Fisco, Cgia: nel 2014 nuove tasse per 6 mld di euro

ma come, fortuna che la nostra tanto pregiata costituzione, sostituita dai tanto pregiati trattati dell’unione europea, dice che la contribuzione deve essere progressiva in base alle capacità di spesa dei soggetti. Le detrazioni sono una regalia per coloro che lavorano perché paradossalmente, per i PIU’ POVERI IN ASSOLUTO, cioè i disoccupati non possono DETRARRE NIENTE non avendo reddito da dichiarare.
 
Pubblicato da ImolaOggi – dic 8, 2013
8 dic – Nel 2014 la pressione fiscale diminuira’ dello 0,1%, ma nonostante cio’, gli italiani pagheranno quasi 6,1 miliardi di euro di nuove tasse. Se in un primo momento tutto cio’ puo’ sembrare un paradosso, in realta’, visti i dati presentati il 29 ottobre scorso dal ministro Saccomanni nell’ audizione tenutasi presso le Commissioni riunite di Camera e Senato, le cose andranno proprio in questo modo a meno che il Parlamento non le modifichi in sede di approvazione del disegno di legge sulla Stabilita”’.
A dirlo e’ la Cgia di Mestre. Nel 2014 la pressione fiscale si attestera’ al 44,2%, osservano gli artigiani, 0,1 punti in meno rispetto al 2013: ricordando che la pressione fiscale e’ data dalla somma tra la pressione tributaria e quella contributiva. ”Se la diminuzione della pressione contributiva interessera’ solo gli occupati, l’ aumento di quella tributaria – segnala il Segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – ricadra’ su tutti i cittadini, penalizzando soprattutto i pensionati e coloro che non lavorano. Purtroppo, questi ultimi non potranno beneficiare della contrazione del carico contributivo”.
 
In termini assoluti le entrate tributarie cresceranno, rispetto al 2013, di oltre 17 miliardi di euro. Undici miliardi saranno riconducibili alla crescita nominale del Pil che trascinera’ verso l’ alto il gettito di imposte, tasse e tributi, gli altri sei, invece, graveranno sulle tasche di tutti noi a seguito dell’ aumento dell’ Iva avvenuto a partire dallo scorso primo ottobre (+ 3,17 miliardi di euro). Altri fattori saranno la diminuzione della deduzione forfetaria dal 15 a 5 per cento in capo ai locatori (627 milioni di euro); l’incremento del gettito Iva dovuto allo sblocco dei pagamenti della Pubblica Amministrazione (600 milioni di euro); il ritocco all’insu’ delle accise sui carburanti, sul vino, sulla birra, etc. (284 milioni); l’incremento dell’Iva sugli alimenti e le bevande in vendita presso i distributori automatici (104 milioni di euro); di altri 1,108 miliardi di euro di maggiori entrate nette ”introdotte” dal disegno di legge sulla Stabilita’, cosi’ come approvato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nelle settimane scorse.
 
Pertanto, nel 2014 la pressione tributaria salira’ al 30,5 per cento, 0,2 punti in piu’ del valore raggiunto quest’anno. Rispetto al 2013, invece, la Cgia segnala che le entrate contributive aumenteranno di oltre 1,9 miliardi di euro: le ragioni vanno ricercate negli aumenti delle aliquote previdenziali che interesseranno i lavoratori autonomi e nell’incremento del gettito contributivo in capo ai lavoratori dipendenti per via degli aumenti contrattuali. Nonostante cio’, la pressione contributiva scendera’ di 0,3 punti attestandosi al 13,7 per cento. Questa diminuzione del valore percentuale si verifichera’ perche’ l’anno prossimo il Pil crescera’ in misura maggiore dell’incremento registrato dalle entrate contributive. Pertanto, sommando la variazione della pressione tributaria (+ 0,2) con quella contributiva (- 0,3) otterremo una diminuzione della pressione fiscale di 0,1 punti: quest’ultima si attestera’ al 44,2%.
 
Rispetto al 2013, gli italiani saranno chiamati a pagare 17 miliardi di tasse in piu’: 11 li possiamo ritenere ”indolori”, perche’ derivano dall’aumento del reddito nazionale (piu’ si produce ricchezza, maggiori solo le entrate), mentre gli altri 6 miliardi sono originati da precise disposizioni normative e rischiano di mettere in seria difficolta’ soprattutto le famiglie.
 
