Sosteniamo la Procura di Trani che porta alla sbarra il sistema bancario!

chi contesta la magistratura è un antidemocratico che non rispetta le istituzioni. Ma quando c’è una parte della magistratura che in totale solitudine lotta contro il vero potere, quello delle banche, allora si può censurare e dare addosso a quei magistrati. Viva lo status quo, democratico

martedì 2 settembre 2014

banche
 
I mass media non ne parlano, ma quanto sta facendo la Procura di Trani è QUALCOSA DI STRAORDINARIO! Un giudice della Procura di Trani infatti sta portando alla sbarra il sistema bancario italiano, che come abbiamo illustrato più volte, per esempio nell’articolo “Banche, chiunque ha avuto un fido potrebbe chiedere rimborso: ma nessuno lo sa!” nella totale impunità praticano anatocismo e usura, sottraendo a imprenditori e commercianti somme importanti in modo ILLECITO!
 
La Procura di Trani inoltre è nota anche per avere aperto un’inchiesta sulle agenzie di rating, accusate (e probabilmente colpevoli) di aver agito per danneggiare deliberatamente l’Italia, rinviandole a giudizio, inoltre sempre la procura di Trani sta indagando sul vaccino trivalente: che secondo numerose evidenze scientifiche sempre più innegabili (anche se gli scienziati vicini a big pharma ovviamente negano) provocano autismo e gravi problemi di salute. (vedi intervista al noto scienziato Montanari)
 
I GIUDICI IN QUESTIONE DIMOSTRANO GRANDE SENSO DELLA GIUSTIZIA, E SOPRATUTTO IL CORAGGIO DI AGIRE CONTRO QUEI POTERI FORTI CHE CON LA COMPLICITA’ DELLA POLITICA E DI PARTE DELLA MAGISTRATURA DERUBANO E VESSANO I CITTADINI, CALPESTANDO LA LEGGE E LA DEMOCRAZIA!
 
Quando la Procura di Trani ha aperto l’inchiesta sui vaccini, il giudice è stato vittima di linciaggio mediatico: scienziati vicini a big pharma e persino il Ministero hanno attaccato la procura, per esercitare pressione contro questa inchiesta scomoda: EBBENE, NESSUNO TOCCHI LA PROCURA DI TRANI ED I GIUDICI CORAGGIOSI, PERCHE’ SE PER CASO DOVESSERO SUBIRE SOPRUSI O RITORSIONI, SIAMO PRONTI ALLA MOBILITAZIONE AD OLTRANZA! L’altra volta ci siamo limitati a lanciare un appello sul web a sostegno della Procura, raccolto da decine di liberi blogger: ma se necessario, siamo pronti a chiamare alla piazza migliaia di italiani.
 
Di seguito l’articolo di Dagospia:
 
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Anna Maria Tarantola
 
CI VOLEVA LA PROCURA DI TRANI PER SPUTTANARE IL SISTEMA BANCARIO ITALIANO – ALLA SBARRA SACCOMANNI, TARANTOLA, LUIGI ABETE, MUSSARI, PROFUMO, GHIZZONI E CALTAGIRONE: TUTTI ACCUSATI DI AVER CREATO UN SISTEMA DI TASSI DI USURA CON L’AVALLO DI BANKITALIA –
 
È la tesi con la quale il pm di Trani, Michele Ruggiero, ha chiuso le indagini e chiederà di mandare a giudizio quasi tutto il sistema bancario italiano. Una battaglia che se dovesse trovare fondamento metterebbe in ginocchio l’intero credito nel Paese: chi ha mutuo sulle spalle potrebbe continuare a pagarlo senza dover corrispondere alcun interesse…
 
Walter Galbiati per ‘La Repubblica’
 
Due direttori generali della Banca d’Italia, Vincenzo Desario e Fabrizio Saccomanni, già ministro dell’Economia, due responsabili della Vigilanza bancaria, Francesco Frasca e Anna Maria Tarantola (oggi presidente della Rai).
 
Ma anche l’ex presidente di Bnl, Luigi Abete, i vertici passati e attuali di Unicredit, Dieter Rampl, Alessandro Profumo e Federico Ghizzoni, Fabrizio Mussari e Francesco Gaetano Caltagirone per Mps, e i numeri uno della Popolare di Bari, il presidente Fulvio Saroli e l’amministratore delegato Marco Jacobini. E con loro molti altri rappresentanti dei consigli di amministrazioni, tutti accusati di aver creato un sistema di tassi di usura con l’avallo della Banca d’Italia. In tutto 62 avvisi di conclusione indagine. È la tesi con la quale il pm di Trani, Michele Ruggiero, non nuovo a inchieste ciclopiche e roboanti, ha chiuso le indagini e chiederà di mandare a giudizio quasi tutto il sistema bancario italiano. Una battaglia che se dovesse trovare fondamento metterebbe in ginocchio l’intero credito nel Paese, in quanto permetterebbe a chi possiede un mutuo di continuare a pagarlo senza dover corrispondere alcun interesse.
 
I dirigenti dalla Banca d’Italia e il ministero dell’Economia (Giuseppe Maresca) avrebbero, nelle rispettive cariche, «adottato determinazioni amministrative (leggi circolari e regolamenti, ndr) in contrasto/violazione della legge in materia di usura n.108 del 7/3/1996 così consapevolmente fornendo un contributo morale necessario ai fatti reato di usura materialmente commessi dalle banche».
 
