ARGENTINA: BERGOGLIO, L’EPISCOPATO DELLA VERGOGNA

Da: EMIGRAZIONE – 

 

– Inserito il 30 luglio 2010 alle 22:14:00 da redazione-IT. IT – POLITICA INTERNAZIONALE

di Luciano Neri

Era attorniato dai più screditati ex ministri dei peggiori e più corrotti governi dell’Argentina post dittatura, quelli di Carlos Menem e di Fernando De la Rua. Menem ha governato l’Argentina negli anni ’90 nel periodo che è passato alla storia come “il decennio canaglia”, ha portato al fallimento lo Stato vendendolo alla speculazione finanziaria internazionale e alle mafie del traffico di armi e di droga. Oggi è sotto processo per reati legati alla corruzione. De la Rua ha seguito la stessa impostazione in politica economica e ha praticato analoghi processi di corruzione che lo hanno coinvolto personalmente. Dopo due anni di governo è stato cacciato da una imponente manifestazione di popolo e, il 20 dicembre del 2001, con ignominia, è fuggito in elicottero dalla Casa Rosada (Il palazzo del Governo di Buenos Aires). Nel frattempo però, nella notte del 19, aveva decretato lo stato di assedio, sospeso tutti i diritti e le garanzie costituzionali, comprese la libertà di espressione e di riunione. Per gli argentini era il ritorno alla dittatura. 
 
E poche ore prima della sua fuga aveva dato ordine di sparare contro la folla. Sette giovani manifestanti furono uccisi.

Nel corso della conferenza stampa monsignor Bergoglio ha presentato, assieme a Roberto Dromi, Horacio Juaunarena, Armando Figueroa, Roche Fernandez e Jorge Vanossi, il “Contrato Social para el Desarrollo”, un documento che non prevede in realtà alcuno “sviluppo” ma che, al contrario, ripropone devastanti e illegali politiche di selvaggio liberismo che sono state alla base delle tragedie sociali e civili che hanno colpito il Paese durante e dopo la dittatura. Un documento che reclama la totale autarchia del Banco Central, l’eliminazione delle tasse per i grandi esportatori agrari, la drastica riduzione delle politiche e dei servizi sociali, la repressione del conflitto sociale e la unificazione delle strutture di Sicurezza e di Difesa, con conseguente rafforzamento dei militari e compromisisone dei processi di democratizzazione in corso. Ma vediamo dunque, oltre a Bergoglio di cui diremo dopo, da chi è formata questa “santa alleanza” che propone, assieme al cardinale, un vero e proprio “manifesto politico di opposizione” che tende a riportare indietro le lancette della storia argentina ed a cancellare persino conquiste fondative della democrazia restaurata nel 1983. Roberto Dromi è stato sindaco della città di Mendoza durante la dittatura, quando i sindaci venivano direttamente nominati dai militari. Ministro delle Opere Pubbliche con il governo civile più corrotto della storia argentina, quello di Menem, fu autore delle “leggi di emergenza” che produssero privatizzazioni selvagge e deregulation dei mercati, l’abbasamento drastico degli stipendi, la sospensione dei diritti sociali fondamentali.

Horacio Jaunarena è stato ministro della Difesa di Alfonsin, De la Rua e Duhalde. Nel suo primo mandato fu autore delle leggi “de punto final” e “de la obediencia debida”, le due leggi che assicuravano l’impunità dei comandanti e di tutti i militari responsabili della dittatura e di 30.000 morti.

Armando Figueroa è stato ministro del Lavoro di Menem e vice-capo di gabinetto di De la Rua. Autore del “piano di flessibilizzazione del lavoro” che ha portato all’esplosione del lavoro nero e illegale, alla privatizzazione del sistema pensionistico convertito in un mercato finanziario a solo vantaggio delle banche.

Roche Fernandez è stato presidente del Banco Central dal 1991 al 1996 (gli anni di Menem) e ministro dell’economia. In quel periodo la Banca Centrale Argentina è stato il centro e lo snodo della peggiore corruzione finanziaria. Banca che fu coinvolta anche in affari riconducibili, ed evidenziati da sentenze giudiziarie, alla n’drangheta calabrese.

Jorge Vanossi è stato ministro della Giustizia di Duhalde, successivamente è passato con il sindaco di Buenos Aires Macri, esponente di spicco della attuale destra argentina.

Ma Bergoglio non si è limitato a questo. Ha avanzato un’altra proposta, sotto il nome di “operaciòn amnistia”, che è stata formalmente respinta dal governo. La sollecitazione, non è la prima, chiede apertamente, e senza vergogna, l’amnistia per tutti i militari della dittatura e per chiunque coinvolto, processato o condannato per i crimini commessi in quel periodo. Nella richiesta si elencano tutti coloro che dovrebbero beneficiare dell’amnistia, ci sono tutti i membri della giunta, da Videla a Bignone, da Santiago Omar Riveros a Higo Siffredi, e oltre 100 altri militari dell’esercito, della marina e dei servizi segreti. E c’è Cristian Von Wernich (mai nome fu così blasfemo nei confronti del Cristo della Croce), cappellano militare della polizia di Buenos Aires durante la dittatura, condannato all’ergastolo perché ritenuto colpevole, tra gli altri, del sequestro di 33 persone e di 19 omicidi. Assassini di giovani innocenti che non si sono mai pentiti per quello che hanno fatto, che non hanno mai chiesto perdono né ai familiari delle vittime né al Paese, rivendicando con arroganza, anche durante i processi, le brutalità commesse in nome della “guerra all’eversione”.

E infine, chi è Jorge Mario Bergoglio? Arcivescovo di Buenos Aires, presidente dei vescovi argentini, tra i più votati nel conclave vaticano che ha poi eletto Ratzinger. Sostenuto dallo stesso Bergoglio. È stato più volte accusato di collusione con la dittatura argentina. Le prove più esplicite e documentate sono racchiuse nel libro L’isola del Silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina del giornalista Horacio Verbitsky che da anni indaga con rigore il periodo più tragico del Paese sudamericano, lavorando sulla ricostruzione degli eventi con ricerche serie e documentate. Quello del ruolo della Chiesa sotto la dittatura è una ferita ancora aperta in Argentina, un dibattito certamente complesso e doloroso che approfondiremo ulteriormente nei prossimi numeri della rivista. Doloroso anche perché la maggior parte di quei 30.000 giovani assassinati erano cattolici, figli di famiglie cattoliche, impegnati nelle “villa miserias” in opere sociali di assistenza e di difesa dei diritti umani. Figli di quella Chiesa di base che in America Latina ancora resiste ed esiste. Il segno evidente che la Teologia della Liberazione è ancora viva, nei valori e nei comportamenti di tanti cristiani che con il proprio esempio e impegno gridano forte ai vertici vaticani «noi siamo Chiesa». 

