L’Italia in mutande va alla guerra

dedicato a chi si chiede dove si prendono i soldi per il reddito di cittadinanza

Quante e dove sono le missioni militari, “umanitarie” e no, nelle quali è impegnata l’Italia? Qual è il costo in vite e soldi? E qual è il vero bilancio della Difesa?

  di Ennio Remondino

 Pallottole e palle. C’è un aforisma attribuito all’austriaco Karl Kraus, lingua tagliente degli inizi del ‘900, che m’è sempre piaciuto. «Le guerre cominciano perché i diplomatici (e i politici Ndr) raccontano bugie ai giornalisti e poi credono a quello che leggono». Era accaduto anche a un importante politico qualche decennio fa -De Mita mi pare- che aveva creduto ai suoi propagandisti radio televisivi e aveva preso una botta elettorale tremenda. Avendo frequentato un bel po’ di guerre, posso soltanto confermare. La bugia è la regina incontrastata di ogni ammazzatoio. Anche la guerra più perversa avrà sempre una sua presunta “Idealpolitik” raccontata da qualcuno per convincere altri a farla. Con contraddizioni evidenti non soltanto morali. Esempio l’Italia che, da Costituzione, articolo 11, «Ripudia la guerra», negli ultimi 30 anni ha partecipato a missioni militari in quasi tutti i continenti. E non gratuitamente. Prezzo di vite umane pagato in contanti, 149 morti sul campo. 

 La pace armata. Limitiamoci agli anni vicini. L’Italia ha partecipato alla 2° guerra del Golfo (agosto 1990-febbraio 1991) e a numerose e presunte missioni di “peace keeping”, dall’Europa, nei Balcani soprattutto, in Africa, Medio Oriente, sino all’Asia Centrale. Vediamo dove sono stati mandati a morire i nostri militari. 51 caduti in Afghanistan, dalla missione Unsma del 1998 a quella Isaf, che dovrebbe terminare nel 2014. 39 in Iraq, operazione “Antica Babilonia” dal maggio 2003 al novembre 2006. 32 nei Balcani, dalla missione Ecmm del 1992 in Croazia a quella Kfor in Kosovo del 2012 e ancora in corso. 13 in Somalia, missione Unosom “Ibis II” dal 1993 al 2004. 11 in Libano, dalla missione Italcon “Libano 2” del 1983 a quella Unfil, tuttora in corso. 2 in Mozambico, missione Onumoz “Albatros” del 1993. 1 in Ruanda nell’Operazione Ippocampo del 1994. La cifra di 149 morti esclude malattie e sorvola sul mistero delle morti da Uranio Impoverito.

 Il Kosovo duole. La ‘Ingerenza umanitaria’ pensata dalla politica, diventa la meno credibile ‘guerra umanitaria’ della propaganda e del giornalismo di trascinamento. Prima esperienza italiana in materia, i bombardamenti sulla Jugoslavia di Milosevic per la questione Kosovo. Da testimone sul campo, qualche dettaglio meno noto o mai chiarito. Intanto è stata la prima volta della Nato contro uno Stato sovrano. Una guerra classica, verrebbe da dire, in cui l’esercito più potente del mondo ha scaricato bombe per 77 giorni sulla Jugoslavia grande come la nostra Lombardia e sul Montenegro grande come l’Umbria. Si applica l’Opzione Zero. Zero morti in casa scaricando bombe da alta quota. Più morti da imprecisione sul bersaglio. Costi economici per chi la guerra l’ha decisa e per chi l’ha subita, enormi. Migliaia di vittime civili serbe e centinaia di kosovari bersagli per errore. In più siamo stati partecipi-vittime (?) della trattativa-inganno a Rambouillet per una guerra gi à decisa. 