Secondo l’accusa le banche, «dopo aver utilizzato per il calcolo del cosiddetto T. e. g. (tasso effettivo globale) l’algoritmo indicato da Banca d’Italia che indicava l’incidenza degli oneri e delle commissioni al credito accordato piuttosto che a quello effettivamente utilizzato, avrebbero adoperato anche per la verifica di sussistenza dell’usura, ossia per la verifica del limite tasso soglia previsto dalla legge, il suddetto medesimo algoritmo (tarato sull’accordato) anziché quell’altro algoritmo che rapportava l’incidenza di oneri e commissioni e spese al credito erogato ed effettivamente utilizzato, elaborato per il calcolo del Taeg».
 
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Il PM di Trani Michele Ruggiero
 
In questo modo venivano segnalati alla Banca d’Italia tassi più bassi entro il limiti dell’usura, che a seconda dei periodi variava tra il 9 e il 20%, mentre ai clienti venivano caricati interessi maggiori. Il reato di usura bancaria continuata e pluriaggravata è stata commessa ai danni di alcune imprese di Barletta, la Costruzioni Crescente con un vantaggio per Bnl di circa 42mila euro e la Best Side per poco più di 2mila euro, la Aligest con un vantaggio per Unicredit di 1.800 euro. Contro Unicredit, giunta Vincenzo Longo per interessi usurari per 9.500 e la Tiesse srl, (2mila euro). Lo stesso Longo ha accusato Mps per 16mila euro.
 
La Popolare di Bari è finita nell’inchiesta per 296 euro di vantaggio usuraio sottratti dalle tasche di Luigi Salvatore Gianfrancesco. Gli interessi e i soldi in gioco sono pochi, ma la posta è grande. L’accusa punta in alto, starà ai giudici stabilire chi ha ragione. Altri nomi illustri finiti nelle indagini per le loro cariche sono gli avvocati Sergio Erede e Berardino Libonati, i tributaristi Guglielmo Maisto e Tommaso di Tanno, i banchieri Fabrizio Palenzona, Paolo Fiorentino, Piergiorgio Peluso, Vittorio Ogliengo, Vincenzo Nicastro, Antonio Vigni.

Lo Stato islamico, al Qaeda, gli Stati Nato/Golfo e i “ribelli moderati” in Siria e Libia.

PARTE PRIMA: ribelle “buono”, “ribelle cattivo”
 
Sintesi.
 
Con il pretesto di colpire anche in Siria l’orrore che si autodefinisce Stato islamico e che si è ritagliata con il coltello una grande area fra Siria e Iraq chiamandola “Califfato”, Usa & C. cercheranno di realizzare un regime change. Così facendo giocheranno di fatto il ruolo di forza aerea di al Qaeda, come fu in Libia. Perché fra i ribelli ”moderati” appoggiati dall’Occidente e i terroristi sedicenti islamici le porte sono girevoli, e lo affermano gli stessi protagonisti.
 
E’ concreto il rischio che i novelli Frankenstein Nato/Golfo riuniti nel gruppo degli “Amici della Siria (ora “Gruppo di Londra”; la loro breve ma perversa storia è raccontata qui)) approfittino della mostruosa creatura uscita dalle loro guerre aperte o occulte, l’ormai famigerato Stato islamico (Isis) per passare da un intervento per procura a un “intervento umanitario” , occupando così la Siria e realizzando, finalmente, il loro tanto agognato regime change al quale hanno già dedicato tre anni costati al popolo siriano infiniti lutti. Tre anni costellati da bombardamenti effettuati da Israele e Turchia, dall’infiltrazione di uomini armati, da aiuti ai gruppi armati “dell’opposizione” operanti in Siria.
 
Washington, da suo canto, rassicura i sostenitori dell’opposizione armata non-Isis in Siria e conferma che non ha alcuna intenzione di coordinare con Damasco eventuali attacchi aerei contro l’Isis anche per non alienarsi i membri della coalizione anti-Assad – principalmente Turchia, Giordania, Arabia saudita, Qatar. 
 
In tal senso, il 25 giugno 2014, Obama ha presentato al Congresso (nel quadro del progetto Overseas Contingency Operations, OCO, per il 2015), la richiesta di destinare, fra l’altro, 500 milioni di dollari per formare ed equipaggiare elementi “verificati” dell’opposizione siriana “per aiutare a difendere il popolo siriano (…) e contrastare minacce terroristiche” . E’ la stessa richiesta reiterata – su esortazione Usa – dagli alleati locali del gruppo Nato/Golfo di “Amici della Siria” , ovvero la “Coalizione nazionale siriana” nata a Doha nel 2012, e il suo braccio armato, appunto l’“Esercito siriano libero”.
 
 Così come i “ribelli” libici, anche quelli siriani hanno fin dall’inizio richiesto l’appoggio dell’Occidente (cosa che non ha mai fatto l’opposizione interna non armata). E Mohammed Qaddah, vicepresidente della Coalizione di Doha, conclude così il suo discorso: “Lottare contro il terrorismo significa anche rafforzare l’Esercito libero siriano che si è dimostrato essere l’unico capace di contrastare il gruppo estremista nella regione”. Ovviamente, Mohammed Qaddah sorvola sulla circostanza che siano stati soltanto i curdi siriani dell’Ypd – e non certo l’Esl e compari – a fermare l’Isis in Siria e a proteggere le loro aree in Siria (come il Royava ai confini con la Turchia) attaccate da Isis, Jabhat al Nusra e anche dall’Esl. Eppure i curdi siriani sono stati esclusi dai negoziati di pace a Ginevra.
 