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Altra NEWS

Nel 2010, quindi non trent’anni fa, per un errore giovanile, quando c’era un clima di paura, etc etc., Bergoglio ha avanzato una proposta, sotto il nome di “operaciòn amnistia”, che è stata formalmente respinta dal governo. La sollecitazione, non è la prima, chiede apertamente, e senza vergogna, l’amnistia per tutti i militari della dittatura e per chiunque coinvolto, processato o condannato per i crimini commessi in quel periodo. Nella richiesta si elencano tutti coloro che dovrebbero beneficiare dell’amnistia, ci sono tutti i membri della giunta, da Videla a Bignone, da Santiago Omar Riveros a Higo Siffredi, e oltre 100 altri militari dell’esercito, della marina e dei servizi segreti. E c’è Cristian Von Wernich (mai nome fu così blasfemo nei confronti del Cristo della Croce), cappellano militare della polizia di Buenos Aires durante la dittatura, condannato all’ergastolo perché ritenuto colpevole, tra gli altri, del sequestro di 33 persone e di 19 omicidi. Assassini di giovani innocenti che non si sono mai pentiti per quello che hanno fatto, che non hanno mai chiesto perdono né ai familiari delle vittime né al Paese, rivendicando con arroganza, anche durante i processi, le brutalità commesse in nome della “guerra all’eversione”.


Papa Francesco: “Donne inette per la politica”

 Da TG COM – MEDIASET

Nonostante venga considerato un membro dell’ala progressista della Chiesa, alcune posizioni del nuovo Pontefice spaccano fedeli e non

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09:06 – Dopo nemmeno 24 ore dall’elezione del nuovo Pontefice, la scelta del Conclave di optare per Jorge Mario Bergoglio, inizia a dividere fedeli e non. Dal passato dell’ex arcivescovo di Buenos Airesnon spuntano solo le accuse di aver fiancheggiato la “giunta sanguinaria” del regime argentino, ma anche alcune posizioni intransigenti su gay e donne.

La crociata contro le nozze gay – Come ricordano numerosi media statunitensi, Papa Francesco, nonostante l’appartenenza all’ala progressista della Chiesa, si è più volte espresso contro i matrimoni gay, definendolo come “un segno del diavolo e un attacco devastante ai piani di Dio”. Netta la denuncia di una delle principali associazioni omosessuali cilene che in un comunicato non risparmia nulla al nuovo Pontefice: “Ancora una volta – si legge in un comunicato – la Chiesa pone a capo del Vaticano a un promotore dell’odio verso la diversità sociale e una figura del riferimento dell’omofobia e del disprezzo delle minoranze sessuali”.

L'”incapacità” delle donne in poltica – Dall’armadio rispunta anche una dichiarazione del 2007 dell’allora arcivescovo di Buenos Aires in riferimento alla candidatura alle presidenziali di Cristina Kirchner: “Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici. L’ordine naturale ed i fatti ci insegnano che l’uomo è un uomo politico per eccellenza, le Scritture ci mostrano che le donne da sempre supportano il pensare e il creare dell’uomo, ma niente più di questo”. E a rincarare la dose, il cardinal Bergoglio sottolineò inoltre come si dovesse “avere memoria:abbiamo avuto una donna come presidente della nazione e tutti sappiamo cosa è successo”, riferendosi al l’ex presidente Maria Estela Martinez de Peron.

La freddezza della presidente argentina – I toni sobri e molto formali nelle congratulazioni della presidente brasiliana, Dilma Rousseff, al nuovo capo della Chiesa di Roma, hanno origine dalla presa di posizione di Bergoglio al momento dell’elezione della Rousseff. I legami tra politica e chiesa brasiliana sono piuttosto freddi, nonostante il numero di fedeli, da quando il neo Papa appoggiò l’invito di Benedetto XVI, alla vigilia delle elezioni brasiliane del 2010, a non votare i candidati che difendevano l’aborto. Un riferimento nemmeno troppo velato contro l’allora candidata Rousseff, che ha ricambiato lo “sgarbo” con un gelido silenzio all’annuncio choc delle dimissioni di Ratzinger.

Sanzioni/Iran: Usa ‘concedono’ a 11 paesi, compresa l’Italia, il “permesso” di comprare petrolio dall’Iran

Sanzioni/Iran: Usa 'concedono' a 11 paesi, compresa l'Italia, il "permesso" di comprare petrolio dall'Iran

WASHINGTON (IRIB) – Mercoledì sera il Segretario di Stato Usa John Kerry ha informato che gli Stati Uniti “permettono” per altri 6 mesi ad 11 nazioni di comprare il petrolio iraniano.

Gli Stati Uniti hanno reso noto il nome delle nazioni: Belgio, Rep. Ceca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Polonia, Spagna, Regno Unito e Giappone.Kerry ha aggiunto inoltre che questi paesi dovranno cercare in ogni caso di ridurre gli acquisti di petrolio dalla Repubblica Islamica dell’Iran.

E’ molto interessante che nel mondo di oggi le nazioni debbano avere il “permesso” degli Stati Uniti per acquistare il petrolio di cui hanno bisogno.

http://italian.irib.ir/notizie/mondo/item/122631-

 

Siria: Russia, armi a ribelli violazione legalità internazionale

Siria: Russia, armi a ribelli violazione legalità internazionale

LONDRA – La fornitura di armi all’opposizione siriana costituirebbe “una violazione della legalità internazionale”: lo ha affermato il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, in visita a Londra.

“L’America non può permettersi più il futuro “

Bersani a Radio America 24 il 18 feb «la politica europea dovrebbe somigliare un po’ di più in campo economico e sociale a quella degli Stati Uniti». fine citazione

 di: WSI Pubblicato il 13 marzo 2013| Ora 10:19

Pensionati appesi al filo dei programmi sociali. Giovani indebitati da rette universitarie. Le famiglie non riescono più a risparmiare. Corsa Wall Street? E’ un bluff che alimenterà nuove bolle

NEW YORK (WSI) – La crisi morde forte anche Oltreoceano. E le famiglie americane si scoprono incapaci di trovare una via d’uscita. Tutte le fasce di età della popolazione in qualsiasi stato d’America oggi sono toccate dalla mancanza di una ripresa convincente. 

