Ricevo ed inoltro dalla grecia !!

Di Grecia ormai non si parla quasi più sui media italiani. Eppure domenica sera decine di migliaia di persone hanno invaso Piazza Syntagma. E poche ore prima la Polizia greca aveva arrestato illegalmente dei ragazzini italiani e minacciato i genitori.

Domenica sera centomila greci sono tornati a riempire Piazza Syntagma. Contro la troika – i cui rappresentanti erano ancora ad Atene ad impartire istruzioni al governo locale – e contro la repressione che sempre più sistematicamente colpisce ogni movimento sociale, ogni protesta dei lavoratori e dei cittadini. Una giornata di mobilitazione dei cosiddetti ‘indignados’ greci all’insegna dello slogan “La primavera dei popoli è iniziata”. Forse una parola d’ordine troppo ottimistica, visto che quando la piazza davanti al parlamento di era riempita i manifestanti hanno dovuto fare i conti con la brutalità dei poliziotti in tenuta antisommossa. In particolare con i Mat, i reparti speciali, che prima hanno inondato la piazza con i lacrimogeni e poi si sono accaniti su alcuni giovani, come testimonia un video pubblicato da alcuni siti greci di controinformazione.

La notizia in Italia ha avuto pochissima diffusione. Forse perché era domenica sera e c’erano i risultati del campionato di calcio. Oppure semplicemente perché della Grecia, ultimamente, meno si parla e meglio è per una classe politica alle prese con una ingovernabilità che non sembra poi così scomoda, invece, per l’Unione Europea ed i suoi meccanismi coercitivi.

Ancor meno diffusione ha avuto però, nei giorni scorsi, un’altra notizia, anche se coinvolgeva alcuni cittadini italiani residenti ad Atene.

A parlarne era nei giorni scorsi il sito della sinistra ellenica Left.gr, secondo il quale i poliziotti delle squadre speciali Delta si sarebbero resi protagonisti di un ennesimo atto di violenza gratuita.

Un italiano residente ad Atene ha denunciato che sabato sera (9 marzo) cinque ragazzi tra i 16 e i 19 anni – tra cui alcuni suoi figli – sono stati fermati senza motivo da una pattuglia dei Delta che gli ha chiesto di identificarsi. Nonostante i ragazzi avessero con loro i documenti e fosse quindi possibile realizzare l’identificazione sul posto, gli agenti li hanno prima perquisiti e poi obbligati a seguirli in commissariato, e come se non bastasse li hanno ammanettati prima di farli salire a forza sul loro furgone. Venuti a conoscenza di quanto era accaduto, i genitori dei fermati si sono recati di corsa al quartier generale dell’Attica della Polizia, in viale Alexandra. Ma gli agenti si sono rifiutati di fornire informazioni sulle accuse nei confronti dei fermati e sulle loro condizioni, scatenando la rabbia dei genitori. Uno dei quali è stato spintonato e preso a pugni da un membro della squadra Delta che aveva realizzato il fermo, che lo ha anche minacciato di denuncia per diffamazione se avesse continuato a lamentarsi. I ragazzi, dopo un lungo tira e molla e dopo numerose angherie nei loro confronti sono stati rilasciati alle 6,30 del mattino successivo, dopo quasi 8 ore di detenzione arbitraria e ingiustificata. I ragazzi hanno riferito che i poliziotti avevano proibito loro di parlare in italiano.

Non è la prima volta che una cosa simile accade ad Atene. Un episodio analogo era già avvenuto con un ragazzo italo-greco di 15 anni, il 17 novembre scorso. Il minorenne era stato trattenuto in questura per 4 ore, vietandogli di avvisare i genitori.

Il sito Left.gr riferisce anche che i genitori dei ragazzini arrestati illegalmente – che hanno la nostra nazionalità – si sono recati ieri all’ambasciata italiana ad Atene per denunciare l’accaduto. I rappresentanti diplomatici di Roma si sarebbero detti disponibili ad approfondire il caso e ad agire di conseguenza presso le autorità elleniche. Anche l’Associazione dei Genitori della Scuola Italiana di Atene ha annunciato che si interesserà alla vicenda. Peccato che in Italia, nel frattempo, della cosa non abbia parlato nessuno…

Omicidi indotti per infarto e cancro

marzo 12, 2013 

Oriental Review 9 marzo 2013

Un articolo pubblicato da Veterans Today un anno e mezzo fa, acquista un nuovo significato dopo la dipartita di Chavez… 

Nel 1975, durante le audizioni del Comitato Church, venne alla luce l’esistenza di un’arma per assassini occulti. La CIA aveva sviluppato un veleno che uccideva la vittima con un infarto immediato. Questo veleno poteva essere congelato sotto forma di dardo e poi sparato da una pistola. La pistola era in grado di sparare il proiettile di ghiaccio a una velocità tale che il dardo avrebbe attraversato i vestiti del bersaglio e lasciato solo un piccolo segno rosso. Una volta nel corpo, il veleno si scioglieva e veniva assorbito nel sangue causando l’infarto! Il veleno fu sviluppato per non essere rilevabile dalle autopsie moderne.

Si può indurre il cancro in una persona? Se il cancro negli animali può essere causato iniettandogli  virus e batteri, sarebbe certamente possibile fare lo stesso con gli esseri umani! Nel 1931, Cornelius Rhoads, un patologo del Rockefeller Institute for Medical Research, infettò volutamente delle cavie umane a Puerto Rico con cellule tumorali, 13 di loro morirono. Anche se un dottore portoricano scoprì in seguito che Rhoads aveva volutamente coperto alcuni dei dettagli del suo esperimento e Rhoads rese una testimonianza scritta attestante che credeva che tutti i portoricani dovessero essere uccisi, in seguito lavorò agli impianti di guerra biologica dell’esercito degli Stati Uniti di Fort Detrick in Maryland (all’origine del virus dell’HIV/AIDS, del virus dell’influenza aviaria e del virus dell’influenza suina/A-H1N1), Utah e Panama, e venne nominato all’US Atomic Energy Commission, dove iniziò una serie di esperimenti sull’esposizi one alle radiazioni di soldati e pazienti civili statunitensi. La risposta alla domanda, si può indurre il cancro su una persona, è sì.

Dopo quasi 80 anni di ricerche e sviluppi, ora c’è un modo per simulare un infarto vero e proprio e suscitare il cancro in una persona sana. Entrambi sono stati utilizzati come mezzi di assassinio. Solo un patologo molto esperto, che sappia esattamente cosa cercare nell’autopsia, è in grado di distinguere un assassinio per infarto o cancro indotto. La morte per attacco cardiaco, aneurisma, emorragia cerebrale è dovuta a “causa naturale”? No, se le agenzie governative hanno trovato un modo per influenzare la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna o la dilatazione vascolare. La ricerca neurologica ha scoperto che il cervello ha frequenze specifiche per ogni movimento volontario chiamato ‘set di preparazione’. Sparando al petto un fascio di microonde con frequenze ELF emesse dal cuore, questo organo può essere soggetto a uno stato caotico, il cosiddetto infarto. In questo modo, i leader dei partiti politici che sono inclini ad attacchi di cuore, poss ono essere uccisi prima che possano causare problemi.

Jack Ruby morì di cancro poche settimane dopo che la sua condanna per omicidio era stata annullata in corte d’appello e gli venisse ordinato di affrontare un processo fuori da Dallas, consentendogli così di parlare liberamente, se lo voleva. Ci fu poca esitazione in Jack Ruby nell’uccidere Lee Harvey Oswald, per impedirgli di parlare, quindi non c’è motivo di sospettare che ci sarebbe stata maggiore considerazione se Jack Ruby avesse rappresentato una minaccia per le persone del governo degli Stati Uniti che avevano cospirato per uccidere il Presidente degli Stati Uniti d’America John F Kennedy.

Matt Simmons, esperto petrolifero, venne assassinato per essere diventato uno spifferatore sull’insabbiamento dall’amministrazione Obama del disastro della BP nel Golf del Messico. Il banchiere Matt Simmons, morto improvvisamente, era un insider dell’industria energetica e consigliere del presidente, il cui profilo salì quando scrisse che l’Arabia Saudita era a corto di petrolio e che il mondo aveva raggiunto il picco (petrolifero). Simmons, 67 anni, era morto nella sua casa estiva nel Maine. L’autopsia del medico legale dello Stato concluse che era morto per annegamento accidentale “con la malattia al cuore come fattore indicente.” Il suo best-seller del 2005,Twilight in the Desert: The Coming Saudi Oil Shock and the World Economy, lo rese assai noto al pubblico. Il libro sostiene che l’Arabia Saudita ha enormemente sopravvalutato le dimensioni delle sue riserve di petrolio, e che il mondo era sull’orlo di una grave penuria di petrolio, mentre i giacimenti di petrolio si esauriscono. Questa rivelazione è sostenuta dall’Iran. L’Iran sa che il petrolio del Medio Oriente sta rapidamente esaurendosi e per questo motivo si concentra sulla costruzione di reattori nucleari. Una volta che il petrolio si esaurirà l’Iran sarà l’unico Paese del Medio Oriente energeticamente autosufficiente. Tutti gli altri Paesi del Medio Oriente, tra cui l’Arabia Saudita, diventeranno Stati del Terzo Mondo impoveriti.