Di recente Hillary Clinton ha affermato che bisognava armare massicciamente i “ribelli moderati siriani” sin dall’inizio; il non averlo fatto – sostiene – ha dato modo ai jihadisti di riempire il vuoto e di “convertire” i ribelli in loro alleati; una dichiarazione sostanzialmente identica a quella dell’ex ambasciatore Usa in Siria Robert Ford. In realtà, la rapida ascesa di gruppi come al Nusra (al Qaeda in Siria) e Isis (ex al Qaeda), si spiega sia con l’inglobamento di combattenti prima appartenenti a gruppi “moderati”; sia con una crescita militare determinata sostanzialmente da ingenti finanziamenti e da appoggi logistici garantiti apertamente dalla Turchia e dai petromonarchi e – più o meno segretamente – dall’Occidente.
 
Se gli aiuti in armi, denaro e logistica sono stati dati direttamente ai gruppi qaedisti, questo la dice lunga sulle intenzioni degli “Amici della Siria”; altro che combattere l’Isis. Se invece sono stati dati ai “moderati” e poi sono finiti nelle mani “sbagliate”, è successo grazie al fatto che i “moderati” si sono spesso alleati agli islamisti. Ad esempio, secondo le mai smentite dichiarazioni di funzionari governativi giordani “gli Usa addestrarono in una base segreta in Giordania decine di futuri membri dell’Isis” (…) mentre “la Turchia, addestrava combattenti dell’Isis nelle vicinanze di Incirlik.
 
Va detto che un fondamentale trait d’union fra terroristi Nato/Golfo e terroristi Isis sono stati proprio loro: i ribelli” moderati”. Quelli “buoni”. Quelli dalla bandiera verde-nera-bianca nella quale volentieri si avvolgono i sostenitori in Italia di questi “partigiani rivoluzionari”, così come facevano con gli allora mitici, e oggi famigerati, “freedom fighters” libici.
 
Fra i “moderati” e gli al qaedisti o, peggio, l’Isis, c’è sempre stato un documentato sistema di “porte girevoli” e per loro stessa ammissione. 
 
I rapporti fra Esl, al Nusra e Isis sono un groviglio inestricabile e mutevole a seconda degli scenari e del periodo. Così riassume il giornalista dell’Independent Robert Fisk: “Chi sono questi ribelli ‘moderati’ che Obama vuole addestrare e armare? Egli non li nomina e non può perché i ‘moderati’ originali, ai quale gli Stati Uniti hanno promesso fondi – con l’aiuto della CIA, gli inglesi, Arabia Saudita, Qatar e Turchia – sono membri del cosiddetto ‘Esercito siriano libero’ composto principalmente da disertori delle forze armate siriane. L’Esl (…) si è dissolto. I suoi uomini si sono ritirati, si sono arruolati con Al Nusra o nell’Isis o sono tornati nell’esercito governativo” (…) “Si dice che i ‘combattenti per la libertà’ non hanno ricevuto abbastanza armi. Ora ne avranno di più. E non c’è dubbio che le venderanno, come hanno fatto prima. (…) Date ad un uomo dell’Esl – nel caso lo incontraste – un missile antiaereo e ve lo venderà al miglior offerente”.
Va da sé che anche davanti a documentazioni incontrovertibili del canale tra ribelli “buoni” e quelli “cattivi” c’è ancora chi si affanna a dichiarare che l’Esl è una organizzazione “autonoma e moderata” che bisogna continuare a finanziare e armare, contro il regime siriano e contro l’Isis. Un approccio cronologico aiuta a capire l’assurdità di queste affermazioni.
 
Dai jihadisti libici con amore
 
Dal febbraio 2011, in Libia, i paesi occidentali e del Golfo hanno collaborato dal cielo (bombardamenti Nato) e a terra (servizi segreti e corpi speciali) con i “ribelli”, fra i quali forze al qaediste (come spiega in un’intervista un ex prigioniero di Guantanamo che dopo la presa di Tripoli ne diventerà comandante militare:).
Dopo la caduta e uccisione del leader Muammar Gheddafi, grandi quantità di armi furono inviate dagli ex “ribelli” libici ai loro omologhi siriani, grazie alla collaborazione del Qatar (per i finanziamenti e il trasporto aereo) e della Turchia (per l’ingresso). E se anche il Supreme Military Council dell’Esl non distribuiva armi direttamente a gruppi qaedisti, questi comunque – secondo dichiarazioni di attivisti siriani – erano in grado di acquistarle dai gruppi che le avevano ricevute. Il premio Pulitzer Seymour Hersch ha di recente denunciato la rat line fra Cia, Turchia e ribelli siriani: una rete clandestina autorizzata nel 2012, usata per canalizzare armi e munizioni dalla Libia alla Siria attraverso la frontiera turca.
Dall’inizio del 2012 arrivano in Siria milizie jihadiste di dottrina sunnita, finanziate soprattutto dai paesi del Golfo Persico, quali Arabia Saudita e Qatar. La Libia fornisce molti combattenti jihadisti.
 
Nell’agosto 2012, tanto per dirne una ad Aleppo, allora sotto il controllo dell’ Esl si applicava la Sharia anche nei tribunali, e le donne erano costrette ad uscire velate.
 
Via via cresce l’influenza delle fazioni “bin Laden”. Tra tutte, si distingue (anche per efferatezza il neocostituito Fronte al-Nusra, affiliato ad al Qaeda. A metà 2013 arriverà dall’Iraq lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis, Isil); formato da combattenti siriani in Iraq che tornano in patria con l’obiettivo di instaurare la Sharia. Al Qaeda di cui rappresentava il ramo iracheno lo rinnegherà nel 2014. Malgrado la reciproca scomunica, Isis e al Nusra hanno la stessa matrice ideologica e rappresentano la maggior parte dei combattenti dell’opposizione. Se Isis si è rivelato (ancor) più sanguinario, al Nusra ha spesso guidato le operazioni più efficaci dei “ribelli”.
 