 Guerre al risparmio. Le missioni militari in corso sono loro stesse vittime della spending review che ha toccato anche il Ministero della Difesa. Tagli che dovrebbero comportare una riduzione delle Forze Armate a circa 150 mila unità, dagli attuali 180 mila. Meno uomini/donne, più tecnologia, ci dicono. Ma per noi contano i numeri più delle buone intenzioni. I fondi per le missioni sono il 10% del bilancio assegnato alla “funzione Difesa”, cioè alle tre Forze Armate, mentre i Carabinieri hanno un bilancio autonomo di 5,8 miliardi di euro. Il decreto legge di fine 2012 ha assegnato 935 milioni di euro per tutte le missioni in cui è impegnato il personale militare per 9 mesi, dal 1° gennaio al 30 settembre 2013. Le missioni più costose restano quella in Afghanistan, che dovrebbe passare dai 747,6 milioni di euro annuali del 2012 a 426 milioni per il 2013. E le missioni in Libano -dai 157 dell’anno precedente a circa 119 per il 2013- e nei Balcani, con tagli dai prec edenti 98,5 a circa 50. 

 Il Libia zitti zitti. In Afghanistan verranno ritirati -operazione in corso- i 200 componenti del “Provincial Reconstruction Team”, la struttura militare per la ricostruzione civile, e il contingente italiano ad Herat scenderà a 4 mila unità, mentre in Libano le Forze Armate sono a quota 1115 militari rispetto ai precedenti 1780. I tagli di 800 militari, ci raccontano che sono bilanciati dalla dislocazione del personale in altri Paesi. Sorpresa: cento militari verranno inviati in missione di addestramento, costo di 10 milioni di euro, in Libia dove opera anche la Guardia di Finanza per la manutenzione delle navi cedute nel 2009 dall’Italia a Tripoli per l’addestramento della Guardia costiera libica nel contrasto alla emigrazione verso l’Italia. Costo della missione 4,6 milioni. Costo della guerra di marzo-ottobre 2011, 202 milioni di euro. Duecento rinforzi saranno assegnati alle Forze Nato in Kosovo, dove l’Italia ha un contingente di 650 militari e prevede ulteriori rinforzi. 

 Poi i Mali minori. Vi sono poi, semi clandestine o semi sconosciute diverse missioni minori. Per il conflitto in Mali, mentre l’Ue ha stanziato 20 milioni di euro per aiuti umanitari nel Paese, l’Italia ha destinato 2 milioni per personale militare alla missione europea Eucap-Sahel. Un primo gruppo di addestratori militari, da 15 a 24, parte dei 200 previsti dall’Ue, e trasporto aereo. Due C 130 e un 767 per il rifornimento in volo. In Mali la base operativa italiana potrebbe essere a Bamako o nel Niger, dove la missione Eucap-Sahel è già attiva. Secondo il governo, ministro-ammiraglio Di Paola- sarebbero necessari circa 100 militari. Esattamente quanti sono schierati ad Al Bateen, negli Emirati da dove seguono le operazioni logistiche da e per l’Afghanistan e, prima, per l’Iraq. Da affiancare a quelli già schierati -udite udite- in Congo, Sudan, Uganda, Minurso nel Marocco con team di 3-5 persone e a Gibuti dove ci sono una decina di marò. Scommessa si quanti sape vano. 

 Italia planetaria. L’Italia con le stellette è, insomma, in grado di sorprendere. Intanto perché i nostri militari sono bravi. Poi perché sono sostanzialmente tenuti nascosti dalla parte politica che li manda in missione per il mondo. Alcuni esempi. In Uganda, dall’agosto 2012, l’Esercito ha un team a Kampala per addestrare le milizie locali a contrastare gli jihadisti della Somalia e della Regione dei Grandi Laghi. In Kenya, dal novembre 2012 è stata avviata un’intesa sulle questioni della sicurezza. Tra un po’ saremo anche lì. E come dimenticare il Pakistan? Cooperazione alla sicurezza, fornendo 500 veicoli blindati M 113 al Pakistan, 3 veicoli blindati e 10 semoventi a Gibuti e materiale ferroviario in Eritrea. Per le missioni anti pirateria di Ue e Nato sono destinati 34 milioni e 144 per la copertura di assicurazione e trasporto e per le infrastrutture necessarie alle missioni. Il brutto incidente dei due Marò ancora detenuti in India non fa parte della pianif icazione dei costi.

