Viaggio nel cuore dell’establishment

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DI ALESSIO PIZZICHINI
 
Negli Stati Uniti non ha fatto assolutamente nulla per gli interessi del popolo Italiano, se non elogiare proprio quel sistema che negli ultimi anni ci ha oppresso e continuerà a opprimerci: il capitalismo finanziario.
 
Volo in business class e hotel Four Season per Matteo Renzi, in tour negli Stati Uniti. La prima tappa è stato l’incontro all’università di Stanford con 150 rappresentanti di start-up Italiane che lavorano là. “Non cedo alla cultura dei cervelli in fuga e non farò il discorso di tornare in Italia, vi chiedo di andare avanti”. Evidentemente non è un problema che essi siano andati in America ad aprire le loro aziende e non qui dove avrebbero potuto creare posti di lavoro dei quali c’è estremo bisogno. Del resto se merci e capitali possono viaggiare indisturbate da un capo all’altro del mondo, perché non dovrebbero farlo anche le persone con le loro capacità?
 
“Se c’è un ministro che ha meno di 40 anni ed è libero da padrini e padroni è perché l’Italia non ne poteva più e voleva un cambiamento”.
 
Oltre la scadentissima retorica giovanilistica ha affermato che egli non ha padroni, quindi che agisce senza fare gli interessi di qualcuno. Forse dimentica che ha progettato la legge elettorale in un camper con Verdini, uno dei massimi esponenti della massoneria toscana, e che fa gli interessi dei grandi industriali come De Benedetti, la cui azienda energetica Sorgenia è stata salvata dallo stato con il Capacity Payment (120-150 milioni annui). Cena coi manager di Google, Yahoo e Twitter e martedì a New York ha tenuto il suo primo discorso alle Nazioni Unite sui problemi climatici. Discorso paradossale dato che il decreto Sblocca Italia favorirà le emissioni inquinanti con l’aumento di estrazioni di petrolio e costruzione di inceneritori per i rifiuti.
 
L’ultima tappa del suo tour sarà la visita allo stabilimento della Fiat-Chrysler con l’amministratore delegato Sergio Marchionne: un manager che ha delocalizzato una delle più grandi aziende Italiane e l’ha resa una multinazionale, privo ormai di interesse per la nazione e i lavoratori. La FIAT che tanto negli ultimi anni aveva preso e poco aveva dato, che aveva privatizzato i profitti ma collettivizzato, o meglio statalizzato, le perdite.
 
Così si conclude il tour di Matteo Renzi, dove negli Stati Uniti non ha fatto assolutamente nulla per gli interessi del popolo Italiano, se non elogiare proprio quel sistema che negli ultimi anni ci ha oppresso e continuerà a opprimerci: il capitalismo finanziario. Se nei decenni scorsi a subire i danni del capitalismo erano le classi meno abbienti della popolazione, ora colpisce tutti, o quasi: disoccupati, lavoratori, artigiani, piccole-medie imprese. Si salva soltanto chi emigra, chi affida la propria azienda ad un top manager internazionale o chi la svende a qualche società straniera. Delocalizzazione e fuga di cervelli non sono problemi: fanno parte del gioco, e Renzi, che legittima tutto questo, ne è parte integrante.
 

Abbandona un anziano italiano, adotta un immigrato a 900 euro: l’idea di Marino e Renzi

Ignazio Marino e Matteo Renzi ai Fori Imperiali
 di Cristiano Coccanari
 
Roma, 24 set – Il titolo potrà sembrare provocatorio, ma i numeri sono chiari: 600 euro in Lombardia e Puglia, 520 in Emilia Romagna, da 15 a 23 euro al massimo al giorno nel Lazio, zero nelle progressiste e “accoglienti” Umbria e Toscana, questi gli importi – denominati “assegni di cura” – che le regioni erogano alle famiglie italiane che abbiano in casa un anziano o disabile non autosufficiente. Si tratta peraltro di erogazioni sottoposte a stringenti limiti di ISEE e di condizioni dell’assistito. In più di un caso l’assegno è stato revocato perché, sottoposto a controllo, l’anziano si mostrava “collaborativo”. Una cifra che, purtroppo, spesso non basta da sola a garantire l’assistenza se contemporaneamente si lavora e si devono quindi pagare delle persone che si prendano cura dell’anziano o del disabile.
 
Novecento euro tondi tondi (30 euro al giorno) è invece la cifra che, secondo la proposta di Marino, andrebbe attribuita alle famiglie che decidono di ospitare uno o più immigrati. Naturalmente i soldi vanno moltiplicati per gli immigrati accolti: “adottando” quindi una coppia di immigrati riceverai 1800 euro. Una proposta folle destinata a cadere nel vuoto? Sembra proprio di no, perché il Ministero dell’Interno ha ricevuto oggi il sindaco di Roma e pare intenzionato a dar seguito all’iniziativa.
 
Se si dovessero dunque adottare criteri meramente economicistici, sarebbe amaramente conveniente abbandonare un anziano e accogliere a casa un immigrato. Ma al di là del paradosso – gli italiani, almeno su questo, sono decisamente migliori di chi li governa – rimane l’indecenza della proposta e il fatto che il Governo la stia prendendo in considerazione.
 
Ci perdonerete se ci asteniamo dal commentare. Sì, pensiamo esattamente quello che state pensando tutti voi. E ci limitiamo a parafrasare il motto ciceroniano : “Quousque tandem abutere patientia nostra?” Fino a quando abuserete della nostra pazienza?
 

Le facce della “marcia dei traditori” a Mosca ed i loro caporioni

 Le facce della  "marcia dei traditori" a Mosca ed i loro caporioni

Estetica antisistema, volto mascherato, sciarpa del movimento gay….Si vanno a conoscere sempre più dati significativi delle manifestazioni di piazza che si sono svolte a Mosca la scorsa Domenica (” Mascherata occidentale nelle strade di Mosca: omosessuali, liberali, borghesi, rinnegati della Patria, antifascisti, progressisti, sionisti e neonazisti, tutti assieme contro la Russia di Putin”).

Mascarada occidental en Moscu

Tra gli intervenuti si sono potuti identificare attivisti conosciuti del Maidan (la piazza di Kiev della sommossa) tra i protagonisti della già conosciuta “marcia dei traditori”. Nell’immagine superiore vediamo i dirigenti dell’Euromaidan di Kiev e nella sottostante immagine gli stessi” agitatori” di professione calati anche  a Mosca:

In relazione con la “carnevalata” montata nella capitale russa, non bisogna scordarsi di uno dei principali caporioni della denominata “opposizione” a Putin, Gari Kasparov, in una recente fotografia (in basso) con il suo capo, l’oligarca sionista Rothschild.