Nel novembre 2012, con la rielezione di Obama iniziano le manovre Usa per plasmare le bande dell’opposizione siriana secondo i propri desideri. A Doha nasce la Coalizione nazionale siriana con un allargamento del precedente Consiglio nazionale ad altri ambienti e a Marrakech gli “Amici della Siria” incontrano il nuovo coordinamento dell‘opposizione.
 
Nello stesso tempo gli Usa pongono il fronte al Nusra nella lista dei gruppi terroristi. Significativamente, il leader della Coalizione siriana, al Khatib, dichiara: “Si tratta di un errore e cercherò di modificarlo”. Diversi esponenti e gruppi di ribelli “moderati” reagiscono con il motto “Siamo tutti al Nusra” rimarcando la collaborazione sempre più stretta tra Esl e al Nusra.
 
Fra febbraio e marzo 2013, il segretario di Stato Usa, John Kerry, annuncia che l’amministrazione Obama sostiene l’invio di armi ai gruppi siriani da parte delle nazioni mediorientali (leggi petromonarchie e Turchia) perché, del resto, negli ultimi mesi si è diventati fiduciosi sul fatto che queste armi vadano alla “gente giusta e all’opposizione moderata” che può gestirle correttamente.
 
A quel punto la giornalista e analista basata in Libano Sharmine Narwani chiede all’ufficio stampa del Dipartimento di Stato Usa: “Per favore, indicatemi qualcuno dei gruppi armati moderati ai quali si riferisce Kerry”. Ma non riesce ad avere nemmeno un nome (qui il carteggio) dal portavoce di Kerry; solo considerazioni tipo questa: “L’opposizione ha una visione comune e un piano di transizione per la Siria che offre un’alternativa credibile al regime di Assad. Sosteniamo questa visione e lavoriamo per accelerare la transizione, fornendo sostegno non letale”.
 
Purtroppo i giornalisti stranieri scortati dai “ribelli” non hanno aiutato a capire. In genere si sono attenuti al copione (già collaudato in Libia) dei “partigiani”; la presenza di combattenti da altri paesi era paragonata alle brigate internazionali contro il fascismo in Spagna. Ma quella dei “vecchi e nuovi embedded” è una lunga storia tutta ancora da raccontare.
Nel marzo 2013 Raqqa è il primo capoluogo di regione siriano (con oltre un milione di abitanti nel 2010) a essere conquistato dai “ribelli”, in un’operazione congiunta che ha visto schierate fianco a fianco le forze dell’Esercito libero (Esl) e dei gruppi jihadisti e salafiti di Jabhat an Nusra e Ahrar ash Sham.
Nel giugno 2013, di sostegno ai ribelli siriani si parla molto al meeting del G8 in Irlanda del Nord. Gli Usa riescono allo scoperto annunciando il sostegno a “ribelli selezionati.. C’è chi scrive: “Adesso il sostegno ad al Qaeda è alla luce del sole”. Una esagerazione?
 
Forse no, perché, come rivelato di recente dall’ex ministro degli esteri Emma Bonino “Già nel maggio-giugno 2013 i moderati in Siria non c’erano più. (…) “Quello che so per certo è che all’epoca tra l’altro in cui in Siria vengono allo scoperto i tagliagole, era ormai chiarissimo, evidente e noto che i cosiddetti moderati e laici tra i ribelli siriani erano stati tutti epurati. Anche l’Esercito siriano libero era infiltrato da al Nusra e dall’Isis”.
 
Una verità questa ribadita anche dal colonnello Abdel Basset al Tawil, comandante del fronte settentrionale dell’Esl: “A proposito delle fazioni che l’Occidente vuole classificare come terroriste – il fronte al Nusra – possiamo tranquillamente avere un dialogo con loro, sul tipo di Stato che vogliamo creare, uno che vada bene a tutti (…) non è un segreto che abbiamo rapporti con tutti, anche con i fratelli di al Nusra, e cooperiamo su molti scenari”. E conclude: “Diamo tempo un mese alla comunità internazionale, e poi riveleremo quel che sappiamo sulle armi chimiche… credo che lei sappia che cosa voglio dire”.
 
E come segno di obbediente adesione all’Isis, si possono usare anche gli ostaggi. Secondo alcune fonti, anche il giornalista James Foley, decapitato urbi et urbi dall’Isis, era stato rapito, in una zona occupata dai “ribelli”, poco dopo un video girato da sostenitori dell’Esl, e secondo fonti informate era finito nelle mani della relativamente moderata brigata Dawood, in precedenza allineata con l’Esl, poi passata all’Isis.
 
