Ex Ufficiale USA confessa: “Lo Stato Islamico è un mostro che è stato creato da noi”

in questi giorni i tigi ci stanno preparando al fatto che sia lecito da parte Usa bombardare la Siria.
Il tg3, informa che il Pentagono li ha già approvati mentre la Francia si è già data da fare bombardando in Iraq, un presunto centro di addestramento di estremisti islamici.

Ma la logica, la dottrina Bush nata all’indomani dell’11 set, fatta propria dal pacifista Obama, non era quella di colpire la nazione sospetta di finanziare il terrorismo? Non dovrebbero essere bombardati quindi gli Usa????? Non è infatti un sospetto che  centri di addestramento mercenari, islamisti o meno, siano finanziati dagli Usa per destabilizzare nazioni. Sono quei tizi, tagliagole, che i media e i dirittoumanisti chiamano RIBELLI.

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settembre 16 2014

Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sul come siano nati e su chi abbia armato e fornito supporto ai gruppi dei miliziani islamici presenti in Siria ed in Iraq, questi dubbi sono stati fugati dalla confessione fatta da Kenneth  O’ Keefe, un ex ufficiale delle forze armate USA, il quale conosce il reticolo di trame dove è nato il gruppo jihadista dello Stato Islamico.
Lo Stato Islamico è “la creazione di un mostro, di un Frankenstein creato da noi statunitensi”. Un ex ufficiale della Marina degli USA, Kenneth O’ Keefe, rivela in una intervista questi ed altri fatti scioccanti circa il ruolo degli Stati Uniti nella creazione del gruppo terrorista.
L’ex ufficiale (con molti anni di servizio) non mette in alcun dubbio il fatto che gli estremisti dell’EL, che operano in Iraq ed in Siria, siano stati finanziati dagli USA attraverso i suoi rappresentanti come il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. “In realtà tutti questi miliziani sono una nuova veste ribattezzata di Al Qaeda, che di sicuro non è niente più che una creazione della CIA”, afferma O’Keefe.
O’Keefe riferisce in una intervista alla ” Press TV” che gli jihadisti non soltanto hanno ricevuto dagli Stati Uniti “il miglior equipaggiamento nordamericano” come il sistema di blindatura personale, i blindati da trasporto truppe e l’addestramento, ma gli è stato anche permesso di diffondersi attraverso le frontiere in molti altri paesi del Medio Oriente. “Tutto questo è stato  fatto sotto l’auspicio di rovesciare il regime di Bashar al-Assad in Siria”, afferma O’ Keefe.
L’esperto militare si trova anche d’accordo con l’opinione di alcuni analisti i quali ritengono che gli USA stanno utilizzando tutta questa situazione come una “porta di servizio”, perseguendo il loro obiettivo fondamentale di eliminare il Governo di Al Assad.
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“Lo stesso padrone si vede in Iraq ed in Afghanistàn”, aggiunge l’ex ufficiale.
Il popolo statunitense, secondo O’Keefe, non può vedere la situazione vera per gli effetti della propaganda. “Sarebbe assurdo pensare che il popolo statunitense sia tanto sintonizzato nella comprensione di quello che realmente sta accadendo come per non essere abbindolato in un’altra guerra che non farà niente più che distruggere chiunque partecipi in questa”, conclude.
Tratto da Contrainjerencia
Traduzione di Luciano Lago per Controinformazione
Foto in alto: l’ex ufficiale Kenneth O’ Keefe
Nella foto in basso: l’ex ufficiale durante una missione

Islam spavaldo: in Germania la “Polizia della sharia”

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settembre 15 2014
Il volto del loro leader, sulla foto di gruppo, è sorridente, ma davvero non ve n’é motivo: un gruppo di islamici salafiti ha allestito una sedicente “Polizia della sharia” nella Renania del Nord-Westfalia, in Germania. E proprio questa, “Shariah Police”, è la scritta, che campeggia sui loro giubbetti arancioni “d’ordinanza”. Partita da poco, già ha attivato veri e propri turni di ronda notturna per le strade di Wuppertal.
 