L’oligarca sionista Jodorkovski, si propone lui stesso per “assumere la presidenza della Russia per superare la crisi”
L’ex proprietario della compagnia petrolifera Yukos, l’oligarca sionista Mijal Jodorkovski, che ha trascorso più di dieci anni in carcere per corruzione finchè non è stato graziato da Vladimir Putin alla fine del 2013, ha detto, nelle dichiarazioni rilasciate a Le Monde, che “acetterebbe di divenire il presidente della Russia se fosse necessario per superare la crisi”.

“Non ho davanti a me questa missione. L’idea di diventare presidente della Russia non mi interesserebbe nel momento in cui il paese si sviluppi normalmente.
Tuttavia se questo fosse necessario per superare la crisi e condurre verso una riforma costituzionale che essenzialmente consisterebbe nel ridistribuire il potere presidenziale a favore del sistema giudiziario, del Parlamento e della società civile, allora sarei disposto ad assumere questa parte del lavoro”, ha commentato Jodorkovski, uno dei principali invitati al festival periodico della oligarchia organizzato da “Le Monde”.

 Oligarca sionista Jodorkovski

Mijail Jodorkovski, l’ex presidente del gruppo finanziario Menatep, Platon Lebedev, furono arrestati nel 2003. Nel Maggio del 2005, un tribunale di Mosca li ha condanati per frode e per evasione fiscale a nove anni di prigione, sentenza che in secondo grado fu ridotta ad otto anni. Mentre scontavano la condanna, iniziò un nuovo giudizio che a dicembre del 2010 li condannò a 14 anni di carcere per furto di petrolio e camuffamento di tangenti provenienti dalla vendita. Questa seconda sentenza fu ridotta prima a 13 anni e poi a 11, termine che si commutava a partire dal 2003.

Dopo essere stato scarcerato, Jodorkovski si è rifugiato in Germania. Alla fine di Marzo scorso si è saputo che la Svizzera gli aveva rilasciato un permesso per un anno. L’ex magnate ha spiegato che in varie occasioni non programmava di rimpatriare mentre la giustizia russa mantiene una ordinanza che obbliga lui ed il suo ex socio, Lebedev, a risarcire i Ministero per 17.000 milioni di rubli per concetto di imposte non pagate.
Fortunatamente, di fronte a tutti questi personaggi ben trattati nell’Occidente capitalista, c’è il popolo russo con il suo presidente alla testa.

Mosca manifestazione pro Russia

Nella foto sopra: manifestanti pro Russia

Fonte: El Espia Digital

Traduzione:  Luciano Lago

 

Boeing malese: è stato un caccia ucraino ad abbattere l’aereo

 By Edoardo Capuano – Posted on 25 settembre 2014
 
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La Commissione olandese per la Sicurezza dei Trasporti ha finalmente pubblicato di recente un rapporto preliminare sul volo MH17, abbattuto sopra l’Ucraina il 17 luglio.
Il rapporto sostiene che i danni alla fusoliera ed alla cabina di pilotaggio “sono coerenti con quelli che ci si potrebbe aspettare da un grande numero di oggetti ad alta energia che hanno penetrato l’aereo dall’esterno”.
Il rapporto preliminare non fornisce prove di un ruolo russo nell’abbattimento del volo di linea, benché il presunto ruolo sia stato il motivo delle sanzioni dell’UE e degli USA ed anche per quelle imposte alla Russia più recentemente.
Esperti militari con cui abbiamo parlato indicano che le immagini alla cabina di pilotaggio danneggiata dell’MH17, diffuse in rete prima del rapporto olandese, non mostrano l’impatto di un missile, neanche uno esploso a una certa distanza dall’aereo, ma piuttosto l’impatto di una mitragliatrice che ha sparato da un altro aereo.
 
Ciò, a sua volta, punta il dito sui caccia ucraini che potrebbero aver sparato, intenzionalmente o per errore, contro un aereo di linea civile. Queste prove sarebbero note, secondo una fonte, ai governi tedesco ed americano, che tentano di insabbiarle.
Un ex diplomatico europeo che ha studiato il caso è giunto alla conclusione che i caccia ucraini hanno abbattuto l’aereo di linea, e ritiene che questo traspaia anche dal rapporto olandese. Prima o poi ciò eserciterà pressioni sulle autorità olandesi che dovranno dire la verità, creando tensione col governo americano ed altri governi occidentali intenti ad insabbiare le prove.
Paragonate a questo, ha aggiunto l’ex diplomatico, le tensioni anni fa sul rifiuto americano di riconoscere la Corte Internazionale di Giustizia all’Aia sembreranno un gioco da ragazzi.
 
Fonte: movisol.org

La bufala depistante dell’art. 18

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La sinistra litiga con la sinistra stessa. Qualcuno penserà: “Chissenefrega?”. Purtroppo il problema ci riguarda poiché trattasi di una forma di dispotico assolutismo che impedisce il reale esercizio della critica. Della serie, sinistra di governo e di lotta, di potere e d’opposizione. Per ogni Renzi, c’è sempre una Camusso o un Landini a fare da contraltare. Per ogni Serracchiani c’ è un bel Vendola che punta i piedi. L ‘ultima bufala de sinistra è l’articolo 18, con il mito del “reintegro” (pessimo sindacalese!). Per taluni addirittura “la reintegra”, che altro non sarebbe che la “reintegrazione” del posto di lavoro. Renzi vuole toglierlo perché “il liberismo è di sinistra” e lui è un liberista, seguace della Troika. La Camusso vuole mantenerlo, perché l’articolo 18 è parte integrante dello Statuto dei lavoratori, vecchio programma  di Gotha del socialismo. A dar man forte a Renzi, scende in campo Brunetta, Forza Italia, lo stesso Berlusconi. Inoltre l’art. 18 e la sua eliminazione è sempre stato il cavallo di battaglia della cosiddetta “destra neoliberista”. E il “liberismo è di destra”. Morale: gli Italiani hanno una sinistra farlocca e una destra altrettanto farlocca. Sempre nel nome del “liberismo”.
 La verità è che l’art. 18 non sposta occupati né crea disoccupati. Più semplicemente è un falso problema, una bufala depistante agitata surrettiziamente dal Renzusconi. I problemi del lavoro sono di tutt’altra natura, ma non vengono mai abbastanza menzionati  e messi a fuoco:
  • La diminuzione della Domanda lavorativa
  • La fine del lavoro salariato a causa della globalizzazione che permette spostamenti di impianti e delocalizzazione, oltre a una rivalità globalizzata tra lavoratori autoctoni contro allogeni (si pensi al banale esempio degli “idraulici polacchi” in GB).
  • La totale mancanza di Accesso al Credito per le  imprese
  • La burocrazia della Pubblica Amministrazione che ingarbuglia tutto e crea difficoltà enormi a chi intraprende
  • Le tasse sul lavoro, sull’impresa , sui redditi (siamo ormai al 65% di tassazione complessiva) che ammazzano piccole e medie imprese.
  • L’impossibilità di stoppare le privatizzazioni da parte di gruppi monopolisti stranieri che vengono da noi a fare “bottino di guerra”.
  • Non ultimo, l’esercito di riserva sul mercato del lavoro interno rappresentato dal massiccio ingresso di extracomunitari dai paesi del Terzo e Quarto mondo.
Renzi eliminerà l’art. 18 (così ordina la Lagarde), e alla sua sinistra inizieranno le processioni con fischietti e berrettini della Camusso, alla ricerca dei fuochi fatui di un autunno eternamente “caldo”. Se poi nella Duma (ormai è inutile chiamarlo Parlamento) non  otterrà i numeri, correranno in suo soccorso i futili idioti di Farsa Italia. Ma i problemi veri legati al Lavoro e all’occupazione non verranno toccati dall’attuale governo  con la sua destra de sinistra al potere (Renzi), e i suoi veterosinistri rossi all’opposizione (Trimurti e gruppuscoli estremi).
La Troika ha provveduto a crearsi le sue propaggini in Italia,  in tutte le sue articolazioni. E le chiama orwellianamente “riforme del Lavoro”.
Pubblicato da Nessie
 

