Laura Boldrini, lingua biforcuta e volto ‘umano’ della NATO

Non per fare i bastian contrari, ma per dare sempre voce anche all’altra campana…e anche perché personalmente le icone ambulanti mi lasciano sempre poco convinta… (Giuliana di FabioNews)

– Alessandro Lattanzio –

A tutte quelle donne che, pur nascondendo i loro volti con una sciarpa perché temono ritorsioni, non rinunciano a denunciare gli abusi subiti e che con coraggio e determinazione testimoniano la tragedia di un popolo. A loro, la prova vivente delle atrocità commesse dal regime che si accanisce contro i suoi cittadini, va tutta la mia solidarietà, in una giornata che ricorda al mondo quanto essere donna significhi ancora, a ogni latitudine, essere discriminata, usata, violata. In Siria è in corso un disastro umanitario con milioni di persone in fuga ma il mondo sembra voltarsi da un’altra parte, sordo alla richiesta di porre fine a tanto spargimento di sangue. Per quanto ancora le voci di queste donne verranno ignorate?”
Le ‘atrocità commesse dal regime siriano’, ovviamente, questa è la posizione, espressa l’8 marzo 2013, quindi quest’anno, da Laura Boldrini, oggi eletta presidente della Camera dei deputati. Laura Boldrini è una giornalista che ha lavorato per la RAI, e dal 1989 per l’ONU. È stata portavoce dell’UNCHR, l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU, per il quale ha coordinato anche le attività di informazione per l’Europa meridionale. Ritornando alla posizione assunta dalla portavoce ONUsiana sulla situazione in Siria, chiaramente si schiera con l’asse dell’aggressione anti-siriana, non solo elogiando l’operato della Turchia, che avrebbe allestito dei campi che ospiterebbero 65.000 profughi siriani; sebbene siano decine le testimonianze che indicano in questi campi basi null’altro che delle facciate per camuffare le basi operative della NATO, utilizzate per addestrare ’65000′ terroristi e mercenari integralisti islamisti, arruolati e infiltrati in territorio siriano per destabilizzare il governo socialista e patriottico di Damasco, allo scopo di disintegrare la Siria in tanti staterelli etnici governati da banditi salafiti proni agli interessi della NATO e delle petro-monarchie arabe.
Laura Boldrini sa benissimo quel che accade realmente in Siria, ma se ne guarda bene dall’indicarlo, poiché all’assalto concentrico alla Siria e alla Libia, hanno fornito un sostegno mediatico decisivo anche gli organismi ONUsiani proprio come accaduto in Libia, nel 2011. Non si trascuri questo passaggio: “...il mondo sembra voltarsi da un’altra parte, sordo alla richiesta di porre fine a tanto spargimento di sangue…”, ebbene, proprio come nel caso della Jamahiriya Libica, la richiesta di porre fine allo spargimento di sangue viene avanzata dagli esponenti del terrorismo integralista attivo in Siria, che chiedono che la ‘comunità internazionale’, ovvero la NATO e gli USA, inviino armi ai cosiddetti ‘ribelli’, bombardino la Siria, e impongano aree protette e ‘corridoi umanitari’ con cui rifornire di armi la legione islamista-atlantista e avere a disposizione una porzione del territorio siriano per poter proclamare un governo provvisorio, a cui poter assegnare la qualifica di governo legittimo della Siria, e avviare l”intervento umanitario’ della NATO, come invocato da Boldrini, e come visto in modo lampante e netto in Libia.
A proposito della Libia, Laura Boldrini aveva già, nel 2010, aggredito, grazie alla copertura di esponente dell’UNCHR, l’accordo tra Libia e l’Italia riguardo la gestione del flusso di migranti dall’Africa all’Italia. Era chiaramente un’operazione mediatica di preparazione all’aggressione e invasione della Libia socialista. Un puro pretesto, poiché la stessa Libia jamahiriyana ospitava ben 2,5 milioni di lavoratori immigrati africani e nordafricani, su circa 6 milioni di abitanti. La strumentalità delle posizioni di Laura Boldrini sono evidenziate dal suo assordante silenzio verso le attuali persecuzioni continue contro gli immigrati e la minoranza libica africana, attuate dagli integralisti-atlantisti finanziati dal Qatar, e armati dalla Turchia, che oggi saccheggiano e devastano ciò che resta della Libia.
Quando si bolla un migrante come clandestino non è un problema di semantica ma si compie una scelta politica … è ovvio che chi fugge da una guerra o una persecuzione non abbia il tempo di portare con sé un documento”. Laura Boldrini afferma così di preoccuparsi della sorte dei migranti che fuggono dalle guerre. Dovrebbe chiarire se fa rientrare in queste guerre anche la categoria degli ‘interventi umanitari’ dell’occidente in Costa d’Avorio, Libia, Mali, Afghanistan, ecc., e quindi se siano colpevoli del disastro umanitario quelle potenze che fomentano rivolte, sovversioni, guerre civili e cambiamenti di regime, tutti causanti una notevole quota di queste migrazioni forzate a mano armata. Ma finora, Laura Boldrini si è limitata ad accusare e a denigrare i governi di Libia e Siria, vittime, e non responsabili, delle guerre e dei conflitti che sfociano in massicci flussi di profughi. Qui, Boldrini può fare la voce grossa sul rispetto dei diritti umani, ma nel suo ruolo di ufficiale dell’ONU, appare chiaramente complice e collusa con le cause e i fautori proprio di quelle tragedie che formalmente denuncia.
Non paga del suo interventismo nel Grande Medio Oriente, svolgendo propaganda attiva a favore delle operazioni di Turchia, Giordania e Qatar in Siria e Libia, Laura Boldrini ha puntato la sua artiglieria ‘umanitaria’ anche contro il popolo greco, accusandolo di razzismo e persecuzione degli immigrati. Il totale disprezzo verso la sorte dei greci, è ben evidenziato da questo passaggio: “caso della Grecia è forse il più eloquente. Nel clima di esasperazione che da due anni vive una parte della società greca si sono insinuati gruppi di ispirazione neonazista che hanno tra gli obiettivi quello di tutelare i valori greci e “ripulire” il paese dagli immigrati considerati la causa dei problemi odierni. … Il partito Alba Dorata che siede nel Parlamento greco non fa mistero delle proprie idee ultra nazionaliste e della sua matrice d’ispirazione politica, così come ha fatto delle drastiche misure anti-immigrazione un suo cavallo di battaglia. … Sulla scorta dell’esperienza greca, a pochi mesi dalle elezioni e nel clima generale di smarrimento, l’avanzare di queste componenti politiche non dovrebbe forse destare preoccupazione e suscitare un serio dibattito?” E altrove ribadisce: “Con una telefonata mentre ero in Grecia: un paese in cui la crisi sociale sta mettendo a rischio in modo impressionante la sicurezza fisica stessa dei migranti di colore, che ormai vengono aggrediti e picchiati in strada senza che nessuno intervenga” Anche in questo caso, la popolazione greca viene colpevolizzata, la tragica situazione socio-economica totalmente ignorata, quando non strumentalizzata, e per l’ennesima volta s’invoca l’intervento armato (l’Eurogendfor? la Blackwater?) contro la Grecia. Un’ottima scusa, il razzismo, per avviare la repressione di un popolo giunto al limite della sopportazione a cause delle politiche economicide e sociocide della burocrazia dell’Unione europea. Burocrazia sovranazionale di cui fa parte la stessa Laura Boldrini.
La putrefazione ideologico-culturale cui è giunta la sinistra, viene per l’ennesima volta espressa da questa signora: sostegno all’intervento armato della NATO nel mondo extra-occidentale, supporto alla repressione armata della maggioranza della popolazione in Europa, utilizzando, in ognuna di tali occasioni, la copertura ideologica della difesa dei ‘più deboli’, ovviamente quelli ritenuti tali nel quadro di una visione liberal-liberista della società, quindi i più deboli sono le donne, ‘tutte le donne’ indistintamente intese; le minoranze sessuali, anche quando si tratta delle potenti lobby gay degli USA; una massa indistinta di ‘immigrati’ cui si vuole attribuire ‘carta bianca’. Lavoratori, operai, studenti, disoccupati, casalinghe, soprattutto se italiani, scompaiono totalmente dal quadro generale della situazione. Non hanno più diritto di cittadinanza, in quanto bianchi e italiani?
Si leggano la promesse elettorali della stessa Boldrini: “Si parta con la riforma della legge sulla cittadinanza, in modo da consentire l’inclusione di chi nasce, vive, studia e lavora in Italia … Bisogna superare la ‘Bossi-Fini’, così come il pacchetto sicurezza. L’attuale legislazione non ha in alcun modo facilitato il processo di integrazione e oggi assistiamo al dilagare dello sfruttamento e degli abusi su migranti e rifugiati, oltre ad un aumento esponenziale dei casi di razzismo e xenofobia”. “Valorizzare la figura del migrante vuol dire comprendere la mobilità contemporanea e gestire con realismo e serenità un fenomeno naturale del processo di globalizzazione.”
Valorizzare la globalizzazione, ovvero, niente tutele e garanzie per i cittadini normali, tutela e garanzie indiscriminate ai migranti. Ma perché al compimento del 18.mo anno di età di un immigrato di seconda generazione, non deve essere consentito di scegliere, come giustamente propone il M5S? Imporre una cittadinanza a priori, che senso ha? Nessuno governo espelle i figli minorenni di immigrati che vivono e lavorano regolarmente in Italia, o in Europa. Quindi qual’è il problema? Perché poi dev’essere una priorità modificare una delle poche leggi civili, quella sulla cittadinanza, varate in Italia? E questa storia della sicurezza? A che pro? Serve forse a fare entrare in Italia le oramai migliaia di terroristi-mercenari salafiti che hanno compiuto atti di sangue nel Medio oriente? Magari per costituire e fare agire liberamente e impunemente organizzazioni armate islamiste, e magari intruppate da galeotti e finanziate dai petrodollari provenienti dal Qatar, dall’Arabia Saudita e dagli altri regni petroliferi del Golfo Persico, verso cui Laura Boldrini ha mostrato, riguardo la loro politica regionale, più che comprensione, complicità?
Attenzione: sul suo account Twitter, al momento dell’elezione a presidente della Camera, ha scritto: “il mio pensiero a Jamila, Nur, Iman, Fadila e a tutte le donne siriane.” Prepariamo i già magri portafogli per finanziare la guerra ‘umanitaria’ contro la Siria di questi dirittumanitaristi al servizio del Pentagono.