Nel marzo 2013, l’esperto di jihadismo Aaron Lund, dello Swedish Institute of Foreign Affairs – e nient’affatto pro-Assad, anzi – scriveva che “purtroppo” l’Esl non esiste: è stato un logo creato nel luglio 2011 dal colonnello Riad el Asaad e da pochi altri disertori, presto confinati nel campo di Apaydin in Turchia. Gruppi armati che nascevano in Siria adottavano questo logo, pur non avendo magari alcun collegamento con il comando d’oltrefrontiera. Ma alla fine del 2012 molti gruppi cancellavano i simboli dell’Esl. In seguito questo termine è stato usato semplicemente per separare l’opposizione non ideologica o solo moderatamente islamica, dalle fazioni salafite – quelle tipo Jabhat al Nusra o Ahrar al Sham non vi hanno mai fatto ricorso; ma all’inizio il marchio di fabbrica è stato usato da Liwa al Islam e Suqour el ShamInsomma giusto un marchio, senza gerarchia. Dunque, spiega l’esperto, si usa il termine Esl (Fsa – Free Syrian Army in inglese) per indicare fra i combattenti anti-Damasco le fazioni che ricevono sostegno dal Golfo e dall’Occidente e sono aperte alla collaborazione con gli Usa e altre nazioni occidentali. Questo esclude i curdi dell’Ypg (troppo di sinistra) e quei salafiti che sono anti-occidentali – perché poi ci sono salafiti finanziati da Golfo e Occidente, e sono nel Syrian Liberation Front (Slf), che riunisce gruppi che in precedenza si definivano Esl. Non mancano gli Shields of the Revolution (affiliati ai Fratelli musulmani) e anch’essi a volte si definiscono Esl; o il raggruppamento Ansar-el-Islam, coalizione islamista a Damasco, i cui membri si definivano Esl, ma non più. I masters Nato/Golfo hanno più volte cercato di creare comandi unificati, nessuno dei quali però ha boots on the ground. Come la Coalizione di Doha, comandano (si fa per dire) per corrispondenza, da fuori. Gli uni dai campi in Turchia, l’altra (i “politici”) dagli hotel a 5 stelle del Golfo.
 
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Maggio 2013: foto rivelatrici (se ne parla qui), scattata in una località vicino a Idleb nel corso di una vista del senatore Usa John mc Cain (ambasciatore dei “rivoluzionari” libici, siriani e di Kiev), sembra mostrare oltre al brigadier generale Selim Idriss (con gli occhiali) dell’Esl, Ibrahim al-Badri, noto anche come Abu Du’a, figura dal 4 ottobre 2011 nella lista dei cinque terroristi più ricercati dagli Stati Uniti (Rewards for Justice, con una taglia di 10 milioni di dollari) e dal 5 ottobre 2011 nella lista stessa dal comitato per le sanzioni dell’Onu come membro di al Qaeda. Fondatore dell’Isis, con il nome di battaglia di al Baghdadi.
 
Nell’agosto 2013 il generale Salim Idriss, comandante in capo del Libero Esercito Siriano visita Latakia per “constatare gli importanti successi e le vittorie che i nostri rivoluzionari hanno ottenuto sul fronte costiero”. Ne da notizia “Repubblica” che dimentica, comunque un non trascurabile dettaglio; quelle operazioni sono state condotte direttamente dalle milizie del Fronte al-Nusra.
 
Sulla catena che dagli Usa porta all’Isis la dicono lunga alcune foto: nella prima, il segretario di Stato John Kerry ha dietro di sé l’ex ambasciatore Usa in Iraq Robert Ford; nella successiva, lo stesso Ford è ritratto nel nord della Siria, maggio 2013, insieme ad Abdul Jabbar Aqidi, a quel tempo capo dell’Aleppo Military Council; nell’ultima, Jabbar nell’agosto 2013 celebra insieme all’emiro dell’Isis Abu Jandar la presa di un aeroporto militare.
 
Lo stesso Abdul Jabbar, in questa intervista, concessa, a Orient TV a fine 2013, sostiene: “Sono buoni i rapporti con l’Isis. Comunico ogni giorno con i fratelli dell’Isis. Per risolvere problemi e dispute. I media esagerano le cose a proposito dell’Isil, li chiamano takfiri – quelli che accusano ogni altro di apostasia –ma la maggioranza di loro non lo sono”.
 
Certo le spine sono tante. Il 13 luglio 2013 Muhammad Kamal al Hamami, carismatico leader dell’Esl, viene a un vertice con i leader dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante in un posto segreto nel porto di Latakia. Con gli islamisti deve discutere delle strategie da adottare per contrastare la controffensiva dell’esercito governativo a Homs e Aleppo. Un piano comune, dopo mesi di divisioni che hanno indebolito il fronte dei ribelli. Ma il meeting è una trappola. Hamani, fra l’altro uno dei componenti del Supremo concilio militare degli insorti, viene ucciso. Per punire l’Esl che aveva abbandonato il campo di battaglia a Qusayr.
 
Ed ecco i rapporti fra Esl, islamisti e il fronte curdo laico e progressista dell’Ypg (che ha fra i suoi comandanti molte donne). Nell’agosto 2013 il manifesto riferisce: “Il 31 luglio 2013 gruppi islamisti hanno massacrato oltre cinquanta tra donne e bambini nei villaggi curdi di Tall Hassil e Tall Aran. La maggior parte dei bambini e delle donne uccise farebbe parte di famiglie di membri del fronte curdo alleato del Ypg (formato da uomini e donne) che combattono contro i gruppi vicini ad al Qaeda e contro l’ Esercito libero siriano (sostenuto dall’ Occidente ndr). Un comunicato del Pyd accusa Unione europea, Stati uniti e paesi arabi per il loro silenzio di fronte ai massacri e precisa che gruppi affiliati ad al Qaeda e Esl sono sostenuti da paesi esteri, soprattutto la Turchia che lascia passare uomini e armi per far la guerra ai curdi”.
 
