americana ed è autrice di undici libri, incluso “Web of Debt: The Shocking Truth About Our Money System and How We Can Break Free” (Ragnatela di debito:la shockante verità sul nostro sistema bancario e come possiamo liberarcene) . I suoi siti: webofdebt.com e ellenbrown.com. E’ anche presidentessa  del Public Banking Institute (Istituto Bancario Pubblico).

 

Avevo già tradotto in precedenza un suo articolo:

BASILEA III: LE BANCHE MONDIALI PIU’ VICINE AL DOMINIO GLOBALE.

 

Steve Colatrella,  che vive in Italia e ha fatto un articolo in Counterpunch sul fenomeno Grillo, dice che Grillo ha la piattaforma  di propositi positivi.  Oltre a respingere tutti i partiti esistenti  e tutti i trattati, il programma di Grillo include quanto segue:

 

• respingere il debito pubblico in modo unilaterale

• nazionalizzare le banche e

• una garanzia di cittadinanza di1000 euro al mese.

 

E’ una piattaforma che potrebbe effettivamente funzionare . Per un decennio si è testata la austerità nella eurozona. Ed ha fallito. Mentre i propositi del piano di Grillo sono stati testati in altri paesi ed hanno avuto successo.

In Islanda, Argentina, Ecuador, Russia, tra gli altri paesi, il rifiuto del debito pubblico ha avuto parecchio successo.  Whitney cita una clip dal blog di Grillo che suggerisce che questa è anche la via di uscita per l’Italia:

 

. . . Gli speculatori  . . .contribuiscono alla caduta dei prezzi per far sorgere tassi di interesse piu’ alti E’ la tecnica dell’usuraio. Cosi il debito diventa una opportunità per massimizzare i guadagni sul mercato, alle spese della nazione… Se i brokers del potere finanziario usano la speculazione per aumentare i loro guadagni e forzano i governi a pagare tassi di interesse il piu’ alti possibile, il risultato è la recessione per lo stato che è nel debito e la perdita della  sua sovranità.

Anche il secondo proposito di Grillo, nazionalizzare le banche, è stato testato e provato altrove soprattutto in Cina. Nell’aprile 2012,  un articolo nel The American Conservative titolava “L’ascesa della Cina, la caduta dell’America”;  

 

Ron Unz rileva: durante i 3 decenni fino ad arrivare al 2010, la Cina ha raggiunto  forse il piu’ rapido tasso di sviluppo economico nella storia della specie umana, con l’economia reale che è cresciuta circa di 40 volte tra il 1978 e il 2010. Secondo Eamonn Fingleton nel suo The Jaws of the Dragon (2009), la Fontana che nutre questa marea , è un forte settore bancario pubblico: che il capitalismo trionfi in Cina è stato proclamato in innumerevoli libri, in questi recenti anni . . .  Ma . . . i maggiori successi nella sua economia rimangono nel loro insieme controllati in un modo che è in antitesi con tutto cio’ che associamo  al capitalismo occidentale. La chiave di questo controllo è il sistema bancario cinese. . . [che non  ] solo è nelle mani dello stato ma, come in altre economie “miracolo” dell’Asia orientale, funziona come maggior strumento della politica industriale del governo centrale.

l terzo proposito di Grillo, un reddito base garantito, non è solo una idea utopistica campata per aria.  Da circa un secolo, un dividendo nazionale  viene avanzato con urgenza dalla scuola di  “credito sociale” della riforma monetaria e il Basic Income Guarantee Network (rete americana di garanzia per il reddito base) ha tenuto dozzine di conferenze annuali. Credono che un reddito di base garantito sia la chiave per mantenere fervide le economie moderne, altamente produttive.