Secondo recenti sondaggi un americano su quattro nella fascia di età compresa fra i 45 e i 64 anni e almeno il 22% di chi ha oltre 65 anni non dispone di alcun reddito per far fronte alla sua vecchiaia. Il 49% non riesce a risparmiare nulla per la pensione, denuncia Adam Taggart, presidente di Peak Prosperity. 

Chi è già in pensione spesso dipende dai programmi sociali. Lo fa almeno un terzo percependo in media un reddito pari a 1230 dollari al mese. Mentre un altro 34% di anziani riesce a fare fronte alle spese di base come la rate del mutuo o gli alimentari grazie all’utilizzo della carta di credito. In una recente analisi ilWall Street Journal ha calcolato che i costi del programma di assistenza sanitaria ai poveri, Medicare, superano attualmente i 42mila miliardi di dollari.Una cifra da capogiro a cui difficilmente riusciranno a far fronte le nuove generazioni di lavoratori che si indebitano a loro volta per far fronte alle rette universitarie. 

Se ci spostiamo sul fronte delle aziende, il risultato non cambia. Con l’avanzare della crisi, i manager americani hanno deciso di votarsi all’automazione, alla ricerca di una produttiva più spinta che ha contribuito a impoverire ulteriormente la società. Milioni di posti di lavoro sono andati in fumo. Ma anche per chi un lavoro ce l’ha, la situazione non è semplice. Con il costo della vita in crescita, una famiglia americana che risparmia in media 50mila dollari l’anno oggi si trova in serie difficoltà. 

Da Wall Street qualche banker abbozza dicendo che la Borsa ha rivisto i massimi dal 2001. Ma in molti economisti ritengono che sia tutto un bluffcostruito sulla politica accomodante della Federal Reserve che spinge i tassi di interessi a livelli bassi, che sostiene la performance della Borsa. Il risultato, anche questa volta, potrebbe non essere molto edificante: finirà per creare una nuova bolla sulle azioni, le obbligazioni e anche sul mercato immobiliare.

Nuovi “Vietnam” in Africa?

pan-sahel initiative

“Per contrastare la crescente influenza cinese in Africa, Washington ha assicurato il suo appoggio a una Francia economicamente indebolita e politicamente disperata, per ridare vigore all’impero coloniale francese, in una forma o nell’altra. La strategia, che si è rivelata nel tentativo franco-statunitense di usare il gruppo terroristico di Al Qaeda per abbattere prima Gheddafi in Libia e ora per causare distruzione dal Sahara al Mali, è di incoraggiare i combattimenti fra etnie e gruppi differenti come Berberi, Arabi e altri in Nord Africa. Divide et Impera.
Sembra che essi abbiano anche già optato per una vecchia “formula francese” per il controllo diretto. In un’analisi pionieristica, l’analista geopolitico e sociologo canadese, Mahdi Darius Nazemroaya scrive, “la mappa usata da Washington per combattere il terrorismo nell’area del Pan-Sahel è molto esplicativa. L’ampiezza dell’area di azione dei terroristi, che include i confini dell’Algeria, Libia, Niger, Chad, Mali e la Mauritania secondo ciò che è stato delineato da Washington, è molto simile ai confini dell’entità territoriale coloniale che la Francia cercò di controllare nel 1957. Parigi pensò di promuovere quest’entità africana nel Sahara occidentale come dipartimento francese legato direttamente alla Francia, assieme all’Algeria costiera”.
I francesi la chiamarono Organisation commune des régions sahariennes (OCRS). Comprendeva i confini interni del Sahel e delle nazioni sahariane del Mali, Niger, Chad e Algeria. Parigi la usò per controllare i paesi ricchi di risorse, per favorire lo sfruttamento francese di materie prime come petrolio, gas e uranio.
Egli aggiunge anche che Washington aveva chiaramente pensato a quest’area ricca di risorse quando designò le aree dell’Africa che dovevano essere “ripulite” dalle cellule terroristiche e gruppi criminali. Perlomeno ora AFRICOM aveva un piano per la sua nuova strategia africana. L’istituto francese delle relazioni internazionali (Institut français des relations internationals, IFRI) discusse chiaramente questo legame fra i terroristi e le aree ricche di materie prime nel rapporto di Marzo 2011.
La mappa usata da Washington per combattere il terrorismo secondo l’iniziativa del Pentagono per il Pan-Sahel mostra un’area di attività dei terroristi all’interno di Algeria, Libia, Niger, Chad, Mali e Mauritania secondo il disegno di Washington. La Trans-Saharian Counterterrorism Initiative (TSCTI) fu creata dal Pentagono nel 2005. Al Mali, Chad, Mauritania e Niger si aggiungevano ora Algeria, Mauritania, Marocco, Senegal e Nigeria e Tunisia in un teatro di cooperazione militare con il Pentagono. La Trans-Saharian Counterterrorism Initiative fu trasferita sotto il comando dell’AFRICOM il 1 ottobre 2008.
I piani francesi furono frustrati durante la guerra fredda dalla guerra d’indipendenza dell’Algeria e delle altre nazioni africane, il “Vietnam” francese.La Francia fu costretta a sciogliere l’OCRS nel 1962, a causa dell’l’indipendenza algerina e del sentimento anticoloniale in Africa. Nonostante ciò, le ambizioni neocoloniali di Parigi non sono scomparse.
I francesi non nascondono certo la loro preoccupazione riguardo la crescente influenza cinese in quella che fu l’Africa francese. Il Primo ministro francese Pierre Moscovici affermò nel dicembre scorso a Abidjan che le imprese francesi devono andare all’attacco e scatenare un’offensiva contro l’influenza della rivale Cina scommettendo su mercati africani sempre più competitivi. “È evidente che la Cina è sempre più presente in Africa… le imprese (francesi) che hanno i mezzi devono perseguire questa offensiva. Esse devono essere più presenti sul territorio. Esse devono combattere” affermò Moscovici durante un suo viaggio in Costa d’Avorio.
Chiaramente Parigi aveva in mente un’offensiva militare per sostenere l’offensiva economica che egli aveva previsto per le compagnie francesi in Africa.