La rottura all’ interno dell’opposizione di Assad sembra arrivare nell‘estate 2013, ma non è auspicata. Una rottura da evitare secondo Padre Dall’ Oglio che, nel suo ultimo articolo, così scriveva“….Per noi siriani della rivoluzione, la riconciliazione tra forze islamiste radicali e forze democratiche è una necessità strategica. Le scaramucce dolorose e i crimini insopportabili avvenuti tra noi devono trovare soluzione, essere riassorbiti, per presentarci uniti di fronte al pericolo totale rappresentato dal regime, appoggiato direttamente o indirettamente da troppi. Favorire i partner più affidabili, incoraggiare le evoluzioni più auspicabili è buono. Spingerci ad ammazzarci tra di noi non può esserlo….” “Quando dieci mesi fa il Papa Benedetto visitò il Libano disse, sicuramente per effetto delle opinioni dei prelati mediorientali favorevoli al regime del clan Assad, che era peccato mortale vendere le armi ai contendenti nella guerra intestina siriana. In quell’occasione twittai che se era peccato vendercele, allora bisognava darcele gratis! Ci hanno spinto a muoverci promettendoci protezione e solidarietà e ci hanno vigliaccamente abbandonato; poi ci giudicano se ci siamo rivolti malvolentieri ai loro nemici per salvarci dal genocidio promessoci dagli Assad”.
 
A febbraio 2014 si annuncia che Susan Rice, consigliere per la Sicurezza Nazionale, ha incontrato i capi intelligence di Turchia, Qatar, Giordania raccomandando di non aiutare più i gruppi estremisti ma solo quelli “moderati”. Nel frattempo, comunque, Usa e petromonarchi aumentano gli aiuti a tutti i gruppi – islamisti e non – che dichiarano di voler combattere l’Isis. Come riferiscono fonti degli stessi ribelli la gara per accaparrarsi i soldi (oltre all’Esl), l’Army of Islam, Syrian Revolutionary Front, l’Esercito dei Mujahidin, il Fronte Islamico, il Fronte dei rivoluzionari.
 
Lo scontro vede (sempre secondo il sito favorevole all’opposizione siriana armata non jihadista: da un lato, l’Esercito siriano libero (Esl), l’Esercito dei Mujahidin (moderatamente islamista) e il Fronte Islamico (che vuol far diventare la Siria uno Stato islamico ma è moderatamente moderato; il suo atteggiamento è ancora ambiguo ma molte sue fazioni partecipano all’attacco) e il Srf di cui sopra. Dall’altro l’Isis (o Daesh) alleato con Jund al Aqsa. Anche alcune unità appartenenti ad al Nusra si sono unite nella campagna condotta contro l’Isis.
 
Pochi mesi dopo uno dei beneficiari di cui sopra, – Jamal Maaruf, leader del Syrian Revolutionary Front (organizzazione fino ad allora considerata “moderata” dagli USA) parlando ad Antakya, in Turchia, dichiara che: ““La lotta contro al Qaeda in Siria non è il nostro problema”. E precisa che il suo gruppo – aiutato da Usa, sauditi e Qatar – anzi lavora insieme a Jabhat al Nusra, la branca siriana di al Qaeda, visto che l’obiettivo comune è abbattere Assad. 
 
Maaruf precisa: “Se chi ci sostiene ci dice di dare armi a un altro gruppo, gliele diamo, come è successo a Yabrud”. Con l’aiuto del Fronte islamico (salafita) e dell’Esercito islamista dei mujaidin di Aleppo, il Srf ha obbligato l’Isis a ritirarsi da Aleppo a Jarabalus. Ma se le atrocità dell’Isis sono troppo perfino per al Qaeda, certo nessuno nega che al Nusra sia responsabile di molte atrocità, comprese esecuzioni e sgozzamenti documentati dai loro stessi video.
 
Ancora nel marzo 2014, fazioni di ribelli più moderate e fazioni jihadiste con l’aiuto di combattenti radicali dall’Arabia saudita (il “green Battalion” di veterani sauditi in Afghanistan e Iraq) cooperano nella zona di Qalamun, vicino alla frontiera libanese, per respingere le forze governative. Lo dichiarano attivisti come Abu Omar al Homsi (che di lì a poco sarà arrestato in Libano come membro di al Nusra), spiegando che il tutto è coordinato da un centro operativo che fa capo ad al Nusra.
 
Il 9 giugno 2014, il capo dello staff del Supreme military council dell’Esl dichiara  alla Reuters che gli Usa distribuiscono armi direttamente a gruppi difficili da controllare sul fronte nord e sud. Ciò potrebbe portare a un’altra Somalia.
 
Robert Fisk aveva ragione.
 
La Redazione di Sibialiria
 
FINE PRIMA PARTE

“Assistiamo progressivamente a un’assoluta privatizzazione di tutti i rapporti di famiglia.”

diritto a pagamento o ad lobby -vuoi mettere che ad personam? I diritti dei minori? In saldo

A dirlo è Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, intervistato da Avvenire in merito alla sentenza che permette l’ adozione di una bambina alla compagna lesbica delle madre naturale.

Il magistrato mette sotto accusa l’atteggiamento generale dello Stato che “sempre più dice fate come vi pare, ma così paradossalmente vengono meno le garanzie alle parti più deboli.”
Sul piano meramente tecnico, Mirabelli rileva anche che la sentanza ha violato  principi fondamentali del diritto: essa ha strumentalizzato la tipizzazione dei “casi particolari”, forzando così la legge e stravolgendone l’impostazione: i casi particolari sono eccezionali. Perciò sono solo quelli indicati dalla legge. Se no non sono più eccezionali!
Se passasse questa linea,  allora tutti i minori, in qualsiasi condizione, potrebbero essere adottati: basterebbe dire che si è “constatata l’impossibilità di affidamento preadottivo”, magari proprio perché ha già mamma e papà.”
Di fronte a tutto ciò il legislatore dovrebbe intervenire con decisione, ma soprattutto il Presidente della Repubblica, nel suo ruolo istituzionale di garante della Costituzione, dovrebbe invitare i giudici a rispettare il principio democratico della separazione dei poteri, che è alla base dello Stato di Diritto.