 

In Europa il proposito non è avanzato solo dal partito meridionale europeo di Grillo, ma anche dalla sobria Svizzera  del nord, dove nell’aprile 2012 fu introdotta una iniziativa per stabilire una nuova legge federale per un reddito di base incondizionato.  L’idea consiste nel dare a tutti i cittadini un reddito mensile che non è in relazione al lavoro né testato in relazione ai mezzi. Con il sistema referendario svizzero di democrazia diretta , se l’iniziativa raggruppa piu’ di 100.000 firme prima dell’ottobre 2013, l’Assemblea Federale dovrà metterci mano.

 

Colatrella non  dice dove Grillo progetta di prendere il denaro per il reddito base garantito in Italia ma secondo la teoria del credito sociale -Social Credit theory- , sarebbe semplicemente emesso direttamente dal governo; e Grillo, che ha un background amministrativo, concorda evidentemente  con quell’approccio per finanziare il progetto.  

 

Grillo ha detto in una presentazione disponibile in youtube:

La Banca d’Italia è una azienda di azionisti privati, la cui proprietà comprende  10 compagnie di assicurazione, 10 fondazioni e 10 banche . . .  Emettono denaro dal nulla e ce lo prestano. E’ lo stato che deve emettere denaro. Abbiamo bisogno del denaro per lavorare. Lo stato dovrebbe dire: “C’è scarsità di denaro? Ne emetto un po’ e lo metto in circolazione. Il denaro è tanto? Ne ritiro un po’ e lo brucio.” . . . Il denaro è necessario  per tenere stabili i prezzi e farci lavorare.

>>> TUTTO L’ARTICOLO QUI: http://www.thelivingspirits.net/php/articolo.php?lingua=ita&id_articolo=646&id_categoria=12&id_sottocategoria=75

 


 

http://cafedehumanite.blogspot.it/2013/03/ellen-brown-i-piani-di-grillo-testati.html

 

Questione di Libertà + Choosy, desideri illimitati e ruolo della Comunità

Occorre fare fronte. Aggregare ogni limatura di uomini liberi, perché c’è un mostro da 

distruggere: la cosiddetta “Unione europea”.

 

Choosy, desideri illimitati e ruolo della Comunità

di Piotr Zygulski – 10/03/2013

 

Fonte: correttainformazione

Oltre le lacrime che le hanno impedito di pronunciare la parola “sacrifici”, tutti abbiamo ben presente il consiglio della ministra Fornero che ha dato ai giovani di non essere troppo choosy e di accettare la prima offerta di lavoro che capita. Si tratta di una evidente moral suasion – per dirla con un altro termine trendy – per le nuove generazioni che dovrebbero così spontaneamente interiorizzare il disciplinamento dell’attuale modo di produzione. Con l’intramontabile Marx sappiamo che esso si fonda anche sulla “legge generale dell’accumulazione capitalistica”, la quale prevede la creazione di un “esercito industriale di riserva” di disoccupati per eternare i ricatti che ne sorreggono la riproduzione. Ricatto nei confronti della forza lavoro occupata, costretta ad accettare riduzioni salariali e/o di diritti (a tal proposito è eclatante la situazione dei lavoratori greci e quella dei lavoratori FIAT) e ricatto anche nei confronti della forza lavoro non occupata che, pur di sopravvivere, si trova nelle condizioni di doversi vendere al prezzo di mercato, cioè a qualsiasi prezzo.

Il choosy della Fornero, che possiamo tradurre variamente in lingua italiana con selettivo, schizzinoso, esigente (oppure, come preferisco fare io, nell’espressione colorita genovese pin de musse), dopo l’altra infelice espressione del defunto ministro Tommaso Padoa Schioppa che invitò i bamboccioni ad andarsene di casa dopo il diciottesimo anno d’età, s’inserisce in una sorta di grande narrazione dell’atomizzazione dell’individuo per renderlo impotente. Se tutti i giovani abbandonassero le famiglie, che costituiscono probabilmente la più grande forma di assistenza sociale, essi sarebbero liberi da un forte vincolo, e per giunta potrebbero fare esperienza all’estero, globalizzandosi, per compensare con le esperienze acquisite all’estero gli effetti collaterali della disoccupazione, come la perdita delle competenze. La dissoluzione di istituzioni comunitarie secolari e millenarie, quali famiglia e sindacati, va di pari passo allo scontro generazionale.