Da L’AFRICOM in Mali: obiettivo Cina , di F. William Engdahl.

Perché il Movimento Cinque Stelle non può dare la fiducia

 Il Movimento Cinque Stelle ha detto fin da subito che non avrebbe votato la fiducia a un Governo Pd. Questa posizione è stata ovviamente criticata dall’esterno, e forse anche da qualcuno all’interno. Per comprenderne le ragioni, bisogna capire bene cosa significa, questa benedetta “fiducia”. Non a tutti è chiaro. Oggi lo spieghiamo anche alla proverbiale casalinga di Voghera.

 La nostra forma di Governo prevede, tra le altre cose, un bicameralismo perfetto (unico caso nel mondo. Ovvero – in soldoni – tutte le leggi devono essere approvate e possono essere modificate da entrambe le Camere) e il meccanismo della fiducia. La “fiducia” è introdotta dall’art.94 della Costituzione italiana (e no, non bisogna essere fini costituzionalisti per leggerla e capirne il senso: la Costituzione è stata scritta perché la comprendessero tutti).

Art. 94

Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.

Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.

Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.

Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.

La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.


 L’Italia è una Repubblica Parlamentare (e questo va ricordato, ogni volta che si fa una critica sulla proposta di prorogatio all’attuale Governo). Questo significa che l’unico organo titolato ad esercitare la potestà legislativa (fare le leggi) è il Parlamento. Il Governo ha semmai il ruolo di indirizzo politico. Può cioè dare esecuzione a strategie politiche, che poi trasforma per esempio in decreti legge, i quali però devono sempre e comunque essere convertiti in legge dal Parlamento (entro 60 giorni), altrimenti decadono. 
 
 Per entrare in carica, il Governo deve farsi dare la fiducia, e siccome operiamo in regime di bicameralismo perfetto, la fiducia deve essere data sia alla Camera dei Deputati che al Senato della Repubblica. Perché si fa questo passaggio? Senza bisogno di aprire un manuale di Scienza Politica (ce l’ho, se volete lo tiro fuori), diamo un’occhiata a Wikipedia che lo spiega bene. In relazione alla votazione della fiducia con “mozione motivata” e per “appello nominale”, si legge: 

« Queste ultime due disposizioni hanno un preciso scopo: quello di creare una stabile maggioranza politica. L’obbligo di motivare la mozione fa sì che i vari gruppi si impegnino, se favorevoli, a sostenere il Governo in modo stabile. La votazione a scrutinio palese serve a far sì che i vari parlamentari si assumano la responsabilità politica personale di sostenere il Governo. »

 Tutto chiaro? La fiducia non è un atto formale che permette ad un Governo di entrare in carica, come qualche commentatore interessato cerca di far credere per semplificare a proprio vantaggio il casus belli, ma un vero e proprio atto di corresponsabilità politica di fronte al Paese e agli elettori, che per di più  deve essere stabile. La fiducia non si dà e non si toglie come si sale e si scende dal tram: questo sì, sarebbe da irresponsabili.

 Tant’è vero che per togliere la fiducia a un Governo in carica la procedura si complica. Il primo voto di fiducia, quello che permette a un nuovo Governo di entrare in carica, è infatti un atto propositivo sul quale tutte le forze politiche sono chiamate immancabilmente ad esprimersi. La revoca della fiducia, invece, si può avere solo se qualcuno ne fa proposta (mozione di sfiducia) e se questa proposta viene sottoscritta da un numero sufficiente di parlamentari (un decimo per Camera, dunque nel caso di Montecitorio almeno 63 deputati). Inoltre, qualora la mozione avesse i requisiti per essere inserita all’ordine del giorno, non potrebbe essere discussa prima di tre giorni, perché (come nei casi di divorzio matrimoniale), si deve dare l’opportunità a chi l’ha presentata di ripensarci, magari sfiancandolo con estenuanti pressioni. E infine, ovviamente, bisognerebbe avere una maggioranza che la vota.

 Supponiamo ora che il Pd presentasse un programma di Governo in cui, per assurdo, ricalca tutto quello che vuole fare Grillo. Dico “per assurdo” perchè, a quel punto, tanto varrebbe avere direttamente un Governo a Cinque Stelle. Supponiamo anche che i 162 parlamentari pentastellati, colti da raptus o irretiti dalle reiterate richieste di “responsabilità”, dopo il discorso parlamentare di Bersani (senza conoscere i contenuti del quale non ha senso neppure interrogarsi sulle intenzioni dei cinque stelle, visto che prima si ufficializza una proposta e solo dopo la si può votare), votassero per questa benedetta fiducia. Dal giorno dopo, il Partito Democratico avrebbe il viatico per iniziare la sua azione di Governo. Rispetterebbe l’indirizzo politico dichiarato per ottenere la fiducia? Questo è il problema.

 Parliamo dello stesso partito che fa “parlamentarie” per definire liste di candidature in cui antidemocraticamente impone veterani vietati dallo statuto, come la Bindi. Parliamo dello stesso partito le cui ingerenze nelle fondazioni bancarie hanno portato alla situazione che sappiamo di Monte Dei Paschi, e che non ha mai pubblicato l’elenco dei mutui ottenuti dai suoi dirigenti/funzionari/parlamentari. Lo stesso partito del fiscal compact, del più Europa a tutti i costi, del conflitto di interessi che secondo Fassino non era una priorità degli italiani, e così via. Un partito che accusa gli altri di non essere democratici, ma che di democratico – visto l’establishment che non molla le redini – non ha poi molto. Un partito che insiste per governare perché sa benissimo che, se si tornasse alle urne, tutta la sua dirigenza verrebbe rasa al suolo e si farebbero avanti nuove leve, con tutto il loro entourage, come Matteo Renzi. E che per questo fa lanciare appelli su appelli a una presunta responsabilità, sia manipolando petizioni altrui e presentandole come se fossero della base del Movimento Cinque Stelle (Viola Tesi, esponente del Partito Pirata), sia lanciando i suoi intellettuali  su Repubblica.

