Accesso parlamentari all’area della Maddalena anche il Presidente del Senato dà ragione ai 5 stelle.

Da: NOTAV.INFO

Partiamo subito risolvendo un enorme equivoco.

 I parlamentari del Movimento 5 Stelle hanno comunicato al Ministero della Difesa nella giornata dell’altro ieri il loro accesso all’area della Maddalena nel Comune di Chiomonte, specificando chiaramente che sarebbero entratisia nella c.d. area di interesse strategico nazionale (il cantiere vero e proprio) che – fondamentale – nelle relative aree limitrofe (e cioè il resto dell’area militarizzata, che non è cantiere vero e proprio).

Il potere del parlamentare di entrare nell’area presidiata da militari in località La Maddalena discende (oltreché, per analogia, da quello ispettivo in C.I.E. e penitenziari, sempre esercitabile senza autorizzazione, e, in quei casi, senza preavviso) dal D.Lgs 15.3.2010 n. 6, cioè dal Codice dell’ordinamento militare.

L’art.301 del Codice è rubricato “Visite dei parlamentari nelle strutture militari” e recita:

1. I membri del Parlamento possono visitare senza autorizzazione le strutture militari della Difesa e ogni altro luogo e zona militare ovvero le installazioni, fisse o mobili, che ospitano corpi, reparti o comunque personale delle Forze armate.

2. Le visite sono annunciate con preavviso di almeno ventiquattro ore, inviato al Ministro della difesa. Le aree riservate possono essere visitate previa specifica autorizzazione.

3. Le visite si svolgono secondo le modalità definite dal regolamento, tali comunque da non interferire con la normale attività di servizio e con la funzionalità delle strutture.

Il significato e lo scopo della norma, quindi, sono chiari: creare una prerogativa del tutto speciale, in ragione del ruolo istituzionale ricoperto, ai Parlamentari della Repubblica. Si ricorda che ai sensi dell’art. 67 della Costituzione “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”.

Togliamo adesso un altro dubbio. La struttura militare.

Ripetiamo insieme cosa dice la norma.

I membri del Parlamento possono visitare senza autorizzazione le strutture militari della Difesa e ogni altro luogo e zona militare ovvero le installazioni, fisse o mobili, che ospitano corpi, reparti o comunque personale delle Forze armate.

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E infatti il presidente del Senato Grasso, in una lettera del 22 marzo, riconosce che l’area è tutelata “da militari dell’esercito” e che è configurabile l’accesso alle strutture dove essi si trovano “ricadendo nell’ambito normativo di cui alla citata legge n. 206 del 1998.

 Molto bene, dunque: i parlamentari e i loro accompagnatori entrano.

 Ma dove? Ci sono limiti ovunque, oppure no?  No, ri-chiariamo l’enorme equivoco.

 I parlamentari del Movimento 5 Stelle – e non solo – hanno comunicato al Ministero della Difesa nella giornata dell’altro ieri il loro accesso all’area della Maddalena nel Comune di Chiomonte, specificando chiaramente che sarebbero entrati sia nella c.d. area di interesse strategico nazionale (il cantiere vero e proprio, in viola) che – fondamentale – nelle relative aree limitrofe (e cioè il resto dell’area militarizzata, che non è cantiere vero e proprio, in arancione e oltre.).

 La mappa che seguerealizzata dalla società pubblica LTF S.a.s. titolare del cantiere, chiarisce bene la differenza tra ‘cantiere – sito strategico di interesse nazionale’, ricordiamo bene, l’unica definita tale dalla delibera Cipe 86/10, e ‘zona militarizzata non-cantiere’.

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Solo la zona viola è il ‘cantiere-sito strategico di interesse nazionale’ (lato destro per chi ha problemi di identificazione colori), nella quale il presidente del Senato ritiene che i parlamentari possano accedere accompagnati dal titolare del cantiere, tutto il resto, compresa l’area arancione, non lo è. E i parlamentari vogliono visitare anche quell’altra area.

La società LTF S.a.s. non ha alcuna ‘giurisdizione’ o potere sulle aree al di fuori di quella colorata in viola, semplicemente per il fatto che quella non è area di cantiere e non è ‘sito strategico di interesse nazionale’.

Per essere più chiari, diremo che l’area di ‘cantiere- sito strategico di interesse nazionale’ rappresenta si e no il 30% della complessiva area militarizzata che i parlamentari visiteranno, che si estende anche oltre la zona arancione, per numerosi ettari tutt’intorno al cantiere, partendo dal torrente Clarea e arrivando sino al famoso cancello della Centrale idroelettrica. Qui sotto una spiegazione ancora più chiara.

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Per essere ancora più chiari.

Qui sotto vedete la zona delle Vigne (peraltro, in parte di proprietà dei No Tav) e in fondo a destra, l’edificio a quattro piani con tetto arancione, la Centrale Idroelettrica: tutta la zona è militarizzata dal 27 giugno del 2011 ma non ha proprio niente a che vedere con il ‘cantiere-sito strategico di interesse nazionale’.

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Qui sotto vedete il cancello della Centrale e dietro la Centrale. A sinistra in alto altre cancellate che delimitano l’area militarizzata dal 2011 (quindi bloccano di fatto l’accesso ad un’enorme area di territorio) e che, lo diciamo ancora una volta, non hanno niente a che vedere con il ‘cantiere-sito strategico di interesse nazionale’, che si trova da tutta un’altra parte, a centinaia di metri di distanza.

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In conclusione i parlamentari sabato mattina 23 marzo 2013 entreranno liberamente dal cancello della Centrale idroelettrica[1] che delimita l’area militarizzata, e che ribadiamo, non delimita affatto l’area di ‘cantiere-sito strategico di interesse nazionale’ e raggiungeranno senza vincoli – vincoli che nessuno può imporre loro visto che godono delle prerogative dell’art. 301 D. Lgs. 6/10 – il confine di tale zona di ‘cantiere-sito strategico di interesse nazionale’ ubicata parecchie centinaia di metri più in là, oltre il Museo Archeologico.

A quel punto verranno prese in considerazione le questioni sulla sicurezza e l’incolumità personale.