Talvolta si parla di riforme previdenziali che, forse, riusciranno a mantenere un sistema pensionistico per quando noi saremo non-giovani, ma nel frattempo si nega ai non-giovani di oggi il diritto alla pensione e ai giovani di oggi il diritto ad un posto di lavoro, sobillando odi reciproci. Questi devono, però, essere mitigati, e ciò avviene esorcizzando le divergenze tra giovani e non-giovani con forme di ammiccante giovanilismo compassionevole, spesso da parte di sedicentigggiovani. La popolazione può essere così suddivisa in raggruppamenti sociologico-giornalistici innocui: generazione X, generazione Y, generazione Z, ognuna delle quali rappresenta un target differenziato per la vendita delle merci del capitalismo.

Tuttavia non è presente solamente la dimensione inter-generazionale, ma vi è anche quella dello scontro intra-generazionale. Per smarcarsi dagli odiosi epiteti, è indetto il concorsone per stabilire chi è meno bamboccione e chi è meno choosy, ossia chi per primo si conforma ai dettami del capitalismo globalizzato. Oltre agli evidenti motivi economici, vi è anche questo dietro ai milioni di giovani che vanno a studiare/lavorare all’estero e al numero altrettanto considerevole di persone intenzionate a farlo in tempi brevi. Inoltre apprendiamo dai sondaggi che i giovani not-choosy,disposti ad accettare qualsiasi tipo di lavoro, sarebbero sei su dieci. Ogni giorno apprendo di amici che, nella speranza di un futuro migliore (o meglio, di una sopravvivenza), si prestano a qualsiasi condizione lavorativa, anche senza regolare contratto, anche senza stipendio. Oppure di altri che sono costretti a lasciare gli studi per il costo troppo elevato delle tasse universitarie, per poi meritare l’appellativo di sfigati dal sottosegretario Martone, oltre il danno la beffa. Più di “non avere una laurea a 28 anni” dovrebbe maggiormente preoccupare l’ignoranza, l’apatia e il disinteresse nei confronti della sfera comunitaria, in larga parte propagandati – più o meno indirettamente – dall’ideologia odierna.

Nell’ambito dell’atomizzazione dell’individuo, la socialità dell’uomo, impossibile da sradicare, viene indirizzata altrove, con la reazione di innumerevoli comunità virtuali, da quelle dei videogiocatori a quelle dei possessori di un certo modello di smartphone, sicuramente più mansuete delle vecchie classi sociali contrapposte.

I conflitti intra-generazionali possono addirittura assumere i toni di una caccia alle streghe, basti pensare a quella contro i fannulloni, che lungi dall’essere una battaglia di buon senso contro chi davvero lavora poco, deborda invece in un’operazione squisitamente ideologica di supporto al mito dell’efficienza capitalistica.