 La verità è che, con tutta probabilità, il Partito Democratico continuerebbe a fare quello che ha sempre fatto, ovvero i suoi interessi speculari e complementari a quelli del centrodestra, con la sola differenza che a permettergli di farlo, questa volta, sarebbe stato il Movimento Cinque Stelle, con il viatico del suo voto di fiducia. Cosa accadrebbe infatti dei punti condivisi con i parlamentari del Movimento? Si arenerebbero nelle sabbie mobili dei ministeri, dove Berlusconi stesso sosteneva che non si può spostare neanche una pianta. Basta vedere come sono riusciti a prendere in giro gli italiani con la legge per la riduzione degli stipendi dei parlamentari: fecero una commissione per valutare la media ponderata degli stipendi dei loro colleghi negli altri paesi d’Europa, parametrata al costo della vita e, poiché era troppo complicato derivarla, il presidente dell’Istat Enrico Giovannini, posto a capo della commissione, dopo mesi e mesi dovette dimettersi e dichiarare un nulla di fatto. Ragion per cui gli stipendi rimasero quelli che sono. Sarebbe bastato restituire al Tesoro la parte eccedente a una quota prefissata, per esempo i 5 mila lordi dei “grillini”, o in alternativa fare una legge di un articolo solo, e avrebbero evitato di prendere in giro tutto il Paese. Ecco, quella è la stessa gente che oggi vorrebbe la fiducia su quegli stessi punti

 Di contro, potrebbero fare decreti legge sulle materie che più a loro interessano, sicuri di una conversione parlamentare che otterrebbero con una maggioranza questa volta estranea al Movimento Cinque Stelle, da realizzarsi sui singoli punti di interesse comune tirando dentro di volta in volta i montiani e il pdl. E cosa potrebbe fare, il Movimento Cinque Stelle, per opporsi? Nulla, perché anche qualora proponesse una mozione di sfiducia, non avrebbe la maggioranza per approvarla. Il Paese continuerebbe esattamente come prima, solo che, per la definizione di fiducia data sopra, ad assumersi la responsabilità politica personale di avere sostenuto il Governo questa volta sarebbe stato il Movimento Cinque Stelle. Questo sì, sarebbe un tradimento dell’elettorato. Non è evidente?

 Obiezione: ma allora perché, se gli scenari per le due coalizioni più votate sono quelli, non partono direttamente con una fiducia Pd-Pdl su un Governo di larghe intese? La risposta è semplice ed è ancora una volta implicita nella definizione di fiducia. La fiducia è una dichiarazione di intenti. Sarebbero costretti a dichiarare un programma ed un’alleanza preventiva che li inchioderebbe di fronte al Paese e all’elettorato, mentre i singoli voti sulle singole leggi successive non avrebbero tale valenza incontestabile e potrebbero essere giustificati di fronte all’opinione pubblica dalle circostanze e dalle opportunità politiche (la grave situazione del Paese e così via…).

 Qual è, dunque la soluzione al rebus? Bisogna partire da un assunto chiave: qualsiasi governo si formi, non sarà stabile. Al Senato della Repubblica non c’è una maggioranza dello stesso colore politico di quella che, grazie al Porcellum, domina la Camera. Questo è fuor di discussione. Per questo si naviga a vista e si circoscrive il programma di indirizzo politico a un piccolo numero di leggi o riforme necessarie e facili: la legge elettorale, gli sprechi e i costi della politica, la legge sui rimborsi elettorali e poco altro. Addirittura – sospetto per non consegnare il Paese a Grillo – il Pd vorrebbe anche solo la legge elettorale e poi al voto.

Domanda: visto che l’orizzonte politico è questo, è proprio necessario un Governo per realizzarlo? Ovviamente la risposta è no. Sono cose che (lo dissi, e Tremonti era più d’accordo di me, due settimane fa a L’Ultima Parola) potremmo fare anche io e voi. Un’esempio? Ecco la nuova legge elettorale: “Art.1. Il Porcellum è abrogato. Art.2. La presente legge entra in vigore il giorno dopo della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale”. Basta così poco? Certo: per il principio che l’Italia non può stare senza legge elettorale, perché risulterebbe impossibile formare parlamenti successivi (perlomeno senza una nuova costituente), automaticamente tornerebbe in vigore il Mattarellum. Si può discutere se fosse buono o cattivo, ma forse era un po’ meglio del Porcellum. Senza arrivare a tanto, in ogni caso, è il Parlamento (ricordate che siamo una Repubblica parlamentare?) che ha l’iniziativa legislat iva: potrebbe semplicemente e in pochissimo tempo dividersi in commissioni, fare le sue proposte di legge e votarsele. E, visto che sarebbero state ampiamente discusse nelle varie assemblee, avrebbero un’altissima probabilità di recuperare maggioranze, anche di volta in volta diverse, per la loro approvazione.

 O, se proprio non si riesce a fare pace con l’idea che le leggi, in una Repubblica parlamentare, le fa il Parlamento senza problemi (e ci mancherebbe altro!), visto che i punti essenziali sono punti condivisi dai Cinque Stelle, si potrebbe affidare il Governo a loro. Non hanno esperienza? Non è rilevante: si tratterebbe solo di un atto formale per realizzare, con il contributo di tutti, poche cose. In primis, appunto, la legge elettorale. Tutti ci fanno un figurone e possono tornare al voto sereni.

 Tutto il resto si spiega solo alla luce della perniciosa e disperata volontà di restare aggrappati alle leve del potere, trascinando con sé anche l’unica forza di reale cambiamenteo del Paese.


http://www.byoblu.com/post/2013/03/13/Perche-non-si-puo-dare-la-fiducia.aspx?page=all#id_0550915f-6026-41ce-8786-5120277e297a

 

Appello ai neo-Senatori del Movimento 5 Stelle.

 Un amico che attualmente non si trova in Italia , mi ha inviato questa sua personale analisi sulla situazione politica attuale e sugli eventuali prossimi sviluppi in Italia.

Pur non condividendone i contenuti, pubblico ugualmente per dare spazio ad un amico, per correttezza,  per completezza di informazione e per suscitare reazioni.

Eventuali risposte e/o commenti potranno essere anche inviati direttamente all’autore; indirizzo e-mail che riporto al termine della riflessione.

 

Questo appello è rivolto ai neo-Senatori del MoVimento 5 Stelle affinchè valutino attentamente il loro operato al fine di non danneggiare in modo irreparabile tutti gli eletti del MoVimento.