 

Cipro: gli Stati Uniti vogliono dominare il Mediterraneo attraverso la NATO

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MARZO 21, 2013 LASCIA UN COMMENTO

StopNATO 3 marzo 2011

cyprus-mapIl 24 febbraio 2011 la maggioranza nel parlamento di Cipro votava per l’adesione del Paese al programma del partenariato per la pace della North Atlantic Treaty Organization, un meccanismo di transizione impiegato, nel 1999-2009, per portare dodici nazioni dell’Europa orientale nel blocco militare dominato dagli USA: Repubblica ceca, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia, Albania e Croazia. La Macedonia sarebbe diventata  membro a pieno titolo dell’Alleanza nel 2009, insieme con le ultime due, se non fosse stata per la persistente disputa sul nome con la Grecia.
Cipro è l’unico membro dei 27 paesi dell’Unione europea che non è nella NATO o nel Partenariato per la Pace (PfP), l’unico membro dell’Unione europea che non ha aderito alla NATO o è stato portato ad esservi accettato, l’unica nazione europea (esclusi i microstati di Andorra, Liechtenstein, Monaco, San Marino e Città del Vaticano), privo di contatti con la NATO. Ogni altra nazione del continente e isola-stato del Mediterraneo è membro della NATO o del PfP. (La NATO elenca ancora la Russia quale membro del secondo, e dal vertice NATO del novembre 2010 in Portogallo, è stato nuovamente attivato il Consiglio NATO-Russia.)
Il voto ha seguito le fratture di partito, con tutti i 32 membri dei partiti dell’opposizione che hanno votato a favore della risoluzione, e tutti i 17 membri del partito di governo, il Partito della sinistra progressista dei lavoratori (AKEL), che hanno votato contro. I deputati dell’Unione democratica  (DISY) di destra, da cui proveniva l’iniziativa, del Partito centrista democratico (DIKO), del Partito europeo (EVROKO), dei Democratici liberali uniti (EDI) e del Movimento dei socialdemocratici (EDEK) hanno serrato i ranghi contro il governo del presidente di AKEL Demetris Christofias, in una mossa per, secondo un giornale cipriota, “costringere l’amministrazione a presentare domanda di adesione al partenariato per la pace“. [1] In vista del voto, che i membri del parlamento AKEL erano riusciti a rinviare di una settimana, il portavoce del governo Stefanos Stefanou aveva dichiarato: “L’esercizio della politica estera e le decisioni in politica estera sono un diritto costituzionalmente tutelato del potere esecutivo“. [2]
Cipro è stata suddivisa nelle regioni etniche del nord turco e del sud greco, dopo l’invasione militare turca del 1974, anche se solo la Turchia riconosce l’entità del nord. La Repubblica di Cipro ha una popolazione di 800.000 abitanti e un parlamento unicamerale, la Camera dei Rappresentanti, e non essendoci un primo ministro, il Presidente Christofias è sia capo di Stato che capo del governo. L’amministrazione ha accusato il DISY e i suoi alleati di aver violato il principio della separazione dei poteri, nel tentativo d’ignorare la prerogativa del presidente nel decidere la politica estera, con il partito di governo che denunciava la mossa come “un ricatto politico senza precedenti“. Il membro del Comitato Centrale di AKEL, Aristos Damianou, aveva detto che “c’è chiaramente il coinvolgimento della NATO nella divisione di Cipro, e ci si chiede perché l’EDEK [in coalizione con AKEL dal 2008 al febbraio 2010], che presiede il Comitato sui dossier di Cipro, le indagini sul colpo di Stato del 1974 e la successiva invasione, affianchi il DISY su questa materia“. [3] Damianou accusava i rappresentanti dei partiti dell’opposizione (l’unico membro dei Verdi al parlamento si è astenuto, il 24 febbraio) di aver cospirato alle spalle dei loro colleghi di AKEL per presentare la mozione.
Quando la proposta di adesione al programma della NATO di partenariato è stata approvata, il Presidente Christofias annunciava che avrebbe posto il veto sulla decisione, e il portavoce del governo Stefanou rilasciava una dichiarazione scritta dichiarando “che l’adesione al programma non è in linea con la promessa del Presidente Dimitris Christofias di giungere a un accordo di pace con i separatisti turco-ciprioti per smilitarizzare l’isola“. [4] Nel giorno del voto, i sostenitori della Pace, tra cui il Consiglio dei ciprioti delle minoranze turca, armena e maronita di Cipro, e tutti i 17 rappresentanti di AKEL hanno manifestato davanti al parlamento con striscioni “No al partenariato per la pace” e “No a Cipro nella NATO, e alla NATO a Cipro“. L’ex sindaco di Famagosta (oggi nella Repubblica Turca di Cipro del nord in cui un membro della NATO, la Turchia, mantiene 30.000 soldati) Yiannakis Skordis aveva chiesto che Cipro abiuri qualunque forma di associazione con l’”organizzazione omicida, per colpa di cui Cipro ha sofferto e continua a soffrire“. [5] I manifestanti avevano consegnato una petizione al presidente della camera Marios Garoyian (del DIKO), che condannava l’adesione di Cipro nella “guerrafondaia NATO”, come un atto di “tradimento”. Aggiungeva: “Chiediamo la fine immediata dei tentativi per l’adesione al campo militare di coloro che sono responsabili della tragedia cipriota. Esigiamo il rispetto per i defunti del colpo di stato e dell’invasione, il rispetto per i rivoluzionari, rispetto per tutto ciò che i rifugiati e gli isolati nelle enclavi hanno sofferto. Rispetto per le nostre persone scomparse.”[6] La stampa locale, al momento riferiva che il presidente avrebbe “portato il voto al tribunale supremo ritenendo la decisione del Parlamento una violazione della Costituzione“. [7]