Secondo i media degli USA l’unione di Russia e Cina “è peggiore della Guerra Fredda”

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Mosca e Pechino “stanno rafforzando la loro alleanza” (tanto nell’ambito economico come in quello politico e militare) e questo è molto peggio e molto più complicato per gli USA di ciò che fu alla sua epoca la Guerra Fredda, sostengono i media statunitensi.
 
Anticamente rivali, oggigiorno Russia e Cina stanno attivamente rafforzando la loro cooperazione. Russia e Cina collaborano nell’ambito del Forum di Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC) di cui fanno parte insieme ad altri 19 paesi, ed anche nel Gruppo dei 20 (il G20), un forum di capi di Stato, governatori di banche centrali e ministri delle finanze dei paesi membri. Pechino e Mosca sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il che comporta il diritto di veto. Ma come punto di partenza del loro avvicinamento attivo si dovrebbe considerare la creazione dell’Organizzazione di Cooperazione di Shangai (SCO) nel 2001. Oggigiorno all’unione intergovernativa formata da Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan ed Uzbekistan, che occupa un 60% di tutto il territorio dell’Eurasia ed ospita un quarto della popolazione di tutto il pianeta, pensa di unirsi anche l’India. La SCO ha numerosi progetti congiunti tanto in materia di sicurezza come in ambito economico, soprattutto nel settore energetico.
Un altro blocco dove Mosca e Pechino cooperano è quello dei BRICS, che include anche l’India, il Brasile ed il Sudafrica. L’unione possiede più di un terzo delle terre coltivabili del pianeta e produce il 40% del grano, il 50% della carne di maiale ed il 30% della carne di manzo e di pollo. Il PIL comune dell’unione è approssimamente di 15.800 milioni di dollari: un 14,6% del PIL mondiale.
Il crescente avvicinamento fra Mosca e Pechino è “un forte mal di testa” per gli USA, e le pubblicazioni nei media locali lo confermano, sostiene il periodico russo “Vzglyad” fornendo vari esempi. Dal punto di vista dei giornalisti di “The Washington Post” Douglas E. Schone e Melik Kaylan, il coordinamento strategico di Russia e Cina nel campo mondiale, che spesso si sostanzia nella posizione comune in materia di politica internazionale, è una situazione più dinamica e senza dubbio più difficile di quella che fu la Guerra Fredda per gli USA. La loro preoccupazione appare quindi giustificata.
 
Dollaro in caduta libera
Tra le sanzioni che Washington ed i suoi alleati stanno imponendo a Mosca, molte banche della Russia e della Cina hanno formalizzato i loro accordi che consentono di evitare i pagamenti reciproci in dollari. Lo scorso 8 agosto la Banca di Russia e la Banca Nazionale della Cina hanno firmato un progetto d’accordo per chiudere i contratti di permuta finanziaria (“swap”) con divise nazionali. Mosca e Pechino discutono anche la creazione di un sistema di accordi fra le banche che potrebbe convertirsi in uno analogo del sistema internazionale SWIFT, creato nel 1973 a Bruxelles per regolare la quotazione del dollaro (da quel momento tutte le vendite di petrolio sono state effettuate in dollari). La Russia vuole allontanarsi anche dall’uso di Visa e MasterCard e sta studiando la possibilità di sviluppo di un sistema nazionale di pagamenti in cooperazione col sistema di carte cinese UnionPay.
Ancora di più: a luglio i BRICS hanno firmato l’accordo per la creazione della loro Banca di Sviluppo, che si formerà su una base paritaria e la sua sede sarà ubicata a Shangai. E’ previsto che abbia un capitale iniziale autorizzato di 100.000 milioni di dollari ed un capitale sottoscritto di 50.000 milioni. Si presenta come un’alternativa alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale.
Le grandi multinazionali russe hanno già mostrato un interesse a cominciare ad usare gli yuan e ad aprire conti in Asia. Fino a poco fa, il 75% dei pagamenti bilaterali si realizzava in dollari. Questo, quando i volumi del commercio bilaterale giunsero ad un totale di 90.000 milioni di dollari, secondo i numeri ufficiali. Si prevede che per il prossimo anno si raggiungeranno i 100.000 milioni di dollari.Nel 2013 la compagnia petrolifera russa Rosneft ha firmato un accordo con l’impresa cinese Sinopec per la consegna di 100 milioni di tonnellate di petrolio nei prossimi dieci anni. Il valore del contratto potrebbe toccare gli 85.000 milioni di dollari. A maggio del 2014 i giganti statali, la russa Gazprom e la cinese CNPC (Corporazione Nazionale del Petrolio della Cina) hanno firmato un altro progetto storico di consegna del gas per una quantità annunciata di 400.000 milioni di dollari: stipula la consegna di fino a 38.000 milioni di metri cubi all’anno di combustibile al paese asaitico per 30 anni. I lavori di costruzione sono cominciati questo mese di settembre, mentre Gazprom anticipa che si sta negoziando un altro contratto, per la consegna di altri 30.000 milioni di metri cubi all’anno.
Cooperazione militare
Gli USA “stanno perdendo la corsa agli armamenti con la Russia e la Cina”, assicura il giornale “The Fiscal Times”. Mosca e Pechino spendono in difesa somme molto meno impressionanti di Washington, però guadagnano grazie al fatto che investono in tecnologie nuove mentre il Pentagono continua con la modernizzazione dell’armamento già antiquato e con progetti poco efficaci come quello del programma degli F-35, sostiene il giornale.
Il pessimismo dei giornalisti statunitensi potrebbe comprendersi se si ricorda il fatto che Russia e Cina non solo investono in ambiti innovativi della difesa, ma anche che si scambiano la tecnologia. Attualmente, i due paesi stanno negoziando un accordo militare storico: la Cina può convertirsi nel primo importatore dei sistemi russi di difesa antiaerea S-400, i più avanzati al mondo tra quelli prodotti inserie. Si sta discutendo, inoltre, la compravendita dei Sukhoi Su-35, caccia russi altamente manovrabili, e dei sottomarini diesel-elettronici da caccia del Progetto 1650 AMUR: s’afferma che gli specialisti russi costruiranno i sommergibili con esperti cinesi.
Un dettaglio in più: la collaborazione militare non si limita all’aspetto commerciale. Le forze armate di entrambi i paesi compiono anche manovre congiunte su grande scala. L’esempio più recente è stato quello delle esercitazioni antiterroristiche d’agosto in Cina, che hanno contato la partecipazione di più di 7.000 effettivi di cinque paesi membri dell’Organizzazione di Cooperazione di Shangai.
 