”Se la diminuzione della pressione contributiva interessera’ solo gli occupati, l’aumento di quella tributaria – segnala il Segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – ricadra’ su tutti i cittadini, penalizzando soprattutto i pensionati e coloro che non lavorano. Purtroppo, questi ultimi non potranno beneficiare della contrazione del carico contributivo.”. Come per la pressione fiscale, anche la spesa pubblica (al netto degli interessi sul debito) subira’ una contrazione. Infatti, dal 46,3 per cento del Pil previsto per quest’anno, scendera’ al 45,5 per cento (-0,8) nel 2014, mentre in termini assoluti le spese al netto degli interessi passeranno dai 722 miliardi di euro di quest’anno ai 729,7 miliardi previsti per il 2014 (+ 7,6 miliardi di euro). Se in termini assoluti le uscite pubbliche continueranno ad aumentare, in rapporto al Pil scenderanno. Questo – conclude la Cgia – avverra’ perche’ il Pil crescera’ percentualmente in misura superiore all’aumento della spesa (nel 2014, rispetto al 2013, il Pil nominale crescera’ del 3 per cento, mentre la spesa pubblica al netto degli interessi salira’ ”solo” dell’uno per cento circa).

Burrasca in casa Kyenge, lei smentisce il marito: “Non sono ricattata dal Pd”

ah ah ah e sarebbero stupidi perché farebbero firmare un atto impugnabile? Sfido un solo magistrato a sostenere una causa contro il Pd…per fare la fine della Forleo??

Pubblicato da ImolaOggi – dic 7, 2013

Kyenge
7 dic. – “Le dichiarazioni di Grispino Domenico sono di sua stretta responsabilita’ personale: esprimo il mio rammarico per quanto detto, me ne dissocio completamente, sottolineando che ogni mia scelta politica e personale e’ avvenuta ed avviene in completa autonomia e liberta’ nel rispetto di tutti”.
 
La smentita arriva da Cecile Kyene, ministro per l’Integrazione ma anche moglie di Grispino e fa riferimento alla pubblicazione oggi, da parte del quotidiano Libero, di un’intervista rilasciata dall’uomo e dal titolo “Il ricatto del Pd a mia moglie Cecile” e dove e’ detto tra l’altro “le hanno fatto firmare un impegno a restituire 34mila euro di spese elettorali, ma la campagna l’ho pagata tutta io”.
Parlando del Pd, l’uomo nell’intervista dice “li ho votati solo perche’ hanno candidato mia moglie. Le sembra un partito di sinistra quello? Matteo Renzi le sembra un politico di sinistra? Per favore”. Domenico Grispino aggiunge che alla moglie “l’addetto stampa le e’ stato imposto dal partito. Era quello dell’ex ministro Cesare Damiano. Il Pd piazza in giro tutti quelli che non riesce a mantenere. Nei gabinetti dei ministeri girano sempre gli stessi nomi con tutti i governi”. E se la moglie non risponde alle domande “e’ colpa del clima che c’e’ nell’entourage. Sono pronti tutti a farti lo sgambetto. E in pochi hanno festeggiato quando e’ stata eletta”. Grispino parla di politica “di m…”.
 
E sulla campagna elettorale spiega che lui e la moglie Cecile l’hanno fatta, “il partito le diceva dove andare a parlare e lei andava. Ma a spese proprie. Per i tre mesi di campagna ho investito io quasi 2mila euro perche’ in giro non raccoglieva niente”. E poi aggiunge che dei compensi mensili che la Kyenge percepisce mensilmente, compresa la diaria, “ben duemila euro vanno al Pd”, sottolineando “le hanno fatto firmare un accordo molto generico per presunte spese elettorali con cui lei si impegna , dopo l’elezione a versare al Pd 34mila euro. Ma quali sono queste spese elettorali. Era nel listino. Il partito non le ha dato niente e sono anche stupidi perche’ quei contratti sono atti impugnabili”.