Se i maggiordomi di primo e di secondo livello (Giulietto ChiesaInvece della catastrofe, Piemme, 2013) intervengono con quelle espressioni che odorano di consiglio quanto l’olio di ricino è perché, fortunatamente, nel popolo italiano – tacciato assai sovente di opportunismo – la rassegnazione alle logiche del Capitale non è ancora totalmente compiuta e sono presenti alcune resistenze che il sistema tenta di inglobare. Penso ad esempio al ruolo dei nonni e del volontariato che, rispettivamente nell’ambito della socialità familiare e comunitaria in disgregazione, arginano le falle di un capitalismo anonimo e impersonale che di per sé sarebbe già stato rovesciato da tempo. La campagna “giovani non più disposti a tutto” promossa tra anni fa dalla CGIL, anche se ha provato ad avanzare una forma di resistenza, è caduta subito nel dimenticatoio, assieme alle tante altre iniziative, cortei variopinti in primis, che non sono state in grado nemmeno di sfiorare il rapporto tra dominati e dominanti, divenendo persino fonti di legittimazione per i partiti che hanno sostenuto politiche liberiste e flessibiliste, salvo poi prenderne le distanze in occasione del rito elettorale. Un buon segno invece è dato dall’ascesa di movimenti tendenzialmente comunitari, volgarmente definiti populistici, che provano a ristabilire il primato dell’etica (non solo della morale individuale) sulla sfera economico-finanziaria. Non a caso sono i più temuti dai sopraccitati maggiordomi, che continuano a invocare sforzi per contrastare “quegli ostacoli che impediscono all’economia italiana di progredire”.Con economia ovviamente non intendono mai il senso nobile del termine, “legge comunitaria per la gestione della casa pubblica”, bensì la mera valorizzazione del capitale fine a sé stessa, in tempi in cui il saggio di profitto continua a mostrare unatendenziale caduta. Anzi, in un’ottica di stato minimo globalizzato, la legge per la gestione della casa deve limitarsi a garantire la piena libertà di circolazione di persone, merci e capitali per agevolare la ricerca del profitto. Questo avviene in vari modi, ad esempio mobilitando migranti da una parte all’altra del globo, che vanno ad implementare l’esercito delle forze-lavoro di riserva (ricattate e ricattanti loro malgrado) e liberalizzando il liberalizzabile.

Infine vorrei notare che i dogmi imposti dalla religione mercatistica convivono contraddittoriamente con l’illimitatezza verso cui tende asintoticamente. Da un lato è il capitalismo stesso che per una logica di riproduzione interna crea nuovi desideri, facendo credere con tecniche di marketing che essi costituiscano bisogni essenziali, pertanto crea choosities, schizzinosità e desideri effimeri illimitati. Desideri che sono illimitati però sino a quando la trascendibilità del modo di produzione attuale non sia messa seriamente in discussione. Bianco o nero,centrodestra o centrosinistra, tertium non daturQuindi la natura del dogma capitalistico non è tanto quella del limite comunitario, métron in senso greco, nato dal dialogo aperto e finalizzato a garantire una convivenza pacifica e solidale, quanto invece di una barriera di vetro insormontabile ed escludente, superando la quale sarebbe in pericolo la riproduzione del sistema stesso. Si tratta di barriere di vetro perché tutto avviene sotto le parvenze della più ampia libertà formale. Grazie anche al supporto dei mass media. Se “ce lo chiede l’Europa”, se “i mercati impongono decisioni rapide”, non possiamo non farlo. Desiderate pure l’infinito, ma conviene accontentarvi di questo, perché tutto il resto è utopia.

In modo analogo a quanto avviene per la naturale socialità dell’uomo che, non potendo essere soppressa, viene indirizzata a forme alternative e artificiali di convivenza, non è possibile sopprimere la naturale tensione verso l’infinito. La si indirizza pertanto a desideri infiniti, quelli il cui godimento è disciplinato in base alla ricchezza monetaria. Venuto meno il ruolo etico delle comunità, che in ultima istanza è la comunità umana, si ha la liberalizzazione dei desideri che accrescono il feticismo delle merci, per sostenere quei prezzi che permettono un margine più ampio di plusvalore.  Come non rimanere ipnotizzati dal luccichio delle pubblicità? Si tratta di vere e proprie forme d‘inquinamento mentale con scopo di rendere essenziale l’accessorio, tramutare i bisogni naturali in desideri velleitari con “false promesse di infinito che seducono l’uomo e lo rendono schiavo”. Quando l’unico limite auspicabile dovrebbe essere quel métron insito nella natura umana, un métron che è al contempo comunitario e universale, e non un’imposizione dogmatica per impedire la dissoluzione delle oligarchie dominanti.