Traduzione da RT a cura di Filippo Bovo

Stati Uniti: Come ti bombardo 7 Paesi in sei anni

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 “Minaccia” russa secondo pericolo mondiale, dopo l’ebola e prima del terrorismo

 Obama, dopo aver ribadito il carattere “eccezionale” di sè stesso e del Paese che dirige -consuetudinaria formula laicizzata per ribadire il genetico fondamentalismo religioso fondativo- ha stabilito una sorprendente hit parade delle minacce che ora ricorrono il mondo.
Ha suscitato non poche reazioni di stupore in molti partecipanti all’Assemblea dell’ONU, mentre altri sono rimasti letteralmente di stucco. Alcuni, come il ministro degli esteri russo Lavrov, hanno commentato persino con sarcasmo le parole -definite “bizzarre”- dell’inquilino della Casa Bianca.
Lavrov ha messo in risalto che Obama è caduto più volte in contraddizione, dicendo che “ ..è il miglior momento per la storia del mondo” e dopo qualche minuto affermava olimpicamente che i maligni “comprendono solamente il linguaggio della forza, non altri”. Dimentico che in meno di sei anni di presidenza ha bombardato ben 7 nazioni.
Il rappresentante russo, invece, ha commentato con diplomazia la classifica dei pericoli secondo Obama. “Il numero uno sarebbe il virus Ebola, il secondo sarebbe la sedicente aggressione russa all’Europa, mentre l’ISIS e gli altri terroristi che si propagano per il Medioriente e nei Paesi in cui sono avvenute aggressioni da parte degli Stati Uniti, sono classificate al terzo posto”.
Obama ritiene che l’Iraq starebbe per “ripiombare nell’abisso”, ma dai! Sembra quasi una dichiarazione di impotenza, come se 14 anni di guerra non fossero serviti proprio a nulla. Non sarà che c’è una relazione di causa-effetto? In realtà è peggio. Molta acqua è passata sotto i ponti dopo l’esibizione grottesca -nella sede dell’ONU- delle “fialette del male” da parte del generale Colin Powel. La guerra irregolare, ad opera di formazioni irregolari, classificate sempre in una prima fase come “ribelli moderati”, continua ispirata dallo stesso manuale operativo. I bersagli sono invariati: Stati petroliferi, di preferenza arabi, sovrani, laici, multireligiosi e multietnici.
Ieri si chiamava Al qaed, oggi EI-ISIS-ecc, domani chissà. Servono a distruggere Stati-eserciti-economie-convivenza civile non più -come una volta- a dominare pienamente e sottomettere nazioni. Danno luogo a coalizioni punitive sempre più scarne. Da ultimo, praticamente solo con il coinvolgimento pieno delle petromonarchie del Golfo, detentrici del brevetto di fabbricazione e gestione del terrorismo, in maniera evidente in Libia e Siria. Insomma, ora stanno lanciando la franchigia per debellarlo, mentre sul territorio turco tutti gli “antiterroristi” comprano il petrolio rubato dai “nomadi califfi” dall’incerto logo e dai protettori abituali.
 

Vicenza, esercitazioni internazionali in assetto antisommossa: Eurogendfor?

Paura e stupore ieri a Vicenza, dove nei pressi dell’ex caserma “Ghisa” si è svolta un’imponente esercitazione internazionale che ha visto impegnati centinaia di uomini, in assetto anti-sommossa, armati fino ai denti, alcuni dei quali con il volto coperto o in tenuta da bonifica radioattiva.
 
Chi ha assistito alle scene ha ipotizzato che potesse trattarsi di una esercitazione di Eurogendfor, che ha la propria sede proprio a Vicenza, e non è escluso che la super gendarmeria sovranazionale abbia partecipato all’imponente esercitazione, facente parte di un progetto internazionale promosso dalla Comunità europea denominato “European police service training”. Cercando informazioni abbiamo appreso che l’esercitazione è iniziata il 15 di Settembre e si è protratta fino ad oggi 26 Settembre.
 
 
Di seguito vi proponiamo gli articoli di due testate vicentine che forniscono informazioni e dettagli sull’operazione:
 
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Forze speciali alla Ghisa assediano la caserma
Sorpresa e allarme ieri per lo spiegamento di uomini e mezzi all’ex caserma dove si è svolto un addestramento internazionale
 
Da ilgiornaledivicenza.it del 25/09/2014
 
Poliziotti in tenuta antisommossa con caschi e sfollagente, operatori dei reparti speciali armati fino ai denti e col volto coperto dal classico mephisto, mezzi e personale per la bonifica radioattiva. Comprensibile che chi ieri mattina è passato davanti all’ex caserma Ghisa si sia quanto meno sorpreso, se non impaurito, tanto più che tra le uniformi dei carabinieri, a spiccare erano quelle, mai viste, di forze di polizia militare di altri Paesi.
Quella che si è vissuta ieri alla Ghisa, dunque, è stata una delle attività addestrative inserite nel progetto della Comunità europea European police service training, avviato nel 2011 e in fase conclusiva con lo scopo di addestrare le polizie di diversi Paesi europei, africani e di altre parti del mondo, a intervenire in situazioni post conflittuali.
Così come già avvenuto in passato per un’esercitazione degli alpini paracadutisti del 4° reggimento, quindi, la Ghisa è tornata per un giorno a essere un’area addestrativa
Per tutta la settimana il progetto Eupst, gestito dall’Arma, ha fatto base al Coespu, il centro d’eccellenza situato alla caserma Chinotto (…)
 
L’articolo integrale sul Giornale in edicola.
 
 
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Esercitazione internazionale al CoESPU di Vicenza
 
Da vicenzareport.it del 15/09/2014
 
Ha preso il via questa mattina a Vicenza, presso la sede del Centro di Eccellenza per le Stability Police Units dell’Arma dei Carabinieri (CoESPU), la settima sessione addestrativa del progetto “European Union Police Services Training 2011 – 2013” (Eupst 2011-2013) che si concluderà il prossimo 26 settembre.  L’iniziativa è finalizzata alla formazione di personale per l’impiego in missioni di gestione civile di crisi internazionali sotto l’egida delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana e dell’Unione Europea.
 