L’azione parlamentare del febbraio 2011, era il culmine della lunga campagna concertata da DISY, NATO e UE per includere l’ultima nazione europea veramente neutrale nella rete militare globale del Pentagono e della NATO. Otto anni fa in Canada il generale Raymond Henault (ora in pensione), presidente del Comitato militare della NATO, disse, riguardo “l’importanza strategica di Cipro nel Mediterraneo orientale“, che “la NATO ha una politica molto aperta con i Paesi che vogliono collaborare, e Cipro potrebbe essere uno di questi, se decidesse di farlo“. [8] Nel gennaio 2009, il DISY intensificava gli sforzi per portare Cipro nel PfP, ottenendo il sostegno di EVROKO: “Sulla base del ragionamento che Cipro è l’unico membro dell’Unione europea che non ha aderito, il DISY sta cercando di stringere alleanze con altri partiti che ne sostengano l’ingresso. Nel frattempo, AKEL è fermamente convinto che l’ingresso al PfP non servirebbe agli interessi di Cipro, in particolare durante i colloqui di pace (per la riunificazione dell’isola)”.[9] Il leader di AKEL dell’epoca, Damianou, dettagliava le obiezioni del partito al governo a una partnership con il solo blocco militare del mondo, che conduce una guerra aperta dal Medio oriente all’Asia meridionale: “AKEL si oppone per tre motivi principali. In primo luogo, attraversiamo un periodo di negoziati per la risoluzione del problema di Cipro, e la smilitarizzazione è un parametro fondamentale di questo processo. Daremmo quindi il messaggio sbagliato alla comunità internazionale, se al tempo stesso iniziassimo i negoziati per l’ingresso in una organizzazione militare. In secondo luogo, dobbiamo anche analizzare gli sviluppi politici internazionali, le nostre capacità da piccolo Stato e quale ruolo potremmo giocare in una tale organizzazione. Questo corpo funziona come un passaggio per la NATO, in cui la Turchia svolge un ruolo significativo. In terzo luogo, non dobbiamo dimenticare il ruolo che la NATO ha svolto a Cipro, negli eventi del 1974.” Aveva poi aggiunto: In effetti, nove dei dieci nuovi Stati membri che nel 2004 avevano aderito all’UE, hanno potuto farlo a condizione che aderissero alla NATO. Non abbiamo avuto a che farci, essendo i nostri interessi diversi, e cercando una soluzione non militare“. [10]
Per quanto riguarda l’affermazione che l’adesione alla NATO sia una condizione preliminare per l’adesione all’UE, cioè, che attraverso il controllo del blocco militare degli Stati Uniti si determina chi aderisce all’Unione europea, il ministro della Difesa della Moldavia post-”Twitter Revolution” (2009), Valeriu Marinuta, aveva affermato che “l’adesione alla NATO è cruciale per l’adesione all’Unione europea” e che “In linea di massima i Paesi… entrano prima nella NATO e poi nell’Unione europea“. [11] Il leader di AKEL aveva anche avvertito che “la NATO e il Partenariato per la Pace partecipano a missioni militari che non sono state sancite dalle Nazioni Unite, come la guerra in Jugoslavia e le prime fasi della guerra in Iraq. Mentre lottiamo per una soluzione basata sulla giustizia internazionale, non possiamo entrare in un’organizzazione che viola le norme internazionali“. [12]
Tutti i dodici nuovi membri della NATO (parte al momento ancora nel Partenariato per la Pace), Albania, Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia, hanno schierato truppe in Iraq dopo l’invasione degli Stati Uniti del 2003, e tutti ora hanno truppe in Afghanistan che operano al comando della NATO. Gli attuali affiliati al Partenariato per la Pace, Armenia, Azerbaigian, Bosnia, Georgia, Kazakistan, Macedonia, Moldova e Ucraina hanno fornito agli Stati Uniti truppe per l’Iraq e tutti, tranne la Moldova (per il momento), hanno truppe in Afghanistan. I membri del PfP Austria, Finlandia, Irlanda, Montenegro (nazione indipendente dal 2006), Svezia e Svizzera hanno anch’essi assegnato truppe all’International Assistance Security Force della NATO, un sostegno nominale nella maggior parte dei casi, ma la Svezia ha fornito 500 soldati e la Finlandia 200. La Georgia aveva 950 truppe nel teatro di guerra afgano e ne aveva 2.000 in Iraq nel 2008, il terzo più grande contingente fin quando gli Stati Uniti li riportarono a casa per la guerra dei cinque giorni con la Russia, nell’agosto dello stesso anno.
Già quattro anni fa AKEL mise in guardia sui pericoli dell’adesione al PfP, nel caso di un’altra guerra, la prima della NATO: i 78 giorni di bombardamenti contro la Jugoslavia nel 1999, ricordando che “durante la crisi del Kosovo, l’Albania e la Macedonia aveva usato un meccanismo previsto nel documento quadro del PfP, che chiama i partner ad avvisare l’organizzazione quando si percepisca una minaccia diretta per la propria integrità territoriale, indipendenza politica o  sicurezza“. [13] In altre parole, la NATO e gli Stati Uniti possono dire il contrario, ma i membri del PfP sono di fatto, tramite l’articolo 5 della NATO, obbligati tutti a rispondere a una minaccia, reale o fittizia, contro un altro membro o partner. Un commento sulla stampa cipriota inquadrava la prospettiva dell’adesione al PfP in questo modo: “Chiamatemi idealista ma sembra un po’ contraddittorio che un’isola sfruttata per secoli a causa della sua posizione geografica, abbia ancora voglia di mettersi in prima linea nelle future guerre nella regione. Cipro potrebbe facilmente diventare la Svizzera del Medio Oriente, con una soluzione pacifica del Problema Cipro e la smilitarizzazione completa dell’isola“. [14] Il succitato portavoce del governo Stephanou aveva appena chiesto informazioni dalla Gran Bretagna sui piani per lo schieramento di aerei da combattimento Eurofighter Typhoon in una delle due basi militari che il Regno Unito conserva ancora a Cipro, ad Akrotiri, per l’utilizzo contro la Libia. (Questa base e quella di Dhekelia sono indicate come territorio britannico d’oltremare e zone di sovranità del Regno Unito. Il Presidente Christofias ha definito queste basi una “macchia di sangue coloniale“.)
Il 20 febbraio 2009 il Parlamento europeo dell’UE completava la spinta del DISY per far reclutare Cipro nel PfP, caratterizzando “il problema di Cipro come uno dei principali ostacoli nelle relazioni con l’UE-NATO”, “deplorando” il fatto che continuava a “compromettere gravemente lo sviluppo della cooperazione UE-NATO“. E “inoltre chiede al governo di Cipro di aderire al partenariato per la pace (PfP) della NATO.” Nella prima relazione del Parlamento europeo sulla NATO, ci si lamentava del fatto “che solo sei Stati membri dell’UE non sono membri della NATO. Di questi, solo uno, Cipro, non ha legami bilaterali con la NATO attraverso il suo programma PfP.” Il deputato di AKEL al Parlamento europeo Adamos Adamou aveva detto che il rapporto “interferiva negli affari interni di un Paese sovrano, chiedendogli di far parte di un’organizzazione con cui non ha alcun obbligo di adesione“. [15]