Appendice – Orgogliose di aver bombardato la Libia:
Di seguito, un’intervista a Laura Boldrini, che ne traccia, elogiativamente, il ruolo di supporter dell’aggressione alla Jamahiiriya Libica, contro cui ha condotto una campagna denigratoria allo scopo di preparare il terreno sia per la successiva distruzione della repubblica araba socialista nordafricana, sia per scardinare gli ultimi residui del sovranismo italiano.
Indicata come “Italiana dell’anno 2009” dal settimanale Famiglia Cristiana, in ragione del “costante impegno a favore di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, oltre che della dignità e della fermezza mostrate nel condannare i respingimenti degli immigrati nel Mediterraneo..”, Laura Boldrini, aveva da poco pubblicato nell’aprile del 2010 per Rizzoli “Tutti Indietro”, un libro che ha squarciato il silenzio sulla realtà dei respingimenti in Libia, affidati dal governo italiano al braccio armato di Muhamar Gheddafi, in cambio di sostanziosi aiuti economici e in palese violazione di diritti riconosciuti dalla Costituzione della Repubblica italiana e dalla Convenzione ONU di Ginevra. Con Lei ho cercato di riflettere sugli atteggiamenti di paura e di difesa che la gran parte dei nostri concittadini ha assunto in questi ultimi 15 anni nei confronti del fenomeno dei migranti e, più in generale, sulla necessità culturale e politica di restare ben ancorati al rispetto di diritti umani uguali per tutti, nonostante la deriva prodotta in Italia dall’introduzione del reato di clandestinità e dalle politiche dei respingimenti. L’intervista, di cui sono particolarmente orgogliosa, è stata registrata tre giorni prima che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite autorizzasse – con la risoluzione 1973 – l’imposizione di una “no fly zone” sulla Libia e il successivo intervento militare delle forze internazionali a protezione dei civili libici.
Fonte: Telestense
Infine, Boldrini è presumibilmente, (non avendo trovato elementi determinati al riguardo) una discendente di Marcello Boldrini, stimato docente universitario amico di Dossetti, Lapira e di Enrico Mattei,  alla cui morte, occorsa nell’attentato aereo del 1962, divenne presidente dell’ENI. Nel 1919, Marcello Boldrini, casualmente, lavorò a Ginevra per la Società delle Nazioni, l’antenata dell’ONU. Una parentela probabile, suffragabile dall’idolatria cui è oggetto da parte del settimanale Famiglia Cristiana, che le ha assegnato il suddetto premio ‘Italiana del 2009′, e dal fatto di essere entrata in RAI a soli 24 anni, e già con la qualifica di giornalista… Siamo sempre in Italia, no?

Tratto da: Laura Boldrini, lingua biforcuta e volto ‘umano’ della NATO | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/03/17/laura-boldrini-lingua-biforcuta-e-volto-umano-della-nato/#ixzz2NpuYhTEj 
– Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario! 

I vigili del fuoco alla manifestazione notav del 23 marzo!

da: NOTAV.INFO  – 17-MAR-2013

L’UNIONE SINDACALE DI BASE DEI VIGILI DEL FUOCO SOSTIENE E PARTECIPA ALLA MANIFESTAZIONE INDETTA DAL MOVIMENTO NO TAV IL 23 MARZO PROSSIMO IN VAL DI SUSA

vigile del fuocoIl Coordinamento Nazionale della USB Vigili del Fuoco ritiene necessario sostenere le ragioni della mobilitazione diretta della popolazione, dei lavoratori e delle lavoratrici della Val di Susa:

– contro la militarizzazione dei territori e del Corpo Nazionale;

– contro le grandi opere faraoniche e nocive che sottraggono risorse ai servizi sociali, ai contratti di lavoro, alle assunzioni dei precari, alle progressioni di carriera, alle pensioni e liquidazioni (scippo tfr/s) ;

– contro la devastazione dell’ambiente e per un modello di sviluppo rispettoso della volontà della popolazione; Invitiamo tutti i lavoratori – operativi, amministrativi, discontinui, e tutti quelli che stanno pagando sulla propria pelle lo scontro tra capitale e lavoro, grazie alla complicità dei “sindacati di stato e gialli” , ad essere presenti al fianco dei manifestanti a sostegno delle ragioni della popolazione e soprattutto contro la militarizzazione dei Vigili del Fuoco ribadendo un secco NO alla legge 252�4 e alla 217�5 che toglie diritti dei lavoratori – a sostegno di un Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco struttura portante di un sistema unico di Protezione Civile per riappropriarsi della nostra vera identità.

AL SERVIZIO DI TUTTI…SERVI DI NESSUNO

MOBILITAZIONE .. . SENZA FINE

Si stanno allestendo pullman da tutta Italia, per poter partecipare rivolgersi al più presto alle federazioni o ai rappresentanti territoriali della USB.

INTERVENITE NUMEROSI

23 Marzo 2013 Manifestazione da Susa a Bussoleno h. 14 Piazza d’Armi

USB Vigili del Fuoco Nazionale

ndr: qui un pò di trascorso positivo con i vigili del fuoco e il movimento notav

Fiscal Compact, Guarino: il pareggio di bilancio è illegale

Scritto il 11/3/13 

Il pareggio di bilancio previsto dal Fiscal Compact? Da gettare nella spazzatura della storia. Azzerare il debito pubblico non è solo insostenibile, è anche illegale: perché viola il Trattato di Lisbona, che il debito pubblico lo ammette eccome, anche se limitato al 3% del Pil secondo una teoria “cabalistica” che si vuole risalente a una semplice boutade dell’allora presidente francese Mitterrand: «Il numero 3 suonava bene, ed era perfetto per togliermi di torno i ministri che mi assediavano con le loro continue richieste di soldi». Fondato sul contenimento ossessivo della spesa pubblica, il regime finanziario europeo non deriva da alcuna scienza economica, ma solo dall’ideologia dominante che prescrive di colpire lo Sta to per favorire i grandi monopoli economici privati. E persino nella sua applicazione formale le autorità europee stanno violando la legge. Lo sostiene un giurista di peso internazionale come il professor Giuseppe Guarino, già docente di Cossiga ed esaminatore di Napolitano e Draghi, nonché ministro democristiano (finanze e industria) dall’87 al ’93. “Il teorico dell’euro-caos”, lo ribattezza la versione tedesca del “Financial Times”.

Il guaio, dice Guarino a Marco Valerio Lo Prete, che l’ha intervistato per il “Foglio”, è che nessuno, in Italia, osa neppure contraddirlo: semplicemente, i “malati” fingono di ignorare la diagnosi del “medico”. Il professor Guarino esibisce cifre imbarazzanti: l’Europa dell’Eurozona sta continuando a franare, fino a crollare. Un destino segna to in partenza: «Nel quarantennio che va dal 1950 al 1991, la media del tasso di crescita del Pil era stata del 3,86% in Francia, del 4,05 in Germania, del 4,36 in Italia». Le percentuali, dopo i primi sei anni del trattato dell’Unione Europea, sono invece impietose: «La Francia scese all’1,7%, la Germania all’1,4 e l’Italia passò all’ultimo posto». E i dati che vanno dal 1999 al 2011, aggiunge Guarino, sono addirittura drammatici: «La media per i tredici anni dell’euro è diminuita per la Francia all’1,61%, per la Germania all’1,32, per l’Italia allo 0,68. Un crollo verticale».

La causa? Va ricercata nella disciplina giuridica dell’Eurozona e dell’Unione Europea in generale: «Non esiste precedente storico di Stati che, per perseguire obiettivi di crescita, si siano rigidamente vincolati al rispetto della parità di bilancio». Vincoli – insiste Guarino – imposti illegalmente. Fino all’incredibile Fiscal Compact, firmato nel marzo 2012 dopo esser stato negoziato nel dicembre 2011, cioè nel momento di massima tensione sui mercati per le sorti dell’Europa. Fiscal Compact che, all’articolo 3, introduce l’obbligo, per gli Stati, di mantenere «in pareggio o in avanzo» la posizione di bilancio della pubblica amministrazione. Norma suicida, avvertono gli economisti neo-keynesiani come Krugman e Stiglitz: tagliando la spesa pubblica, va a rotoli l’intero sistema economico, incluso il settore privato, come la realtà quotidiana si sta incaricando di dimostrare. In più, aggiunge Guarino, il Fiscal Compact è addirittura «inapplicabile», alla lettera, perché è scritto che può essere davvero applicato «soltanto finché compatibile “con i trattati su cui si fonda l’Unione Europea e con il diritto dell’Unione Europea”». Problema: pur molto restrittivi, i trattati costitutivi dell’Ue non arrivano a vietare la possibilità di indebitarsi.

Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009 “fondendo” il trattato sull’Unione Europea e il trattato che istituisce la Comunità Europea, «fissa al 3% il limite che l’indebitamento non può superare», ricorda Guarino. «Il Fiscal Compact, invece, riduce il limite a zero punti». In altre parole, il Fiscal Compact «sopprime la sovranità fiscale degli Stati firmatari, in violazione del Trattato di Lisbona al quale pure si richiama». Forse, osserva Guarino, il Fiscal Compact è stato una “scorciatoia”, visto che l’unanimità tra i 27 paesi membri necessaria a modificare il Trattato di Lisbona non sarebbe mai stata raggiunta. «Fatto sta che questo trattato rimane illegale: non ha la forza costituzionale per modificare il Trattato di Lisbona». Quell’obbrobrio giuridico, primo responsabile delle spietate politiche di rigore che stanno letteralmente piegando le economie del Sud Europa, è estraneo persino al diritto fondamentale europeo, perché «l’azzeramento del deficit non è previsto dal regolamento 1175 del 2011, vigente tuttora in materia di politica di bilancio».

Per Guarino, l’aggiramento delle leggi grazie a normative varate sottobanco è un po’ il “vizietto” delle autorità europee: fino al 6 dicembre 2011, giorno d’entrata in vigore dell’attuale Regolamento numero 1175, era già stato applicato un altro regolamento «viziato da incompetenza assoluta», il numero 1466 del 1997. Quell’anno, proprio mentre si concludeva la fase transitoria che avrebbe dovuto rendere più omogenee tra loro le economie dell’Eurozona in vista dell’introduzione della moneta unica, «la Commissione si arbitrò di sostituire l’articolo 104 C del trattato dell’Unione Europea con due regolamenti, uno dei quali è appunto il 1466 del ‘97». In sintesi: il parametro dell’indebitamento al 3% – uno dei famosi “parametri di Maastricht” – veniva sostituito «con il parametro dello zero per cento, cioè il pareggio di bilancio», archiviando Maastricht e il parametro precedente, cioè un “sano” debito pubblico fino al 60% del Pil, su cui si fondò la crescita del benessere reale in tutta Europa, per decenni.

«I ministri della Repubblica italiana continuavano a parlare di “parametri di Maastricht”», protesta Guarino, ma «in realtà operavano ottemperando a vincoli ancora più stringenti». Il pareggio di bilancio anticipato in modo semi-clandestino dal regolamento del ’97?  Fu «un attentato alla Costituzione europea», ad opera di membri della stessa Commissione, tra i quali oltretutto figuravano Mario Monti, “ministro” europeo per le regole sulla concorrenza, e la stessa Emma Bonino: incaricata di occuparsi di politica dei consumatori, pesca e addirittura aiuti umanitari, proprio mentre Bruxelles varava misure che avrebbero provocato la catastrofe umanitaria della Grecia e il tracollo socio-economico degli altri Piigs, causando l’incredibile retrocessione di una potenza industriale come l’Italia. La motivazione di quella mossa? Forse doveva servire d a “pungolo” per condizionare gli Stati meno rigorosi, in vista della convergenza verso l’adozione dell’euro: «Si trattò di consensi formalmente volontari ma sostanzialmente coatti», cioè estorti, e senza mai la necessaria trasparenza, né una vera validazione democratica, tantomeno referendaria.

E’ lo stesso schema che oggi si ripete per il giro di vite finale, quello più drammatico, imposto da Fiscal Compact che condanna l’Italia a tagliare di tutto, dalle pensioni alla scuola, dagli enti locali alla sanità, precipitando il paese nell’abisso della povertà e dell’insicurezza sociale. Nel 1997, ribadisce Guarino, fu un semplice regolamento burocratico ad avere la pretesa di correggere le norme di un trattato che pure era legalmente sovraordinato, con la Commissione Europea che si arrogò il diritto di inserire l’obiettivo del bilancio in pareggio o addirittura in attivo. Nel 2012, firmato il Fiscal Compact sul rigore assoluto di bilancio, grazie alle fortissime pressioni della Germania guidata da Angela Merkel, Bruxelles «ha tradito le norme vigenti del Trattato di Lisbona e quelle appena stabilite nel Regolamento 1175 del 2011». Ma attenzione, lo strapotere tedesco è miope: «Negli anni 90, nel momento in cui tutto il mondo accelerava per avvantagg iarsi della rivoluzione informatica, la Germania ha scelto di autovincolarsi, di immobilizzarsi per fare da modello a tutti gli altri, ed ecco i risultati. Così sta forse acquistando la preminenza in Europa perdendo quella nel mondo, un errore in cui è già incappata altre volte nella storia. Il punto è che oggi è tutta l’Europa a rischiare l’irrilevanza».

Secondo Guarino, si impone una svolta: per salvare l’economia, ma anche “in nome della legge”. Ovvero: «Il Fiscal Compact non si applica, se vogliamo rispettare i trattati europei. Né va portata avanti la sua trasposizione nella Costituzione italiana, con la riforma dell’articolo 81 sul pareggio di bilancio». Quanto alla possibile reazione dei “mercati”, cioè il potere di ricatto dello spread, Guarino parla di «grande imbroglio» e rivela che il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi si può far salire e scendere semplicemente «muovendo una decina di miliardi di euro». Speculazione pura, manipolazione politica persino a buon mercato. Così, Guarino suggerisce la prima mossa da compiere, per un esecutivo davvero responsabile: «Esigere l’applicazione dei trattati vigenti, cioè del Trattato di Lisbona firmato nel 2007 e in vigore dal 2009. Quel trattato garantisce la possibilità di un indebitamento annuo pari al 3% del Pil». Questo, in base alle attuali norme – che il Fiscal Compact calpesta. Senza contare che i rivolgimenti politici in corso, a partire dall’Italia, potrebbero costringere la Germania e tutta l’Unione Europea ad archiviare per sempre l’ideologia suicida del taglio della spesa pubblica, se si vuole davvero una “ripresa” dell’economia e dell’occupazione che scongiuri, per l’Europa, il ripetersi di scenari come quelli che portarono alla Seconda Guerra Mondiale.

http://www.libreidee.org/2013/03/fiscal-compact-guarino-il-pareggio-di-bilancio-e-illegale/

 

Sangue italiano: per l’euro, ci hanno rubato 600 miliardi

In media, fin dal lontano 1992, spariscono dalla circolazione circa 30 miliardi di euro all’anno, necessari a sostenere gli impegni di Maastricht. Sono andati alle banche, straniere e italiane. Una voragine: negli ultimi vent’anni, gli italiani hanno versato 620 miliardi di tasse superiori all’ammontare della spesa dello Stato. Ovvero: 620 miliardi di “avanzo primario”, il saldo attivo benedetto da tutti gli economisti mainstream e dai loro politici di riferimento, i gestori della crisi e i becchini della catastrofe nazionale che si va spalancando giorno per giorno, davanti ai nostri occhi: paura, disoccupazione, precarietà, aziende che chiudono, licenziame nti, servizi vitali tagliati. L’obiettivo di tanto sadismo? Entrare nei parametri di Maastricht e stare dentro l’Eurozona. Ma, nonostante l’immane sforzo, il debito pubblico non ha fatto che crescere, passando da 958 milioni a 2 miliardi di euro.

La realtà, scrive Pier Paolo Flammini su “Riviera Oggi”, è che tutto questo serve perché «lo scopo del debito pubblico non è di garantire la spesa pubblica, ma di fornire investimenti sicuri». Lo scrive chiaramente, sul “Financial Times”, la Bank of International Settlements, cioè la super-banca delle banche centrali. Ormai l’obiettivo dello Stato non è più il benessere della comunità nazionale, ma l’impegno a fornire titoli sicuri ai grandi investitori. Nell’Eurozona, aggiunge Flammini, l’Italia è stato il paese più penalizzato dai vincoli di bilancio. Fino al 2007, prima della “grande recessione”, erano stati destinati alla riduzione del debito pubblico 270 miliardi di euro, per portare la percentuale debito-Pil dal 121,8% del 1994 al 103,6% del 2007. In pratica, 20 miliardi di euro all’anno sottratti alla circolazione privata per 13 anni. «Ora, il problema è che la contrazione del debito pubblico in rapporto al Pil, con una mon eta straniera quale l’euro, deve essere pagata dai cittadini con tasse e tagli alla spesa».

Oltre ai 270 miliardi della prima, storica emorragia, altri 350 miliardi sono semplicemente stati bruciati per il pagamento degli interessi sul debito. E quando poi le cose sono cambiate a causa del crac finanziario, il castello è saltato. Mario Monti, Olli Rehn e Angela Merkel, continua Flammini, hanno esibito la stessa identica ricetta per vincere la sfida col debito pubblico: e cioè meno spesa, tasse invariate o aumentate, riduzione di salari e stipendi, esportazioni privilegiate e riduzione dei consumi interni. E’ «la via del Bangladesh», osserva Flammini: «L’evidenza li ha sconfitti, ma non molleranno». Anche perché – permanendo l’euro e i suoi drammatici vincoli – non esiste alternativa. «E non ci sarà neppure per il prossimo governo che li accetterà: il debito pubblico, da saldo contabile, è diventato lo strumento attraverso il quale sottrarre potere a masse di popolazione sottoposte a shock informativi ed economici. Punto».