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“L’esercitazione, – spiega una nota del Comando generale dei carabinieri – a cui prenderanno parte circa 500 operatori di 45 polizie di 35 diversi paesi del mondo, contributori della Politica di Sicurezza e Difesa Comune, riguarderà lezioni teoriche e pratiche nei settori della gestione del quartier generale di una missione di Polizia internazionale, dell’ordine pubblico, delle investigazioni sulla criminalità organizzata locale dedita anche al traffico di esseri umani ed al traffico illecito di rifiuti, delle indagini forensi, delle attività delle Unità di intervento speciale, dei servizi di protezione e della bonifica di ordigni esplosivi, nonché nozioni sul rispetto dei diritti umani, parità di genere e protezione dei gruppi vulnerabili (in specie donne, bambini e rifugiati). È anche prevista la partecipazione di esperti e di osservatori di Organizzazioni Internazionali”.
 
Si tratterà di due settimane molto intense per i partecipanti, durante le quali verranno messe a confronto “le rispettive tecniche d’intervento – continua la nota – nelle varie materie al fine di sintetizzare le pratiche più efficaci per migliorare l’interoperabilità nelle missioni internazionali di gestione civile delle crisi, applicandole successivamente, nella seconda settimana addestrativa, ad un caso pratico ambientato in un ipotetico scenario caratterizzato da un’area geografica ad alta instabilità ove una forza di Polizia Internazionale interviene sotto mandato dell’Unione Europea per affiancare la polizia locale e le organizzazioni non governative nella immediata gestione di turbative dell’ordine pubblico e nella lotta al crimine organizzato.”
 
L’iniziativa si inquadra nel più ampio progetto “Eupst 2011-2013”, patrocinato dall’Unione Europea e sviluppato dal 2011 da un Consorzio multinazionale composto dal Collegio Europeo di Polizia (Cepol), dal Ministero degli Affari Esteri ed Europei Francese, dalla Gendarmeria Nazionale Francese, dalla Guardia Civil spagnola, dalla Gendarmeria Romena, dalla Marechaussee dei Paesi Bassi e dall’Arma dei Carabinieri, che ne ha assunto la leadership. L’obiettivo del Progetto è quello di addestrare complessivamente 2400 operatori di polizia di paesi europei, contributori non europei della Politica di Sicurezza e Difesa Comuni  e operatori appartenenti all’Unione Africana ,  per un più efficace e coordinato futuro impiego in missioni internazionali di gestione civile delle crisi.
 
L’attuale esercitazione svolta in Italia, a Vicenza presso il CoESPU, è quella finale del programma addestrativo voluto dalla Unione Europea, e segue le attività organizzate in Spagna dalla Guardia Civil, in Francia dalla Gendarmeria Nazionale Francese, in Kenya, a cura dell’Arma dei Carabinieri, in Camerun, a cura del Ministero degli Affari Esteri Francese, e nei Paesi Bassi, a cura del Marechaussee olandese.
 

Serracchiani: Silvio ci dà più garanzie del M5S. Riina: Berlusconi ci pagava 250 milioni

http://www.tzetze.it/redazione/2014/09/serracchini_silvio_ci_da_piu_garanzie_del_m5s_riina_berlusconi_ci_pagava_250_milioni/

TzeTze Politica

Era luglio quando la vicesegretaria del Pd, Debora Serracchianiaffermava: Berlusconi assicura quel percorso più del Movimento 5 stelle“, dichiara Serracchiani. Sul M5S aveva poi ribadito: “Oggi c’è stata l’ennesima chiusura, ieri abbiamo tentato il dialogo ma nonostante tutto loro hanno la tendenza a sbattere la porta“. “Noi, lo ribadiamo – aveva aggiunto nel filmato che vedete sopra – vogliamo fare le riforme che servono al Paese. In ordine c’è prima quella del Senato, poi quella elettorale e io mi auspico che ci sia il tempo affinché i seguaci di Beppe Grillo ci ripensino e vogliano partecipare

Era fine agosto quando i giornali riportarono le dichiarazioni del boss Riina su Berlusconi dal carcere: “A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi“. Così parlava il capo di Cosa nostra al compagno di ora d’aria, il pugliese Alberto Lorusso. Questa frase è finita nelle intercettazioni disposte dai pm di Palermo nel processo “trattativa”.

Per la Serracchiani Berlusconi dà più garanzie. Anche per Riina, visto che, a quanto ha dichiarato, Silvio pagava a loro 250 milioni ogni sei mesi.

Processo ai No Tav. Le prognosi truccate ovvero la falsità fatta Stato

Il medico legale smonta tutte le prognosi dei 55 poliziotti di parte civile. Le dichiarazioni spontanee di quattro imputati (audio in fondo)

di Fabrizio Salmoni

Prognosi triplicate, quaduplicate, distorsioni impossibili, traumi inventati. Tutte le 55 prognosi dei poliziotti costituitisi parte civile sono state aumentate senza documentazione dai medici di polizia. Incongrue, sproporzionate e non giustificate: cosi le ha classificate il medico legale Luca Ferrero che ha analizzato tutte le carte mediche, una per una, per conto della difesa confermando di massima le prime prognosi dei Pronto Soccorso e mettendo il luce il classico vecchio trucco dei processi alle lotte sociali. Non c’è processo a manifestanti a memoria storica che non preveda prognosi falsificate dei poliziotti per giustificare i reati di lesioni e lesioni gravi. In realtà, la maggior parte dei poliziotti in quei giorni di giugno-luglio si sono infortunati inciampando, respirando i loro stessi gas, urtandosi con i loro colleghi o alla peggio, risentendo a livello cervicale di colpi o contraccolpi per pietre ricevute su caschi o protezioni.

Sono emersi anche casi paradossali di prognosi aggiunte per artrosi o patologie pre-esistenti (Luigi Basile, Umberto Zuccarini) o addirittura per incidenti stradali seguenti ai fatti della Val Susa (Ivan Vinciguerra). Qualche furbetto ha anche approfittato della “lesione” per allungarsi le ferie. Insomma quelle specie di rambo che si gongolano nel loro machismo in divisa, sono in realtà degli esserini fragili che lamentano la bua di un graffietto, di un livido o di una storta alla caviglia.

Cosi, a caso, Luciano Zanbotti si è fatto dare 40 giorni a fronte di 7 previsti dal Pronto Soccorso e Antonio D’Anna 89 giorni a fronte di 35. Tra i clamorosi c’è Pasquale Pippa (sic!) che per un sasso sul casco ha sbattuto i denti provocandosi una scheggiatura dello smalto: 10 giorni al Pronto, 39 dal medico di polizia ma in totale ha fatto 60 giorni di assenza dal servizio e chiede i danni ai No Tav…Come anche Cristiano Pensabene che per lo scoppio ravvicinato di un petardo ha subito un trauma acustico con prognosi di 10 giorni al Pronto divenuta di 221 giorni per presunte “complicanze” seguenti per cui ha dovuto subire visite oculistiche e addirittura cardiologiche totalmente ingiustificate – secondo il medico legale – e non documentate nella consequenzialità.