Il Segretario Generale di AKEL Andros Kyprianou, che aveva sostituito Demetris Christofias dopo che quest’ultimo era stato eletto presidente nel 2008, quasi fece saltare l’approvazione della relazione del Parlamento europeo; 293 voti a favore, 283 contro e 60 astensioni, che “comprendeva una clausola inserita dal deputato cipriota Yiannakis Matsis [membro del DISY e anche del Partito popolare europeo di centro-destra] che chiedeva al governo di Cipro di aderire al partenariato per la pace (PfP) della NATO.” Kyprianou definì l’azione di Matsis e dei suoi colleghi deputati del DISY “inaccettabile e non etica” e descrisse la NATO come “un’organizzazione aggressiva che sparge morte e distruzione in molti angoli del mondo” e che “viola continuamente il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite.” Il leader di AKEL aveva anche avvertito che i membri del PfP sono obbligati a presentare i piani e i bilanci della difesa a tutti i membri della NATO, compresa la Turchia, aggiungendo: “Se questo non preoccupa alcune persone, dovrebbero dirlo apertamente al popolo cipriota.” Per quanto riguarda lo stesso Parlamento europeo, Kyprianou aveva dichiarato: “E’ inaccettabile per un paese democratico, che opera su basi completamente democratiche, che la sua sovranità sia compromessa e abbia opinioni imposte dall’estero, dovunque tali pareri provengano.” [16] Il Presidente Christofias era stato altrettanto fermo nel respingere la richiesta di adesione al programma della NATO e “riferendosi alle decisioni adottate dagli ex presidenti Tassos Papadopoulos e Clerides Glafcos di non adesione alla PfP, si chiedeva perché ora esortavano il suo governo ad aderire alla PfP“. [17]
Nell’aprile 2009 i deputati di DISY, DIKO e EDEK avevano in parlamento la maggioranza per approvare una risoluzione che chiedeva al governo di aderire al PfP. Il portavoce del governo Stefanou condannò la mossa, definendo il PfP l’”anticamera” per la piena adesione alla NATO, e il Segretario Generale del partito di governo AKEL, Kyprianou, disse che qualsiasi affiliazione alla NATO avrebbe irrimediabilmente compromesso il conseguimento di una soluzione giusta al problema di Cipro, aggiungendo: “Restiamo sulla nostra posizione per la smilitarizzazione dell’isola. Insistiamo nel difendere la causa di Cipro sulla base dei principi del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Siamo convinti che non ci si deve attaccare al carro della NATO e degli Stati Uniti. Siamo decisi a che le nazioni basino il loro comportamento sul diritto internazionale e non sulla legge del ‘pesce grande che mangia il pesce piccolo’“. [18] L’adesione al PfP avrebbe fatto pressione su Cipro affinché onorasse i propri obblighi con la NATO, e attraverso la NATO, verso gli Stati Uniti, fornendo truppe per la guerra in Afghanistan e supporto per l’operazione Active Endeavor della NATO nel Mar Mediterraneo e l’Operazione Scudo sull’Oceano, al largo del Corno d’ Africa. Se Cipro fosse diventato un membro quattro anni prima, come voleva il DISY, la NATO e l’UE l’avrebbero trascinata nell’intervento militare contro la Libia. E avrebbe dovuto accogliere le navi e i sottomarini assegnati alla Sesta Flotta statunitense di stanza in Mediterraneo, e le portaerei e i loro gruppi di proiezione (la portaerei USS Dwight D. Eisenhower aveva visitato Cipro nel 2006), che attraversano il mare dallo Stretto di Gibilterra al canale di Suez per le operazioni nel Corno d’Africa e per la guerra in Afghanistan. In qualità di partner della NATO, Cipro non sarebbe in grado di negare all’Alleanza e agli Stati Uniti l’uso e il potenziamento delle basi militari, terrestri, aeree e navali, che sarebbero impiegate nel sistema missilistico d’intercettazione degli Stati Uniti e della NATO, in corso di sviluppo in Europa, Medio Oriente e Caucaso meridionale, subito collegate alle navi da guerra statunitensi classe Aegis armate di intercettoriStandard Missile-3, come quelle che già schierate nel Mediterraneo.
Cipro, a sud della Turchia e ad ovest della Siria, nel Mediterraneo orientale, è l’ultimo anello della catena che permetterebbe alla NATO di controllare l’intero mare. Ogni altra nazione europea sulle rive o nel mare è membro della NATO o del PfP: Albania, Gran Bretagna (attraverso Gibilterra), Croazia, Francia, Italia, Grecia, Slovenia, Spagna e Turchia nella NATO e Bosnia, Malta (che si ritirò nel 1996, e vi si riunì nel 2008) e il Montenegro nel PfP. Bosnia e Montenegro sono avanzati nell’Individual Partnership Action Plans della NATO, concesso al Montenegro a soli due anni dall’indipendenza. Entrambe le nazioni hanno ora un Piano d’azione per l’adesione, l’ultima tappa prima della piena adesione alla NATO. Tutte le nazioni africane del Mediterraneo, eccetto la Libia sono membri della partnership per il Dialogo del Mediterraneo della NATO: Algeria, Egitto, Marocco e Tunisia. Il nuovo governo in Libia, in particolare, installato dopo l’intervento militare di USA-NATO, potrebbe aderire al Dialogo Mediterraneo. Israele è il membro principale di tale programma, lasciando solo il Libano (da cinque anni sottoposto a blocco navale dalle nazioni della NATO), la Libia e la Siria tra le nazioni mediterranee non aderenti alla NATO e ai suoi programmi di partenariato. (Il Segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen si era recato in Israele, nel febbraio 2011, per discutere del dispiegamento di truppe della NATO nell’ambito di un futuro piano di pace israelo-palestinese, cioè per inviarli nella Striscia di Gaza, in primo luogo.)
La piccola isola di Cipro è per il momento l’ultimo anello con cui Stati Uniti e NATO prevedono di consolidare il controllo sull’Europa e il bacino del Mediterraneo.