 Bilanci ballerini. Il vero segreto militare difficile da superare, per assurdo, è quello dei conti. Sui budget esistono dati contrastanti. Secondo il Ministero della Difesa i tagli ammontano a 236,1 milioni per il 2013, 176,4 nel 2014 e 269,5 nel 2015. Ma. Gli allegati tecnici della recente legge di stabilità prevedono un incremento del bilancio. In sintesi, il budget della Difesa cresce da 19.962 milioni di euro del 2012 a 20.935 del 2013 fino a 21.024 nel 2014, con un aumento delle risorse del 5,3% in tre anni sulla base dell’assunto che la Difesa inciderebbe poco sul Pil italiano: lo 0,84% nel 2012, contro una media europea dell’1,61%. Due questioni da chiarire. Prima, i presunti risparmi da spending review. Pare di capire che si sia tagliato qualche soldo rispetto ad un consistente aumento di spesa già programmato. Ci sono di mezzo i tanto discussi cacciabombardieri F-35 o quello è un conto a parte? Poi il giallo sull’incidenza della spesa militare sul Pil. Qualc uno gioca coi numeri. 

 Chi conta frottole. La Nato -citando informazioni fornite dal Governo italiano- presenta dati ben diversi secondo i quali il budget della Difesa sarebbe stato nel 2011 di 21,7 miliardi di euro, l’1,4% del Pil, mentre secondo l’Istat, lo stesso anno sarebbero stati spesi oltre 25 miliardi, l’1,6% del PIL, in linea con le richiesta della Nato e degli altri Paesi europei. Due “verità” da usare a seconda della convenienza o problema di ‘fonti’? Nel 2010 alcuni dei più importanti paesi europei hanno tagliato le spese per la difesa. Il Regno Unito le ha ridotte di più del 10%, la Spagna di quasi del 4%, l’Italia di circa il 2%, mentre la Germania e la Francia le hanno mantenute sostanzialmente stabili (+0,3%). Sulla incidenza “variabile” del bilancio Difesa ecco il possibile trucco. Calcolo stretto alla “funzione difesa”, ossia ai costi relativi al funzionamento delle Forze Armate: personale, addestramento, equipaggiamenti, ricerca, e infrastrutture. Escludendo ad esempio le pensioni.

 Nuove tentazioni. Il 28 febbraio a Roma, i ministeri degli Esteri di 11 Paesi “Amici della Siria”, fra cui, oltre all’Italia, Usa, Gran Bretagna, Egitto, Turchia, Arabia Saudita, Giordania e Qatar, hanno confermato al leader della “Coalizione Nazionale Siriana” l’aiuto umanitario di 60 milioni di dollari per la Cns e l’ “Esercito Libero Siriano” al quale verrà fornita anche “assistenza non letale” e “un supporto diretto di tipo politico e materiale”. Geniale quell'”assistenza non letale”. Petardi? L’Italia ha annunciato il riconoscimento della Cns come “unico legittimo rappresentante del popolo siriano” e assicurato un’assistenza “più mirata interna alla Siria”. Tradotto: si ripropone il “modello libico” con un intervento militare esterno adeguato a invertire i rapporti delle forze in campo. La Russia critica ha ammonito su un esponenziale aumento della violenza in tutta l’area. Il 4 marzo almeno 33 soldati siriani e 7 iracheni sono stati uccisi un’imboscata al confine di Yaarubiyeh. 

 Garante di questi intento romani pacificatori, lo Sheykh egiziano trasferito in Qatar e predicatore anti-siriano dell’emittente “Al Jazeera”. Chi bene comincia . . .

http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=41111&typeb=4&Loid=112&L-Italia-in-mutande-va-alla-guerra

 

L’Italia in mutande va alla guerraultima modifica: 2013-03-13T18:40:00+01:00da davi-luciano
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