Anche l’ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic è stato assassinato. Fu trovato morto nel centro di detenzione del Tribunale dell’Aja. Milosevic affrontava accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità per il suo presunto ruolo centrale nelle guerre in Bosnia, Croazia e Kosovo durante gli anni ’90. Fu anche accusato di genocidio nella guerra di Bosnia del 1992-1995, in cui morirono 100.000 persone. Milosevic scrisse una lettera il giorno prima della morte sostenendo di essere stato avvelenato in prigione. L’autopsia verificò la sua affermazione dimostrando che il corpo di Milosevic conteneva un farmaco che rendeva inefficaci il suo farmaco per la p ressione alta e le condizioni del cuore, provocando l’infarto che l’ha ucciso. L’ex agente dell’MI6 Richard Tomlinson ha detto ai giornalisti di aver visto i documenti, del 1992, che discutevano dell’assassinio di Milosevic per mezzo di un incidente d’auto, in cui il conducente sarebbe stato accecato da un lampo di luce e un telecomando che avrebbe messo fuori controllo i freni, causando un incidente. Questa stessa tecnica è stata utilizzata realmente per l’omicidio della principessa Diana.

Se Milosevic è stato assassinato, in ultima analisi chi è il responsabile? La NATO. Perché la NATO? Perché anche se l’ICTY (o ‘Tribunale dell’Aja’) si presenta al mondo come organismo delle Nazioni Unite, i funzionari della NATO hanno chiarito al pubblico che appartiene in realtà alla NATO. La NATO ha nominato i pubblici ministeri e i giudici che esclusero di analizzare eventuali accuse di crimini di guerra contro la NATO. Ne consegue che Slobodan Milosevic, che era un prigioniero del carcere di Scheveningen del Tribunale dell’Aja quando è morto, era prigioniero della NATO. La NATO aveva sia il movente che l’opportunità per ucciderlo. Nel marzo 2002, Milosevic presentò al tribunale dell’Aja, controllato dalla NATO, dei documenti dell’FBI che dimostravano che sia il governo degli Stati Uniti che la NATO avevano fornito sostegno finanziario e militare ad al-Qaida per aiutare il Kosovo Liberation Army nella sua guerra contro la Serbia. Q uesto non andò giù al Pentagono e alla Casa Bianca, che all’epoca stavano cercando di vendere la guerra al terrore e si preparavano a giustificare l’invasione dell’Iraq.

Durante il processo a Milosevic per crimini di guerra, la NATO ha affermato che i serbi avevano commesso un massacro di civili albanesi nella città del Kosovo di Racak. Le prove presentate in tribunale dimostrarono che la pretesa della NATO era una bufala. Questo era particolarmente imbarazzante, perché la denuncia del massacro di Racak fu la scusa che la NATO utilizzò per iniziare a bombardare i serbi, il 24 marzo 1999 (il bombardamento a tappeto effettuato dall’US Air Force, autorizzato dall’allora presidente Bill e da Hillary Clinton). Poi la NATO sostenne che i serbi avrebbero presumibilmente ucciso 100.000 civili albanesi. Tuttavia, gli stessi scienziati della NATO dissero che non riuscivano a trovare nemmeno il corpo di un civile albanese ucciso dalle forze di Milosevic. L’incapacità di trovare eventuali corpi, alla fine, portò alla pretesa assurda della NATO che i serbi avevano presumibilmente coperto il genocidio spostando migliaia di corpi, su dei camion congelatori, in Serbia (mentre Bill Clinton bombardava a tappeto il luogo) senza lasciare alcuna traccia. Ma il Tribunale dell’Aja dimostrò che anche queste accuse erano del tutto fraudolente.

Milosevic fece diversi discorsi in cui disse come un gruppo ombra internazionalista avesse provocato il caos nei Balcani perché era il passo successivo sulla strada del “nuovo ordine mondiale”. Durante un discorso del febbraio 2000 al Congresso serbo, Milosevic dichiarò: La “Piccola Serbia e il suo popolo hanno dimostrato che la resistenza è possibile. Applicata a un livello più ampio, in primo luogo organizzandola come ribellione morale e politica contro la tirannia, l’egemonia, il monopolio che generano odio, paura, nuove violenze e vendette contro i campioni della libertà delle nazioni e dei popoli, una tale resistenza potrebbe fermare l’escalation dell’inquisizione moderna. Bombe all’uranio, manipolazioni informatiche, giovani assassini tossicodipendenti e teppisti nazionali corrotti e ricattati, promossi ad alleati del nuovo ordine mondiale, questi sono gli strumenti dell’inquisizione che hanno superato, in crudeltà e cinismo, tutte le forme pre cedenti di violenze vendicative commesse contro l’umanità, in passato.”

Le prove che collegavano Milosevic ai genocidi come a Srebrenica, in cui morirono 7.000 musulmani, si sono dimostrate fraudolente. In realtà, Srebrenica era una ‘zona di sicurezza delle Nazioni Unite’, ma proprio come in Ruanda, i caschi blu si ritirarono deliberatamente e permisero il massacro, accusò allora Milosevic. L’esposizione di Milosevic del coinvolgimento delle Nazioni Unite nel massacro di Srebrenica fu un altro motivo per cui le trascrizioni del tribunale sono state pesantemente modificate e censurate dalla NATO, e un altro fattore che spinse la NATO ad assassinarlo mentre era sotto la sua custodia. Il tribunale dell’Aja della NATO è chiaramente un tribunale illegale il cui unico scopo è convincere la gente comune, in tutto il mondo, che la distruzione a opera della NATO della Jugoslavia era giustificata. Dal momento che la NATO non l’ha dimostrato al proprio tribunale (per la totale assenza di prove che lo rendeva difficile), vi era infatti un poten te motivo della NATO per uccidere Milosevic, evitare la sua assoluzione. In questo modo, la NATO può continuare a sostenere che Milosevic fosse colpevole, e nessuno avrebbe iniziato ad esaminare la montagna di prove che dimostra che furono i leader della NATO (in particolare il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton) che commisero crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio in Jugoslavia.

Così tante persone sono state fatte colpite dal cancro in un momento opportuno nella storia, quando giunse il momento di porre la domanda “chi è l’assassino che uccide tramite l’induzione di cancro o di infarti“? Chi ha ordinato gli omicidi e perché?  Charles Senseney, uno sviluppatore di armi della CIA a Fort Detrick, nel Maryland, testimoniò al comitato sull’intelligence del Senato, nel settembre 1975, descrivendo la pistola-ombrello che sparava un dardo velenoso che aveva ideato. Disse che è stato sempre utilizzato tra la folla con ombrelli aperti, sparando tra la folla in modo che non avrebbe attirato l’attenzione. Dato che era silenziato, nessuno tra la folla avrebbe sentito e l’assassino avrebbe semplicemente piegato l’ombrello e andato via con la folla. Le riprese video dell’assassinio di John F. Kennedy mostrano la pistola ombrello usata sulla Dealey Plaza. Prove video degli eventi del 22 novembre 1963 mostrano che il primo colpo s parato, in quel giorno fatidico, sembra avesse avuto un effetto paralizzante su Kennedy. I suoi pugni si erano stretti e la testa, le spalle e le braccia sembrarono irrigidirsi. L’autopsia ha rivelato che c’era una piccola ferita d’ingresso nel collo, ma senza evidenza del passaggio di un proiettile nel collo e nessun proiettile corrispondente a quelle piccole dimensioni è stato mai recuperato.

Charles Senseney testimoniò che la sua Divisione Operazioni Speciali di Fort Detrick aveva ricevuto incarichi dalla CIA per sviluppare armi esotiche. Una delle armi era una pistola per dardi che poteva sparare un dardo velenoso a un cane da guardia, mettendolo fuori servizio per diverse ore. Il dardo e il veleno non lasciavano traccia, in modo che l’esame non avrebbe rivelato che i cani erano stati messi fuori combattimento. La CIA ordinò circa 50 di queste armi e li usò operativamente. Senseney ha detto che i dardi avrebbero potuto essere utilizzati per uccidere esseri umani e non poteva escludere la possibilità che questo sia stato fatto dalla CIA.

Un particolare tipo di veleno sviluppato della CIA induce infarto e non lascia traccia di una qualsiasi influenza esterna, a meno che l’autopsia sia condotta per verificare la presenza di questo veleno particolare. La CIA rivelò questo veleno in diversi resoconti nei primi anni ’70. La CIA rivelò anche l’arma che sparava i dardi che inducono infarto, nel corso di un’audizione al Congresso. Il dardo di questa arma segreta della CIA era in grado di penetrare l’abbigliamento senza lasciare traccia, ma solo un puntino rosso sulla pelle. Alla penetrazione del dardo mortale, l’individuo bersagliato può sentire come un morso di una zanzara, o non sentire nulla. Il dardo velenoso si disintegra completamente entrando nel bersaglio. Il veleno letale poi entra rapidamente nel flusso sanguigno causando l’infarto. Una volta che il danno è fatto, il veleno sparisce rapidamente, in modo che all’autopsia sia improbabile rilevare che l’infarto sia stato causato da qualco sa di diverso dalle cause naturali. Un ex agente della CIA aveva rivelato che i dardi erano fatti con veleno liquido congelato. Rivelò che il dardo si scioglieva nel bersaglio e lasciava solo un  minuscolo puntino rosso d’ingresso, lo stesso tipo di piccola ferita d’ingresso trovata durante l’autopsia di John F. Kennedy.