Facebook dimezza la visibilià dei post delle pagine

ma pensa te, hai voglia a trovare un counter credibile…..
Pubblicato da ImolaOggi NEWSScienza & Tecno – dic 5, 2013
5 dic – Se ne parla ormai da mesi se non da anni: la visibilità (reach) organica (non a pagamento) dei post delle pagine su Facebook è in costante riduzione. Di conseguenza anche l’engagement (in termini di clicks, like, share e commenti) dei post stessi è mediamente sempre più basso. Fino ad oggi tutti avevano accusato Zuck & Co. di aver modificato l’EdgeRank (l’algoritmo in base al quale i post acquisiscono o meno visibilità) per affossare i post e spingere le aziende a pianificare ads per “tirarli su”.
 
Ci sono stati già vari periodi in cui i brand, chi più chi meno, hanno dovuto fare i conti con quelle che ormai possono essere definite “le mazzate di Facebook”. Quella di questi ultimi giorni potrebbe essere però la mazzata definitiva. E la cosa più sconvolgente è che Facebook, candidamente e tranquillamente, ha ammesso che le mazzate sono volute e finalizzate ad “obbligare” le aziende ad investire per avere visibilità.
 

I TRUCCHI DI EQUITALIA PER RASTRELLARE INTERESSI NON DOVUTI

È notizia del 16 novembre scorso che a partire dall’anno prossimo Equitalia sarà sottoposta al controllo di un’Autorità di garanzia per la riscossione esattoriale, che avrà il compito di impartire alle agenzie di riscossione indicazioni operative sull’attività di recupero crediti e verificare che vi si adeguino. Una funzione di indirizzo e di monitoraggio, che però potrà essere attuata solo a partire dal 2015, perché per legge le sue prescrizioni avranno valore ad un anno di distanza dalla data di approvazione. Una decisione, quella del Ministero dell’Economia, probabilmente motivata dalla necessità di porre un argine alle continue irregolarità commesse dalla nota azienda di riscossione (di proprietà per il 51% dell’Agenzia delle Entrate e per il 49% dell’Inps). I casi più noti quelli di cartelle non firmate da dirigenti, ma da semplici funzionari, che sono da considerarsi nulle, come sentenziato dal TAR del Lazio (recente il caso dei falsi dirigenti dell’Agenzia delle Entrate, cioè funzionari promossi senza un pubblico concorso): un ‘guaio’ per Equitalia, ma ancora di salvezza per i contribuenti, perché annullerebbe il 50% delle cartelle esattoriali (la parola definitiva verrà data però dalla Corte Costituzionale). In caso di atto ipotecario, invece, è bene controllare che vi siano indicati i termini entro cui l’atto può essere impugnato e l’autorità presso cui depositare ricorso: se non è così, l’atto può considerarsi nullo, secondo la sentenza n.4777 della Corte di Cassazione del 26 febbraio 2013. Inoltre, devono essere indicati non soltanto gli importi, ma la base di calcolo degli interessi (sentenza n.4516 del 22 febbraio 2012 della Cassazione Civile Tributaria e sentenza n. 92 del 1° ottobre 2012, vedi qui), la cui assenza rende nullo l’atto ricevuto (come probabilmente la maggioranza di quelli inviati dopo il 2008). In base ad un’altra sentenza della Corte di Cassazione, tenuta nel cassetto per un po’ di anni (è la n. 3701 del 16 febbraio 2007), la cartella esattoriale non può presentare maggiorazioni semestrali del 10% quando riguarda una contravvenzione stradale (se non in caso di ordinanza o ingiunzione oppure in caso di rigetto del ricorso da parte del Prefetto) perché il mancato pagamento della contravvenzione comporta già una maggiorazione. Ma non basta: la cartella deve essere consegnata direttamente da un ufficiale di riscossione, messo comunale o agente di polizia municipale (se vi è una convenzione, in quest’ultimo caso, tra comune ed ente di riscossione) e non può essere inviata per raccomandata, secondo diverse sentenze delle Commissioni Tributarie di varie province. In pratica, quante cartelle si salvano?
Non stupisce allora l’istituzione dell’Authority… che però sarà composta da: due dirigenti del Ministero dell’Economia, uno dell’Agenzia delle Entrate, uno dell’Inps e due esponenti degli altri enti che si avvalgono del servizio di Equitalia. Gli stessi enti, cioè, a cui va oltre il 90% di quanto riscosso dall’agenzia, che tiene per se solo l’8%. 
 