Note
1) Cyprus Mail, 19 febbraio 2011
2) Ibid
3) Ibid
4) Associated Press, 24 febbraio 2011
5) Cyprus Mail, 25 febbraio 2011
6) Ibid
7) Famagusta Gazette, 25 febbraio 2011
8) Kathimerini, 5 dicembre 2005
9) Cyprus Mail, 28 gennaio 2009
10) Ibid
11) Radio Free Europe/Radio Liberty, 24 febbraio 2011
12) Cyprus Mail, 28 gennaio 2009
13) Ibid
14) Haji Mike, Dal sublime al ridicolo Cipro Mail, 21 febbraio  2009
15) Cyprus Mail, 21 febbraio 2009
16) Ibid
17) Famagusta Gazette, 23 febbraio 2009
18) Cyprus Mail, 3 aprile 2009

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

http://aurorasito.wordpress.com/2013/03/21/cipro-gli-stati-uniti-vogliono-dominare-sul-mediterraneo-attraverso-la-nato/

Guantanamo. Le bugie di Obama uccidono

I detenuti, molti dei quali hanno ricevuto l’autorizzazione per il rilascio ma non vengono liberati, fanno scioperi della fame e si suicidano 

Ferdinando Calda

La Casa Bianca ha confermato che nel carcere di Guantanamo sono in aumento i casi di sciopero della fame per protesta contro le condizioni di detenzione. Anche se da Washington hanno nuovamente ridimensionato le accuse dei legali dei prigionieri, che nei giorni scorsi avevano denunciato una vera e propria protesta di massa. Nel frattempo la Nbc news ha riportato la notizia di un progetto da centocinquanta milioni di dollari presentato al Pentagono per ristrutturare Guantanamo con un nuovo ospedale, mense e alloggi per i militari. Una conferma che l’amministrazione Obama ha deciso di rinunciare a chiudere il famigerato supercarcere, nonostante le passate promesse del premio Nobel per la Pace.
Ieri dal Dipartimento di Giustizia statunitense hanno affermato che attualmente sono 25 (su 166) i detenuti che rifiutano il cibo, di cui otto sono alimentati in modo forzato attraverso sondine nel naso. Due sono stati ricoverati per disidratazione. Il colonnello Todd Breasseale, portavoce del Pentagono, ha sottolineato che gli scioperanti sono più che triplicati nelle ultime due settimane, passando da sette a 25.
La scorsa settimana gli avvocati dei detenuti sono intervenuti davanti alla Commissione Inter-americana sui Diritti Umani (IACHR) a Washington, denunciando che da oltre un mese circa un centinaio dei prigionieri stanno portando avanti uno sciopero della fame per protestate contro il costante controllo e la confisca di loro effetti personali, comprese le copie del Corano. Ma soprattutto contro la detenzione a tempo indeterminato. Il rappresentante della Casa Bianca, però, aveva ridimensionato il fenomeno, sostenendo che solo per un pugno di detenuti è possibile applicare la definizione di sciopero della fame. Omar Farah, del Center for Costitutional Rights (Ccr), aveva parlato di una “grave crisi umanitaria” all’interno del carcere.
A preoccupare i legali e le associazioni umanitarie è soprattutto la prolungata detenzione a tempo indeterminato che devono sopportare i prigionieri. Che li fa letteralmente impazzire e tentare più volte il suicidio. A rendere particolarmente insopportabile l’attesa dei detenuti è il fatto che molti di loro (86) hanno già ricevuto l’autorizzazione per il rilascio, ma non vengono liberati per problemi politici e burocratici. Emblematico è il caso degli yemeniti, che non possono tornare in Patria perché il presidente Obama ha imposto una moratoria sui trasferimenti in Yemen dopo che, a Natale 2009, un nigeriano addestrato in Yemen cercò di farsi saltare in aria in un aereo per Detroit con delle “mutande-bomba”. A settembre dello scorso anno Adnan Farhan Abdul Latif, uno yemenita di 32 anni rinchiuso a Guantanamo dal 2002, si è suicidato mentre si trovava in isolamento. La sua scarcerazione era stata autorizzata nel 2009 dalle commissioni di revisione istituite da Obama, e confermata l’anno dopo da una sentenza della Corte distrettuale di Washington.
“Il personale medico segue costantemente i detenuti in nostra custodia e fornisce loro eccellenti cure mediche”, assicurano dal Pentagono. Tuttavia anche i militari riconoscono che la frustrazione e la rabbia tra i detenuti è aumentata negli ultimi tempi, dopo la promessa mancata del presidente Obama, di chiudere Guantanamo. Sono “devastati” per questo motivo, ha ammesso un generale citato dalla Nbc.
Obama “non ha detto nulla nel suo discorso inaugurale, non ha detto nulla nel discorso sullo stato dell’Unione, non ha detto proprio nulla sulla chiusura del carcere”, ha sottolineato John Kelly, comandante dello U.S. Southern Command, responsabile delle attività militari statunitensi in Centro e Sud America. Inoltre, “non ha riassegnato l’incarico di inviato speciale per la chiusura del campo di detenzione”, ha continuato il generale Kelly, ricordando che Daniel Fried ha ricevuto un altro incarico, lasciando scoperto il posto.
Nel frattempo, anche in tempi di pesanti tagli alla Difesa Usa (e non solo), il budget per il carcere di Guantanamo rimane altissimo. Per quest’anno si aggira intorno ai 177 milioni di dollari (oltre un milione di dollari per detenuto), consegnando a Guantanamo il titolo di prigione più cara (pro capite) degli Stati Uniti.


22 Marzo 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19830

Guantanamo, il modello americano

VENERDÌ 22 MARZO 2013 00:00

di Mario Lombardo

La drammatica situazione dei detenuti accusati di terrorismo nel lager di Guantánamo è tornata ad occupare le pagine dei giornali americani in questi giorni in seguito al dilagare di un nuovo sciopero della fame tra gli ospiti della struttura americana sull’isola di Cuba aperta dall’amministrazione Bush ormai più di 11 anni fa. A riportare l’attenzione dell’opinione pubblica sul dramma silenzioso dei 166 prigionieri trattati nel completo disprezzo delle più normali norme del diritto internazionale era stata una lettera scritta una settimana scorsa da oltre 50 avvocati difensori e indirizzata al neo-segretario alla Difesa americano, Chuck Hagel.

Nella lettera, i legali dei detenuti sollecitavano un intervento del numero uno del Pentagono per risolvere le cause che hanno provocato fin dal 6 febbraio lo sciopero della fame, in seguito al quale molti prigionieri hanno già perso tra i 10 e i 14 chili, mentre altri sono stati ricoverati in grave stato di disidratazione.

Il motivo scatenante l’ennesima protesta a Guantánamo sarebbe il ricorso da parte delle guardie del carcere, negli ultimi mesi, a bruschi metodi nel trattamento dei detenuti, simili a quelli ampiamente adottati nel corso dei primi anni dopo l’apertura della struttura detentiva extra-territoriale. In particolare, le guardie avrebbero confiscato svariati effetti personali nelle celle dei prigionieri e controllato senza il dovuto rispetto tra le pagine delle copie del Corano a loro disposizione l’eventuale presenza di messaggi da scambiare e proibiti dal regolamento del carcere.

Sempre secondo gli avvocati difensori, nel carcere sarebbero avvenuti anche episodi di aperta rivolta, debitamente occultati dalle autorità, le quali avrebbero tra l’altro utilizzato proiettili di gomma per reprimere una protesta dei detenuti andata in scena in un’area comune della struttura.

Negli ultimi giorni, lo stesso Dipartimento della Difesa è stato costretto ad ammettere che è effettivamente in corso uno sciopero della fame tra i detenuti di Guantánamo. Il numero dei partecipanti alla protesta, secondo le autorità militari, sarebbe già passato dai 15 di venerdì scorso ai 25 di due giorni fa.

Nonostante sia impossibile conoscere la reale situazione nel carcere a causa della rigida censura che impone il governo USA, è praticamente certo che questi numeri siano abbondantemente sottostimati, anche perché il Pentagono considera un detenuto in sciopero della fame solo dopo che ha rifiutato nove pasti consecutivi. Secondo le testimonianze dei legali dei detenuti, riportate in questi giorni dai media d’oltreoceano, lo sciopero della fame si starebbe addirittura allargando a virtualmente tutta la popolazione del carcere.

Alcuni dei detenuti in sciopero, poi, sono già stati sottoposti ad alimentazione forzata, con i medici militari che stanno utilizzando un metodo che prevede l’inserimento di un apposito tubo nel naso del detenuto per far passare elementi nutritivi direttamente nello stomaco. Tale procedura è quasi universalmente considerata come una forma di tortura.

La rivolta in corso a Guantánamo ha spinto anche i vertici dell’esercito a rispondere alle accuse sollevate dai legali dei detenuti. Il portavoce della prigione, capitano Robert Durand, ha affermato ad esempio che le procedure di perquisizione delle celle e per l’esame delle copie del Corano non sono cambiate negli ultimi mesi.