È Hegel, quando parla di desiderio nella Fenomenologia dello Spirito, a ricondurlo correttamente al conflitto servo-padrone e al riconoscimento reciproco, ossia all’autocoscienza. Si potrebbe giungere alla semplice conclusione che quando il servo si renderà conto che la sopravvivenza del suo padrone è nelle sue mani, allora il gioco sarà fatto. Ma se al tempo di Marx il padrone era la figura borghese ben visibile, dell’industriale, oggi il modo di produzione capitalistico entrato nella sua terza fase speculativa rivela la sua natura di un processo impersonale, senza soggetto. Non si sa più verso chi indirizzare le lotte, verso un leader politico o verso manager che saltano da un’impresa all’altra? Purtroppo la resistenza si fa più ardua quando il nemico non è ben definito e quando la maggioranza della popolazione, per di più senza rendersene conto, ha fatto propri i dogmi della religione mercatistica. Di qui l’esigenza di una presa di coscienza della situazione, che sarebbe una premessa necessaria e al contempo un primo passo verso il superamento del capitalismo, il quale è per sua stessa essenza dis-umano e dis-umanizzante, pertanto da respingere moralmente come malvagio, ma soprattutto da descrivere con coraggio filosofico come falso.

Di fronte al proliferare dei desideri illimitati, forse l’unico che dovrebbe essere fondamentale è il desiderio di autocoscienza, in altre parole la ricerca dell’Uomo e della sua natura, per conoscere e delimitare comunitariamente i suoi bisogni (che il modo di produzione attuale non è in grado di soddisfare), traendo infine la necessaria conclusione che occorre trascendere l’attuale modo di produzione e di costruirne uno nuovo, partendo innanzitutto dalle resistenze comunitarie choosy che ancora permangono.

 

HANNO SFIDATO ISRAELE.E SONO MORTI

2004: YASSER ARAFAT (PALESTINA)

Il carismatico e simpatico leader del popolo palestinese (oppresso per lungo tempo da Israele) conquistò la simpatia di molti leader mondiali. Venne probabilmente avvelenato da agenti israeliani.

Arafat: “Israele cerca di dominare tutto il Medio Oriente.”

Arafat era popolare e rispettato

Arafat muore

2006: SADDAM HUSSEIN (IRAQ)

Saddam Hussein è sempre stato un sostenitore della causa Palestinese e un ostacolo alle ambizioni di Israele nella regione. Hussein esortò tutti i Paesi arabi nel sostenere il popolo palestinese. Dopo essere stato spodestato, da un’invasione degli Stati Uniti nel 2003, fu impiccato dai fantocci iracheni statunitensi e israeliani, tre anni più tardi.

Saddam era un coraggioso critico di Israele e un ostacolo per le ambizioni di Israele

Saddam e Arafat ebbero una lunga e stretta amicizia

Saddam muore

2008: JORG HAIDER (AUSTRIA)

Jorg Haider era il capo del Partito della Libertà austriaco. Era odiato dai sionisti perchè lodò i risultati, in campo economico di Hitler. Si attirò le ire di Israele, visitando sia Saddam Hussein che Muammar Gheddafi. Dopo aver sopportato quasi 8 anni di odio sionista-globalista, Haider venne infine ucciso in un misterioso incidente d’auto.

Haider e Gheddafi

Haider e Hussein

Haider muore

2011: MUAMMAR GHEDDAFI (LIBIA)

Il leader libico Gheddafi era esplicitamente a favore della causa palestinese e un anti-sionista. Nel 2010, Gheddafi accusò Israele di aver ucciso JFK. Nel 2011, venne torturato e colpito a morte dai “ribelli libici” americani/israeliani.