Nel 1980, nonostante l’inflazione indotta dal prezzo del petrolio (quadruplicato), l’italiano medio risparmiava il 25% del proprio reddito, e così fino al 1991. Gli operai compravano case anche per i figli, le famiglie facevano vacanze di un mese. Oggi, osserva Flammini, con le regole dell’austerità, abbiamo un’inflazione del 3% ma gli stipendi salgono solo dell’1,5%, il mercato immobiliare è fermo, il risparmio è crollato al 6% e le famiglie, in appena dieci anni, hanno aumentato i loro debiti del 140%. «Quasi tutti ormai intaccano i risparmi di una vita, o sono sul punto di giocarsi i 9.000 miliardi di euro di risparmio privato nazionale, la ricchezza sulla quale sono puntate le fauci delle corporation internazionali che tengono in pugno i finti leader politici italiani», mentre sui media ha tenuto banco anche la retorica sull’Imu, che in fondo pesa appen a 4 miliardi di euro.

Nel 1978, aggiunge Flammini, sarebbe stata la Banca Centrale, esclusiva monopolista della moneta, a fissare il tasso di interesse e bloccare l’espansione del deficit negativo, quello per gli interessi. «Ed è quello che dobbiamo chiedere a gran voce, subito: inutile chiederlo alla Bce. Vogliamo tornare al denaro sudato con il lavoro e garantito dall’ingegno, e non dalla pura speculazione», sapendo che «il tasso naturale di interesse è zero». Chi ci ha guadagnato, dalla inaudita tosatura degli italiani? Quei 620 miliardi “rubati” ai contribuenti sono andati per il 43% all’estero, 250 miliardi finiti in banche straniere. Solo il 3,7% è andato a Bankitalia, mentre il 26,8% ad istituzioni finanziarie italiane, banche e assicurazioni, e infine il 13%, circa 80 miliardi, sono tornati direttamente nella disponibilità di privati cittadini italiani, ovviamente per lo più delle classi medio-alte.

«Siamo abituati ad ascoltare parole come “la corruzione ci costa 60 miliardi”, “l’evasione fiscale ci costa 120 miliardi”. In realtà – protesta Flammini – per quanto disdicevoli e da perseguire legalmente, queste voci (i cui importi sono poi da verificare) rappresentano una partita di giro interna con vinti e vincitori», mentre i 620 miliardi di avanzo di bilancio 1992-2012 sono frutto di una precisa scelta politica: «Sono soldi sottratti veramente ai cittadini e scomparsi dalla circolazione dell’economia vera per garantire la grande finanza». Aver trasformato il debito pubblico da puro dato contabile a cappio reale attorno al collo della società italiana, aggiunge Flammini, è la più grande responsabilità della classe politica dell’ultimo trentennio. «Nessuno, però, sta chiedendo scusa».

Basti leggere quel che Tommaso Padoa Schioppa scriveva sul “Corriere”: occorre «attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere». E quello sarebbe stato un ministro del centrosinistra? «Ecco perché non vincono mai». Ma il peggio deve ancora venire, grazie agli impegni micidiali sottoscritti dal governo Monti a beneficio di Draghi, «garante del pagamento degli interessi degli italiani». Col pareggio di bilancio inserito addirittura nella Costituzione, i circa 30 miliardi annui fin qui pagati dagli italiani saliranno a circa 90, per coprire del tutto la spesa per interessi. E con il Fiscal Compact, il salasso salirà ancora, dal 2015, fino a 140 miliardi – sempre per abbattere il debito. Come farcela? «Con l’Iva al 23%, l’inflazione al 2%, una trentina di miliardi di tagli e altrettanti di dismissioni del patrimonio pubblico. Se poi si è poveri, chi se ne frega».

http://www.libreidee.org/2013/03/sangue-italiano-per-leuro-ci-hanno-rubato-600-miliardi/

La coerenza è un impedimento al clientelismo

La coerenza diventa un diktat. Il mercato delle vacche, se lo fa il PD diventa senso di responsabilità.

Ecco i principi dell’Italia che cambia. I grillini siciliani mandano a monte tutto il lavoro degli altri cittadini e di Grillo.

Basta chiamarlo voto di coscienza. Encomiabile. Dalla terra del Gattopardo, dovevamo aspettarcelo. I volti dello status quo

COLOSSALE RAPINA IN BANCA A CIPRO

COLOSSALE RAPINA IN BANCA A CIPRO
Data: Domenica, 17 marzo @ 05:26:33 CDT
Argomento: Economia

DI GIOVANNI ZIBORDI
cobraf.com

Colpo di scena sabato a Cipro. Colossale rapina in banca. Il governo aveva annunciato giovedì congiuntamente alla UE e alla Troika un salvataggio delle banche da 17 miliardi, una cifra pari al PIL dell’isola (ma le passività totali delle banche  cipriote sono 8 volte tanto). Sembrava quindi un salvataggio con soldi della UE, a dispetto delle proteste in Germania contro le banche cipriote, note per il riciclaggio di denaro e i traffici degli oligarchi dell’Est Europa. 
v Ma nel frattempo la Germania aveva dato un ultimatum: o fate un prelievo forzoso dai conti correnti pesantissimo o uscite dall’Euro. Il governo di Cipro ha scelto l’eurozona e l’euro.

Oggi annuncia, a banche chiuse, che all’apertura di lunedì mattina avranno già prelevato (1) su tutti i depositi bancari detenuti in banche a Cipro : un 6.75% su quelli sotto 100mile euro (che sono assicurati per legge nella UE contro la bancarotta) e del 10% per quelli sopra 100mila euro. E fino ad allora i bancomat sono bloccati nel weekend a Cipro e agli istituti e’ stato inoltre imposto di bloccare durante questo fine settimana la possibilita’ di effettuare trasferimenti di denaro via internet. 

Dal prelievo sui depositi bancari sono attesi introiti per circa 5,8 miliardi di euro (quindi in un paese con PIL di 17 miliardi si tenevano nei conti correnti qualcosa come 60 miliardi !). Per la precisione però i depositanti vengono compensati con azioni nelle banche in cui avevano i soldi, con l’unico problema che sono banche quasi fallite le azioni in pratica non trattano quasi e il valore che il governo vi attribuisce nel calcolare quante darne in cambio del prelievo è un poco arbitrario.

Nota Bene: solamente tre giorni fa, il 14 marzo, il presidente di Cipro aveva dichiarato, sul Financial Times, che non avrebbe MAI accettato un prelievo forzo sui conti correnti ” Nicos Anastasiades, the president, says it will “never” accept a haircut of depositors…” (2) Ricordatevelo bene questo: mentono fino al giorno prima…

E’ ovvio che si è voluto colpire in questo modo russi, ukraini e altri del medio oriente che tenevano soldi in nero a Cipro, ma poi hanno colpito anche tutta la popolazione. Ci sono stime che solo i russi subiscano almeno metà di questo prelievo forzoso, ma i numeri ballano. Quello che è certo è che in nessun paese al mondo i saldi dei conti correnti sono cinque volte il PIL, in Italia ad esempio sono la metà del PIL. In Svizzera però sono tre volte il PIL. A Cipro c’era una situazione anomala, ma non hanno colpito come si fa sempre prima gli azionisti delle banche e poi gli obbligazionisti, ma solo i depositanti inclusi quelli con piccole somme.

Ovvio che qui hanno voluto fare di tutto per compiacere la Merkel che deve assolutamente vincere l’elezione di settembre: per cui da una parte non hanno voluto un default seppure di un piccolo paese come Cipro e dall’altra hanno violato ogni principio e prassi per fare sì che il salvataggio fosse però sopportato per 1/3 da altri (in maggioranza stranieri, specie russi e parte anche ciprioti). In questo modo hanno creato il panico totale del pubblico di Cipro che sta assediano le banche e violato il principio base del funzionamento delle banche, che ci metti i soldi perchè, perlomeno nel conto corrente, sono sicuri. 

Le indiscrezioni sono che la Germania però non voleva che i depositi sotto 100mila euro fossero colpiti e invece quelli sopra 100mila fossero colpiti molto di più, dell’ordine anche del 40% dei depositi (!!!), ma è stato il governo cipriota che per non scontrarsi troppo con i russi che ha insistito perchè si colpisse tutta la popolazione (3) locale! 

E’ una mossa a sorpresa, senza precedenti e che può diventare un boomerang. Dimostra che sarà molto molto difficile uscire dall’Euro…sono disposti a tutto pur di non uscire. Dimostra che la Merkel è disposta a tutto per non perdere le elezioni, anche a sconquassare i mercati (a differenza dei nostri politici che li venerano in ginocchio). 

L’unica cosa certa al momento è che è un segnale di acquisto per l’Oro (da tenere in cassetta di sicurezza) 

Giovanni Zibordi
Fonte: http://www.cobraf.com/
17.03.2017

1) http://www.tgcom24.mediaset.it/economia/articoli/1086371/per-salvare-cipro-prelievi-da-conti-correnti.shtml
2) http://www.ft.com/intl/cms/s/0/8eee4e24-8b0f-11e2-8fcf-00144feabdc0.html 
3) http://coppolacomment.blogspot.co.uk/2013/03/sowing-wind.html 


http://www.comedonchisciotte.org/site//modules.php?name=News&file=print&sid=11616

Quattro cittadini bulgari si danno fuoco per protestare contro l’austerità ed i diktat della troika

domenica 17 marzo 2013

 

I bulgari non dimenticano Jan Palach

di Andrea Perrone

Rinascita

È un sacrificio estremo quello in corso in Bulgaria da parte dei cittadini che si immolano in segno di protesta contro corruzione, crisi economica e aumento delle tariffe elettriche volute dall’ex premier Boiko Borisov e dai governi passati su ordine dei tecnocrati di Bruxelles.
Da parte sua il nuovo esecutivo tecnico guidato dal primo ministro Marin Raykov, ha dichiarato che l’attuale esecutivo ha il compito di traghettare il Paese fino alle prossime elezioni previste per il 12 maggio e per questo non assumerà decisioni politiche.