Sono state evidenziate prognosi di “distorsioni” (invece che contusioni) causate da traumi da pietra e danni a parti coperte causate da petardi.

La pm Pedrotta ha ovviamente cercato di mettere in dubbio la credibilità del perito che ha risposto sempre con proprietà disarmante.

Un punto quindi per i No Tav che vedono diminuire i pericoli di onerosi rimborsi di danni.

Alla lunga disamina dei referti medici, sono seguite le dichiarazioni degli imputati Alossa, Bindi, Imperato e Ginetti che hanno rivendicato la loro appartenenza alla resistenza valsusina e la legittimità dei loro atti di fronte alle tante illegittimità dell’intervento poliziesco tra i sorrisi ironici della pm e gli sbuffi plateali dei ragazzotti che le fanno da tecnici, perfettamente integrati nei loro ruoli di parte.

Alla luce di quanto evidenziato nelle ultime due uduienze viene spontanea una riflessione: l’omertà, la violenza e la falsità degli agenti di polizia e dei loro medici e, in ultima analisi il cinismo di una Procura che, ben conscia delle anomalie riscontrate negli episodi di resistenza valsusina sotto processo, le usa, contribuiscono a mettere in cattiva luce agli occhi dei cittadini uno Stato la cui immagine e natura sono già molto compromesse da corruzioni, inchieste, malcostume dei politici, ecc. Se questo è lo Stato urge riparazione urgente. Ma forse di questo sono ormai tutti consapevoli.  (F.S. 27.09.2014)

Imperato

LA DICHIARAZIONE DI TOBIA IMPERATO Siamo giunti alla fine di questo dibattimento. A voi non resta che giudicarci secondo le norme del codice penale.

Nonostante abbiano un soggetto, il legislatore, tanto impersonale quanto irraggiungibile – quasi un dio infallibile dispensatore di giustizia -, in realtà i codici non sono altro che una banale creazione umana. Non solo la loro compilazione, ma anche la loro interpretazione e applicazione non sono altro che semplici azioni umane.

La giustizia, quella vera, si sottrae alla norma e non potrà mai essere codificata. Appartiene alla sfera dei valori e solo il giudizio storico – una volta che le passioni del presente saranno sopite – decreterà, attraverso il comune senso civile, se la vostra sentenza sarà stata o meno giusta.

In quest’aula sono state delineate due visioni diametralmente opposte dei medesimi eventi.

Una – quella della procura – che vede centinaia di agenti violentemente aggrediti e feriti nell’adempimento del proprio dovere.

L’altra – quella che noi e le nostre difese abbiamo esposto – racconta di un movimento popolare pacifico aggredito brutalmente senza che avesse messo in atto nemmeno il semplice reato di disobbedienza civile. Sì, perché noi siamo stati violentemente attaccati mentre eravamo pacificamente attestati in un luogo in cui non solo avevamo il diritto di rimanere ma di cui avevamo persino pagato il suolo pubblico. Un’area che era al di fuori – e lo rimane tuttora nonostante le recinzioni illegittime che ne inibiscono l’accesso – dall’area destinata al cantiere.

Non solo quindi il 27 giugno alla Maddalena le forze dell’ordine effettuarono un’azione illegale, da tutti noi percepita come tale, ma la fecero con altissimo disprezzo per la salute di chi si trovava di fronte.

Io non temo di essere retorico affermando che quel giorno lo Stato italiano intraprese una vera e propria guerra chimica ad alta intensità contro i propri cittadini.

In questi ultimi anni si è parlato molto di CS, il gas espulso dai lacrimogeni di cui è vietato l’uso bellico dalle convenzioni internazionali. Proibito nella guerra fra stati ma ammesso nella guerra interna contro i propri cittadini che dissentono.

In Italia il primo uso massiccio di questo gas si ebbe nel 2001 a Genova contro i manifestanti che contestavano il G8. E tutti sanno della riprovazione a livello internazionale di cui fu oggetto la polizia italiana per come fu gestito in quei giorni l’ordine pubblico. Numerose testimonianze già allora descrissero quanto questo gas fosse micidiale, causando svenimenti nausea vomito problemi respiratori infiammazioni oculari irritazioni cutanee. Gli studi medici ci dicono che una forte e prolungata esposizione potrebbe creare danni permanenti a occhi polmoni stomaco fegato cuore reni e persino provocare aborti. E non si conoscono ancora le conseguenze nel lungo periodo, conseguenze cui patiranno non solo coloro che ne sono stati colpiti ma anche agli agenti che ne hanno fatto largo uso. Non a noi, quindi, dovrebbero rivolgersi i loro sindacati. Come ha insegnato la vicenda delle bombe all’uranio impoverito, gli apparati statali si disinteressano non solo della salute dei propri cittadini ma persino di quella dei loro servi.

Ebbene, io ho partecipato alle giornate genovesi e vi posso dire in tutta tranquillità che – sotto questo profilo, confrontate alle giornate della Maddalena – furono meno traumatiche. In Val Susa – nelle giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011 – la quantità e la concentrazione di CS fu enormemente più alta. Fu decisamente la più massiccia da quando questo gas è in dotazione alle forze di polizia in Italia.

Chi diede l’ordine di accerchiare la libera repubblica della Maddalena e, come in una tonnara, gasare tutti i presenti, precludendo ogni via di fuga e gasandoli anche tra i boschi dove avevano cercato scampo e riparo? I dirigenti sul posto, dai nomi secretati in questo processo? Il questore? Il prefetto? Il ministro degli interni? Il presidente del consiglio?

Contro di noi, in questo procedimento, si sono costituiti come parti civili reclamando il risarcimento dei danni subiti, ben tre ministeri. Ebbene, io dichiaro apertamente che non sono loro le parti lese, anzi dovrebbero rispondere alla comunità per il grave attentato commesso alla salute di tutti i cittadini presenti a Chiomonte in quelle due giornate, per averli proditoriamente sottoposti per ore all’esposizione di gas venefici.

Ora, pare che la legislazione italiana consideri il CS arma non-letale con effetti reversibili e ne consenta l’uso da parte della forza pubblica. Ma l’uso di uno strumento di dissuasione coercitivo dovrebbe essere sempre effettuato con moderazione e con dei limiti ben precisi. Come una mano può non essere letale in un semplice schiaffo, la stessa mano può diventare letale se strozza alla gola. E’ della cronaca di questo periodo come a Parma l’uso spropositato di uno strumento ordinario in dotazione agli agenti di pubblica sicurezza, il manganello, abbia condotto a morte il giovane Federico Aldovrandi o come un altro strumento frequentemente usato nelle strutture psichiatriche, il letto di contenzione, abbia barbaramente assassinato il maestro salernitano Francesco Mastrogiovanni.

Questo uso incontrollato esagerato e spropositato di CS è all’origine della nostra reazione. Era quello che serviva per trasformare con un colpo di bacchetta magica un movimento popolare pacifico ventennale in un’accolita di violenti.