Gheddafi e Arafat mantennero stretti contatti per oltre 30 anni

Gheddafi: “Israele ha ucciso John F Kennedy”

Gheddafi muore

2013: HUGO CHAVEZ (VENEZUELA)

Il leader venezuelano Chavez era fortemente critico nei confronti di Israele ed amico del popolo palestinese. Nel 2010, Chavez affermò che gli agenti israeliani stavano tentando di ucciderlo. Nel marzo del 2013, Chavez morì dopo aver combattuto contro uno strano tipo di cancro. I venezuelani credono che sia stato avvelenato.

Chavez: “Maledetti i terroristi israeliani! Stanno cercando di uccidermi!”

Chavez mostra a Gheddafi la spada di Simon Bolivar.

Chavez muore (Il presidente dell’Iran piange sulla bara di Chavez)

CHI SARA’ IL PROSSIMO?

KIM JONG UN (NORD KOREA)

La Corea del Nord comunista ha relazioni molto ostili con Israele. La Corea del Nord non riconosce Israele e sostiene i palestinesi. La Corea del Nord vende anche tecnologie a Siria e Iran. Cina e Russia stanno cercando di mantenere la pace tra Corea del Nord e del Sud (quest’ultima un fantoccio degli Usa).

Kim Jong con la leggenda NBA, Dennis Rodman: “Ama il potere, ma non vuole la guerra.”

BASHAR AL ASSAD (SIRIA)

La Siria sostiene i palestinesi e ha una controversia aperta con Israele riguardo un territorio (alture del Golan). La Siria fornisce anche armi al Libano (Hezbollah), in modo che possano respingere un’invasione israeliana.

Israele / USA / NWO stanno attualmente sostenendo i “ribelli” i quali cercano attivamente di distruggere la Siria e uccidere Assad.

Al Assad abbracciò calorosamente l’ormai defunto Gheddafi

Al Assad riceve gli onori di Chavez

Assad con il suo alleato iraniano, Ahmadinejad

MAHMOUD AHMADINEJAD (IRAN)

L’Iran è un ostacolo militare per  le ambizioni israeliane nella regione. Il presidente Ahmadinejad sta lavorando allo sviluppo di energia nucleare per il suo paese e sostiene i palestinesi oppressi. Gli Stati Uniti / Israele continuano a minacciare di bombardare l’Iran dal 2004.

Ahmadinejad con  Gheddafi

Ahmadinejad con Gheddafi

I media sionisti odiano l’Iran

VLADIMIR PUTIN (RUSSIA, L’OBIETTIVO FINALE)

Solo l’influenza e il potere russo (e cinese) ostacolano la presa di potere globalista e il dominio sionista in Medio Oriente. Putin ha resuscitato la Russia trasformandola in una forza da non sottovalutare. Putin ha già sventato un complotto ai suoi danni e un falsa rivoluzione CIA “pro-democrazia”.

Putin viene decorato da Chavez

Putin e Arafat avevano buone relazioni

Putin e Gheddafi erano amici

Putin supporta la Siria

Putin non vuole che l’Iran venga attaccato

Ora avete capito perchè i media sionisti odiano Putin

Fonte

L’assordante silenzio di Cgil Cisl Uil

Di Giorgio Cremaschi – contropiano.org

 

Sul dopo elezioni e la situazione del paese continua la latitanza dei vertici confederali. Anche per Giorgio Cremaschi serve uno tsunami nel sindacato.

Bisognerebbe forse rivolgersi a “Chi l’ha visto?” per avere notizie dei gruppi dirigenti di CGIL CISL UIL. Sono scomparsi anche dallo spettacolo mediatico e se qualche presenza c’è stata, non se ne è accorto nessuno.

 

Qualcuno potrebbe obiettare che questo avviene perché le grandi confederazioni sono estranee all’avvitarsi su se stessa della crisi politica, fanno un altro mestiere. Ma è difficile dimenticare il loro impegno pre elettorale.

 

La CISL è stata promotrice della lista Monti, mentre la CGIL ha investito tutto sulla vittoria di Bersani.Entrambi i gruppi dirigenti di queste confederazioni sono dunque usciti sonoramente sconfitti dal voto, a maggior ragione perché un gran numero degli iscritti alle loro organizzazioni non li ha seguiti e ha votato 5 stelle.