Ma torniamo ai tragici eventi di questi giorni messi in atto come segno estremo di protesta e disperazione.

Le telecamere di sicurezza hanno ripreso il momento esatto in cui un cittadino bulgaro disgustato dalla corruzione della sua città natale, situata in una piccola provincia della Bulgaria, si è cosparso con estrema calma di benzina e poi si è dato fuoco davanti alla sede del presidente bulgaro a Sofia. Questa settimana, è il quarto uomo in meno di un mese che ha effettuato la stessa azione disperata di fronte alla sede presidenziale nella capitale.

La scelta di darsi fuoco, un gesto veramente drammatico equivalente a quello di togliersi la vita, che ha già portato alla morte di tre dei quattro uomini, ha una notevole somiglianza con una serie di eventi simili avvenuti circa mezzo secolo fa in Europa centro-orientale, quando per lo più dei giovani intellettuali in segno di rivolta contro il dominio sovietico e comunista, si ribellarono dandosi fuoco e chiedendo libertà e giustizia contro il giogo militare e politico del socialismo reale. Un quarto di secolo dopo la caduta del comunismo in Bulgaria e nell’area orientale del Vecchio Continente, i sogni di prosperità e ricchezza si sono rivelati completamente vani, tanto che questo Paese è il più povero dell’Unione europea. Ancora una volta tutto è stato fatto per soddisfare l’ingordigia dell’iperliberismo dilagante e dell’usura internazionale che specula ignobilmente su tutti i popoli tranne quelli che hanno avuto il coraggio di affrancarsi come quel lo argentino e venezuelano. Ma le sorprese in negativo non finiscono qui. Un bulgaro su cinque vive infatti al di sotto della soglia di povertà, la disoccupazione è a livelli record, i redditi sono la metà della media europea e il sistema delle tangenti costituisce una realtà ineluttabile della vita quotidiana. Plamen Goranov, di 36 anni, l’uomo che si è immolato per protestare contro la corruzione nella sua città natale, Varna, è morto dopo essersi versato benzina per darsi fuoco davanti al Municipio il 20 febbraio scorso. Lo straziante gesto è stato filmato dalle telecamere di sicurezza mentre si trovava da solo pronto a compiere l’atto estremo. Goranov per questo viene definito come il “bulgaro Jan Palach”, lo studente ceco che si bruciò nel 1969 in segno di protesta contro l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia.

Nonostante gli appelli della Chiesa ortodossa bulgara contro azioni di questo tipo e così disperate, due manifestanti bulgari, uno dei quali un padre di cinque figli, ha seguito i passi di Goranovdando dandosi fuoco. Mercoledì scorso, un altro uomo, Dimitar Dimitrov, ha fatto lo stesso davanti alla sede della presidenza nella capitale, Sofia. I parenti del fabbro 51enne, che era ridotto in condizioni critiche, hanno dichiarato che il gesto era avvenuto dopo che l’artigiano era finito in povertà assoluta per aver perso il suo lavoro due anni fa. Da parte loro le guardie della sicurezza situate all’ingresso del palazzo hanno dichiarato di aver visto l’uomo seduto per qualche tempo accanto a una fontana, quando improvvisamente ha tirato fuori una bottiglia piena di benzina e si è bagnato la testa con il liquido infiammabile per poi darsi fuoco con un fiammifero. Nonostante si siano precipitati per salvarlo e spegnere le fiamme che lo avvolgevano completamente, po co è stato possibile fare visto che ha subito ustioni sul 25 per cento del corpo e problemi respiratori per l’inalazione di gas velenosi. “Quando si è in grado di controllare le cose più semplici nella vostra vita, come l’acquisto di cibo per la famiglia o per il pagamento di utenze, mentre i monopoli chiedono sempre di più, è solo normale sentirsi tradito, lasciato impotente”, ha scritto la giornalista Mila Avramova sul quotidiano Trud. “Poi si pensa al fuoco come l’unico mezzo per essere ascoltati”, ha proseguito il reporter.

La pratica di darsi fuoco è stata praticata per secoli e per vari motivi, in particolare nel Sud-est asiatico, come protesta politica, ma persino per devozione o rinuncia. Non bisogna dimenticare inoltre che storicamente il sacrificio con il fuoco rappresenta una potente forma di protesta, tra cui è utile ricordare quella recente dell’ambulante tunisino Mohammed Bouazizi che nel 2010 ha scatenato la Primavera araba.

L’attuale ondata di proteste a livello nazionale che ha colpito la Bulgaria è stata provocata dagli aumenti delle bollette dell’energia elettrica causate dalla svendita delle compagnie statali agli stranieri (cechi in testa), ma a poco a poco si è trasformata anche in una vera e propria indignazione pubblica contro la corruzione del governo e l’influenza della criminalità organizzata a tutti i livelli della società. Le proteste hanno già provocato la caduta del governo di centrodestra, in segno per la sua incapacità di combattere la povertà e l’ingiustizia. Ma le proteste anche dopo la fine dell’esecutivo Borisov non si sono fermate in tutte le piazze fino al sacrificio estremo dei quattro bulgari. Non bisogna dimenticare comunque che le scelte estreme dei cittadini di Sofia assomigliano molto ad uno dei più forti esempi di ribellione contro una dittatura: il sacrificio di Palach, lo studente ceco che si diede fuoco nel 1969 in piazza San Venceslao nel centro di Praga per protestare contro l’invasione sovietica che schiacciò le riforme della Primavera di Praga – un atto che all’epoca risuonò come un monito in tutto il mondo comunista.

Il gesto di Palach, ispirò anche altri tre cechi che seguirono da lì a poco il suo esempio, così come altri oppositori degli invasori russi in Polonia e Ungheria.

Palach “è morto perché voleva gridare ancora più forte”, ha dichiarato in un documento firmato poco prima della fine del mandato da presidente della Repubblica ceca, Vaclav Havel.

Durante il comunismo, la Bulgaria ha rappresentato uno dei più fedeli alleati dell’Unione Sovietica. Tutti i tentativi di dissenso sono stati immediatamente repressi nel sangue. La vicenda di Palach è rimasta invece nascosta alla maggior parte dei cittadini bulgari, fino al collasso del regime avvenuto nel 1989. E’ per questo che la protesta dei cittadini di Sofia ha preso la stessa forma di quella compiuta dal giovane ceco alla fine degli anni Sessanta. Ma le critiche stavolta non sono rivolte ai regimi del socialismo reale, piuttosto rifiutano le regole imposte dall’usura internazionale In un mondo in cui a dominare sono i Signori del danaro piuttosto che la politica, a dettar legge non possono che essere i tecnocrati senza scrupoli di Bruxelles, Francoforte e Washington, desiderosi soltanto di sfruttare ignobilmente i popoli di tutto il mondo, in nome della democrazia turboliberista.

Fonte: Rinascita

 



http://www.nocensura.com/2013/03/quattro-cittadini-bulgari-si-danno.html

 

La bufala degli insulti di Papa Francesco alle donne

15/03/2013 – Le dichiarazioni circolate ieri arrivano da lontano, ma non sono di Bergoglio

di Mazzetta

Date per buone da numerosi fonti d’informazione che hanno citato l’agenzia argentina Telam, venivano invece da altrove.

CHI HA TROVATO IL BANDOLO – A tracciare l’origine delle frasi attribuite a Bergoglio è stata Infocatolica.com, che ha ricostruito come il testo provenisse da una delle Yahoo Answers, dove una delle domande poste sei anni fa chiedeva al lettore che ne pensasse delle dichiarazioni di Bergoglio, accludendo un testo d’agenzia che però sarebbe falso.

SUBITO VIRALE – Falso perché in Argentina non ne hanno memoria e anche i motori di ricerca non vanno più indietro dell’elezione papale ed è da escludere che si tratti di rivelazioni recenti perché negli ultimi due giorni i cronisti argentini non hanno visto alcun lancio del genere. Si tratta quindi di una bufala, raccolta forse per primo da un quotidiano del Costa Rica e presentata come attuale, subito imitato da altri e presto le frasi, ad alto impatto ed estremamente “notiziabili” sono apparse anche nel nostro paese sui media mainstream, comeLibero o Tgcom24 e da lì hanno dilagato ovunque.

MEGLIO COSI’ – Una buona notizia per tutti, non solo per i cattolici, Bergoglio era già abbastanza indigeribile, ma affermazioni del genere sembravano farne addirittura un unicum nella retorica cattolica, che predica la sottomissione e l’inferiorità  della donna, ma che nella modernità ha imparato a farlo esaltando le virtù della sua eroica sottomissione volontaria per il bene della famiglia. Da tempo ormai la chiesa ha rigettato pubblicamente  l’idea che la donna sia inferiore e seconda all’uomo, anche se poi non può fare a meno di negare il sacerdozio alle donne e d’imporre loro comandamenti e dogmi concepiti ad uso e consumo di una religione nella quale Dio si rivolgeva in origine solo agli uomini, imponendo loro di rispettare le proprietà altrui, tra le quali le donne.

PROPAGANDA INCROCIATA – A Cesare quel che è di Cesare e a Bergoglio quel che è di Bergoglio, sul conto del quale ovviamente in queste ore vola di tutto, mettendo a dura prova le capacità di chi è chiamato a verificare le informazioni, anche perché il passaggio di status di Bergoglio ha reso evidentemente molto appetibili certe informazioni per il fronte anticlericale e allo stesso tempo la formidabile macchina per le pubbliche relazioni del Vaticano ha chiamato a raccolta tutta la cristianità per lucidare l’immagine del nuovo Papa.