Perché, solo dopo il 27 giugno e il 3 luglio 2011 – improvvisamente – il movimento NO TAV diventa un problema di ordine pubblico, tanto da originare summit governativi, relazioni di servizi segreti e dichiarazioni deliranti di ministri e uomini politici? Solo per giustificare il conseguente accanimento giudiziario? Per arrivare ad accuse di terrorismo per il lancio di petardi o a condanne di anni di reclusione per la sola detenzione e trasporto di artifici pirotecnici?

Chi ha decretato questo inasprimento di livello dello scontro? Il movimento NO TAV o lo Stato italiano?

La risposta è di una banalità sconcertante. Non potendo controbattere pubblicamente con valide argomentazioni le ragioni del movimento, lo si è volutamente criminalizzato. Non potendo convincere si è scelto di agire con la forza, per schiacciare il dissenso manu militari. Questa è la moderna democrazia che ci governa, una vera e propria democrazia totalitaria.

Noi in quelle due giornate fummo presi alla gola, aggrediti in maniera letale e ci siamo difesi.

Non lo neghiamo e non abbiamo paura di rivendicarlo.

Persino il codice riconosce la legittima difesa. Non credo abbia importanza – almeno sul principio – se chi offende veste una divisa e chi si difende no. Perché quel giorno, è evidente, la legalità non stava dalla parte di chi la difendeva.

E in cosa è consistita praticamente la nostra difesa di fronte ad un’aggressione chimica di tale portata? Nel gesto più semplice e naturale, quello di tirare dei sassi.

Quando andavo alle elementari ricordo che nel libro di testo vi era l’illustrazione di un ragazzino che scagliava un sasso contro dei soldati austriaci. E la didascalia ne parlava come di un eroe, autore di un gesto coraggioso che aveva innescato la sollevazione di tutta la città di Genova contro l’invasore. Era il Balilla. Solo più avanti scoprii che la sua figura era stata successivamente strumentalizzata in senso nazionalista dal fascismo. E ancora più avanti scoprii che molti altri sassi erano stati lanciati dalle folle in tumulto, come fece il popolo di Milano per chiedere il pane nel 1898, richiesta cui lo Stato sabaudo rispose con il cannone. Nella storia moderna i movimenti popolari hanno sempre usato questa forma di difesa, semplice spontanea diretta ed elementare.

Io sono fermamente convinto che siano stati proprio quei sassi – impugnati, in svariate lotte, dalle generazioni ribelli che ci hanno preceduto – a permettere alla società civile di progredire, a permettere l’affermazione e il riconoscimento di tutti quei diritti sociali e quelle libertà civili che ormai sono patrimonio comune acquisito. Diritti per la cui difesa e ampliamento dovranno essere gettati ancora tantissimi sassi.

Detto questo, mi auguro che ora la procura torinese non sequestri, per istigazione alla violenza, tutti i libri in cui compare l’immagine del ragazzino genovese.

Secondo il governo e le sue fonti informative di sicurezza il nostro movimento sarebbe ormai ostaggio di frange violente e la Val Susa sarebbe diventata una palestra per i violenti di tutta Europa. Come a dire che coloro che hanno tirato dei sassi, tagliato delle reti o gettato dei petardi nel cantiere sono altra cosa rispetto a coloro che per anni hanno animato il movimento NO TAV. E oltre a essere diversi, la maggior parte non sarebbe nemmeno composta da valsusini.

Nulla di più palesemente falso, perché in questa lotta tutti contribuiscono con le proprie capacità e possibilità. Non tutte le persone possono avere la prestanza fisica per arrampicarsi su per i sentieri, ma anche a chi resta indietro il cuore non cessa mai di battere all’unisono con tutti quelli che stanno tagliando le reti e sabotando i lavori.

E che il movimento abbia raccolto con simpatia la solidarietà di numerose persone che, anche con sacrificio personale, sono accorse in Val Susa a sostenere la nostra lotta è un dato di fatto. Se il 27 luglio – a difendere la Maddalena – eravamo per lo più piemontesi, il 3 luglio sono giunti da tutta la penisola per protestare contro l’aggressione subita, che da tutti era considerata un atto di forza ingiustificato e violento da parte dello Stato italiano. Se non vi fosse stato questo alto grado di coscienza collettiva non si sarebbe certo radunata tanta gente. La parola d’ordine “Assediamo il cantiere” e l’obiettivo di quel giorno, l’abbattimento delle recinzioni, erano stati ampiamente pubblicizzati e condivisi da tutti. Per questo le reti furono attaccate in punti diversi, non solo dalla strada ma anche dai boschi, per questo finita la manifestazione, la gente non se ne era andata ma era rimasta sul posto a incitare coloro che le buttavano giù.

E le forze dell’ordine ancora una volta sono ricorse alla guerra chimica, sparando migliaia di candelotti lacrimogeni, non solo su chi danneggiava le reti ma anche, proditoriamente, sugli inermi. E ancora una volta ci siamo difesi.

Fra noi non ci sono differenze. Noi siamo un’unica comunità resistente.

Si può resistere lanciando un sasso, sabotando le recinzioni e le attrezzature del cantiere, occupando un terreno, effettuando un blocco stradale, costruendo un presidio, intraprendendo un’azione legale, organizzando un dibattito o un volantinaggio e persino creando un gruppo di preghiera. E poi marciando tutti insieme.

Il nostro è un movimento che, per condivisione di idee e unità di popolo, è stato giustamente paragonato – anche se in altro contesto storico e con altri mezzi – a quello della resistenza al nazifascismo. Sì, perché in Val Susa lo Stato italiano sta pesantemente militarizzando il territorio, continuando a inviare truppe che sono percepite dalla popolazione alla stregua di un esercito invasore.

Più saremo attaccati, più ci mostreremo uniti. Un popolo, una lotta.

Per portare un esempio personale, io sono stato obiettore di coscienza e resto tuttora convinto antimilitarista. Mai avrei immaginato nella mia esistenza di marciare in corteo assieme agli alpini NO TAV e di ritrovarmi dopo a bere e a scherzare con loro. Questa è la magia del nostro movimento. Un movimento di popolo che supera ogni divergenza, rispetta ogni differenza, e si stringe come un pugno solidale abbracciando tutti quelli vi si ritrovano. Questo è il motivo per cui nessuno riesce a dividerci.