 Analizzando la composizione sociale degli eletti del MoVimento 5 Stelle si può facilmente notare come la maggior parte di loro siano dei disoccupati, dei precari, dei cassaintegrati, degli operai, degli artigiani, dei lavoratori con Partita Iva, degli impiegati di ditte in bilico e così via mentre sono un numero veramente esiguo coloro che hanno un impiego o un lavoro autonomo ben remunerato.

L’essere stati eletti in Parlamento significa quindi per tutte queste persone con un reddito bassissimo o quasi nullo, una bella vincita alla LOTTERIA ITALIA.

Una vincita che si può quantificare in 660.000 € (S E I C E N T O S E S S A N T A M I L A euro) in 5 anni, in quanto il compenso mensile per ogni eletto sarà di 11.000 € netti (vedi Codice di comportamento eletti MoVimento 5 Stelle in Parlamento (1)).

A questo piccolo budget bisognerà poi aggiungere eventuali compensi per nomine in Commissioni, Presidenze di Commisioni e prebende varie.

E’ lecito anche chiedersi quanto tempo impiegherebbero questi eletti per recuperare la cifra sopracitata con un lavoro ‘normale’ (sempre che si riesca a trovare!) e con un salario, supponiamo, di 2.000 euro netti (e si sottolinea ‘netti’) al mese.

Il calcolo è presto fatto e dà come risultato 27 (ventisette) anni di lavoro e cioè quasi una intera vita lavorativa e senza contare che questi soldi verrebbero invece acquisiti in soli 5 anni e potrebbero quindi essere investiti per ottenere ulteriori introiti negli anni successivi.

A questo punto diventa ovvio che per tutti questi eletti la legislatura dovrà durare assolutamente 5 anni se vorranno godere di questi benefici.

Alla luce dei recenti risultati elettorali del 24/25 Febbraio 2013 l’unica possibilità che la legislatura possa giungere alla sua naturale conclusione è un accordo, in Senato (e non necessariamente alla Camera dei Deputati vista la maggioranza assoluta degli eletti del centro-sinistra), tra il Pd (che detiene la maggioranza relativa ma non quella assoluta) e altri gruppi che lo sostengano.

Constatata la non-volontà del PD di allearsi con il PDL e considerato che anche l’alleanza con la Lista Civica di Monti non avrebbe in Senato la maggioranza assoluta, diventa indispensabile che, per portare a termine la legislatura, il PD abbia l’appoggio del MoVimento 5 Stelle o perlomeno di un numero ragguardevole di eletti di questo Movimento (diciamo il 50% di loro e spieghiamo anche il perchè).

– Se gli eletti del MoVimento 5 Stelle non appoggiassero nessun governo si dovrebbe, naturalmente, ritornare al voto ed in questo caso sarebbero sicuri di essere tutti rieletti ed in particolare esattamente tutti quelli eletti nella corrente legislatura o non, e potrebbe succedere per esempio a quelli entrati per il rotto della cuffia, altri dello stesso MoVimento?

– Se gli eletti del MoVimento 5 Stelle appoggiasse un governo solo per fare le riforme indispensabili in questo momento al paese e se tra queste, malauguratamente, fosse approvato anche il dimezzamento dei parlamentari e poi si tornasse al voto, il 50% (o forse anche meno) degli eletti del MoVimento 5 Stelle verrebbe comunque lasciato al suo destino.

In entrambi i casi potrebbe succedere che molti degli eletti del MoVimento 5 Stelle sarebbero stati sì coerenti con i loro ideali ma si ritroverebbero con le saccocce vuote per aver buttato al vento una occasione, forse unica, della loro vita.

Per quanto riguarda poi una eventuale ‘scomunica’ di questi ‘transfughi’ da parte del MoVimento 5 Stelle il problema è inesistente in quanto l’articolo 67 della Costituzione Italiana afferma che l’eletto è unicamente responsabile verso i suoi elettori e di conseguenza potrebbero sempre formare un ‘Gruppo Misto’ in Senato beneficiando di tutte le agevolazioni previste per questo caso (e non sono poche!).

Bisogna inoltre sottolineare che il ‘sacrificio’ di questi Senatori eletti per il MoVimento 5 Stelle che appoggiassero il centro-sinistra PER TUTTA LA LEGISLATURA salverebbe ‘la faccia’ e  ‘l’impiego’  di tutti gli altri eletti del MoVimento.

Per tutte le ragioni sovraesposte si ritiene quindi che debba necessariamente nascere un Governo PD – MoVimento 5 Stelle (o una parte di esso) e che debba durare per tutti i 5 anni di legislatura ordinaria.

E, molto probabilmente, un grosso ‘VAFFA’ dovrà essere indirizzato a chi l’ha coniato.

Dalla parte degli ultimi, sempre !


Cesare Carlo Favro  cethai@libero.it

  

 

 

(1) Codice di comportamento eletti MoVimento 5 Stelle in Parlamento

 …..(omissis)……

Trattamento economico:

  • L’indennità parlamentare percepita dovrà essere di 5 mila euro lordi mensili, il residuo dovrà essere restituito allo Stato insieme all’assegno di solidarietà (detto anche di fine mandato). I parlamentari avranno comunque diritto a ogni altra voce di rimborso tra cui diaria a titolo di rimborso delle spese a Roma, rimborso delle spese per l’esercizio del mandato, benefit per le spese di trasporto e di viaggio, somma forfettaria annua per spese telefoniche e trattamento pensionistico con sistema di calcolo contributivo.

Personale di supporto ai parlamentari:

  • Le persone eventuali di supporto ai parlamentari se previste per legge, per la loro attività non potranno superare un rimborso economico di 5 mila euro lordi mensili.

 

Addio Tav, non servi più. Lo ammette anche Rfi

 
Addio Tav, non servi più. Lo ammette anche Rfi
 

Un documento di Rete ferroviaria italiana spiega che anche i carri merci più grandi, quelli alti 4 metri, passano già dal Frejus. Perciò ”la Torino-Lione non serve più”, come dice Tino Balduzzi militante No Tav. 

”In sostanza – spiega – francesi e italiani hanno limato nell’ultimo anno il vecchio Frejus e da alcuni mesi passano anche i treni più alti. Quindi un’altra galleria non serve più”.

www.manifestiamo.eu, 11 gennaio 2013

Come fa a dirlo con tanta sicurezza?