Vi presento i ribelli moderati

quei bravi e mitici rivoluzionari che combattono quel cattivo despota di Assad, e prima Ghedafi….le loro vittime, non meritano sdegno né tutela né pietà. Questo nel regno della doppia morale che conosce solo il Washington consensus. Razzismo è non stare dalla parte dei tagliagole, delle vittime chi se ne frega. Il cattivo è Assad e l’amato liberatore yankee “libererà” anche il popolo siriano.
Non valgono le indignazioni ad olorogeria, quelle sincronizzate sul cambio strategia di Washington, questi mostri sono creatura e servi degli Usa, questa era la loro natura fin dall’inizio quando si incensavano questi “ribelli”. Ma si doveva non vedere perché così era funzionale al premio nobel per la pace Obama, tanto bravo e buono perché di colore. 

Islam, sgozzati in diretta a decine

Islam, sgozzati in diretta a decine: ecco perché lo raccontiamo
Non c’è nemmeno la pietà della ghigliottina. La compassione gelida della lama affilata che taglia di netto: un colpo secco, il buio. Che cosa significa decapitare un uomo? La risposta è: quindici secondi. Provate a scandirli a voce alta. I miliziani dell’Isis non usano asce o mannaie. Utilizzano il coltello.
 
Quindici secondi da quando affonda la prima volta nella carne a quando il corpo della vittima smette di tremare.
 
I guerriglieri dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante sono in due, il volto celato da drappi di stoffa nera. Hanno i piedi lerci infilati nelle ciabatte. Trascinano di peso un giovane, un civile, sulla terra polverosa intorno a Deir ez-Zor, a nord est di Damasco. Il ragazzo, forse meno di trent’anni, ha le mani legate dietro la schiena. Lo buttano a terra, uno dei miliziani lo gira su un fianco. Lui non può reagire, sembra immobilizzato, ha gli occhi fissi: sa che lo aspetta la morte. Non domani o fra un mese: ora, subito. Ma ha le mani legate e non può sferrare un pugno, proteggersi il volto. Pregare di essere risparmiato, magari.
 
E non può neppure scappare. Deve offrire il collo agli uomini che lo hanno catturato. Lo fa quasi docilmente, con lo sguardo acquoso, il cervello perso dietro chissà quale pensiero finale. Poi la lama entra, vicino alla nuca. Provate a tastarvi il collo: ecco, è proprio lì. A quel punto gli occhi del ragazzo si spalancano, ma non vedono niente, solo il dolore cieco. Il guerrigliero dell’Isis è un uomo del deserto con le mani e il cervello educati alla violenza. Il suo taglio non è preciso: la lama va su e giù, come farebbe un seghetto dentro un pezzo di legno. Se ne può udire lo scricchiolio. Avanza a fatica e recide le vene, dilania la carne. Il sangue comincia ad allargarsi sulla sabbia. Il giovane perde il controllo della vescica e si piscia nei pantaloni.
 
Ed ecco le urla. Il terrore assoluto, totale. Mentre il ragazzo viene sgozzato non riesce a chiamare la mamma, può solo emettere un vocalizzo straziante: «Aaaah, aaaah, aaaah». Sempre più forte, sempre più atroce. A che cosa pensi, mentre ti ammazzano? Mentre senti il coltello che adesso aggredisce le ossa fino a spezzarle? Pensi il dolore, solo quello, in un’ascesi infernale. E la morte non arriva. Quindici secondi, non uno di meno. Li avete contati?
 
Il ragazzo dimena le gambe in uno sforbiciare folle sulla terra brulla. La parte superiore del corpo è bloccata dai carnefici e gli occhi sono ancora dilatati dal male infinito. Continua ad agitare la gambecome un tarantolato finché un terzo uomo dell’Isis non gli appoggia un sandalo sudicio sul ginocchio per fermare quel moto demoniaco. La lama è arrivata fino quasi al pomo d’Adamo. L’urlo disperato del giovane, raccattato in chissà quale villaggio e chissà con quale scusa, degrada in un gorgoglio mostruoso, mentre il sangue gli invade la gola. Poi, finalmente, la morte. Il corpo del ragazzo, sfinito, la accoglie afflosciandosi come un sacco vuoto. Quindici secondi. Tanto è durato il supplizio.
 
Il video lo trovate su Syrianfight.com, che ogni giorno documenta – con foto e filmati – la macelleria islamica dell’Isis. Ce ne sono altri, di siti così. LiveLeak.com, per esempio. O Isiswatch. Sono pieni di immagini raccapriccianti, di riprese vietate ai minori che mostrano al mondo i massacri che i soldati del Levante stanno compiendo in Siria e in Iraq. Sono foto e video che non possiamo mostrare, ma che servono a capire. Perché quando si legge che il giornalista James Foley è stato decapitato è difficile farsi un’idea. Abbiamo visto un uomo inginocchiato, poi lo stesso uomo con la testa separata dal corpo. In mezzo, un sottinteso agghiacciante. Che però deve essere svelato, perché bisogna che si sappia che cosa fanno gli aguzzini di Allah.
 