In questo processo si è parlato soprattutto di scontri, di agenti feriti, di manifestanti assetati di sangue. Chiunque abbia ascoltato le testimonianze degli agenti  che hanno deposto si è reso conto di come molti di loro si siano accidentati da soli, per imperizia della montagna, distorcendosi cadendo o addirittura respirando il loro stesso gas, che i sassi dei manifestanti ben poco potevano contro caschi scudi e le robuste protezioni delle divise, che la maggior parte ha continuato il servizio fino alla fine per poi marcare visita e accorgersi delle “ferite” solo in serata. Quasi tutti i referti medici riportano prognosi brevi poi gonfiate a posteriori con presunte complicazioni. Lo stesso carabiniere, l’unico che il 3 luglio ebbe un contatto diretto con i manifestanti, che ha dichiarato in quest’aula di essere stato massacrato di botte, ne è uscito con una prognosi esigua di 10 giorni, segno evidente che le percosse ricevute erano di lieve entità. Non così è accaduto a Fabiano Di Bernardino, NO TAV arrestato nella stessa giornata e poi pestato brutalmente all’interno del cantiere, riportando ulna radio e naso fratturati. Due pesi e due misure della stessa procura torinese, noi sul banco degli imputati, archiviazione per i massacratori in divisa.

Noi non siamo fautori dello scontro a tutti i costi. Lo abbiamo accettato per legittima difesa ma non lo cerchiamo. Quello che ci interessa, ci anima e ci appassiona sono i momenti costruttivi di crescita collettiva della nostra lotta. Quei momenti in cui la storia si interrompe – anche se per un tempo brevissimo – e si può pensare e viversi in un mondo diverso, in cui condividere valori e speranze.

E uno di questi momenti è stato la libera repubblica della Maddalena, che è stata una vera palestra, non di violenza ma di democrazia. Non della democrazia rappresentativa in cui si delega il potere ad altri che poi ne abuseranno a piacimento, ma della democrazia reale, quella in cui tutto un popolo si confronta, discute, decide e agisce in prima persona.

Noi siamo un movimento che si oppone alla costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità che consideriamo inutile costosa e nociva.

Nociva per l’ambiente, che verrà devastato in maniera irreversibile, e per la salute degli abitanti della Val Susa e di Torino, che saranno esposti per anni alla contaminazione di polveri d’amianto e persino radioattive.

Inutile perché tutte le più elementari previsioni di traffico lo prospettano ampiamente.

Costosa perché così vuole il sistema clientelare dei partiti che è alla base ogni grande opera nel nostro paese. Opere progettate per impinguare le casse di vari gruppi finanziari, di potenti lobbies di costruttori, di partiti politici e associazioni mafiose. La corruzione eletta a sistema. Costoro non hanno alcuna remora, per i propri miserabili tornaconti di bottega, a sottrarre sempre più risorse alla scuola, alla sanità, alla cultura, alle pensioni, alla salvaguardia del territorio e ai servizi per i cittadini.

Di tutto questo – cioè delle ragioni e delle motivazioni degli imputati – in questo processo non se ne è voluto parlare. Come se le nostre ragioni – che dei tecnici competenti avrebbero ampiamente illustrato – non fossero attinenti al processo.

E nemmeno di ‘ndrangheta si è voluto parlare. Nonostante i giornali riferissero dei rapporti tra questa organizzazione mafiosa e le ditte appaltatrici del cantiere TAV di Chiomonte, proprio di quell’Italcoge che ha la faccia tosta di costituirsi parte civile contro di noi.

Mentre noi venivamo denunciati, arrestati, vessati da misure cautelari sproporzionate, la mafia – dietro i reticolati – sotto la protezione delle forze dell’ordine e dell’esercito italiano, in tutta tranquillità faceva i suoi affari asfaltando le strade all’interno del cantiere.

Gli svariati tentativi dei nostri difensori di introdurre questi elementi all’interno del processo sono sempre stati rigettati dal tribunale come non pertinenti. Si è deciso di fare in fretta e di chiudere gli occhi.

Solo dibattendo su queste problematiche il tribunale avrebbe potuto avere un quadro esaustivo della posta in gioco, per entrambe le parti. Invece abbiamo assistito a un processo contro più di 50 oppositori del TAV in cui non si è discusso né del TAV né delle infiltrazioni mafiose che lo accompagnano.

Qui si è preferito dibattere solo sulle distorsioni e sui lividi riportati dagli agenti per poi presentare il conto in pene detentive e pecuniarie.

Io credo che sia impossibile giudicare qualsiasi fatto se lo si estrapola dal contesto in cui è maturato. La stessa azione che in una data circostanza può essere considerata riprovevole, all’inverso, può presentarsi virtuosa in altro contesto.

Comunque le nostre ragioni – anche se non in quest’aula – sono ormai all’attenzione di tutto il paese. Una sempre più ampia fascia di persone sta cominciando a comprendere i meccanismi della truffa ad alta velocità della linea ferroviaria Torino-Lione. L’opposizione sta lentamente montando in tutta la penisola, e anche in Francia.

Per noi lottare contro questa devastazione che lo Stato vuole imporre alla Val Susa è anche una questione morale.

Noi abbiamo non solo il diritto ma anche il dovere di opporci.

Non riconosciamo la regola che ogni decisione presa dalla maggioranza degli eletti sia indiscutibile e irrevocabile.

Pensiamo che i cittadini debbano intervenire direttamente su ogni problema che li riguarda.

Abbiamo indicato un nuovo modello di democrazia, in cui le minoranze hanno pari dignità delle maggioranze e non accettiamo diktat da parte dello Stato.

E non ci fermeremo, nonostante la procura torinese continui a depositare decine di denunce nei nostri confronti, ipotizzando reati spropositati persino per episodi penalmente irrilevanti. Giustizia a tempo pieno e ad alta velocità solo contro il movimento NO TAV, che nelle aule di tribunale – a dispetto dei tempi lunghi – gode di una specifica corsia preferenziale.

Non abbiamo paura.

Noi, a differenza dei sostenitori del TAV, non abbiamo interessi particolari da difendere, non siamo qui seduti sul banco degli accusati per esserci illecitamente appropriati di qualcosa per mero tornaconto personale. Quello che ci muove è solo un’idea di giustizia. Noi siamo animati da alti valori etici e sociali.

Coloro che in una determinata epoca storica sono ritenuti pericolosi delinquenti e come tali sono incriminati e sanzionati dalla legge possono diventare gli eroi di domani. Molti sovversivi che vennero condannati e patirono lunghe pene detentive durante gli anni bui del fascismo poi furono considerati i padri della repubblica, tanto che uno di loro ne è diventato persino il presidente. Lo stesso è accaduto a Nelson Mandela.

Il movimento NO TAV – sia nel caso di vittoria, sia di sconfitta – sarà comunque riconosciuto dalle generazioni future come un modello eroico di resistenza.

Per quanto ci riguarda, attendiamo il vostro verdetto senza timore, come sempre, con serenità e determinazione, con la coscienza e l’orgoglio di essere nel giusto. Perché le ragioni sono tutte dalla nostra parte.

Il movimento NO TAV sta scrivendo la storia di questo paese.

E la storia vi giudicherà.

Dichiararazione di Tobia Imperato:  :

tobia

 

Dichiararazione di Gabriela Alossa:

gabriela Dichiararazione di Jacopo Bindi:jacopo

Dichiarazione Ginetti

ginetti