PAROLE SELEZIONATE – L’esempio delle dichiarazioni di Adolfo Pérez Esquivel, che ieri ha difeso Bergoglio dicendo che non fu complice della dittatura, s’inscrive sicuramente in questo quadro, perché la domanda è molto precisa e altrettanto la risposta, ma se l’intervistatore avesse voluto allargare la sua prospettiva forse avrebbe scoperto un’altra parte del pensiero di Esquivel poco positiva per il nuovo Papa: “Molti vescovi avevano un doppio discorso. Quando io ero in prigione mia moglie parlava con i vescovi che promettevano aiuti e poi facevano esattamente il contrario. L’attitudine di Bergoglio si iscrive in tutta questa politica per la quale tutti quelli che lavorano socialmente con i poveri erano comunisti, sovversivi, terroristi”. Così, come ci ricorda Gennaro Carotenuto, diceva Esquivel alla televisione argentina nel 2005 del nuovo Papa.

http://www.giornalettismo.com/archives/830463/la-bufala-degli-insulti-di-papa-francesco-alle-donne/

 

Francesco: un sorriso dalla schiena d’acciaio

Sono anticlericale, benché non disdegni le letture di sant’Agostino, della Patristica o dei mistici del Seicento, e mi chiedo spesso come un professante possa prescindere da studi teologici.

 
Non appena ho sentito che un cardinale argentino è asceso al soglio di Pietro, la sua stessa cittandinanza mi ha dato una scossa alla schiena e repentine sono inevitabilmente emerse un paio di domande: che ruolo ebbe nella Chiesa della dittatura che insanguinò il Paese? Che cosa sa della destra ultracattolica ancora operativa?
La curiosità ha fatto il resto.
Jorge Mario Bergoglio nasce a Buenos Aires il 17 dicembre del 1936 da genitori di origini piemontesi. Dopo il diploma in chimica studia psicologia e filosofia e a 21 anni la vocazione sacerdotale lo conduce al seminario di Villa Devoto, come novizio nell’ordine dei Gesuiti. Diventerà sacerdote a 33 anni il 13 dicembre 1969 riuscendo in una carriera ecclesiastica fulminea[1].
 
Tra il 1973 e il 1980 è Provinciale del suo ordine e nel 1979 prende posizione contro la Teologia della Liberazione[2]: in occasione del Consiglio Episcopale Latinoamericano del 1979 dichiarerà per la Chiesa latinoamericana la necessità di tornare alla tradizione e all’origine della sua cultura[3].
È anche però il periodo più cruento in cui l’Argentina scende la china della dittatura.

In L’sola del silenzio[4] Horacio Verbitsky raccoglie le testimonianze di chi ebbe direttamente a che fare con l’allora Superiore provinciale, Orlando Yorio e Francisco Jalics. Nel 1976, ai due gesuiti venne intimato di abbandonare il loro impegno nelle baraccopoli, ma essi rifiutarono. Vennero espulsi immediatamente dalla Compagnia di Gesù, venne loro impedito di dir messa e marchiati con l’accezione di “sovversivi” applicata loro da Bergoglio; pochi giorni dopo il golpe dello stesso anno vennero arrestati e condotti alla famigerata Esma (Escuela mecanica de la Marina) da dove sarebbero stati rilasciati soltanto dopo cinque mesi di torture[5]. Nella stessa operazione di rastrellamento vennero catturati quattro catechiste e due dei loro mariti. Fra loro erano Monica Mignone Candelaria, figlia di Emilio Mignone, fondatore del CELS (Centro di studi legali e sociali)[6], Marta e Maria Vazquez Ocampo, presidentessa delle Madri di Plaza de Mayo, Martha Vazquez Ocampo, che andarono a ingrossare le fila dei desaparecidos[7].

Bergoglio si difese sempre dalle accuse mossegli dai due gesuiti fino a quando emerse dagli archivi del ministero degli Esteri un documento che comprovava la sua diretta responsabilità nella loro cattura: Francisco Jalics, rifugiatosi in Germania nel 1979 aveva richiesto il rinnovo del passaporto per evitare di dover tornare nell’Argentina della dittatura, rinnovo che si vide negare. In una nota con cui la richiesta veniva respinta era indicato dal ministero del Culto come “sovversivo” con diretta raccomandazione del Superiore provinciale dei Gesuiti che il rinnovo non avesse luogo. Il superiore provinciale era Bergoglio. Anche Orlando Jorio ebbe a Roma conferme in tal senso, ovvero che erano stati catturati su pressione dei loro superiori ecclesiastici secondo i quali almeno uno dei due era un guerrigliero[8].
Le accuse verso Bergoglio ripresero vigore quando uscì per Pagina/12, l’11 aprile del 2010, un editoriale di Horacio Verbitskty[9]che metteva a nudo da un lato i tentativi di Bergoglio di far cadere nell’oblio le sue relazioni con la dittatura militare, e dall’altro il diniego dell’ormai porporato, candidato in concorrenza con Ratzinger al conclave del 2005.
Taty Almeida

Ancora oggi, e forse mai più di oggi, Bergoglio è al centro di un’ampia controversia che schiera sostenitori e detrattori al vaglio del suo passato. Hebe de Bonafini, presidentessa della Asociación Madres de Plaza de Mayo, addebita a Bergoglio precise responsabilità di connivenza con la dittatura[10], e dichiara di mantenere soltanto rapporti con la Chiesa del Terzo mondo, non con la Chiesa ufficiale, che dei 150 sacerdoti desaparecidos indicati dalla Associazione mai si interessò o chiese notizie o giustizia; “Sull’elezione di questo Papa che hanno eletto ieri – dice Hebe de Bonafini – soltanto non ci rimane che dire ‘Amen’”[11]. Analoga la reazione di Estela Carlotto, responsabile delle Abuelas de Plaza de Mayo, che lamenta di Bergoglio: “Non lo abbiamo mai sentito parlare dei nostri nipoti né dei desaparecidos”[12]. E anche Taty Almeida, responsabile delle Madres de Plaza de Mayo Linea Fundadora, con parole simili sottolinea tanto il disinteresse della Chiesa per i sacerdoti trucidati, quanto il silenzio con cui la Chiesa rispose ai 30.000 desaparecidos e alla tratta di neonati che seguì all’incarcerazione delle ragazze incinta poi sparite[13].

Sull’altra linea del fuoco si dispongono personaggi insospettabili come il premio Nobel per la pace 1980 Adolfo Pérez Esquivel che in un’intervista rilasciata alla Bbc solleva Bergoglio da ogni attribuzione. Benché vi fossero vescovi conniventi con la dittatura Esquivel si dice certo che Bergoglio non fosse tra questi e che anzi si adoperò, come altri invano, per la scarcerazione dei prigionieri[14].
Lo stesso Bergoglio pubblicò nel 2010 un testo a propria difesa, El jesuita[15], nel quale, oltre al caso dei confratelli Orlando Yorio e Francisco Jalics arrestati e torturati, forniva una personale versione del conclave del 2005 in cui fu il cardinale più votato ma dal quale venne infine eletto Ratzinger. L’allora cardinale argentino  rinunciò al papato per far piena luce sul suo passato e sulle accuse che lo adombravano. Il libro racconta che, quando Giovanni Paolo II si andava spegnendo e il suo nome veniva dato come il maggior candidato a successore di Pietro, era riemersa una denuncia giornalistica pubblicata alcuni anni addietro a Buenos Aires e che alla vigilia del conclave nel quale sarebbe stato scelto il successore del papa polacco, una copia dell’articolo era stata inviata agli indirizzi e-mail dei cardinali elettori allo scopo di danneggiare la sua possibile elezione. Bergoglio sostiene nel suo libro di non aver mai replicato per “non assecondare nessuno, non perché avesse qualcosa da nascondere”[16].
Ratzinger lo tenne in larga considerazione e il Soglio pontificio lo attese per offrirglisi ora, con il nome di Francesco I, scelto tra una rosa di candidati quali l’italiano Angelo Scola, il brasiliano Odilo Scherer, il canadese Marc Ouellet e l’americano Timothy Dolan[17].
 

Francesco I è il primo papa gesuita e il primo papa latinoamericano: la sua elezione segna una tappa importante per l’America Latina, che riunisce la più grande popolazione cattolica del mondo: 501 milioni di abitanti, il 42% del totale di 1.200 milioni di aderenti, secondo le statistiche della Santa Sede[18]. Un papa che si presenta come oppositore degli sprechi e del lusso[19], sensibile ai poveri e agli ultimi ma anche un papa legato fortemente alla tradizione e impegnato nell’arena politica, come spiega ancora Verbitsky. Bergoglio, durante la dittatura militare, svolse attività politica nella Guardia di ferro, un’organizzazione della destra peronista, dal nome che riecheggia un’organismo formatosi tra il 1920 e il 1930 in Romania e legato al nazionalsocialismo[20].