Quali gli scopi di tale iniziativa? Ufficialmente quelli di rimproverare le donne musulmane sorprese senza velo e di esortare gli uomini a non bere alcoolici, a non ascoltare musica ed a non scommettere denaro. Fitta è la propaganda, con cui han cercato di far conoscere la propria attività: hanno postato anche un video su YouTube, video in cui chiamano «fratelli» i propri correligionari.
 
Eppure i loro capi non sono certo dei boy-scout: si tratta di Sven Lau, un Vigile del Fuoco tedesco convertitosi all’islam nel 1998, e di Peter Vogel, ex-pugile divenuto predicatore radicale. I due non sono certo sconosciuti ai servizi segreti tedeschi, secondoL’Alsace: il primo è stato perseguito per aver incitato dei giovani ad unirsi alle truppe jihadiste in Siria ed il secondo si è fatto conoscere, proponendo di «tagliare le mani ai ladri». Finora – che si sappia – sarebbero riusciti a riunire a loro una decina di adepti.
 
Si tratta di un’iniziativa per ora isolata, ma che ha già comprensibilmente suscitato un certo allarme in Germania, tanto da indurre il Cancelliere, Angela Merkel, a chiedere una legislazione più severa per contrastare la propaganda islamica, nonché ad intervenire in televisione per precisare come «nessuno sia autorizzato a sostituirsi alla Polizia», tanto meno costoro.
 
Secondo Le Parisien le autorità hanno sporto denuncia per «violazione della legge sulla libertà di riunione», ma diversi giuristi han già fatto notare come al momento nessuna normativa, in Germania, vieti di dare consigli religiosi in strada. Si profila dunque una nuova battaglia religiosa, culturale, sociale, giuridica ed ideologica ad un tempo.
 

Più facile recuperare i crediti

cancellata quindi ogni tutela nei confronti degli sciacalli delle banche e finanziarie? Un grande stato di diritto, del più forte.

Di Antonio Ciccia

Anagrafe dei conti aperta ai creditori: potranno chiedere al giudice l’autorizzazione a far cercare dall’ufficiale giudiziario beni da pignorare al debitore tramite banche dati, compresa l’anagrafe tributaria. L’anagrafe dei conti sarà un libro aperto per i tribunali anche per le procedure fallimentari, separazioni e divorzi. Si squarcia, dunque, il velo della privacy del debitore inadempiente e si autorizza una verifica a tappeto sui patrimoni e sui redditi di chi si sottrae alle proprie obbligazioni. Il principio della conoscibilità, per ragioni di giustizia, di patrimoni e redditi è codificato dal decreto legge di riforma della giustizia civile, oggi all’esame del consiglio dei ministri, che fornisce gli strumenti giuridici per consentire ai creditori (privati, imprese, enti pubblici) di arrivare effettivamente a realizzare il proprio credito. Stop, dunque, ai furbetti del debito, capaci di sfruttare ogni maglia troppo larga del processo esecutivo e di nascondere la propria ricchezza al creditore inerme. Il decreto legge di riforma della giustizia civile, nel testo disponibile, dunque, fornisce la base giuridica per consentire al creditore, previa autorizzazione del giudice e a mezzo dell’ufficiale giudiziario, di sapere anche le informazioni sui rapporti finanziari inviate da banche poste e altri istituti finanziari all’anagrafe tributaria. Viene così espressamente risolta, con una normativa ad hoc, la questione della tutela della riservatezza del debitore: si procederà con una autorizzazione giudiziale mediante una procedura stabilita dalla legge e, si legge nel decreto, senza nemmeno bisogno di fornire l’informativa prevista dall’articolo 13 del codice della privacy. D’altra parte l’articolo 2740 del codice civile prescrive che il debitore risponda delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri: questo significa che l’effetto tipico di ogni contratto è la responsabilità patrimoniale del debitore, che non ha diritto a occultare il patrimonio al creditore. Il decreto legge abilita all’accesso tutti gli ufficiali giudiziari. La normativa dovrà essere attuata con un decreto del ministero della giustizia, che dovrà anche definire le precauzioni a tutela della riservatezza (come le misure di sicurezza e la tracciabilità degli accessi). Questo non significa che le novità siano accantonate in attesa di disposizioni attuative: il decreto stabilisce che il creditore, nelle more, ha diritto di rivolgersi direttamente ai gestori delle banche dati per ottenere le informazioni utili all’esecuzione.
http://www.italiaoggi.it/news/dettaglio_news.asp?id=201408282018175364&chkAgenzie=ITALIAOGGI&titolo=Pi%C3%B9%20facile%20recuperare%20i%20crediti