Da oltre 50 anni gli omicidi sono stati eseguiti in modo abile, lasciando l’impressione che le vittime siano morte per cause naturali. Dettagli di alcune delle tecniche utilizzate per raggiungere questo obiettivo furono portati alla luce nel 1961, quando l’assassino professionista del KGB Bogdan Stashinskii disertò in occidente rivelando di aver effettuato con successo due missioni del genere. Nel 1957 uccise lo scrittore ucraino Lev Rebet a Monaco di Baviera, con una pistola che vaporizzava veleno, lasciando che la vittima morisse di un apparente infarto. Nel 1959, lo stesso tipo di arma fu utilizzato contro il leader ucraino Stepan Bandera, anche se la morte di Bandera non fu mai completamente accettata come dovuta a cause naturali.

Tra testimoni, persone importanti e cospiratori che avrebbero potuto essere eliminati da un attacco cardiaco e cancro indotto vi sono: Jack Ruby (morto da un infarto causato da una forma non diagnosticata di cancro aggressivo, poche settimane dopo aver accettato di testimoniare davanti al Congresso sull’assassinio di JFK ), Clay Shaw, J. Edgar Hoover, Earlene Roberts (affittuaria di Oswald), Marlyn Monroe, Slobodan Milosevic, Kenneth Lay (ex-amministratore delegato della Enron, il più grande finanziatore della campagna politica di Gorge W. Bush e Dick Cheney), Matt Simmons, Mark Pittman (giornalista che predisse la crisi finanziaria ed espose le malefatte della Federal Reserve. Pittman combatté per mettere la Federal Reserve sotto maggiore controllo), Elizabeth Edwards (le venne all’improvviso diagnosticato un cancro, mentre il marito era in campagna contro Barack Obama e Hillary Clinton per la presidenza della gli Stati Uniti. Nel corso di un discorso elettorale al Council on Foreign Relations, nel maggio 2007, Edwards definì la guerra al terrorismo uno slogan creato per ragioni politiche e che non era un piano volto alla sicurezza degli Stati Uniti. Si spinse oltre confrontandolo a un semplice adesivo che avrebbe danneggiato le alleanze statunitensi, mettendogli contro tutto il mondo).

… Inserire qui i nomi di ogni persona politicamente schietta, testimone o rivelatore morto improvvisamente per attacco cardiaco o rapidamente morto per un cancro incurabile.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

http://aurorasito.wordpress.com/2013/03/12/omicidi-indotti-per-infarto-e-cancro/

 

La Cina è in grado di trasformare l’Africa: Dambisa Moyo

MARZO 11, 2013 

Sons of Malcolm 3 marzo 2013

Dambisa_Moyo2L’economista dello Zambia Dambisa Moyo è un’aperta critica degli aiuti internazionali, sostenendo da anni che la mano straniera soffoca lo sviluppo dell’Africa, perpetuando la corruzione e ostacolando la crescita del continente. Autrice di bestseller del Times New York, Moyo si è affermata al livello internazionale con il suo libro del 2009 “Aiuti mortali: Perché gli aiuti non aiutano e qual’è la via migliore per l’Africa.” Da allora ha scritto altri due libri, sul declino dell’occidente e gli effetti della corsa alle materie prime della Cina. In una nuova intervista con Robyn Curnow del  CNN, Moyo spiega perché è ottimista sul futuro dell’Africa. Guarda all’impatto positivo che la Cina può avere sul continente, e in dettaglio, ai fattori chiave che alimentano la crescita economica dell’Africa.

CNN: Il dibattito sugli aiuti è così diverso da prima…
Dambisa Moyo: Sono successe tante cose negli ultimi cinque anni, in Africa, Sud America e in Asia, dove nessuno parla più di aiuti. Gli stessi responsabili politici l’abbandonano e si dedicano ai debiti sul mercato. Il mio Paese, lo Zambia, ha un debito fantastico, 750 milioni dollari in 10 anni, lo scorso settembre. La discussione riguarda molto più la creazione di posti di lavoro e gli investimenti, una storia fantastica, ovviamente in parte legata al fatto che i donatori tradizionali hanno problemi finanziari, fiscali, per i loro bilanci. Semplicemente non hanno più tanto capitale liquido a disposizione come in passato.

CNN: La storia dei cinesi che si sono immischiati, ha cambiato il quadro?
DM: Sì, assolutamente, ma in un modo strano, è esattamente quello che ci serve in termini di significative crescita economica e riduzione della povertà. Abbiamo bisogno di posti di lavoro,  investimenti, commercio, investimenti esteri diretti, sia dal mercato interno, ma anche dall’estero. Non è una pillola magica, ma tutti sanno che questa è la formula e, infine, i cinesi dimostrano ancora una volta, non solo in Africa, ma in tutto il mondo, quell’elisir, quel mix di opportunità da trasformare in realtà in questi Paesi. Ricordate, il 70% delle popolazioni di questi luoghi ha un’età inferiore ai 24 anni. Non c’è scampo: dobbiamo creare posti di lavoro.

CNN: Molte persone sono critiche verso il “neo-colonialismo” cinese, ma lei sostiene che non è vero.
DM: Beh, non lo è, perché la Cina ha così tanti problemi economici. Sapete, ha una popolazione di 1,3 miliardi di persone, con 300 milioni di persone che vivono a livello occidentale. Così hanno un miliardo di persone da far uscire dalla povertà. L’idea che spenderebbero tempo a cercare di colonizzare altri luoghi è soltanto, francamente, assurda. Non sto dicendo che la Cina dovrebbe disporre di un tappeto rosso, di carta bianca, in Africa o addirittura in qualsiasi parte del mondo, per fare quello che vuole. Abbiamo bisogno di partecipazione, di creare posti di lavoro e di scambi effettivi in questi luoghi. Ma penso che ciò che sia veramente essenziale è concentrarsi su ciò che la Cina può fare per l’Africa, così come ciò che l’Africa può fare per la Cina. E penso che la discussione non sia più obiettiva di come dovrebbe essere. In ultima analisi, la responsabilità di come la Cina si impegna in Africa è davvero compito dei governi africani. Non saremmo preoccupati per i rischi di neo-colonialismo, o abuso ambientale e questioni del lavoro, se ci fidassimo del fatto che i governi africani facciano la cosa giusta.

CNN: Come vedete le tendenze dei prossimi decenni?
DM: Sono un’eterna ottimista. Probabilmente sono la persona sbagliata a cui chiedere, perché credo che il quadro strutturale e fondamentale d’Africa, in questo momento, sia pronto da soli pochi decenni. Se si guarda all’economia attraverso la lente del capitale, fondamentalmente di denaro, di lavoro, fondamentalmente quanti l’hanno e quali competenze hanno, e della produttività, ovvero dell’efficienza nell’uso di capitale e lavoro, la tendenza è chiaramente a favore dell’Africa. Abbiamo un andamento fiscale molto solido. Il debito e PIL in Africa, oggi a livello sovrano, non sono neanche lontanamente simili agli oneri che vediamo in Europa e negli Stati Uniti. L’andamento del lavoro è molto positivo, il 60-70% degli africani ha meno di 25 anni. Quindi, una popolazione giovane su cui si ha bisogno di far leva dinamicamente, sicuramente abbiamo bisogno di investire in competenze e istruzione per assicurarsi il meglio da questa popolazione giovane. E poi, in termini di produttività, questo continente è un grande ricettacolo di tecnologie e di tutto ciò che può aiutarci a diventare più efficienti. Pertanto, questi tre fattori chiave: capitale, lavoro e produttività, contribuiscono a stimolare la crescita economica. Ora avremo una navigazione tranquilla? Certo che no, ci sarà volatilità, ma credo che gli investitori reali in Africa saranno in grado di delimitare rischio e incertezza.

CNN: E si tratta anche di risorse di un Paese, giusto?
DM: Questa è una domanda geniale, perché in realtà la risposta è no. Penso che si tratti soltanto degli elementi strutturali che ho menzionato: capitale, lavoro, produttività. Perché dico questo? Diamo uno sguardo al mercato azionario africano. Ci sono circa 20 borse in Africa e circa 1.000 titoli commerciali, l’85% di essi non sono merci. Parliamo di banche, assicurazioni, vendita al dettaglio, beni di consumo, aziende di logistica, di telecomunicazioni, questi sono i titoli sul mercato azionario africano.

CNN: Sente della responsabilità nel rappresentare una storia africana di successo?
DM: Beh, suppongo che, io, senta la responsabilità di dire la verità. Questo è un grande continente. In questo continente sono andata alla scuola elementare, secondaria, all’università, ho lavorato in questo continente e penso che sia un pessimo servizio che, per qualsiasi motivo, le persone abbiano usurpato un’Africa immaginaria assolutamente sbagliata. Si concentrano su guerre, malattie,  corruzione e povertà. Ma l’Africa non è tutto questo e penso che sia davvero essenziale, se dobbiamo svoltare, avere bisogno di prenderci questa responsabilità, come governi, come cittadini, non solo africani, ma del mondo, dicendo “che in realtà, questo non è vero”. Ci sono più poveri in India che in Africa, più poveri in Cina che in Africa, ma in qualche modo c’è uno stigma decennale  associato al continente africano, del tutto ingiustificato, e che trovo discutibile.