A suo dire, perciò, i detenuti hanno interamente fabbricato l’accusa della profanazione del libro sacro ai musulmani per ottenere una qualche attenzione mediatica. Il comandante del Comando Meridionale, generale John Kelly, ha poi anch’esso sostenuto che il Corano nelle celle dei sospettati di terrorismo viene maneggiato secondo le regole previste e solo dagli interpreti del carcere, tutti di fede musulmana.

Al di là del vero o presunto abuso delle pagine del Corano, ad innescare la disperata protesta è stato in realtà il limbo legale senza via d’uscita nel quale si ritrovano le persone rinchiuse a Guantánamo. Lo stesso generale Kelly, nel corso di un’audizione alla commissione Forze Armate della Camera dei Rappresentanti di Washington, ha riconosciuto questa situazione, ammettendo che i detenuti “nutrivano un grande ottimismo circa la chiusura di Guantánamo… ma sono poi rimasti sconvolti quando il presidente [Obama] ha rinunciato” a mantenere la promessa di smantellare il carcere.

Subito dopo il suo insediamento nel gennaio del 2009, infatti, Obama aveva emesso una direttiva per disporre la chiusura della struttura detentiva entro un anno. Questo impegno è però svanito ben presto in seguito alle resistenze del Congresso – dove sono state approvate disposizioni per impedire il trasferimento dei detenuti accusati di terrorismo in territorio americano per affrontare un processo in un tribunale civile – e, più in generale, al continuo ricorso da parte dell’amministrazione democratica agli stessi metodi illegali inaugurati dal presidente Bush nell’ambito della cosiddetta “guerra al terrore”.

Così, solo una manciata di detenuti ha finora potuto lasciare l’isola, mentre circa la metà di quelli ancora rinchiusi si trova nell’incredibile situazione di non potere ottenere l’autorizzazione al rilascio pur essendo stati praticamente scagionati da ogni accusa da parte dello stesso governo americano. La motivazione ufficiale, per questi casi, è che la situazione interna dei paesi in cui i detenuti dovrebbero essere trasferiti rimane troppo instabile, come ad esempio in Yemen.

Quasi tutti gli ospiti di Guantánamo, comunque, sono detenuti da 11 anni o poco meno senza essere mai stati accusati formalmente di nessun reato né, tantomeno, senza essere stati sottoposti nemmeno ad un processo-farsa come quello previsto nell’ambito degli speciali tribunali militari, appositamente creati dall’amministrazione Bush e riproposti da Obama dopo una serie di cambiamenti puramente cosmetici per dare una parvenza di legalità al vergognoso sistema delle detenzioni indefinite.

http://www.altrenotizie.org/esteri/5395-guantanamo-il-modello-americano.html

Obama in Palestina fra retorica e contestazioni

Da Gaza il premier Haniyeh critica l’inquilino della Casa Bianca: “Sostiene l’occupazione israeliana con slogan di pace” 

Matteo Bernabei

Le parole da sole non bastano a risolvere un conflitto che va avanti da oltre sessanta anni. Questo il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, lo sa bene, eppure è la sola cosa che ha offerto finora ai palestinesi nonostante le solenni promesse fatte durante la sua prima campagna elettorale nel 2008 e quella dello scorso anno, che lo ha visto riconfermato alla Casa Bianca. Non un caso frutto del corso degli eventi, ma una strategia volta a garantire la prosecuzione della politica coloniale israeliana, tenendo occupate le autorità di Ramallah e distraendo al tempo stesso l’opinione pubblica internazionale. Un piano che non sembra aver affatto risentito dell’iniziativa palestinese alle Nazioni Unite, valsa all’Anp il seggio di Paese osservatore. Obama, che ieri ha visitato la Cisgiordania e che il giorno precedente si era recato in Israele, ha infatti ripetuto a coloro che lo hanno seguito in questo suo primo tour nell’area solo una lunga serie di frasi fatte, senza mai entrare nel merito della questione o proporre iniziative concrete per giungere alla tanto sbandierata, quanto inutile, “soluzione dei due Stati”.
“I palestinesi hanno diritto a uno Stato indipendente. E l’unica soluzione è un negoziato tra la Palestina e Israele. Non possiamo abbandonare la strada della pace”, ha detto il capo di Stato Usa durante la conferenza stampa congiunta che si è tenuta a Ramallah insieme con il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas. Stranamente pronta la replica di quest’ultimo che, forse fattosi forte dalla possibilità di affrontare per la prima volta la questione pubblicamente “fra le mura domestiche”, non ha mancato di far presente che “non vi sarà alcun negoziato di pace se Israele non fermerà lo sviluppo delle sue colonie”. Dal canto suo Obama ha rivelato di aver parlato della questione con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, facendogli presente che la strategia degli insediamenti ebraici nei territori palestinesi non è “costruttiva, appropriata e non fa compiere passi avanti alla causa della pace”. Parole, queste ultime, che l’inquilino della Casa Bianca avrebbe pronunciato durante un colloquio riservato con il premier di Tel Aviv e che appaiono poco credibili se confrontate alle dichiarazioni rese durante l’incontro pubblico con il presidente Peres e lo stesso Netanyahu.
Un’incongruenza puntualmente sottolineata dal primo ministro del governo di Hamas nella Striscia di Gaza, Ismail Haniyeh. “Crediamo che le politiche americane perpetueranno l’occupazione israeliana e gli insediamenti in Palestina sotto uno slogan di pace”, ha detto premier dell’enclave palestinese, che si è poi rivolto all’esecutivo di Ramallah affermando che “l’Anp deve capire che vanno rispettati i principi nazionali e di riconciliazione”. Una riconciliazione che tarda ad arrivare anche a causa delle continue ingerenze degli Stati Uniti e di Israele, che pongono come precondizione a qualunque negoziato di pace una presa di distanza di Hamas, senza poi fare alcun passo in avanti per mettere realmente fine al conflitto. Una realtà della quale sta prendendo coscienza sempre più la stessa popolazione palestinese, che non a caso ha riservato a Obama un’accoglienza “calorosa”, fatta di manifestazioni di protesta e slogan antiamericani.


22 Marzo 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19838

Perché i parlamentari 5S entreranno dove e come vorranno al cantiere de La Maddalena.

Da: NOTAV.INFO – post — 20 marzo 2013 at 07:23

Stefano Esposito, uno dei pochi superstiti del fronte ‘Si Tav”, non riesce a capacitarsi del fatto che sabato 23 marzo 2013 decine e decine di No Tav, elett* alla Camera e al Senato nei 5S, entreranno con i loro accompagnatori nell’area militarizzata di Chiomonte, off limits per chiunque da quasi 2 anni dopo il  blitz del 27 giugno 2011.