Ecco perché non è follia dare i soldi Bce alla gente

Di Giampaolo Rossi, il 15 settembre 2014

La moneta al popolo! Detta così, sembra una frase da aizza-folla, da Masaniello degli anni 2000, eppure è un’idea che circola con sempre maggiore frequenza tra gli economisti.

L’idea è questa: stampare denaro in grande quantità e darlo direttamente al popolo (cioè ai cittadini, ai consumatori) senza passare per la mediazione delle banche; probabilmente è l’unica maniera affinché il denaro entri direttamente nell’economia reale rivitalizzando produzione e consumi.

Il meccanismo attuale prevede che le Banche centrali (Fed o Bce che siano) immettano denaro nel sistema dandolo alle banche private a tassi irrisori (più vicini allo zero) e affidandosi poi al fatto che siano le banche stesse ad alimentare la politica di credito. Un meccanismo che non funziona: il denaro ricevuto le banche se lo tengono stretto per coprire i loro bilanci disastrati e reintegrare i loro attivi. La tranche di liquidità che nel dicembre del 2011 la Bce iniettò nel mercato portò nei conti delle banche italiane circa 60 miliardi netti ad un tasso dell’1%. A gennaio 2012 le stesse banche acquistarono circa 69 miliardi tra Btp (ad un rendimento medio del 3,5%) e obbligazioni bancarie; a imprese e famiglie non andò nulla. Stessa cosa avvenne con la successiva operazione da 80 miliardi.

Anatole Kaletsky, economista della scuderia di George Soros, ha spiegato che se la grande quantità di denaro creato dalle banche centrali fosse andato ai cittadini sarebbe equivalente a 6.000 dollari a testa per ogni uomo, donna e bambino Usa e 6.500 sterline per ogni inglese».

Conti alla mano, se gli oltre 1.000 miliardi di euro che Draghi stampò nel 2012 attraverso le due operazioni Ltro della Bce fossero stati dati direttamente a noi, ogni cittadino europeo si sarebbe messo in tasca più di 3mila euro: una famiglia francese, italiana o spagnola di quattro persone, avrebbe avuto a disposizione 12mila euro per rilanciare i consumi, investire o anche solo ridurre la propria esposizione debitoria (altro che gli 80 euro di Renzi ai suoi elettori). L’idea percorre la storia dell’economia da decenni: già Milton Friedman, premio Nobel per l’Economia, suggeriva di prendere un elicottero e di lanciare banconote alla popolazione per stimolare le fasi di crisi. Nel 1998, Ben Bernake, allora non ancora presidente Fed ma solo professore universitario, sollecitò la Banca Centrale del Giappone a dare contanti direttamente alle famiglie per affrontare la crisi.

Recentemente su Foreign Affairs , una delle più importanti riviste di analisi internazionale, gli economisti Mark Blyth e Eric Lonergan hanno rilanciato l’idea: «non serve pompare migliaia di miliardi di dollari di nuovo denaro nel sistema finanziario», generando «un ciclo dannoso di boom e crisi, deformando gli incentivi e distorcendo i prezzi delle attività» ma occorre pensare a qualcosa di «simile ai soldi lanciati dall’elicottero di Friedman». Una soluzione che «nel breve termine, potrebbe far ripartire l’economia; nel lungo termine, ridurre la dipendenza della crescita dal sistema bancario». Insomma, «la moneta al popolo» non è più accolta come una suggestione bizzarra.