Ma la s celta di collateralismo elettorale non è la causa, ma solo un disperato, fallito, tentativo di affrontare così una crisi del sindacalismo confederale che ora sta precipitando dopo anni e anni di scivolamento verso il basso.

 

Oggi milioni di lavoratori si chiedono a che serva il sindacato. E non perché abbiano sposato le teorie neoliberiste secondo le quali la contrattazione sindacale sarebbe un freno allo sviluppo. Ma al contrario perché sentono il sindacato assente o lontano dal disastro della loro condizione sociale.

 

I precari e i disoccupati sono fuori dal mondo sindacale organizzato, ma anche quest’ultimo è sempre meno tutelato dalla contrattazione. Gli accordi che si firmano sono solo peggiorativi, sia quelli separati come l’ennesimo in Fiat, sia quelli unitari come alle Trenord. Ovunque i lavoratori sindacalizzati ri cevono piu danni che benefici dagli accordi sindacali. 

 

Si può obiettare a questo brutale giudizio che sempre nei momenti di crisi e disoccupazione i sindacati hanno fatto fatica a reggere.Però bisogna anche provarci a resistere. 

 

Il governo Monti ha realizzato le sue peggiori controriforme, dalle pensioni all’articolo 18, e la sua disastrosa politica di austerità con il consenso della Cisl e con le brontolate senza mobilitazione della CGIL. La UIL non è pervenuta.

 

Questo ultimo anno catastrofico per le condizioni complessive del mondo del lavoro ha visto una complicità e una passività sindacale uniche in Europa, o in ogni caso in contrasto clamoroso con quello che era considerato uno dei movimenti più forti del continente. Le resistenze della FIOM e dei sindacati di base, le singole lotte aziendali, non sono riuscite a fermare questa ritirata generale.

 

Si capisce allora megli o perché i gruppi dirigenti di CGIL e CISL si sono così platealmente spesi nella campagna elettorale. Dalla vittoria dello schieramento amico speravano di riottenere quel ruolo istituzionale che avevano perso senza lottare.

 

Non è andata così ed ora i gruppi dirigenti delle grandi confederazioni brancolano nel buio, sperando in chissà quale miracolo che permetta loro di continuare così senza cambiare nulla.

 

La burocrazia sindacale sente arrivare la crisi, ma spesso reagisce ad essa con la chiusura al dissenso e l’obbligo alla fedeltà. Due operai, militanti sindacali esemplari generosi e onesti, sono stati espulsi dalla CGIL a Padova perché su internet contestavano i dirigenti. E non è certo il solo caso di autoritarismo nella vita interna.

 

Questo sindacato che oggi pare scomparso non produce autocritiche, non ricerca vie nuove, non si rinnova né tantomeno si sburocratizza, ma pretende solo l’arroc camento dell’organizzazione attorno ai gruppi dirigenti. 

 

Eppure oggi come non mai le lavoratrici ed i lavoratori, i precari e i disoccupati, quel 65 % della popolazione il cui reddito non basta più per vivere, avrebbero bisogno di un sindacato che lotti e soffra assieme a loro.

 

Serve oggi un sindacato di lotta e cambiamento sociale profondamente democratico e totalmente indipendente dagli schieramenti politici. E se per ottenerlo occorre che anche le grandi confederazioni siano colpite dallo tsunami che ha sconvolto il quadro politico, bene che accada.

 

Il prezzo che il mondo del lavoro paga oggi, anche per la passività sindacale, è troppo pesante e ingiusto per continuare così.

 

Fonte: http://www.contropiano.org/it/news-politica/item/15030-l’assordante-silenzio-di-cgil-cisl-uil

 


 

http://www.nocensura.com/2013/03/lassordante-silenzio-di-cgil-cisl-uil.html