Africa e America Latina: costruire l’unità e la solidarietà contro l’intervento occidentale
Abayomi Azikiwe, Global Research, 4 marzo 2013

540783Il 20-23 febbraio si è tenuto a Malabo, Guinea Equatoriale, il terzo vertice Africa-Sud America (ASA). L’evento segue altri due vertici avutisi in Nigeria nel 2006, e in Venezuela nel 2009. Questo evento ha visto la partecipazione di 63 governi di entrambi i continenti, tra cui 20 capi di Stato  africani e cinque latinoamericani. Il vertice aveva per tema: “Strategie e meccanismi per promuovere la cooperazione Sud-Sud.” Il vertice ha adottato la Dichiarazione di Malabo contenente una serie di risoluzioni volte a rafforzare la cooperazione tra i due continenti. Le deliberazioni hanno anche portato alla creazione di un comitato presidenziale che avrà il ruolo di organo decisionale tra i vertici triennali.
Il ministro degli Esteri della Repubblica dello Zimbabwe Simbarashe Mumbengegwi, membro della delegazione guidata dal Presidente Robert Mugabe, ha descritto il vertice come un grande successo. Dopo il ritorno da Malabo, all’aeroporto internazionale di Harare ha informato i giornalisti sugli sviluppi nel corso del vertice. Mumbengegwi ha detto “Come sapete il tema del vertice riguardava la cooperazione Sud-Sud. Il vertice ha discusso di strategie e meccanismi per promuovere la cooperazione Sud-Sud.” (Zimbabwe Sunday Mail, 24 febbraio). Ha continuato notando che “un segretariato permanente con sede in Venezuela, è stato approvato per il coordinamento quotidiano dell’attuazione della nostra collaborazione.” Circa 30 progetti comuni sono stati proposti in materia di istruzione, informazione, commercio e telecomunicazioni, tra altri settori. Secondo Mumbengegwi, “Finora l’America latina ha espresso interesse in 16 progetti. Tuttavia, l’implementazione non è stata avviata per mancanza di un quadro di attuazione.” Il funzionario dello Zimbabwe ha riconosciuto che questi progetti incarnano la possibilità di trarre enormi benefici economici, per entrambe le regioni. Il Brasile coopera con gli Stati africani in vari settori, tra cui l’agricoltura come strumento di rilancio della crescita economica.

Il presidente venezuelano rilascia una dichiarazione per il Vertice
Il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela Hugo Chavez aveva inviato una lettera aperta al vertice ASA esortando entrambe le regioni ad unirsi per diventare un “vero polo di potere”. La lettera è stata letta dal ministro degli Esteri Elias Jaua a tutte le delegazioni, durante l’incontro. Chavez ha chiesto “un legame autentico e permanente nella cooperazione” tra l’Africa e il Sud America. “… possono salvare il pianeta dal caos cui è stato spinto [dal sistema capitalistaI nostri continenti, dove vi sono sufficienti risorse naturali, politiche e storiche… possono salvare il pianeta dal caos cui è stato spinto [dal sistema capitalista]“, ha detto. (Venezuelan Analysis, 22 febbraio)
Il leader venezuelano, ora sotto cure mediche, ha sottolineato che “in nessun modo si devono negare le nostre relazioni sovrane con le potenze occidentali, ma dobbiamo ricordare che non sono la soluzione completa e definitiva dei problemi dei nostri Paesi”. Chavez ha detto che per l’Africa e l’America Latina è essenziale sviluppare un ordine “multipolare” mondiale, al fine di fornire un’alternativa a livello internazionale al dominio degli Stati Uniti e dei loro alleati. Chavez ha chiesto un’escalation nella cooperazione in materia di energia, istruzione, agricoltura, finanza e  comunicazioni. Per facilitare questi obiettivi, Chavez ha suggerito lo sviluppo di una Università dei Popoli del Sud, una società petrolifera per collegare le risorse petrolifere dei due continenti e la creazione di una Banca del Sud. Il commercio tra l’Africa e l’America Latina è aumentato notevolmente negli ultimi dieci anni, dai 7,2 miliardi nel 2002 ai 39,4 miliardi di dollari US nel 2011. Con la creazione di un segretariato per coordinare meglio queste tendenze, si potrebbe avere una maggiore e più veloce cooperazione.
Il ministro degli Esteri ecuadoriano Ricardo Patino ha discusso delle difficoltà nel rafforzare la cooperazione tra l’Africa e l’America latina. Ha detto che “non ci conosciamo bene, non abbiamo esperienza nel lavoro comune… ci sono tante cose che possiamo offrire l’un l’altro, e non solo in termini commerciali.” (Venezuelan Analysis, 22 febbraio) Patino ha detto che la difficoltà nella collaborazione è dovuta al retaggio del colonialismo europeo. Sebbene l’Africa e l’America Latina condividano la storia comune della forte presenza di popolazioni africane scaturita dalla tratta atlantica degli schiavi e del dominio economico e politico dell’imperialismo e del neo-colonialismo, il processo di decolonizzazione ha, in molti modi, ostacolato l’unità tra gli Stati in via di sviluppo.
Chavez nel suo discorso ha osservato che l’intervento militare dell’imperialismo ha ostacolato la cooperazione tra le regioni. Dal 2009, nell’ultimo Vertice ASA, dove il leader libico colonnello Muammar Gheddafi era presente come l’allora presidente dell’Unione africana, gli Stati Uniti hanno intensificato le proprie politiche di destabilizzazione nei confronti dell’Africa e dell’America latina. Il leader venezuelano ha affermato che “Non è per fortuna o per caso… [che] dopo il Vertice di Margarita (Venezuela), il continente africano sia stato vittima di interventi e attacchi multipli delle potenze occidentali.” Perciò, ha proseguito, il Venezuela “respinge totalmente l’interventismo NATO” in Africa e in altre parti del mondo.

L’Africa invoca l’unità Sud-Sud
Il viceprimo ministro della Repubblica di Namibia Marco Hausiku, alla guida di una delegazione di 13 funzionari, al vertice ASA ha sottolineato che “i popoli dell’America Latina e dell’Africa  condividono la comune storia di lotte per la libertà e l’autodeterminazione. Dobbiamo parlare con una sola voce promuovendo gli interessi comuni dei nostri popoli“. (Informante.web.na, 27 febbraio)
Il presidente della Commissione dell’Unione Africana, il dottor Nkosazana Dlamini-Zuma, in una dichiarazione ha detto che “gli africani non possono ignorare il patrimonio comune condiviso dalle nostre due regioni, forgiati da legami storici, nonché da circostanze di cui non  sempre siamo stati al timone. In effetti, non abbiamo altra scelta che prenderci le responsabilità dei nostri rispettivi destini con un approccio collettivo, come ci viene dettato dal nostro passato e dal presente, nonché dalla necessità di combattere con successo per un futuro brillante.” (African Executive, 1 marzo)
Il vertice ASA ha emesso un comunicato d’impegno verso il popolo palestinese. L’incontro ha riconosciuto che la questione palestinese è una delle sfide principali per la pace internazionale e la sicurezza nel mondo moderno. Per quanto riguarda la Siria, il vertice ha condannato le violenze in corso nel Paese e consigliato il dialogo a tutte le parti coinvolte.

La presidente brasiliana visita la Nigeria
Nel periodo immediatamente successivo al vertice ASA, la presidente brasiliana Dilma Rousseff ha visitato lo Stato dell’Africa occidentale della Nigeria. Questi due Stati hanno le più grandi popolazioni dei continenti di Africa e America Latina. Dopo un vertice a porte chiuse, il presidente della Repubblica Federale della Nigeria Jonathan Goodluck e la Presidente Rousseff hanno emesso un comunicato congiunto affermando che la riforma delle Nazioni Unite è uno sviluppo positivo. I due leader hanno preso atto degli sforzi compiuti dalla Nigeria per divenire membro non permanente del Consiglio di Sicurezza per il 2014-1015. Entrambi i leader hanno firmato un Memorandum of Understanding (MoU) su agricoltura e sicurezza alimentare, petrolio, energia, bio-carburante, commercio e investimenti, estrazione mineraria, l’istruzione, aviazione, infrastrutture,  finanza e cultura. Jonathan ha riferito che una commissione bi-nazionale sarà creata per l’attuazione del protocollo d’intesa.
I capi di Stato hanno preso atto della crescente collaborazione in ambito economico. Il protocollo d’intesa sarà utilizzato come “leva economica dal nostro popolo, migliorando la situazione dei giovani disoccupati e delle donne, facendo in modo che nigeriani e brasiliani siano persone felici.” Il protocollo d’intesa continua affermando che “I nostri scambi sono effettivamente cresciuti  significativamente dal 2009 al 2012, anni segnati dalla crisi. I nostri scambi commerciali sono cresciuti e per il 2012 si arriva a 9 miliardi di dollari US.”