Del resto sono ben noti i cattivi rapporti del cardinale con il governo argentino. Non esitò infatti ad affrontarlo quando si diede avvio al progetto della Ley de Matrimonio entre Personas del Mismo Sexo, nel 2010. Giorni prima della sua approvazione, Bergoglio definì il progetto “Una guerra di Dio”. Inoltre descrisse il progetto che ha permesso il matrimonio gay come “una mossa del diavolo” ed ha incoraggiato ad accompagnare “questa guerra di Dio” contro la possibilità che gli omosessuali possano sposarsi. Per Bergoglio “non si tratta di una semplice lotta politica; è la pretesa di distruggere il piano di Dio”[21].
Cristina Kirchner
L’ex presidente Nestor Kirchner criticò le sue pressioni, mentre la presidenta Cristina Fernandez de Kirchner definì le sue parole come prodotte “al tempo del Medioevo e dell’Inquisizione” e la legge venne infine approvata[22].
Stessa chiusura, si legge ancora in Confidencial Colombia, Bergoglio ha sempre opposto, con maggior vigore contro l’aborto, ma anche per l’adozione concessa a coppie dello stesso sesso.
Insomma, se Francesco è il nome che dovrà caratterizzare l’operato di Jorge Mario Bergoglio, c’è da sperare che voglia in esso accogliere quella spiritualità francescana che fa della povertà, dell’obbedienza e della castità la sua cifra, nondimeno non stupirebbe che Francesco, come Giano bifronte, volgesse il capo e si presentasse con il volto ardente e combattivo del compagno di Loyola, Francesco Saverio, fondatore dell’ordine dei Gesuiti.
Carlos Mugica

Un sorriso dalla schiena d’acciaio capace di rimettere ordine tra le fila di una Chiesa percorsa da inquietudini e scandali, capace di rimettere ordine nello Ior ma anche in quella Chiesa che ha nel sociale il suo maggior impegno e che in Italia va da don Ciotti a don Gallo. Espressione quanto più vicina quest’ultimo, a quella stessa Teologia della Liberazione dai personaggi come Leonardo Boff, lui sì francescano, o Gustavo Gutierrez, l’italiano Giulio Gilardi prete operaio, Frei Betto vicino a Lula a cui il Bergoglio dei poveri era paradossalmente ostile, per la radicalità del cristianesimo che questa congerie di cattolici sandinisti e comunisti, ispirati da Martin Luther King, andava e va perorando. Una Teologia della Liberazione che ebbe tra le sue fila un gran numero di desaparecidos e che deve i suoi natali a figure come padre Carlos Mugica, teologo vicino ai montoneros argentini, che citava il Che e Mao nei suoi discorsi, trugidato nel 1974[23]. Insomma un papa che viene “dalla fine del mondo”. Ma se la pragmatica della comunicazione, come pure la psicologia e la sistemica asseriscono che sia impossibile cambiare le regole di un gioco dall’interno, Bergoglio disassa lo squilibrio per riequilibrarlo. Stante il suo passato, pare verosimile che giunga da quella fine del mondo per por rimedio a questo, e da qui dar una sistemata da lontano al mondo da cui proviene.

Ed è il mondo espressione di una recente politica per molti versi femminile e combattiva, alla quale Bergoglio si rivolse sostenendo che le “Donne sono inadatte per compiti politici. Possono solo supportare l’uomo”[24]. Un mondo nel quale le diverse espressioni del socialismo stanno faticosamente aprendosi un varco, dando i natali a personaggi come Hugo Chavez ed Evo Morales, ma agli stessi Kirchner argentini che per primi fecero dei Diritti umani un loro impegno dopo la dittatura. Un mondo che, dopo esser stato per decenni laboratorio delle politiche liberistiche statunitensi, attraverso il braccio armato della Cia, ha voltato le spalle agli Usa ma anche all’Fmi cercando un’emancipazione propria, e propria dei popoli originari attraverso distinti cammini – dal Chiapas al governo di Morales alla recente recrudescenza del conflitto tra Stato e Mapuche in Cile.
 
Léon Ferrari

Bergoglio sembra a tutta prima l’espressione di quella destra ultraconservatrice tutta ispanofona che affonda le sue radici nella cattolicissima Spagna di fine ‘500, in quella Spagna soggiogata da un’inquisizione temuta persino da Roma. Ovvero di quella destra ultraconservatrice, nerbo del latifondismo sudamericano, delle lobby, della finanza che le Madres de laza de Mayo denunciarono in un comunicato del 2007 a chiare lettere identificandolo nelle figure di Macrì, Bendini e Bergoglio. Quello stesso Macri che, tra le altre cose, appoggiò risolutamente la candidatura di Daniela Ugolini alla presidenza del Tribunale Superiore di Buenos Aires nel 2009, impugnata dalle organizzazioni sociali che vedevano nella Ugolini la negazione stessa dell’apertura a favore dei diritti umani, della rivalsa della tradizione reazionaria, e colei che aveva avallato la chiusura di una mostra di Léon Ferrariconsiderandola un’opera anti-cristiana[25]. Salvo poi che la mostra venne chiusa perché allo stesso Léon Ferrari, attivo artista e intellettuale vincitore della Biennale di Venezia del 2007, era stata per gli stessi motivi procurata la minaccia di una bomba all’interno degli spazi espositivi.

 
Un uomo allora, Jorge Mario Bergoglio, che pare uscito da una borghesia agguerrita per saldare quel mondo a questo, in cui le insorgenze popolari fanno da contraltare al riflusso egemonico della finanza più spietata. Poveri, sì, ma rassegnati.
Se il sorriso avrà una schiena d’acciaio, i poveri saranno forse più poveri, ragionevolmente, dogmaticamente, poveri.

Dove muoiono gli ideali – Claudio Mondino

Casa della Solidarietà


La Chiesa argentina riconosce l’autenticità di documenti esistenti nei suoi archivi che provano la connivenza con la dittatura militare. “La Chiesa ha compiuto il suo dovere; è stata prudente.

Ha detto ciò che doveva dire senza con questo crearci dei problemi inattesi. Più di una volta sono stati pubblicati documenti episcopali in cui, a giudizio della Chiesa, venivano condannati alcuni eccessi che si stavano commettendo nella guerra contro la sovversione, avvertendo che venissero corretti e che si mettesse fine a questi fatti. Non ha interrotto relazioni, ci ha invitato a metter fine a tali atti. La mia relazione con la Chiesa è stata eccellente, abbiamo mantenuto una relazione molto cordiale, sincera e aperta. Non va dimenticato inoltre che avevamo i cappellani militari che ci assistevano e non si è mai interrotta questa relazione di collaborazione e di amicizia. Il Presidente della Conferenza Episcopale, cardinal Primatesta, che avevo conosciuto anni addietro a Córdoba, aveva fama di progressista, ossia proclive alla sinistra di allora, ma da quando ha ricoperto il suo incarico ed io ero presidente del Paese abbiamo mantenuto una relazione impeccabile. Devo riconoscere che siamo arrivati ad essere amici e anche riguardo al problema del conflitto, della guerra, abbiamo coinciso in molti punti. La Chiesa argentina in generale, per fortuna, non si è lasciata trasportare da quella tendenza sinistroide e terzomondista, chiaramente politicizzata a favore di un settore, come hanno fatto altre chiese del continente, che sono cadute nel gioco. Qualche membro della Chiesa argentina è entrato in quel gioco, ma si è trattato di una minoranza non rappresentativa rispetto al resto”.

Parole forti, che suscitano stupore e sconcerto, in quanto si tratta di dichiarazioni rilasciate dal dittatore argentino Jorge Videla in una recente intervista a un settimanale spagnolo.

Condannato a due ergastoli per crimini di lesa umanità, Videla è attualmente sotto processo per furto e sottrazione sistematica di neonati alle loro madri, che venivano poi “eliminate”.

Videla non ha avuto remore nel dichiarare che il colpo di stato del 24 marzo 1976 è avvenuto con l’appoggio della società: il tacito avallo del partito radicale, l’appoggio esplicito del peronismo, degli impresari e della chiesa.

Per la prima volta il dittatore non solo accetta e utilizza la parola “desaparecidos”, ma addirittura parla di cifre: 7-8.000 desaparecidos in totale, rispetto ai 30.000 denunciati dalle associazioni argentine, prima fra tutte le Madres de la Plaza de Mayo.

Come se non fosse sufficiente l’intervista al settimanale spagnolo, il dittatore torna sulle sue provocazioni a tutto campo in un libro-intervista pubblicato da poco a Buenos Aires “Disposizione finale”, in cui ripete le sue affermazioni rincarando la dose. “Si doveva eliminare un numero grande di gente che non poteva essere portata davanti alla giustizia e tantomeno fucilata. Era necessario commettere i crimini in questa forma, per non lasciare traccia e fare in modo che la società non si rendesse conto, per non provocare proteste dentro e fuori del paese (…) Le sparizioni hanno inizio dopo i decreti del presidente interino Italo Luder (circa sei mesi prima del golpe), che ci danno licenza di uccidere. Il nostro obiettivo era disciplinare una società ridotta all’anarchia”.

La festa in Nunziatura

Nell’ottobre del 1991 il Nunzio Apostolico a Buenos Aires, Ubaldo Calabresi, compie un gesto clamoroso. In occasione della tradizionale commemorazione per l’anniversario del Papa, insieme a Vescovi, ambasciatori, ministri, personalità della società civile, impresari e al Presidente Menem, invita alla serata in Nunziatura tutti gli ex dittatori: Videla, Massera, Galtieri, Mignone.

Il gesto suscita scandalo sui giornali, non solo argentini. Il Nunzio si giustifica sostenendo che non aveva fatto altro che invitare al ricevimento “tutti gli ex presidenti”.

A coronare l’esito della festa ci pensa il Vaticano. Calabresi riceve, alcuni giorni dopo, una missiva del Segretario di Stato Sodano che si congratula per l’eccellente risultato della cerimonia in onore del Santo Padre; quello stesso Sodano che pochi anni prima, Nunzio in Cile, aveva fatto apparire sullo stesso balcone il Papa e Pinochet.