Perché fino ad oggi nessuno ha mai avuto il coraggio di rivendicarla? Per due ragioni, una tecnica ed una politica. Quella tecnica attiene alla paura di rischi inflazionistici; problema inesistente in una fase in cui l’economia mondiale scivola verso la deflazione.

Stampare denaro, poi, e darlo direttamente ai cittadini significa ridurre il potere delle potentissime lobby bancarie.

Questo, forse, è l’ostacolo maggiore perché potrebbe sdoganare ciò che per le oligarchie tecno-finanziarie è un tabù: la «proprietà popolare» della moneta fa passare il principio che il denaro, al momento della sua emissione, non appartiene ai banchieri ma ai cittadini. Una vera rivoluzione.

Giampaolo Rossi
http://www.qelsi.it/2014/ecco-perche-non-e-follia-dare-i-soldi-bce-alla-gente/

Indossa il burqa e si finge la mamma: preleva bimba di 5 anni da scuola e la violenta per ore

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settembre 15 2014
 
di Federica Macagnone
 
USA, 13 settembre 2014 – Dietro quel velo non c’era il volto della mamma. Sotto quell’abito che le sembrava così familiare, in realtà, si nascondeva Christina Regusters, la ragazza che per 19 ore l’avrebbe tenuta lontana dall’affetto dei suoi cari per violentarla prima di abbandonarla nel cuore della notte in un parco.
 
La bambina, che oggi ha 7 anni, nel gennaio 2013 venne prelevata dalla scuola Bryant Elementary School di Philadelphia da una donna vestita con il niqab tradizionale, l’abito musulmano lungo e nero che nasconde il volto. «Sono la mamma – disse ai funzionari della scuola – porto mia figlia a fare colazione fuori». La donna, all’epoca 19enne, non venne identificata e poté portare via indisturbata la bambina. Furono necessarie 8 ore prima che il personale scolastico si rendesse conto che qualcosa non andava: la piccola, infatti, era sparita e la mamma, quella vera, la stava cercando disperatamente.
 
La bimba, nel frattempo, era stata bendata e condotta nella casa degli orrori. Agli investigatori ha riferito di essere stata nascosta sotto un letto durante la prigionia e di aver subito degli abusi sessuali. Un calvario durato fino a notte fonda, quando la donna ha deciso di abbandonarla al parco giochi Upper Darby: alle 4.40 un uomo che passava nelle vicinanze ha sentito urla provenire dall’interno e ha trovato la piccola seminuda che piangeva a dirotto con addosso solo una lunga maglietta.
 
A incastrare l’insospettabile Christina, che si occupava di infanzia, è stata una serie di indizi, compresi numerosi dettagli riferiti dalla coraggiosa bambina durante il processo: la donna è stata ripresa dalle telecamere di sorveglianza della scuola. Conosceva la vittima perché si era presa cura del suo fratellino e il DNA ritrovato sulla maglietta indossata dalla piccola al momento del ritrovamento era il suo.
 
Per chiudere il cerchio la bimba ha riferito che durante le violenze c’era un pappagallo parlante nella stanza. E Christina ne possedeva uno. I pubblici ministeri hanno trovato nella cronologia internet del pc della ragazza siti di pornografia infantile, anime giapponesi in cui c’erano torture su bambini e una pagina web su come distruggere la prova del DNA.
 
La difesa di Christina ha sostenuto che tre persone in quella casa avrebbero potuto sentire le grida durante gli abusi e ha proposto una teoria alternativa: la sua cliente ha aiutato un uomo senza nome a commettere il crimine. Tuttavia la versione non ha convinto la giuria che ha dichiarato colpevole la ragazza. La condanna è prevista per il 15 dicembre: su di lei pendono le accuse di rapimento, aggressione aggravata e rapporto sessuale con una minore.
 