Abayomi Azikiwe, caporedattore di Pan-African News Wire

Copyright © 2013 Global Research

Traduzione di Alessandro Lattanzio –  SitoAurora

 

Fukushima: le vittime dimenticate della catastrofe!

11 marzo 2013 = Tokio. A due anni da quel tragico 11 marzo 2011, le vittime del terremoto e lo tsunami, così come del successivo disastro nucleare di Fukushima, si sentono dimenticate dal governo giapponese. I morti accertati sono stati 15.800 nelle prefetture nord orientali di Iwate, Miyagi e Fukushima.
E se si aggiungono i dispersi si arriva a 18.574 morti. Ma a portare ora il peso della tragedia sono i sopravvissuti, fra cui le 160mila persone che sono state obbligate ad abbandonare le loro case nelle zone contaminate.

Katsutaka Idogawa, ex sindaco di Futaba, una cittadina a tre chilometri dalla centrale di Fukushima, racconta oggi che decise da solo di trasferire l’intera popolazione di 1200 abitanti a Saitama, 210 chilometri più a sud, una settimana dopo il disastro. Molti degli abitanti e circa la metà dei funzionari del comune stanno avendo problemi di salute, prosegue l’ex sindaco, che dopo il disastro ha perso tutti i capelli. In questi due anni Idogawa, che perde spesso sangue dal naso, e’ gia’ stato ricoverato due volte. “I bambini non dovrebbero vivere nella prefettura di Fukushima, dovrebbero essere evacuati tutti”, aggiunge.

In realtà, oltre la zona di evacuazione di 30 chilometri attorno alla centrale, decine di migliaia di altre persone hanno abbandonato in questi due anni l’area di Fukushima. “Viviamo nell’ansia”, racconta Toshio Urasawa, un abitante della città di Fukushima. I bambini non giocano più all’aperto, aggiunge, e mia figlia mi dice che “non troverà mai marito fuori dalla prefettura” perché tutti gli altri penseranno che è contaminata.

La situazione non è migliore per chi viveva nella zona di evacuazione ed è stato costretto ad andarsene. Sono 160mila persone, 91mila delle quali sono state sistemate in alloggi temporanei nella prefettura di Fukushima. Chi ha scelto di andare più lontano, per paura delle radiazioni, non ha ottenuto l’aiuto del governo per trovare alloggio.

Così è successo a Sachiko Mashio che aveva avviato da due anni un ristorante a Namie, 20 chilometri dalla centrale, quando è stata costretta di abbandonare tutto. La signora vive ora in una casa in attesa di demolizione ad Hatoyama, 230 chilometri più a sud ovest, trovata grazie ad una associazione di volontari, ma presto dovrà traslocare. “Sarà l’11esima volta, siamo distrutti fisicamente e mentalmente”, racconta. La sua famiglia ha ottenuto un risarcimento dalla Tepco, la compagnia che gestiva la centrale prima di venir nazionalizzata, ma non è ancora riuscita a riavviare una propria attività a causa dell’incertezza dell’alloggio.

Le conseguenze della catastrofe pesano anche sulle popolazioni più lontane dalla zona contaminata, che furono però travolte dallo tusnami. A Ishinomaki, circa il 40 per cento dei 74mila abitanti vive ancora in piccoli alloggi temporanei nell’entroterra perché le case sulla costa non sono state ricostruite.

Molti giovani di Ishinomaki sono emigrati altrove in cerca di lavoro perché l’industria della pesca è stata messa in ginocchio, mentre gran parte dei negozi delle vie principali sono rimasti chiusi. Organizzazioni di volontari sono tutt’ora impegnate nella distribuzione del cibo agli anziani della città e fra gli abitanti crescono i casi alcolismo.
http://notizie.radicali.it/articolo/2013-03-11/intervento/fukushima-le-vittime-dimenticate-del-sisma-e-dell-incidente

 



http://terrarealtime.blogspot.it/2013/03/fukushima-le-vittime-dimenticate-della.html

Santoro si crede Grillo

di Massimo Fini – 10/03/2013

 C’è un pigia pigia impudico per inserirsi nel vuoto lasciato dalla tremenda spallata che il movimento di Beppe Grillo ha assestato al sistema dei partiti. Michele Santoro, che evidentemente ha un alto concetto di sè, ha proposto un ‘suo’ governo che, a sentir lui, dovrebbe essere sostenuto dal Movimento 5Stelle e dal Pd. Premier Stefano Rodotà, Interni Anna Maria Cancellieri, Difesa Fabio Mini, Istruzione Milena Gabanelli, Welfare Maurizio Landini, Sviluppo Fabrizio Barca, Economia Luigi Zingales e via elencando. Ancora un passo e Santoro si sarebbe autonominato presidente del Consiglio o, almeno, ministro delle Comunicazioni. A sentir questi nomi nel programma televisivo condotto da Paola Saluzzi, Paolo Flores D’Arcais si è illanguidito, inumidito quasi fino alla lacrime: «Sarebbe un governo meraviglioso» ha mormorato, in estasi. Invece la proposta di Santoro è grottesca, in sè e nei designati, peraltro incolpevoli. Non si vede perchè Grillo, vincitore di fatto delle elezioni, dovrebbe farsi dettare le alleanze e il governo da Michele Santoro. Grillo non farà alleanze con nessuno, lo ha ripetuto fino alla nausea, in quanto al governo se lo sceglierà lui con gli uomini che indicherà lui, al momento opportuno, se arriverà. E veniamo ai nomi, fra i quali, tra l’altro, non c’è nemmeno un ‘grillino’. Il professor Stefano Rodotà ce l’abbiamo sul gobbo da più di trent’anni. E’ stato eletto deputato, come indipendente di sinistra nel ’79, nell’83, nell’87 e presidente del Pds nel periodo 1991-92. Fa parte, a tutti gli effetti, di quella ‘nomenclatura’ politica del vecchio regime che Grillo ha giurato di voler spazzar via. Cancellieri e Barca sono ministri di quel governo Monti contro cui il leader di 5Stelle ha sparato, e continua a sparare, a palle quadre. M aurizio Landini è il capo della Fiom e Grillo ha detto parole di fuoco sui sindacati, giudicati corresponsabili della situazione, sociale ed economica, in cui ci troviamo, avendo sempre difeso tutti gli occupati, anche i più neghittosi, a scapito dei disoccupati e, ovviamente, dei giovani. Il generale Fabio Mini nel 2002-2003 è stato comandante del contingente italiano in Kosovo nell’ambito di una di quelle ‘missioni di pace’ (KFOR) a guida Nato che Grillo considera ‘missioni di guerra’ in aperto contrasto con l’articolo 11 della Costituzione ed è deciso a ritirare, se dovesse governare, tutti i soldati italiani che si trovano, in armi, in territorio straniero, a cominciare naturalmente dall’Afghanistan. Luigi Zingales gode fama di grande economista ma è stato trombato alle elezioni insieme al suo ‘Fare per Fermare il Declino’. Infine la lista di Santoro è fortemente colorata di sinistra e Grillo considera la sinistra responsabile, al pari della destra, della politica degli ultimi trent’anni che ci ha portati al tracollo, economico, sociale e morale. Nemmeno Dario Fo, che come uomo di sinistra ha un po’ più di credibilità di Santoro, per non dire della caratura intellettuale e morale, ce la fatta a convincere Grillo ad allearsi col Pd. Pensare che ci riesca Santoro è semplicemente ridicolo. Il fenomeno 5Stelle, se andrà avanti, spazzerà via un’intera classe dirigente, compresi quei giornalisti e massmediatici che sono stati collusi col regime o lo hanno avversato in modo cosi’ balordo da favorirlo.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=45188

 

La lucha sigue, Comandante Hugo Chávez

Come possiamo chiamarci ecosocialisti se non ci importa della vita degli ultimi. Dobbiamo amare e prenderci cura di tutti, compresi gli animali. (Hugo Chavez, raccogliendo un cane randagio)

Socialismo o barbarie, non c’è scelta per un rivoluzionario. (Hugo Chavez)

 solo per ricordare lo smacchiatore amante dei mercati Bersani: “Non vorrei che dopo Berlusconi arrivasse Chávez

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Bersani, quei pregiudizi su Hugo Chávez

 La lucha sigue, Comandante Hugo Chávez

di Alessia Lai – 07/03/2013

 

Fonte: Rinascita [scheda fonte]

I venezuelani lo stanno gridando da ore, nelle piazze piene a ricordare il Comandante: “La lucha sigue”. E con loro noi, innamorati fin dal principio della Rivoluzione bolivariana, di quella marcia lunga ed esaltante che in 14 anni ha cambiato il volto non solo del Venezuela, ma di tutta l’America Latina.

Da sognatori avevamo visto, negli anni, materializzarsi le nostre speranze in un cambiamento che ponesse al centro la dignità dell’essere umano, la realizzazione del socialismo immaginato.

In un luogo lontano i nostri sogni si sono realizzati sulle gambe di un indio ispirato da Simon Bolivar, che ha attraversato la storia dell’America Latina e del mondo e ha lasciato una preziosa eredità: popoli consapevoli, in marcia verso la giustizia sociale, la solidarietà, la sovranità. Non è retorica dire che Hugo Chávez ha amato profondamente il suo popolo e tutti quelli che combattevano per la loro libertà.