“La certezza viene da un documento di Rfi scoperto durante una ricerca di dati sui carri Modalohr, (visibile suhttp://site.rfi.it/quadroriferimento/files/1462-29-5-12.pdf) e contenente disegno e misure della nuova sagoma della linea del Frejus registrata dal 29 maggio 2012. Esso testimonia che le limitazioni che impedivano di caricare su treno i camion standard, alti 4 metri, non ci sono più. In base a ciò la classificazione della linea riportata sulla carta UIRR del 2011 dovrebbe passare da C30/P341 a C58/P385, ovvero 44 centimetri in più per il trasporto di mezzi stradali. La notizia sui media è passata in sordina o non è passata affatto, ma ora l’AFA, la società che effettua il servizio di “autostrada viaggiante” tra Orbassano ed Aiton, fornisce un servizio simile a quello disponibile nei tratti Novara-Sempione-Loetschberg-Freiburg e Trento-Brennero-Regensburg, fino ad ora sbandierato dai si-tav come l’obiettivo da raggiungere. Il risultato è frutto anche di un progresso tecnologico: l’utilizzo dei recenti carri francesi Modalohr, che sfruttano meglio lo spazio in altezza guadagnando circa 16 centimetri rispetto ai carri utilizzati da svizzeri ed austriaci per effettuare lo stesso tipo di servizio. Un’ulteriore dimostrazione che investire in tecnologia paga, sicuramente di più che fare dei buchi nelle montagne.”

Ci spieghi un po’ meglio questa storia di treni alti e treni bassi…

“Si potrebbe dire che è una questione di pneumatici. La stessa merce può essere caricata in un Tir alto 4 metri oppure in un container (o una cassa mobile che è quasi la stessa cosa) alto meno di 3 metri. Ma per trasportare un camion su un treno servono gallerie alte (e quindi i tunnel della cosiddetta Tav), mentre per trasportare container e casse mobili su treno vanno bene le linee esistenti, compresi i 1500 chilometri di gallerie ferroviarie basse che ci sono in Italia, utilizzando eventualmente, in certi casi, carri ferroviari leggermente ribassati. In sostanza i treni “bassi”, più corti e più leggeri, fanno lo stesso servizio dei treni “alti”, e lo fanno con costi minori.”

Per di più ci sono gli esempi virtuosi della Svizzera e dell’Austria…

“Virtuosi a casa loro ma dannosi a casa d’altri. Svizzera ed Austria sono piccoli paesi di transito che risolvono un loro problema complicando la vita ai paesi confinanti. Mi spiego meglio. Volendo diminuire la pressione del trasporto merci sulle loro strade, svizzeri ed austriaci caricano su treni speciali i camion che arrivano ad un loro confine, ad esempio quello tedesco, e li trasportano fino al confine opposto, nell’esempio quello italiano. Ma alla fine del viaggio, a Novara o a Trento, quei camion vengono rimessi sull’asfalto, andando ad intasare le autostrade italiane. Quella che l’Europa considera una prassi virtuosa fa sì che un camion che va da Amburgo a Bari percorra su ferrovia meno di 500 chilometri su un totale di 2000. Per contro una cassa mobile caricata ad Amburgo arriva fino a Bari percorrendo l’intero tragitto su treno, sulle ferrovie che ci sono, senza dover costruire nuovi tunnel e risolvendo con minor impatto ambientale il problema di svizzeri ed austriaci. Questo semplice confronto è sufficiente a ribaltare l’accusa di favorire il trasporto stradale che i si-tav fanno ai no-tav.”

Perchè da noi non se ne parla chiaramente, secondo Lei?

“La lobby degli autotrasportatori in Europa è fortissima, in grado di bloccare un continente con una serrata. La Tav conviene a loro, alla lobby dei costruttori e a chi si occupa di movimento terra. Preoccupa il fatto che importanti politici italiani favorevoli alla cosiddetta Tav siano in qualche modo legati, ad esempio, al gruppo Gavio che si occupa di autotrasporto e, attraverso Impregilo, di costruzioni. Preoccupa ancora di più il fatto che il deposito in cave di pianura di molti milioni di metri cubi di terra da scavo provenienti dai tunnel della Tav rappresentino un’occasione d’oro per chi ha dei rifiuti da smaltire illegalmente. Preoccupa infine che politica e media non dicano nulla al riguardo.”

Quindi riepiloghiamo: i carri merci più grandi passano già dal Frejus. Allora, come si è risolta la questione della pendenza dei vecchi valichi, compreso il Frejus, che secondo i sì Tav è una delle principali ragioni a favore della costruzione delle nuove gallerie?

“Chi porta quell’argomento sarebbe più credibile se prima parlasse di recupero di energia elettrica in discesa ed in frenata, cosa che, ad esempio, viene fatta sistematicamente in Svizzera. Portare un peso in alto richiede energia, ma, come l’acqua nelle centrali idroelettriche, il peso può generare energia scendendo verso il basso. Al momento, per quanto ne so, sulle linee ferroviarie italiane il recupero dell’energia avviene molto limitatamente, quasi esclusivamente nel traffico passeggeri. Anziché investire in tunnel occorre investire in quel campo.”

E su questo potrebbe lavorare l’Europa a livello di politica dei trasporti…

“L’Europa dovrebbe innanzitutto correggere l’errore di fondo di aver sposato la cosiddetta Tav/Tac, nonostante il fatto che alta capacità e alta velocità siano tecnicamente incompatibili. Troppa la differenza di velocità, troppa diversità nelle destinazioni, troppo pesanti i treni merci per linee costruite per i 300 kmh. La Tav/Tac deriva dall’influenza delle lobbies sulla politica, dal voler adattare al traffico merci succulenti progetti nati per il trasporto passeggeri e non più giustificati da volumi di traffico sufficienti. L’Europa deve spostare i finanziamenti dal trasporto stradale a quello ferroviario. In un’Europa dove quasi sempre le aziende distano troppi chilometri dal centro intermodale più vicino, le infrastrutture che servono non sono tunnel, ma strumenti e luoghi in grado di rendere più rapido e meno costoso il trasbordo delle merci tra strada a ferrovia. In questo scenario dichiararsi si-tav pretendendo di essere a favore del trasporto merci in ferrovia è solo più un atto di fede, buono solo per i politici meno informati.”