La famiglia della vittima ha citato in giudizio il distretto scolastico di Philadelphia per aver lasciato che la figlia fosse prelevata da scuola senza che l’adulto venisse identificato e per non essersi accorti della mancanza della piccola se non dopo ore. La bimba ha subito lesioni devastanti ed è stata sottoposta a una colostomia: adesso frequenta la seconda elementare e, giorno dopo giorno, sta lentamente tornando a una vita normale.
  

Ucraina. Le madri dei separatisti ricevono le teste decapitate dei loro figli in scatole di legno

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settembre 12 2014
Se non è barbarie questo, cosa lo è? Non siamo in Siria o Iraq dove il tristemente famoso califfato IS sta portando avanti la guerra del terrore contro  l’umanità  e il mondo tutto; siamo in Europa ,  in Ucraina, la guerra sostenuta dall’Europa  di Bruxelles e da tutti i suoi aderenti, compresa Roma. Ecco la nuova etica romana che sostengono i neonazi finanziati dalla UE e addestrati da polacchi e americani… Altro che vergogna è questa, questa è pura barbarie! Sa Defenza
Ecco cosa stanno ricevendo le madri dei separatisti  del Donetsk nell’est dell’Ucraina.
 
 Le teste dei loro figli in scatole di legno. Una notizia apparsa il 10 settembre e che i media “ufficiali” non diffondono.
 
Al momento dicono le autorità di Donetsk non sanno quante di queste macabre scatole siano state mandate alle famiglie dei combattenti separatisti.
 
 L’unica certezza è che tutte queste teste, identificate, corrispondono a separatisti che combattevano nei pressi di Donetsk. Secondo le fonti, sarebbero stati fatti prigionierio abbattuti in combattimento le milizie che sono stati catturati dai ribelli neonazisti di “Pravy Sector ” (settore destro).
 
E’ barbarie allo stato puro ma sono immagini che non vanno nascoste, perché sono la realtà di quanto accade alle porte dell’Europa.
video al link
 

Botswana. Hanno cacciato un popolo e distrutto la loro terra, bisognava costruire una miniera di diamanti

di Salvo Ardizzone

Circa trent’anni fa, erano i primi anni ’80, vennero scoperti i diamanti a Gope, nella Central Kalahari Game Reserve, la terra ancestrale degli ultimi Boscimani in Botswana. Cominciarono campagne di sfratti illegali e forzati di quelle popolazioni, avvenuti nel 1997, 2002 e 2005, con la scusa ridicola di preservare l’area perché la loro presenza era “incompatibile con la conservazione della fauna” (con cui i Boscimani convivono da millenni). Per questo il Governo s’è rifiutato di riaprire i loro pozzi, ne ha limitato l’ingresso nella Riserva (di fatto impedito) e vietato l’accesso del loro avvocato nel territorio, come denuncia Survival International, un movimento internazionale in difesa dei diritti dei gruppi indigeni. 

La realtà, malgrado i governi che si sono succeduti l’abbiano sempre negato, è quella che s’è lasciata sfuggire l’allora Ministro per i Minerali, l’Energia e l’Acqua già nel 2000 parlando a un quotidiano: “Il trasferimento delle comunità boscimani vuole spianare la strada al progetto di una miniera di diamanti a Gopa”. Tesi ribadita nel 2002 dall’allora Ministro degli Esteri, il generale Marafthe, quando disse chiaro in faccia alla gente che doveva togliersi di lì per i diamanti; e sotto quella riserva ce ne sono tanti, secondo stime per 4,9 Mld di $, più che sufficienti a mettere da parte ogni scrupolo. 

Il governo anche adesso continua a negarlo con forza, ma ora è praticamente ufficiale, Survival International comunica che a giorni la miniera aprirà; cosa c’entri la tanto vantata “conservazione” con gli enormi sbancamenti e il fracking che devasterà irrimediabilmente qual territorio unico, rimasto immutato per millenni, bisognerebbe chiederlo al presidente Khama, che dell’ambiente ha fatto ipocritamente una bandiera. Per questo viene addirittura elogiato da organizzazioni come Conservation International, pronte ad applaudire stucchevoli discorsi di facciata, svolgere pingui progetti cofinanziati e chiudere entrambi gli occhi sulle lampanti violazioni dei diritti umani. 