Volere e garantire educazione, sanità, casa, tutele sociali, significa amare il popolo, essere parte di esso.

Chávez lo era, non proveniva dalle altolocate famiglie venezuelane che prima di lui si alternavano nella gestione del Paese ritenuto una preda personale. Le sue origini erano modeste: figlio di un maestro elementare, poi militare, nella figura del Libertador vide il futuro della Patria Grande latinoamericana. Ha sognato ad occhi aperti, e quei sogni li ha fatti diventare reali, dedicando alla Rivoluzione tutta la vita, il tempo, i pensieri, le azioni.

Dove si lotta per mettere il popolo al centro di tutto c’è poco spazio per il politicamente corretto, per gli equilibrismi diplomatici: il Comandante si è schierato in ogni momento con i popoli liberi e con gli uomini additati dalla “comunità internazionale” come nemici della democrazia. Lui stesso faceva parte di questa lista nera. Lui, eletto democraticamente in un Paese nel quale è previsto un referendum di revoca della presidenza, nel quale i media privati in mano agli oligarchi locali hanno cercato sistematicamente di distruggerlo, perfino istigandone l’uccisione. Il gregge schierato a difesa degli interessi dei più forti lo dipingeva e continuerà a farlo come un populista dai tratti autoritari.

La realtà la conoscono i venezuelani che hanno sconfitto l’analfabetismo, che godono della sanità di base, di alloggi e dell’assistenza sociale.

La conoscono i popoli latinoamericani che si sentono sempre più una sola grande entità e sempre meno “cortile di casa” degli Stati Uniti, primo grande nemico e accusatore di Hugo Chávez.

Non potevano perdonare, a Washington, che gli schiavi si fossero affrancati “per colpa” di questo sognatore. Hugo Chávez non vuole certo, ora, che tutto quel che ha costruito venga smembrato, ridotto a un ricordo. Ed è quella folla che nella sua Nazione continua ad acclamarlo e a giurare che la Rivoluzione continuerà, che ci rende sicuri che sarà così.

Loro hanno visto il sogno avverarsi, noi continuiamo a sperare.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=45184

 

CHAVEZ, E’ L’ORA DI SCIACALLI E GRILLI PARLANTI

 

 

 

Come possiamo chiamarci ecosocialisti se non ci importa della vita degli ultimi. Dobbiamo amare e prenderci cura di tutti, compresi gli animali. (Hugo Chavez, raccogliendo un cane randagio)

Socialismo o barbarie, non c’è scelta per un rivoluzionario. (Hugo Chavez)

 

 

Di questa mia ex-collega al TG3 non varrebbe neanche la pena parlare. In qualche modo ci si insozza la penna. Dopo aver lisciato il pelo agli orchi in Kosovo, spappagallando di pulizie etniche come suggerite da Langley e come invece subite da una popolazione serba, o sterminata o espulsa, dopo essersi guadagnati i galloni Cia per l’ambito posto di corrispondente RAI a New York avallando le facezie e le infamie che dovevano portare all’uccisione dell’Iraq, la Botteri non poteva non essere la fiduciaria Cia-Mossad nel dramma venezuelano. Ieri, pure i più accaniti disinformatori e apostoli della dittatura del finanzcapitalismo, avevano dovuto riconoscere che quelle decine di milioni di popolo che, per tutte le lande dell’America Latina, con riverberi nel mondo intero, piangevano il comandante rivoluzionario e giuravano di proseguirne la missione, alla luce di una gioia che in passato solo nel 1789 e nel 1917 si era provata. Poi naturalmente, seguendo la traccia della velina che ne detta pensiero e verbo, avevano aggiunto ai dati inconfutabili del processo di liberazione delle masse la siringata di veleno del “caudillo”, dell’ ”autocrate”, dell’amico di personaggi “impresentabili” come l’iraniano Ahmadinejad, o Gheddafi, o Saddam.

 

Ma Giovanna Botteri, priva dei freni inibitori di qualche grano di intelligenza, ha voluto pisciare fuori dal vaso, probabilmente imbarazzando perfino i suoi più avveduti burattinai. Sulle immagini di quei milioni rossi che infittivano tutta Caracas e il cui pianto l’inondava, ha orinato le sue menzogne: Chavez aveva lasciato la povertà come l’aveva trovata (e via il dimezzamento della povertà non riuscito a nessun altro governante del mondo; e via la conquista dell’alfabeto, dell’istruzione, della salute, della casa, del lavoro per tutti) e il suo dominio sui mezzi d’informazione era stato brutale e assoluto (e via, surrealmente, 113 canali televisivi di cui solo due governativi e tutti gli altri in mano a oligarchi ostili alla rivoluzione bolivariana; e via tutti i grandi giornali, controllati dalle multinazionali dell’intossicazione).

 

Ma se Botteri e tutta la cosca dei lacchè mediatici si sono anche resi ridicoli davanti all’evidenza della passione di milioni di cittadini per il loro comandante e allo tsunami della loro determinazione di proseguirne la lotta, un po’ come i fustigatori di Grillo con le loro viscere intorcinate dalla frustrazione e le sinapsi intorbidite da una pervasiva aria di morte, c’è stato anche chi l’opera di deformazione e riduzione dell’insopportabile potenza del personaggio l’ha condotta con più scaltrezza. Prendendo la gente dalle spalle. Un esempio tanto elaborato, quanto affannoso, è stato l’articolo di Giuseppe De Marzo che ha colmato una pagina del “manifesto” dell’8 febbraio. Titolo  (ne riprendo l’eloquente neretto): “Un amico americano per i movimenti”. 

Bisogna prima sapere chi è De Marzo. Fondatore e leader dell’associazione “A Sud”, dinamico attivista dei beni comuni, fa parte di quel mondo di ONG, pacifisti, indigenisti, politically corretti, che viaggia in bici al lato del caimano capitalista, sollecitandolo ogni tanto a pulirsi le scarpe dal fango ecocida e a tagliarsi le unghie neoliberiste. Ho condiviso con lui una pedagogica esperienza in Bolivia. Nel pezzo che elogia Chavez, mica perché quel neoliberismo l’ha azzannato, masticato e sputato, mica perché ha tessuto una rete di resistenza mondiale contro le scelleratezze dell’imperialismo occidentale, la parola “movimenti” compare come l’acne sulla faccia di un adolescente inibito. Dieci volte. E sapete quale  sarebbe il grande, merito del rinnovatore, unificatore, liberatore dei popoli latinomericani, di colui che ha dato più fastidio agli Stati Uniti dai tempi di Cavallo Pazzo e di Stalin? Il fatto di aver imparato tutto dai movimenti, di averne adottato la formula del buen vivir , insomma di aver dato retta agli indios e alla società civile – e non il contrario – che per De Marzo e affini rappresentano la summa del pensiero filosofico, sociale, economico, ecologico, culturale, istituzionale della storia umana.

 

Hugo Chavez era di sangue proletario e indio e non aveva bisogno di imparare niente dagli interpreti della sua gente, grilli parlanti di pelle bianca. E, pur avendo dato alla sua popolazione indigena forse più spazio materiale e politico di qualsiasi altro governante della regione, aveva capito benissimo quale insidia antinazionale e antidemocratica si annidasse nei propositi separatisti, etnicisti, particolaristi, di certe formazioni indigene ultra-ecologiste (in Ecuador, Bolivia, Nicaragua) e come il loro separatismo in chiave razziale e antimoderna minasse la strategia bolivariana della Patria Grande, dell’integrazione continentale.

 

Ahamdinejad bacia la bara di Chavez

De Marzo, nel suo esteso pezzo, accanto alla superfetazione del termine “movimenti”, non nomina una sola volta la parola “socialismo”, e tanto meno “imperialismo”, che invece avevano con le labbra di Chavez più confidenza di qualsiasi altro lemma. Ricordo che, quando si esibirono a Porto Allegre la prima volta (per inneggiare a un sindaco, poi giustamente trombato, che aveva proposto un ridicolo e ingannevole “bilancio partecipativo” dello zero virgola qualcosa, come nascita dell’ “altro mondo possibile”), a Chavez i movimenti sbatterono la porta in faccia. Ricordo la madre delle madri di Plaza de Majo, Hebe de Bonafini, che di fronte a quella ottusa iattanza (sicuramente gradita, se non suggerita, al solito covo in Virginia), indignata, a sua volta prese e se ne tornò a casa. Quell’accattivante e disimpegnata vaghezza dell’ ”altro mondo possibile”, che per strada non ha lasciato altro che le pezzuole colorate della pace, compatibile come lo yogurth con ogni sorta di ingrediente, da Chavez  ottenne forma e contenuto e si chiamò “Socialismo del XXI secolo” e le piacevolezze rosate del buen vivir assunsero la dimensione e la coscienza dello scontro mortale, anzi, per la vita, con il neoliberismo e il suo propagatore, l’imperialismo.