Per approfondire consigliamo di leggere:

http://noterzovalico.wordpress.com/

http://noterzovalico.wordpress.com/2012/11/30/scalpella-oggi-scalpella-domani-si-sono-scalpellati-anche-la-tav/

 

Ultima modifica Venerdì 11 Gennaio 2013 14:29

“Così ho battuto i signori del voto”

La grillina racconta la sua campagna

Da Repubblica

Valentina Palmeri ha espugnato Alcamo, tradizionale feudo del Pd: ha preso più del doppio di voti del sindaco uscente, in provincia più voti del sindaco di Trapani e del presidente della Provincia. Per la propaganda ha speso duemila euro e ne ha recuperati mille vendendo le magliette

dal nostro inviato SARA SCARAFIA

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Valentina Palmeri

ALCAMO –  “E chi se lo aspettava che nella mia città una perfetta sconosciuta prendesse più del doppio dei miei voti?”. L’ex sindaco di Alcamo Giacomo Scala, Pd, è ancora sotto shock. Alle elezioni regionali, nella Alcamo che ha amministrato per dieci anni, ha preso 2.199 voti. Valentina Palmeri, candidata del Movimento Cinque stelle alla sua prima campagna elettorale, ne ha raccolti due volte tanto: 4.682. Scala, in tutta la provincia, si è fermato a 3.060 preferenze. La grillina Palmeri ne ha totalizzate 6.852. Più dell’ex sindaco Pdl di Trapani Girolamo Fazio (6.283 voti). Più di Mimmo Turano, presidente della Provincia di Trapani fino ad agosto (6.106).

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Ma chi è, questa neo-deputata che ha sbaragliato i professionisti delle preferenze? Eccola qui, in piazza Ciullo, nel cuore di Alcamo. È quella giovane donna che si muove svelta con un bimbo di tre anni appeso al collo e una bimba di cinque che la tira per un braccio. “Onorevolessa complimenti ” le dice un anziano. Miss 6.852 preferenze  –  fisico minuto, capelli biondissimi e occhi azzurri che non si dimenticano  –  fatica ancora a crederci. 

Ad Alcamo, la città nella quale è nata 36 anni fa  –  il papà ha un’azienda che produce preparati per le pasticcerie  –  ha ottenuto il 25 per cento dei voti. Ma come ha fatto una laureata in Scienze naturali, sub con brevetto, vegetariana per amore degli animali, a ottenere un risultato come questo? Bussando in meno di un mese alle porte di tutti i negozi di Alcamo. Girando i principali comuni della provincia. Creando una pagina Facebook che in pochi giorni ha raccolto oltre mille amici. E, soprattutto, stampando i fac-simile con il suo volto pulito: “La prima volta ne ho stampati pochi, non potevo certo immaginare che me ne chiedessero a valanga”, racconta, mentre raccomanda a Giulia e Salvatore di non allontanarsi da papà Nino, proprietario di un piccolo supermercato a Calatafimi Segesta.

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Di fac-simile, alla fine, Valentina ne ha stampati più di 50 mila. Seduta al tavolino di un bar della piazza, racconta la sua impresa: quasi 7 mila voti ottenuti spendendo meno di 2 mila euro, mille dei quali recuperati vendendo ad offerta libera le magliette Cinque Stelle. Prima che inizi a raccontare, Gaspare Battaglia, proprietario del bar, chiede “il privilegio” di stringerle la mano. Valentina sorride: “Mi hanno votato perché c’era una grande voglia di dare un calcio ai partiti”.

Ma gli elettori non si sono limitati a mettere una croce sulle cinque stelle, hanno scritto il cognome Palmeri. “Mi ha votata soprattutto gente che non conosco”, dice, raccontando della proposta di candidatura che aveva ricevuto a giugno scorso dal Movimento di Trapani. “Lì per lì ho detto di no. Io, una timida per natura, candidata? “. Ma nei tre giorni successivi Valentina non trova pace. A maggio, in occasione delle comunali, aveva dato una mano al gruppo civico “Alcamo bene comune” facendo un po’ di campagna elettorale per Nicolò Solina che al ballottaggio ha ottenuto solo 38 voti in meno dello sfidante Sebastiano Bonventre, sostenuto dall’intero centrosinistra.

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“Mi ripetevo che forse era vigliacco farsi da parte. Così dopo tre giorni ho accettato”. Ma la complessa scelta dei candidati da parte del Movimento si è conclusa solo ad agosto: il 4 Valentina è stata scelta dall’assemblea come capolista della provincia di Trapani, ma della sua candidatura la giovane mamma, impiegata nell’azienda del padre, non parlava quasi con nessuno. “Ero terrorizzata dal giudizio dei miei genitori”.

Invece papà Giuseppe e mamma Rosetta le hanno dato tutto il loro sostegno. “Mio padre mi ha detto: “È giusto, dobbiamo cambiare le cose””. Solo allora Valentina si è messa in moto e ha conosciuto Elena De Luca e Alessio Tobia, due alcamesi che si sono offerti di aiutarla: “Ci conoscevamo solo di vista. Adesso siamo inseparabili “. Ha cominciato con i gazebo in piazza per distribuire materiale informativo sul Movimento. “In pochi giorni gli attivisti sono diventati una ventina”, racconta Valentina. Gli ultimi venti giorni un tour de force: “Ogni mattina prendevamo il caffè in un bar diverso e da lì cominciavamo il giro dei negozi: ci presentavamo, raccontavamo il progetto”. Nel fine settimana le passeggiate in provincia. “Alle fine, 15 giorni prima delle elezioni, abbiamo affittato a 500 euro una sede di 16 metri quadri nel corso principale, un piano terra di fronte la chiesa della Matrice “.

Poi, a una settimana dal voto, è arrivato lui, Beppe Grillo. “Piazza Ciullo si è riempita di oltre 10 mila persone: non accadeva dagli anni del milazzismo con i comizi di Ludovico Corrao del Pci”, racconta Baldo Carollo, professore di Lettere alcamese, autore de “Il sogno mediterraneo”, biografia di Corrao. Dal palco, Valentina parla davanti a tutta Alcamo. Il 28, giorno del voto, la piccola sede è gremita. Davanti alla vetrina sfila l’auto di Giacomo Scala che, rallentando, fa un cenno del capo alla sfidante. “Non ci conoscevamo, ma ho risposto al saluto “. Chissà se tornando indietro Scala si fermerebbe ancora.

(02 novembre 2012)