Per i Boscimani e per Stephen Corry, direttore generale di Survival, la battaglia non è tuttavia conclusa; purtroppo, nel mondo quale è adesso, la lotta contro quasi cinque Mld di diamanti è troppo impari.  

da Il Faro sul Mondo

Ripreso il processo “del compressore”

Molotov e intercettazioni telefoniche, i testi spiegano. L’aula strapiena, il pubblico chiede più volte il rispetto dei numeri, “siamo 48 e la polizia non ci fa arrivare a 60”.

di Gabriella Tittonel.

“Il Giudice non decide niente, decidiamo noi” – questo affermato da alcuni esponenti del Servizio investigativo al gruppo di persone che chiedevano, dentro e fuori l’aula bunker, di poter entrare in aula fino a sessanta presenze, così come da accordi presi in precedenza. Affermazione che ha suscitato rumorose proteste, scemate con la soddisfazione della richiesta. Così si è aperta oggi, dopo la pausa estiva, l’udienza ormai nota come “del compressore”, udienza partita a ritmo ridotto, dovuto in parte proprio dal riprendere un dibattimento che vede a tutt’oggi in prigione, dal 16 dicembre dello scorso anno quattro ragazzi e dal 10 luglio scorso, per gli stessi fatti, altri tre.

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Con un po’ di nervosismo iniziale e con l’assenza, dovuta a un incidente avvenuto sulla Torino-Milano, fino alle ore 11 di due avvocati della difesa, Pelazza e Losco, è iniziato il processo, che ha visto la deposizione di tre teste, di Strapanzano Fabrizio, della Polizia Scientifica della Questura di Torino, che ha relazionato sui rilievi effettuati sui reperti trovati nella mattinata del 14 maggio 2013, di Muffo Paolo, Digos della Questura di Torino, che si è occupato della trascrizione delle intercettazioni telefoniche, redatte il 30 maggio 2013 e Luigi La Sala, consulente balistico della Procura.

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Minuziose le descrizioni dei reperti ritrovati, la descrizione dello scenario in cui si sono fotografati e poi prelevati, lavoro minuzioso che ha sofferto in seguito del passaggio da una mappa a una formattazione in pdf e che lascia alcuni interrogativi ancora tutti da chiarire. Con qualche curiosità, una di queste non soddisfatta, della domanda dell’Avv. della difesa Novaro che verteva sul numero rilevato di bottiglie inesplose e di colli di bottiglie utilizzate.

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E inquietante, per coloro che non ne sono a conoscenza, la relazione sulle intercettazioni telefoniche, un vero e proprio orecchio sempre vigile, pronto ad utilizzare informazioni, chiaramente non esaustive e facilmente riutilizzabili con significati diversi. In questo senso va la perplessità avanzata dall’Avvocato Losco che ha chiesto di poter contare su una perizia sulle intercettazioni da parte di un consulente informatico che sia esperto di riconoscimento della voce, cosa questa non ancora avvenuta. Nella prossima udienza dovrebbe essere affrontata la questione.

Mentre si è fatta chiarezza sulle qualità degli artifici utilizzati. Anche oggi sono stati presenti alcuni spezzoni di filmati e alcune fotografie. Su un cantiere del quale si parla molto, ma che è, questa è l’impressione che se ne coglie, conosciuto da pochi. Col rischio di trasformare un luogo concreto in un luogo dell’immaginario, una sorta di set cinematografico. Sul quale i giurati dovranno dichiararsi. E del quale pare sia certamente più importante l’aspetto degli affari piuttosto che quello delle relazioni umane e dell’ascolto.

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Con il termine dell’udienza, con i saluti da parte dei famigliari e degli amici ai quattro imputati, la questione del processo, dei processi su quest’opera, si è spostato altrove, in piazzetta Nizza, sempre a Torino, per condividere con la gente comune della città una situazione altrimenti “patrimonio” delle parti interessate e degli organi di informazione e per tenere, nel pomeriggio un’assemblea. In aula si ritorna mercoledì 24 settembre.