Bisogna guardare con i propri occhi l’incubo che si lasciano dietro. Non è una decapitazione: sono decine, centinaia. Non sono l’eccezione, com’era il paficista Nick Berg a cui Al Qaeda incise la gola dieci anni fa. Sono la regola.
Qualcuna è salutata dal raschio catarroso «Allah Akhbar». Altre sono accompagnate dalle risate dei macellai. Non sono semplicemente assassini, questi dell’Isis. Hanno col sangue e la violenza un legame antico, di rocce e di sabbia. Uccidono un uomo come si farebbe con una capra, hanno nelle mani le rimembranze dei loro antenati pastori. In un video c’è un guerrigliero in passamontagna che apre il collo di una vittima alla stregua di un quarto di bue: si vede la carne rossa attorno all’osso. Se la mangiasse, non sarebbe più atroce.
 
Sono vampiri. Aggrediscono il collo in cerca di sangue. Infilano le teste dei nemici e dei civili incolpevoli sulle punte dei cancelli come fossero picche. Come faceva Vlad l’impalatore. Il loro massacro è sistematico, ma non ha purezza scientifica, la geometria malvagia del genocidio. È sommario: è un ammassarsi di corpi mozzati uno sull’altro. Nei cassoni dei camion, sui marciapiedi, vicino ai ragazzi che osservano per nulla scossi. È questa la misura dell’orrore: la sporcizia, la puzza di morte che promana dallo schermo. La paura sorda di un ragazzo, l’ennesimo civile, che rantola di essere innocente, biascica preghiere prima che lo sgozzino. Fortuna che un pietoso jihadista gli pianta una pallottola nel cranio appena prima che il suo collega proceda alla decapitazione.
 
Nelle canzoni blues, i patti col diavolo si stringono agli incroci delle strade: l’Isis trasforma le città in un inferno dove gli angoli delle strade sono ornati di uomini crocifissi. In una foto, pubblicata su Twitter, si vede un miliziano sorridente: sta facendosi un «selfie» con un cadavere attaccato a una ringhiera. In un’altra si vede un bambino con un kalashnikov in mano, sprizza felicità per il giocattolo nuovo. Si è messo in posa vicino a una croce di legno a cui sta appeso un uomo. È morto, ha il capo reclinato: sembra davvero Gesù. Ma non è il Cristo scarno del Mantegna. Ha il gonfiore schifoso della morte, la tunica impregnata di sangue e fluidi corporei. Il bambino lo guarda e sorride. E forse pensa che presto toccherà a lui sgozzare qualcuno. Quel giorno verrà, e per lui sarà un giorno lieto.
 
di Francesco Borgonovo fonte

Ucraina: la GB guiderà una forza d’intervento NATO di 10mila uomini

sabato, 30, agosto, 2014
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30 agosto- Si alzano i toni tra Occidente e Mosca sul conflitto ucraino. Se infatti il presidente russo Vladimir Putin ha detto chiaro e tondo che con una potenza nuclerare non si scherza, i paesi europei sono chiamati ad affrontare la questione nel summit sulle nomine in programma oggi a Bruxelles.
 
“La Russia – ha intimato l’Alto rappresentante per la politica estera Ue Catherine Ashton a Milano nella conferenza stampa al termine della riunione informale dei ministri degli Esteri dei 28- deve porre un freno alle ostilità, porre un freno al passaggio di equipaggiamenti nella zona di conflitto e ritirare le sue forze armate” dall’Ucraina. Ma ben presto si potrebbe andare ben oltre la guerra di parole.
 
La Gran Bretagna e altri sei stati creeranno infatti una forza multilaterale con almeno 10.000 uomini per rafforzare larisposta della Nato all’aggressione della Russia in Ucraina (CHE PERO’ NON FA PARTE DELLA NATO). Lo riporta il Financial Times, sottolineando che l’annuncio ufficiale è atteso la prossima settimana dal primo ministro inglese, David Cameron, in occasione del vertice della Nato. La ‘joint expeditionary force’ includerà unità navali e truppe di terra e sarà guidata dagli inglesi. I paesi che al momento coinvolti sono Danimarca, Lettonia, Estonia, Lituania, Norvegia e Olanda. Il Canada avrebbe espresso interesse per l’iniziativa.
 
“Siamo di fronte a una situazione gravissima e una crisi drammatica: potremmo arrivare a un punto di non ritorno se non si ferma l’escalation”, afferma non a caso il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, dopo il faccia a faccia con il presidente ucraino Petro Poroshenko, che oggi parteciperà ai lavori del Consiglio Europeo straordinario. “Tuttavia crediamo che ci sia sempre tempo per trovare una soluzione”.
 
Un aereo da combattimento ucraino Su-25 è stato intanto abbattuto nell’est dell’Ucraina dopo essere stato colpito da un sistema antiaereo russo. Lo ha annunciato oggi lo stato maggiore ucraino che, senza precisare il luogo dell’attacco, aggiunge che il pilota è riuscito a lanciarsi con il paracadute. Il comando dell’operazione militare ucraina ha invece smentito che gli aerei abbattuti siano quattro, come avevano rivendicato i ribelli filorussi. E’ poi giallo sul perché dell’arresto di due funzionari dell’ambasciata russa a Kiev. Il terzo segretario Andrei Golovanov e l’addetto diplomatico Mikhail Shorin sarebbero stati arrestati questa settimana nella capitale ucraina nonostante avessero dei passaporti diplomatici, e Mosca li ha dichiarati “dispersi”. I due diplomatici sono stati rilasciati stamane. Lo fa sapere il ministero degli Esteri russo precisando che i funzionari sono tornati in patria.