Uno scenario impensabile anche solo un mese fa. E a questo pensiero il senatore reagisce diventando commovente: per lui i parlamentari dei 5S dovrebbero rassegnarsi a fare – come dichiara di aver fatto lui – una richiestina “educata” al responsabile del cantiere, attendere la risposta…e sperando di avere la “possibilità di visitare il sito”, attenendosi scrupolosamente alle indicazioni sempre dal responsabile del cantiere. Tutto lì. Perché se invece volessero entrare come invece hanno dichiarato di voler fare, e cioè nell’ambito dei loro poteri ispettivi, si troverebbero di fronte alcuni limiti.

Lasciamo perdere l’isolato Esposito, e cerchiamo di capirci.

I parlamentari accederanno all’intera area militarizzata della Maddalena, non solo a quella dove si svolgono i ridicoli lavori meccanici del cunicolo esplorativo. E lo faranno sulla base di una comunicazione. Non di una richiesta.

E’ la stessa differenza che c’è tra comunicare una manifestazione e chiedere l’autorizzazione per fare una manifestazione. Un equivoco, purtroppo classico, in cui si cade molto spesso: il governo, rappresentato dal questore, è subordinato alla Costituzione e non ha alcun potere di autorizzare una manifestazione. Ecco perché la manifestazione si comunica. Perché è il diritto sovrano del popolo manifestare, senza compressioni e a priori.

Allo stesso modo, l’accesso dei parlamentari alle aree militari e ai penitenziari non è subordinato ad una preventiva richiesta e ad una successiva autorizzazione, ma si attua tramite una semplice comunicazione: la differenza è notevole: è una prerogativa del parlamentare comunicare che entrerà in una data ora in un dato luogo.

Quindi i parlamentari comunicheranno, e si aspetteranno che i responsabili della struttura aprano i cancelli al loro arrivo, senza che qualcuno si inventi stupide scuse di contingentamento a gruppi per motivi di ‘sicurezza’: in mezzo ad una vigna, sequestrata nell’area militarizzata, non c’è bisogno di caschetto (tranne quando la polizia spara i lacrimogeni) non c’è bisogno di scarpe antinfortunistiche, non c’è bisogno di giubbetto catarifrangente…

Se i parlamentari si presenteranno a diversi cancelli del recinto militarizzato, verranno aperti loro quei cancelli.

Una volta dentro, i parlamentari saranno liberi, se lo vorranno, di ispezionare qualunque zona dell’area interclusa militarmente da quasi due anni, quell’area che molti proprietari non hanno potuto rivedere, quella che viene impedita al libero transito in spregio ai valori costituzionali (Art. 16. Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio).

Le foto che vedete qui sotto dimostrano che nell’area a sorveglianza armata de La Maddalena, i militari si sono sbizzarriti ad andare in giro da tutte le parti, e quindi se lo vorranno, da tutte le parti andranno pure, nel pieno esercizio delle loro prerogative, i parlamentari.

Se poi Esposito vuole stare fermo in mezzo ad un prato con un caschetto in testa, le scarpe antinfortunistiche ed il giubbotto catarifrangente… liberissimo.

Dell’area occupata e recintata illegalmente, solo una piccola parte fa parte del cantiere di LTF. Sulla restante area LTF non ha nessun titolo e non può pretendere nulla; l’area è occupata unicamente

a causa di una Ordinanza del Prefetto e quindi i Parlamentari (ed in teoria NOI TUTTI) devono poter accedere senza alcuna formalità, specialmente con LTF.

Cantiere: chi entra e chi no…e chi lo decide?

Dell’area occupata e recintata illegalmente, solo una piccola parte fa parte del cantiere di LTF. Sulla restante area LTF non ha nessun titolo e non può pretendere nulla; l’area è occupata unicamente a causa di una Ordinanza del Prefetto e quindi i Parlamentari (ed in teoria NOI TUTTI) devono poter accedere senza alcuna formalità, specialmente con LTF.

Da: notav.info — 22 marzo 2013 at 11:35 

Come era prevedibile, Ltf&affini non hanno digerito la volontà dei parlamentari di effettuare un’ispezione all’interno del cantiere della Maddalena. Dall’atteggiamento si comprende bene il timore che l’apparato ha, visto che tiene tutto su con la connivenza dell’informazione e della magistratura.

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Diciamo questo perchè sono molti gli atti dei quali Ltf dovrebbe rispondere: costi esorbitanti, normative poco chiare, ditte quanto mai imbarazzanti e molto altro.

Ma del resto è un cantiere militarizzato quello di cui parliamo. E come avviene per le zone di guerra tutto è contigentato. C’è solo un piccolo problema che va tenuto in considerazione: non siamo in guerra e quella non è la casa privata della società LTF (a proposito lo sapevate che è nata nel 2009 per rispondere alla saturazione della linee esistenti?)

Tremano…e infatti si permettono di trattare a mezzo stampa una delegazione di parlamentari della repubblica come turisti, ma solo in questo caso, perchè il cantiere ha sempre aperto le porte ad ogni “onorevole” fan del tav in passato. Si permettono anche di fornire liste di proscrizione su chi può accompagnare i parlamentari e chi no, cosa quantomai curiosa.

(Leggi: Marco Scibona sulla presenza di “pregiudicati” alla giornata del 23 marzo in Valsusa Perché i parlamentari 5S entreranno dove e come vorranno al cantiere de La Maddalena.)

Hanno dichiarato, ma non abbiamo ancora visto nulla di scritto, che impediranno la visita a Alberto Perino,Lele Rizzo e Luca Abbà perchè con i tre notav ci sono conti in sospeso… La Stampa afferma”Alcuni di loro sono stati citati, anche sotto il profilo civilistico (per gli ingenti danni provocati dai raid violenti, dai costi «gonfiati» a causa dell’istituzione dei presidi interforze, di cui potrebbero presto personalmente rispondere con i loro patrimoni), più tutti gli altri e gravi profili penali.”

La Repubblica scrive “Sono persone con cui abbiamo in corso cause legali per i contnui attacchi al cantiere che peraltro è una struttura privata e soprattutto non è un’installazione militare – spiegano i responsabili di Ltf – non abbiamo niente in contrario alla visita dei parlamentari Cinque Stelle che saranno accolti come sono stati accolti tutti coloro che hanno voluto vedere l’andamento dei lavori in quanto non abbiamo nulla da nascondere”.

Insomma siamo a casa nostra e facciamo entrare chi vogliamo, e tutto questo supportato dal solito Stefano Esposito che senza Tav non saprebbe veramente cosa fare in questo mondo che lo ha sempre ignorato.

Vedremo domani chi entrarà e chi no, se saranno valide le ragioni di Ltf o quelle della Repubblica Italiana, sta di fatto comunque che non sarebbe la prima volta che dentro il cantiere entra qualcuno con condanne o rinvii a giudizio alle spalle: vero Massimo Numa? Cogne Bis dice qualcosa?