G.T. 18.09.14

Tav: Renzi non si presenta e intanto il cantiere è in enorme ritardo

http://www.infoaut.org/index.php/blog/no-tavabenicomuni/item/12716-tav-renzi-non-si-presenta-e-intanto-il-cantiere-%C3%A8-in-enorme-ritardo

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La giornata di oggi ha visto infine il premier Renzi abbandonare l’ipotesi di una visita a Chiomonte dopo innumerevoli tentennamenti e smentite, ma ha visto comunque 200 No Tav prendere i sentieri della Clarea da Giaglione e da Chiomonte per raggiungere il cantiere e ribadire di essere sempre pronti a mobilitarsi in caso di future visite sgradite (già si mormora che, per accontentare i colleghi di partito Esposito e Chiamparino – oggi rimasti a bocca asciutta – il premier potrebbe tornate a Chiomonte a metà Ottobre…).

Di seguito riportiamo un articolo pubblicato ieri su notav.info che fa il punto sulla situazione dei lavori all’interno del cantiere, oggi tirato a lucido in caso di comparsa di Renzi, ma nei fatti in enorme ritardo rispetto ai tempi previsti:

Oggi non basterà un “selfie” di Renzi per risvegliare dal coma il cantiere di Chiomonte. E nemmeno a salvare la Torino-Lione, ormai più improponibile che inutile. Dopo anni di lavori a passo di lumaca, il “giorno del giudizio” europeo si avvicina ad alta velocità (l’unica vista finora). L’ennesimo fiasco è annunciato. Ma andiamo con ordine.

Primo: a che punto siamo? A zero, sia Italia che in Francia. Zero scavi per il megatunnel sotto le Alpi, del quale manca persino il progetto definitivo. Ma allora cosa stanno facendo a Chiomonte? Solo un cunicolo di esplorazione della roccia, non ci passeranno mai treni e binari. Dicono serva per capire se il megatunnel si può fare o no.

Ordunque, a che punto sono i lavori di questa galleria accessoria? Ad un misero 16%. Il sito di Lyon Turin Ferroviaire (LTF, la società pubblica italo-francese che deve fare l’opera) è laconico: 11 settembre 2014, 1242 m. La versione ufficiale recita che gli scavi stanno procedendo senza reali problemi”. Ma la matematica non ha pietà delle visioni oniriche dell’Architetto Commissario Virano. Altro che pieno ritmo”, il ritardo è impressionante. Vediamo di quanto e a cosa è dovuto; le ragioni sono due, forse tre.

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La prima è l’inesorabile lentezza della “talpa”. Lo scavo meccanizzato è iniziato il 12 novembre 2013 a quota 235 metri. Il progetto prevedeva 10 m/giorno. Una banale moltiplicazione ci dice che oggi (10 mesi ovvero oltre 300 giorni dopo) sarebbero stati ampiamente superati i 3,2 km di scavo. Ma così non è stato e siamo ancora 1,2. I “dieci metri al giorno” nessuno li ha mai visti (Figura 2), eccetto che nei resoconti naif del Commissario Architetto Virano.

La seconda ragione è più curiosa. Poco tempo a disposizione? Macché! 40 mesi di cantiere, per la precisione dal 27 giugno 2011 (data del famoso sgombero stile “Apocalypse Now”). “Chi ha tempo non aspetti tempo” dice l’adagio ma qui è andata al contrario. Per un anno e mezzo di scavi manco a parlarne; in compenso molte preparazioni, recinzioni e … “asfaltature”, qualcuna pare decisamente “imbarazzante” (goo.gl/efduZ6). Bisogna aspettare fino a gennaio 2013 per i primi lentissimi metri. A novembre, quando parte la talpa, ormai è tardi. E lo sanno già tutti.