La Conferenza Episcopale argentina, sostenuta dalla Nunziatura, non ha mai voluto riconoscere i tragici errori e le scandalose omissioni di una chiesa che “sapeva e taceva”.

Non solo taceva. Benediva e sosteneva spiritualmente i criminali che avevano sulla coscienza 30.000 desaparecidos.

Si è limitata a pubblicare, anni fa, un documento dal titolo “Luci e ombre”. Un pamphlet nel quale la maggioranza delle riflessioni e delle considerazioni è dedicato alla società argentina e al suo faticoso cammino verso la democrazia, dove la Chiesa non si assume le responsabilità che le spettano rispetto agli anni della dittatura: le storie dei cappellani militari, del loro sostegno e conforto ai militari che torturavano e gettavano a mare migliaia di persone sui voli della morte; le storie di delazione di vescovi e superiori religiosi nei confronti di loro preti, suore e laici che lavoravano nei quartieri poveri della città.

Anche su Bergoglio, attuale Cardinale di Buenos Aires, pende una denuncia per aver “favorito” l’arresto di due suoi confratelli gesuiti, quando al tempo della dittatura era loro Superiore. Uno di questi, quando Bergoglio viene nominato Cardinale, lascia l’Argentina. Il colpo per lui sarà talmente forte da portarlo alla morte pochi anni dopo. Era stato “denunciato” da Bergoglio, arrestato dai militari e torturato.

Un dialogo “tra amici”

Ad inizio maggio, un quotidiano di Buenos Aires, Página 12, ha pubblicato un documento di straordinario valore.

Horacio Verbitsky, giornalista e scrittore che in questi anni ha pubblicato articoli e libri sulla questione della relazione della chiesa con la dittatura, è riuscito ad avere fra le mani una relazione -una “minuta” come viene chiamata in gergo ecclesiastico- che tre Vescovi avevano redatto per la Segreteria di Stato del Vaticano e che ha per titolo: “Relazione sull’incontro della Commissione Esecutiva della C.E.A. [Conferenza Episcopale Argentina] con il Presidente della Repubblica [Videla] del 10 aprile 1978”.

Per decenni la Chiesa argentina e il Vaticano hanno continuato a negare l’esistenza di un archivio riguardante gli anni della dittatura, i rapporti con i dittatori e con i famigliari dei desaparecidos.

Il 26 maggio 2012, dopo la pubblicazione del documento N° 10.949 (numero considerevole, indice di una vera e propria miniera di documentazione segreta attualmente nell’archivio della Chiesa in Argentina e in Vaticano), la Conferenza Episcopale è stata costretta a confermarne la sua autenticità. La minuta dà relazione del dialogo fra la cupola della Chiesa e Videla circa la questione dell’assassinio dei detenuti desaparecidos. Con tale riconoscimento i Vescovi ammettono perciò che erano a conoscenza del fatto che la dittatura militare assassinava i detenuti desaparecidos.

Pur trattandosi di uno scandalo di notevoli dimensioni, con conseguenze di enorme rilievo, il silenzio dei Vescovi argentini, del Vaticano e della grande stampa è davvero assordante!

La cupola della Conferenza Episcopale di quegli anni -i cardinali Primatesta e Aramburu e il vescovo Zazpe- discutevano, durante un pranzo, con il capo supremo della dittatura su come gestire l’informazione relativa ai crimini dei desaparecidos.

L’apparizione di tale documento s’intreccia, in un’impensabile simbiosi, con le recenti interviste di Videla. Senza eufemismi, il dittatore racconta al giornalista -come lo aveva raccontato all’epoca ai Vescovi- che i detenuti desaparecidos venivano “condannati” ed “eliminati”, e che tale metodo veniva adottato per questione di “comodità, in quanto non provocava l’impatto di una pubblica fucilazione”. Dice ancora che “era difficile pensare che una tale quantità di persone potesse essere sottomessa a giudizio”.

Nell’incontro con i Vescovi, Videla è ancora più diretto e afferma chiaramente che “il governo non può rispondere sinceramente, per la conseguenza sulle persone”, un eufemismo per riferirsi a tutti quelli che dovevano svolgere il “compito sporco” di sequestrare, torturare, uccidere e far sparire i resti delle persone implicate. Videla quindi rivela ai Vescovi che “tutti i desaparecidos sono stati assassinati”.

Il governo di fatto negava l’esistenza di prigionieri politici, in quanto tutti i detenuti venivano considerati come “delinquenti sovversivi”, compresi i sacerdoti e le suore. La sparizione di persone -spiega Videla ai Vescovi- era un’opera montata ad arte dal terrorismo per togliere prestigio al governo, che da parte sua condivideva le “inquietudini” dei vescovi. I tre prelati “ringraziano” Videla per quanto affermato e ammesso. Videla, con tono “triste”, ribadisce come non sia facile ammettere che i desaparecidos sono morti, in quanto questo innescherebbe una serie di domande su dove si trovano i corpi e su chi li ha uccisi, dove sono sepolti; se in una fossa comune, su chi li avrebbe sepolti…

Primatesta insiste con Videla quanto alla necessità di trovare una soluzione al problema, prevedendo, a lungo andare, “brutti effetti” per “l’amarezza che tutto questo produce in molte famiglie”. Videla si dice d’accordo. Ma non riesce a trovare una soluzione alla questione.

La Chiesa “misura ogni parola”

Dialogo terribile, surreale, kafkiano.

Prima di tutto per l’assoluta franchezza di chi interviene.

In secondo luogo per la chiarezza con cui viene in evidenza la conoscenza assoluta dei fatti da parte degli interlocutori.

Ed infine per la fiducia reciproca nell’analisi quanto alle possibili “tattiche” di risposta alle denunce che entrambe le parti percepiscono come una minaccia.

Primatesta interviene per sottolineare come “la Chiesa vuole capire, cooperare, è cosciente della situazione caotica in cui si trova il paese, e misura ogni parola in quanto conosce perfettamente il danno che può arrecare al governo rispetto al bene comune se non mantiene la debita altezza”.

Zazpe è morto nel 1984, Aramburu nel 2004, Primatesta nel 2006.

Nella segreteria della Conferenza Episcopale -situata in un palazzo del centro di Buenos Aires donato ai Vescovi dallo stesso Videla alcuni mesi prima di lasciare il potere nel 1981- e in Vaticano giace una miniera di documentazione che sarebbe di fondamentale importanza per far luce sulle migliaia di desaparecidos e di neonati rubati alle loro legittime madri e “regalati” a famiglie di militari.

La Chiesa continua -da sempre- a sentirsi in diritto di mentire, per “il bene” dell’istituzione.

Pochi giorni dopo l’ammissione dell’autenticità del documento, si è riunita a Buenos Aires la Commissione Permanente dei Vescovi argentini. Il documento pubblicato a fine sessione denuncia la legge approvata due mesi fa dal Parlamento argentino e che riguarda la questione della “morte degna”.

Neppure un accenno alla documentazione apparsa sulla stampa e alla conseguente palese connivenza dei Vescovi con la dittatura militare.

In cosa consisterebbe, secondo i vescovi argentini, la “morte degna” di 30.000 desaparecidos?

Dove si trovano i corpi della maggior parte di questi giovani?

Qualche anno fa un ufficiale delle Forze Armate, Adolfo Scilingo, ha ammesso la sua partecipazione nell’assassinio dei prigionieri che dopo le torture venivano drogati e scaricati vivi nel Rio La Plata da aerei militari.

Rifacendosi a norme di cultura umanitaria che risalgono all’Età della Pietra, molti familiari di desaparecidos hanno chiesto alla Giustizia di far valere il diritto alla verità e al lutto, insieme all’obbligo per il rispetto dei corpi. Si tratta di parte del patrimonio culturale dell’umanità: il culto per i morti, presente in tutte le culture e le tradizioni della storia dell’umanità. I militari delle dittature latinoamericane hanno negato ai familiari anche il diritto a seppellire e a piangere i loro morti, in quanto desaparecidos: inesistenti.

La giustizia argentina ha riconosciuto tale diritto, obbligando lo Stato ad aprire un processo di ricostruzione della memoria e di quanto sia successo con ogni desaparecido.

Oltre ai militari della dittatura implicati nei processi, l’unica istituzione che non accetta di avviare un processo di autocritica e di ammissione delle proprie colpe e connivenze è la Chiesa.

Da dieci anni a questa parte l’Argentina è cambiata parecchio.

È stato finalmente tagliato quel cordone ombelicale che legava indissolubilmente la Chiesa cattolica alle vicende e alle scelte del Paese.

L’Argentina ha avuto il coraggio di dichiararsi Stato laico. Il che non è poco in America Latina.

E di conseguenza ha legiferato su temi che riguardano i suoi cittadini di qualsiasi estrazione sociale, politica, orientamento sessuale e credo. Nel giro di pochi anni ha messo in atto una serie di leggi che la collocano a livello dei paesi del nord Europa, quanto alla sessualità, al matrimonio egualitario, alla riproduzione, alla morte.

Segno chiaro di quanto la Chiesa argentina, che ancora negli anni ’80 portava in processione per le strade di Buenos Aires la statua della Madonna protettrice della Nazione per esorcizzare chi si permetteva di chiedere una legge sul divorzio, ha ormai ben poco da dire.

Tanto meno oggi, dopo la pubblicazione di questo documento triste e tragico, che conferma ciò che si sospettava da anni: la connivenza della chiesa ufficiale con la dittatura.