 

Soldati delle foze di occupazione israeliana arrestano 50 scolari di Hebron

News – 21/3/2013

Hebron – Pal.Info. Le forze di occupazione israeliana hanno arrestato 50 scolari palestinesi nella città vecchia di Hebron, mercoledì mattina.

Testimoni oculari hanno detto a Pal.Info che i soldati israeliani hanno installato un posto di blocco nel mezzo di una strada che porta a diverse scuole nelle aree meridionali della città vecchia.

Hanno detto che i soldati hanno cercato negli zainetti di tutti gli studenti che passavano e hanno portato via 50 di loro dalle scuole elementari, medie e superiori.

I testimoni sottolineano che nessuno dei 50 studenti è stato rilasciato dalla postazione militare dove era stato portato insieme agli altri.

Nel frattempo, i soldati delle IOF hanno bloccato il traffico all’ingresso del villaggio di Yabad, a sud di Jenin, mercoledì mattina, ha riferito gente del posto.

Hanno detto che i soldati trattengono decine di veicoli, li perquisiscono, e chiedono i documenti di identità di tutte le persone a bordo, creando una congestione del traffico e ritardando l’arrivo dei dipendenti al posto di lavoro.

Traduzione per InfoPal a cura di Edy Meroli

http://www.infopal.it/soldati-delle-foze-di-occupazione-israeliana-arrestano-50-scolari-di-hebron/

Merloni – L’UE invia l’Aiutino a 1.517 Padri di Famiglia rimasti sul Marciapiede

chi non lavora per la Merloni? Si impicchi, ce ne sono tanti di suicidi. La Ue che non discrimina….

Giovedì,  Marzo 21st/ 2013

– di Sergio Basile –

Merloni – L’UE invia l’Aiutino a 1.517 Padri di Famiglia rimasti sul Marciapiede 

Della Serie: Prima ti provocano il Cancro e poi ti curano con l’Aspirina!

Dobbiamo Adeguarci alla Globalizzazione e allo sfacelo economico? 

Secondo Bruxelles pare di Si!

di Sergio Basile 

Bruxelles, Roma –  Stamane l’Unione europea ha deciso di ufficializzare lo stanziamento di Aiuti UE per un importo pari ad € 5 milioni, in favore degli ex lavoratori dell’Antonio Merloni SpA attingendo al cosiddetto “Fondo Europeo di adeguamento alla Globalizzazione” (altrimenti detto FEG) per “aiutare a trovare nuovi posti di lavoro per i 1.517 lavoratori licenziati” in seguito alla chiusura del noto stabilimento italiano, fino all’anno scorso fiore all’occhiello del Made in Italy. Tali fondi – si apprende da un dispaccio stampa di Bruxelles – sono stati approvati dalla commissione per i bilanci mercoledì scorso. Ora la plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo dovrà “confermare gli aiuti affinché possano essere erogati“. La votazione è s tata calendarizzata per il prossimo 16 aprile a Strasburgo.

 “Crisi Economica Glogale”? – Ancora si nascondono dietro a un dito 

Merloni S.P.A. – come ben noto – fino a qualche tempo fa era considerata tra le aziende leader nel settore degli elettrodomestici a livello continentale e mondiale. Questo prima che scoppiasse la cosiddetta “crisi economica globale“: un gioco di parole per nascondersi dietro un dito, e per non ammettere la verità chiamata – più che altro – truffa dell’Euro e dell’Eurozona. Tirata su ad hoc con l’implementazione di una sorta di vero e proprio complotto mercatista internazionale con la complicità delle famigerate agenzie di rating dal “declassamento facile”, dei paesi anglofoni, della Germania (del panzer Angela Merkel) e del bestiale e disumano Sistema Target2 (Scopri cos’è nell’articolo in allegato). Allora, come accade nei peggiori horror Hollywoodiani ecco che la gloriosa Merloni – per sortilegio di qualche santone della finanza (ben noto) – si è trasformata in una scatola vuota. Il quinto maggior produttore di elettrodomestici dell’UE è stato fatto fallire, come d’altronde è accaduto per altri migliaia di colossi italiani e PMI. Quasi mille al giorno nella sola “Povera Italia”: per la gioia dei “traditori del Paese” (affiliati alle varie masso-mafie mondialiste) delle grandi lobby e banche internazionali (dall’acquisto facile) e della concorrenza estera, che ora avrà gioco facile. Altro che “Crisi Economica”! Questa signori è una Frode Economica!  

 Rating, Basile 3 e Sistema Target2 

Frode ingenerata dall’Ue e peggiorata dalla stessa Ue non solo attraverso il Sistema Target2, ma anche attraverso il progressivo innalzameno dei coefficienti bancari di riserva patrimoniale decisi con gli Accordi di Basilea 3 e avallati dallo stesso Parlamento Europeo. Risultato? Niente credito  a nessuno (credit crunch) e fallimenti dietro l’angolo per tutti! Se non è questa mafia, come chiamarla? A farne le spese, in casa Merloni – in particolare – gli impianti di produzione di Ancona e Perugia (Marche e Umbria) 1.517 padri di famiglia.

FEG –  Dobbiamo adeguarci! – La presa in Giro anche nel “nome” 

Secondo Bruxelles “l’aiuto del FEG può essere utilizzato per misure destinate a facilitare il reinserimento nel mercato del lavoro, quali l’orientamento professionale, l’assistenza alla ricerca attiva, l’assistenza all’autoimprenditorialità, il voucher formativo, misure di sostegno orientamento per i lavoratori oltre i 50 anni, l’assunzione di benefici e contributi per le spese di pendolarismo o di trasloco“. L’Italia – per la cronaca – ha presentato richiesta di accesso ai fondi FEG nel dicembre 2011, ma la valutazione finale della Commissione europea è giunta per motivi tecnici solo nel febbraio 2013, pare “per la mancanza di una serie d’informazioni supplementari necessarie“. “La commissione bilanci – si legge nel comunicato – ritiene tuttavia che si sia perso troppo tempo per rispondere alla candidatura“. Rimpallo di responsabilit à che come al solito non giova a nessuno! Ma l’inganno, amici lettori, a ben vedere risiede nello stesso nome del fondo, battezzato dai tecnocrati illuminati di Bruxelles con il curioso appellativo di “Fondo di Adeguamento alla Globalizzazione” (??). In altre parole un fondo nato per convincere i padri di famiglia rimasti sui marciapiedi di Ancona e Perugia che adeguarsi a questo Nuovo Ordine Mondiale e Globalizzante sia giusto. Non dobbiamo combatterlo amici! Dobbiamo adeguarci! Avete capito? 

Sergio Basile (Copyright © 2013 Qui Europa)

http://www.quieuropa.it/merloni-s-p-a-elemosina-ue-a-1517-padri-di-famiglia-rimasti-sul-marciapiede/