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Con l’Europa è difficile far passare fiaschi per fischi. Tantomeno vendere per finite gallerie che non lo sono, soprattutto quanto si è recidivi. Il cunicolo di Chiomonte doveva già essere terminato a fine 2013, questa era la scadenza presentata nella richiesta di finanziamento. Poi la Commissione Europea ha gentilmente concesso una proroga di due anni ovvero fino al 31 dicembre 2015.

Siamo quindi in “zona Cesarini” eppure i lavori sono ancora agli inizi. Ci sono voluti circa 20 mesi per realizzare appena il 16% del cunicolo. Ora mancano 16 mesi alla scadenza-capestro europea (Figura 1), poco credibile che siano sufficienti per scavare il restante 84% (6,3 km di 7,5 totali).

Con il ritmo registrato finora, a fine 2015 lo scavo della galleria sarà solo a metà (Figura 2). E non basterà un ologramma dell’Osservatorio Virano per materializzare il pezzo mancante. Nel marzo 2013, l’Unione Europea aveva già dimezzato i fondi per la Torino-Lione, a causa dei suoi reiterati ritardi (goo.gl/qdR5qU). Indovinate cosa farà adesso.

Buona gita signor Presidente del Consiglio, ci mandi una foto con la talpa che dorme.

Pista da Bob. Cosa c’è sotto/2. La storia nascosta sotto ai parcheggi dell’impianto olimpico di Cesana Pariol.

Importanti ritrovamenti archeologici a Cesana testimoniano la presenza di un centro urbano sin dal III sec. d.C. Venuti alla luce, giusto il tempo per far posto a parcheggi.

di Barbara Debernardi

Nel 1962 nella città danese di Roskilde vennero casualmente scoperte 5 navi vichinghe. Letteralmente attorno a quelle navi si decise di costruire un museo. Nel 1997 il museo è stato ulteriormente ampliato con un’isola e un porto e nello spazio antistante è stato recentemente allestito un cantiere navale in cui i visitatori (e si tratta di molte migliaia ogni anno) possono anche osservare la costruzione di navi tradizionali.

Ci si potrebbe legittimamente chiedere quale sia il legame fra 5 navi vichinghe e una pista da bob in attesa di smantellamento.

Presto detto. Nel 2003 a Cesana, in località Pariol, proprio nel corso della costruzione del complesso olimpico, venne casualmente scoperta una necropoli composta da 9 tombe a inumazione, orientate sull’asse est/ovest, limitate da lastre di pietra, ancora parzialmente dotate di corredo funebre: una coppia di orecchini d’argento cesellati, del VII secolo e un altro in bronzo del V secolo. A poco più di 30 metri dalla necropoli vennero inoltre portate alla luce una abitazione con fondamenta in pietra a secco, sovrapposta a strutture più antiche, e una grande capanna circolare, delimitata da buche di fondazione, destinate ad accogliere una palificazione importante per struttura e dimensioni. Monete e resti di ceramica, di quello che dai sondaggi effettuati su più vasta area, ha tutta l’aria di essere un villaggio piuttosto esteso, hanno cominciato a fornire alcune datazioni, che vanno dal III all’VIII secolo, testimoniando una frequentazione che va almeno dall’età romana al periodo carolingio.

Di tale importante ritrovamento si è avuta notizia quasi esclusivamente nel mondo degli addetti ai lavori (per esempio nei Quaderni della soprintendenza archeologica del Piemonte e sulla rivista Segusium), ma di certo non è accaduto nulla di paragonabile a Roskilde. Infatti, anziché bloccare i lavori per il parcheggio della pista da bob, proseguire l’indagine (come suggerito dagli stessi archeologi Federico Barello e Marco Subbrizio, nei Quaderni sopra citati), immaginare un museo e quindi trasformare l’area in un luogo di cultura e di attrazione turistica, si è letteralmente insabbiato il tutto. Nel senso che i ritrovamenti sono stati protetti, coperti da sabbia e poi dai parcheggi. Rimessi a dormire per far posto al business olimpico. Ma oggi, scoperto che il business in realtà era un bluff, chissà che la città di Roskilde non abbia finalmente da insegnare qualcosa anche al nostro territorio.

B.D. 18.09.14