 

Forse a De Marzo, come a tutti coloro che, come De Marzo, a Chavez concedono l’onore delle armi…movimentiste, è sfuggito che, per l’America Latina e per il mondo, la vittoria più grande Chavez l’ha conquistata al vertice di Mar del Plata. Il 4 novembre 2005, trascinò tutti i governanti latinoamericani, perfino quelli più ligi a Washington, a fiondare in faccia a Bush il sasso del No all’ALCA, trattato-capestro di libero scambio con cui gli Usa si ripromettevano di riprendersi ciò che, dopo l’abbattimento del “Condor”, avevano iniziato a perdere. Forse avrebbe potuto menzionare il dato epocale di Chavez che ha sottratto i popoli all’arma parallela a quella dello sterminio fisico, impiegata su mandato della Cupola dal FMI decenni fa, il cappio del debito, lo strumento per distruggere, con la loro sovranità, gli Stati del mondo. Gli è anche sfuggito, e stavoltapour cause, dato che si tratta di “impresentabili” per noi della democrazia e dei diritti umani, che Chavez è stato il primo è il più vigoroso amico e sostenitore di quei paesi e di quei leader che i feldmarescialli e i banchieri dell’Occidente, con vivandiere e sguatteri al seguito, demonizzano come  dittatori, terroristi (da che pulpito!!!), violatori dei diritti umani, e i cui popoli giustiziano radendoli al suolo, o strangolandoli con le sanzioni. Con cura ha evitato di rammentare gli incontri, l’amicizia, l’alleanza, la solidarietà che univano Chavez a diavolacci antidemocratici e anti-diritti umani come Ahmadinejad (l’avete visto piangere sulla bara di Chavez, a pugno chiuso?), Gheddafi, Assad, Lukashenko, Putin. Se oggi ci sono i BRICS, una Russia di nuovo consapevole del suo ruolo, una Cina che tiene botta, l’abbrivio lo ha dato Hugo Chavez. Sostituendo nello sguardo che un’umanità rattrappita nella paura lancia su un mondo di devastazione e desolazione, quello di una spianata soleggiata dove sarà possibile coltivare ogni sorta di alberi e fiori.


 La bara con il corpo di Chavez. Come si vede ha la copertura di vetro, trasparente, è la gente vede la salma. Questa, come tante altre immagini presenti in rete, dimostrano una volta di più la miseria dei diffamatori mediatici che hanno voluto far circolare il sospetto che la bara, vista da migliaia al funerale, fosse vuota e che il comandante fosse morto all’Avana (sospetto oltre tutto stupido, visto che nulla avrebbe impedito al Venezuela di trasferire il corpo a Caracas e metterlo nella bara). Si tratta di un tentativo grottesco per legare ancora una volta nella diffamazione la detestata Cuba all’insopportabile Chavez.

 

Credo che Giuseppe De Marzo sia una brava e onesta persona, con le lenti un po’offuscate da buonismo e compatibilità. Gli sono anche amico, insieme a lui e al suo gruppo abbiamo percorso una Bolivia dove Morales era visto con la diffidenza che spetta all’usurpatore e ogni interesse era rivolto agli indigeni e alle Ong della proverbiale società civile. Gente che aveva accumulato meriti e sangue nella lotta contro i despoti burattini dei nordamericani, ma che oggi è finita, per ossessioni antistoriche, antistataliste e per ingordigia di protagonismo, a non far altro che a mettere bastoni tra le ruote di Evo Morales. Per quanto innamorato di quelle culture e per quanto radicato nella vicenda fossilizzata e anche depistante dei movimenti dell’ ”altro mondo possibile”, De Marzo, studiando meglio Chavez, può ancora diventare un rivoluzionario.

 

Chiudo con un’osservazione che farà rizzare i capelli ai soliti. Quello che il colonello parà Hugo Chavez ha fatto con la materia informe dei “movimenti”, elevandoli alla rivoluzione per il socialismo, si può paragonare a come il “comico” (così insiste a chiamarlo ormai solo “il manifesto” nel comico,- questo sì – tentativo di esorcizzarlo) Beppe Grillo ha saputo dare compattezza, afflato, indirizzo, massa e sentimento a un movimento, quello dei vari beni comuni, dalla TAV all’acqua al militare, che rischiava di anchilosarsi tra le muffe riformiste dei nostri eterni venerandi maestri. E come Chavez ha saputo uscire dalla dimensione domestica inserendosi, con i suoi collegamenti agli “impresentabili”, in un quadro internazionale fin lì dominato dal progetto strategico del nemico, così Grillo, si parva licet… , è stato l’unico a guardare fuori dal nostro bugigattolo, a restituirci la rivendicazione della sovranità, prima condizione per la lotta di classe, e a rappresentarci la nostra condizione di sudditi, non solo del principe locale, ma, peggio, dell’egemonia Usa. Aria fresca, aria buona, in entrambi i casi. Chavez aveva le idee per non farla inquinare. Grillo e i suoi, chissà.

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2013/03/chavez-e-lora-di-sciacalli-e-grilli.html

Anatocismo bancario e massimo scoperto da oggi sono rimborsabili

da oggi sono rimborsabili

 Se la giustizia ordinaria è ancora ben lontana dal sanzionare l’illegittimità degli interessi bancari, non lo è più nel sanzionare la pratica ancora più scoretta dell’anatocismo, cioè degli interessi calcolati sugli interessi. Questo articolo, firmato dall’Avv. Floriana Baldino, citando la recente storica giurisprudenza, spiega perchè da oggi è possibile chiedere il rimborso delle somme ingiustamente trattenute per anatocismo e per l’applicazione della commissione di massimo scoperto.

 Importante vittoria della Codacons sulle banche. Da oggi si potrà chiedere il rimborso di quanto pagato per anatocismo e commissione di massimo scoperto.

Un’importante sentenza destinata a fare storia nel mondo giuridico e ad avere un grandissimo eco, che riguarda le banche e le loro pratiche ormai consolidate di anatocismo, è finalmente arrivata[1]. Essa in realtà non è stata la prima ma la seconda.

Entrambe le sentenze arrivano da Bologna ed entrambe condannano la Carisbo a rimborsare i soldi pagati a due loro correntisti a titolo di massimo scoperto e per l’anatocismo. I clienti delle banche che hanno avuto in passato il proprio conto in rosso, o che abbiano chiesto crediti alle banche, da oggi potranno chiedere il rimborso delle somme in più versate alle banche.

Ma cosa è l’anatocismo?

Sicuramente non è un concetto semplice da spiegare ma si può dire che nell’insieme esso rappresenta il costo del denaro quando si chiede un prestito alla Banca. Il costo reale del denaro che noi paghiamo alle banche non si trova esposto in nessun contratto bancario ed è molto più alto di quello che apparentemente può sembrare.

L’anatocismo ad es. può essere definito come un moltiplicatore del debito perché ad ogni scadenza di pagamento, verranno sommati anche gli interessi che già sono stati pagati a scadenza e che faranno parte integrante del capitale nel nuovo trimestre o a seconda dei casi (seppur più raro) nel nuovo semestre.

Per fare un esempio, ciò che noi paghiamo a marzo come interessi a giugno diventa capitale e su questi pagheremo nuovamente gli interessi (capitalizzazione degli interessi). L’anatocismo in realtà (interessi su interessi) è una pratica che, seppur ritenuta illegittima, è molto diffusa nell’ambito bancario.

Per calcolare però il costo del denaro quando chiediamo il credito o il nostro conto va in rosso, all’anatocismo dobbiamo anche aggiungere le commissioni di massimo scoperto e tutto ciò aumenta il costo effettivo del denaro fino ad arrivare un costo così elevato che qualsiasi media o piccola impresa o normale cittadino non riesce poi più a sostenere.

Da oggi però sarà possibile, sulla scia di queste sentenze, ottenere la restituzione delle somme che sono state chieste e pagate alle Banche ogni volta che è stato chiesto un credito o il proprio conto corrente è andato in rosso.

Naturalmente poter quantificare le somme di cui si ha diritto di chiedere la restituzione e capire bene anche il costo del denaro preso a credito, non è una cosa semplice da fare ed è necessario avvalersi di periti qualificati per poter calcolare il tutto ma la Codacons ha dichiarato che potranno fare una valutazione gratuita a chi li contatterà.

In realtà tutto parte da un’importante sentenza della Corte Costituzionale[2] che aveva dichiarato illegittimo un particolare art. delDecreto Milleproroghe[3], una norma emanata nel tentavo di salvare le banche dal restituire i soldi ai correntisti per anatocismo e molte altre somme indebitamente versate e che aveva effetti retroattivi.

Essa infatti stabiliva che “la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa”, e quindi retrodatava il decorso del termine di prescrizione per poter chiedere la restituzione delle somme versate e riduceva notevolmente i tempi per poter ricorrere da parte dei correntisti a tutela dei propri diritti nascenti dal rapporto stesso intrattenuto con la Banca.

Questa riduzione dei termini valeva anche per chi aveva già avviato azioni dirette alla ripetizione delle somme illegittimamente addebitate e che nelle more vedevano prescritti i loro diritti ad ottenere la restituzione delle somme, creando, tra le altre cose, un ingiustificata disparità.

Fino ad allora infatti, l’orientamento quasi unitario, era far decorrere i termini dal momento della chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio.

Infatti è in questo momento che si ha piena conoscenza delle somme non dovute (quali sono quelli derivanti, ad esempio, da interessi anatocistici o comunque non spettanti, da commissioni di massimo scoperto e così via). Quindi soltanto all’atto della chiusura del conto[4]si può essere consapevoli del danno subito e delle versate indebitamente.

Quindi ancorare con norma retroattiva la decorrenza del termine di prescrizione all’annotazione in conto significava individuarla in un momento diverso da quello in cui il diritto può essere fatto valere, anche secondo una specifica norma del codice civile[5].

Questa sentenza quindi stabilì che il dies a quo, ai fini della prescrizione di un diritto, decorre dal momento in cui il suo titolare è posto nelle condizioni di poterlo esercitare, e dichiarò l’illegittimità costituzionale di quel particolare articolo del Decreto Milleproroghe che di fatto avrebbe discriminato molti correntisti.

In pratica, da oggi tutti i clienti che si sono avvalsi di un credito presso le banche o hanno avuto il proprio conto in rosso, potranno chiedere la restituzione di parte del costo sostenuto per avere il denaro dalle stesse.

[1] Sentenza del tribunale di Bologna n. 325/13.

[2] Sentenza n. 78 del 2012.

[3] Dell’art. 2, comma 61, del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225.

[4] Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza n. 24418 del 2010.

[5] Art. 2935 cod. civ.

Hearthaware blog

Autore: Avv. Floriana Baldino – 03.03.2013

Esperta in Diritto Civile e Tributario – Foro di Trani (BT)

florianabaldino@gmail.com

Fonte: accademiadellaliberta.blogspot.it


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Dovevano bruciarla prima

Dovevano bruciarla prima di Camillo Langone – 10/03/2013

 Fonte: Il Foglio [scheda fonte]

La Città andata a fuoco e i suoi equivoci culturali, amministrativi, retorici. Il cui maggior interprete è Sua Pomposità Saviano, che ora si crede Plinio il Vecchio

C’è qualcosa di pietoso nel rogo della Città della Scienza napoletana.Non è propriamente un’eutanasia (troppo pliniano, troppo spettacolare l’evento) ma certo è la fine di un’agonia. La Città della Scienza si dichiarava eccellenza ma era una poveracciata che non pagava gli stipendi, che non pagava i fornitori, che non pagava nessuno nella migliore tradizione partenopea e parte italiana. E chissà che le fiamme non siano state appiccate (irrazionalmente, ovvio) da qualche creditore inferocito. Come spesso accade il commento più divertente è quello di Sua Pomposità Roberto Saviano: “Mi sento di cenere. Ossa di cenere, pensieri di cenere, cuore di cenere. Come Napoli, che oggi è di cenere”. In “Gomorra” si credeva Malaparte, adesso si crede Plinio il Vecchio, solo che lo scrittore latino in cenere c’è finito davvero, non per metafora. Invece il bestsellerista napoletano prosegue incontinente a cinguettare e in un tweet avanza la facile ipotesi camorra: “Da sempre i clan vorrebbero edificare a Bagnoli”. Possibile, ci mancherebbe: vorrei solo capire la mancanza di tempismo, perché mai avrebbero scelto il peggior momento immobiliare della storia repubblicana. Il sindaco De Magistris ha riesumato lo stile “piezz’ ’e core” di Filomena Marturano: “Oggi migliaia di ragazzi e bambini di Napoli si sono svegliati piangendo per la distruzione di Città della Scienza”. Manco avessero bruciato vivo Babbo Natale. Ce li vedo proprio, i piccoli napoletani, disperarsi per le sorti della scienza. E’ vero che i padiglioni arrostiti di Bagnoli erano frequentati pure da scolaresche ma la gitarella fuori porta mirava alla comprensione del funzionamento di telescopi e caleidoscopi, sai che spasso. Alla Città della Scienza di gran scienza non se ne faceva, si faceva più che altro divulgazione scientifica, un’altra cosa. Il fondatore, professor Vittorio Silvestrini, ex politico comunista (consigliere regionale negli anni Ottanta) che era solito circondarsi di ex politici comunisti al punto che l’altra notte è andato in fumo anche il poco che restava del bassolinismo, non ha mica vinto un Nobel: ha vinto un premio Descartes per la comunicazione scientifica. Bene, bravo, ma la scienza è fatta di scoperte e che cosa abbiano mai scoperto a Bagnoli non è dato sapere. Nemmeno la ricetta definitiva delle nozze coi fichi secchi sono riusciti a mettere a punto.

I soldi sono stati un problema fin dall’inizio:lo stato avrebbe dovuto metterci il 30 per cento e al resto avrebbe pensato il mercato per vedere il quale, a Bag noli, serve proprio il telescopio. Qui perfino l’acciaieria era fuori mercato, figurarsi questo miraggio meridiano intorno al quale più che quattrini si sono spese parole, decenni di sproloquio paravendoliano di chi puntava a “riconvertire l’identità operaia nell’immateriale”. Viene in mente il Montale più di destra: “Con quale voluttà / hanno smascherato il Nulla. / C’è stata un’eccezione però: / le loro cattedre”. I marxisti scientisti della Magna Grecia sognavano di sostituirsi all’industria ed ecco il risultato: l’Italsider pagava lo stipendio a 7.000 operai mentre loro non riescono a pagarlo a 160 dipendenti (anche di meno, secondo il consigliere d’amministrazione Pietro Greco, e nella discrepanza numerica si manifesta il groviglio di fondazioni e sottofondazioni, una più indebitata dell’altra, incomprensibile perfino a chi è preposto ad amministrarlo). Alcuni lavoratori avanzano 4 mensilità, altri ne avanzano 16: anche lo stipendio è immateriale, anche lo stato che ha tradito l’impegno minoritario del 30 per cento e deve al centro 7-8 milioni. E pure la regione Campania che doveva 2 milioni, ha chiesto di accordarsi per 800.000 e non ha mai versato nemmeno quelli.

Più che la Città della Scienza sembra la Fiera della Pera Cotta.Adesso il presidente Caldoro esclama: “Bisogna reagire in modo concreto”. Forse, avesse a suo tempo onorato concretamente il debito, gli scienziati immaginari di Bagnoli avrebbero scoperto l’esistenza dei materiali ignifughi: 12 mila metri quadrati sono bruciati in meno di mezz’ora, complimenti. Forse si sarebbero dotati di un impianto antincendio meno comico: era tarato per scattare al primo accenno di fumo ma le fiamme sono divampate senza fumo, accidenti. Fra tante lacrime retoriche mi è sembrato sincero il dolore di Edoardo Bennato, nato proprio a Bagnoli: “Ho una figlia di 7 anni e da quando era piccolissima l’ho portata alla Città del la Scienza, che era una perla, un centro di cultura strutturato benissimo”. Quindi ho cercato di capire meglio quali fossero queste benedette attività culturali, non potevo credere che Bennato si riferisse solo ai telescopi e ai caleidoscopi. Ho scoperto che nei capannoni dell’ex Italsider si propagandava l’evoluzionismo, una superstizione ottocentesca ancora presente negli ambienti parascientifici (evidentemente anche nei residui ambienti cantautorali). Il darwinismo è una forma di nichilismo e secondo il filosofo Fabrice Hadjadj dire a un ragazzo che discende dai primati significa approfittare della sua natura fiduciosa per gettarlo nella disperazione e indurlo a comportarsi da scimmia. Dovevano bruciarla prima, la Città della Scienza.

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Evo Morales: Sono sicuro che l’impero avvelenò Chávez

Di ritorno da Caracas dove il presidente boliviano Evo Morales  partecipò alle esequie di Chávez, percorrendo a lato delle autorità bolivariane gli otto chilometri che separavano l’ospedale dall’Accademia militare, in cui stanno tuttora onorando l’estinto presidente del Venezuela. Sotto il sole inclemente, Evo Morales è stato l’unico dignitario straniero che durante 7 ore rimase a contatto con l’impressionante muraglia umana 

riversatasi nelle strade. Evo ha ricordato gli slogan che venivano gridati (Con Chávez e Maduro el pueblo está seguro) e le raccomandazioni della gente (“Attenti, nei veritici internazionali portatevi acqua e cibo“).

Appena tornato a La Paz, durante una cerimonia pubblica, Evo ha detto “Sono quasi sicuro che si tratta di un avvelenamento del compagno Chávez, per metter fine alla sua vita. Le autorità del Venezuela hanno aperto un’indagine approfondita sulle cause del decesso”. Il capo di Stato boliviano ha poi ricordato alcuni aneddoti, facenti allusione alle forti misure di sicurezza che circondavano il suo amico Hugo. “Una volta gli offrii una tazza di caffè però gli agenti di sicurezza lo impedirono. Chávez intervenne e disse ‘no, come potete pensare che Evo voglia avvelenarmi’, e si servì il caffè”.

Evo Morales ha poi concluso: “sicome l’impero non può sconfiggere i suoi avversari, ricorre all’eliminazione, com’è successo con il leader palestinese Yaser Arafat, morto nel 2004, che si sospetta sia stato vittima del polonio, una sostanza radioattiva”.

Dilma Rousseff, Lula da Silva, Fernando Lugo, sono stati vittime del cancro e tutti sono presidenti o ex presidenti sudamericani, alla testa di governi sgraditi all’occidente ed Israele.

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