Conflitto di interessi? E chi ricorda lo strano caso di Equitalia S.p.a., rinominata poi Equitas, ossia la società off-shore con sede nel Delaware (U.S.A.) e omonima dell’azienda di riscossione italica? Una strana coincidenza che ha fatto pensare ad un tentativo di accantonare in paradisi fiscali (quale è lo stato U.S.A. per le società straniere) le somme sottratte ai contribuenti italiani, spesso con modalità ai confini della legalità. Sospetti infondati?
L’articolo che segue, tratto da Rinascita, fornisce ulteriori spunti di comprensione.
Redazione Nexus

Gli esosi trucchi di Equitalia
Federcontribuenti: per rastrellare interessi non dovuti
Equitalia, azienda esperta nel trarre guadagno, continua ad usare il diabolico trucchetto del notificare a distanza di anni le cartelle esattoriali ai contribuenti lasciando che gli interessi di mora triplichino l’originario importo del debito iscritto. Allungando ingiustificatamente l’azione del recupero, viene garantito un maggior guadagno per Equitalia che incassa tassi di interesse fino al 20% per ogni anno di ritardo. Non bastano le recenti sentenze che condannano questo sistema come neanche le labili ”leggi” ad obbligare l’agenzia ad allinearsi a criteri più giusti ed equi. Equitalia continua a seminare terrore tra la società. Precisa il presidente Paccagnella di Federcontribuenti:
 
«la società gioca sulla consapevolezza del suo enorme peso politico, basti pensare che l’Erario perde, mantenendo in piedi Equitalia, circa il 40% delle entrate tributarie».
 
Non sono vere quindi, le ultime dichiarazioni politiche che piovono da più parti le quali affermano che se le cartelle esattoriali dovessero essere sgravate di interessi di mora, aggio e sanzioni ci sarebbe una perdita di più di 3 miliardi di incasso per lo Stato. È vero il contrario:
«sempre meno sono le rateizzazioni concesse preferendo il pignoramento dei beni che, alla fine, ben poco portano alle casse dello Stato. Se i pagamenti fossero studiati in base alla reale possibilità contributiva del cittadino il recuperato sarebbe superiore all’attuale di ben 40 punti percentuali con grande respiro per tutti quanti, compresa la continua caccia alle coperture finanziarie».
 
Tenere perennemente in una posizione debitoria i contribuenti e egli imprenditori è quindi una politica suicida: nessun guadagno per l’Erario e nessuna ripresa economica.
Insomma, Equitalia stra rastrellando in tutta la nazione montagne di soldi eppure la loro spartizione è argomento di misteri ed ombre. Per non parlare di Equitalia Giustizia che dal 2008 gestisce il Fondo Unico Giustizia, dove lo Stato fa confluire le risorse recuperate dai sequestri derivanti dalla lotta alla criminalità. Esiste un buco nero?
 
«Il nostro Stato è una macchina tanto inefficiente quanto poco trasparente. In effetti non conosciamo nel dettaglio le entrate come le uscite. Voci di capitolo sparate qui e là, tra amministrazione centrale, regioni, province e comuni tutti noi ci muoviamo alla cieca: anche se sentiamo, avvertiamo che qualcosa proprio non va mancano dati oggettivi».
 
Inoltre, l’illogicità dell’applicare gli studi di settore alle piccole imprese quando è evidente che queste muoiono di giorno in giorno. Parametri che andrebbero bene in una epoca di agiatezza e non in un momento di recessione. «Si continua a dire a questi imprenditori che devono guadagnare 100 e non accettano che il 99% di questi non guadagna che 10». Manca il lavoro, quello svolto viene spesso pagato con ritardo, in molti casi le aziende committenti chiudono dall’oggi al domani lasciando debiti sparsi come coriandoli. Cosa resta agli italiani? La consapevolezza di non essere padroni del proprio sudore. Un cane che si morde la coda. Rincorriamo un debito che non raggiungeremo mai, una Europa con in seno una tale disparità fiscale che aumenta le diversità e non l’Unione monetaria. Attacchiamo le banche? Equitalia? L’Agenzia delle Entrate? Le amministrazioni pubbliche? Il carico fiscale? Tutte strutture e architetture gestite e regolamentate dal governo. Basterebbe una legge coraggio, una riforma mirata, il crollo dell’impero fantasma per dire basta a tutto ciò. Appunto, occorre una Riforma Politica.
Fonte tratta dal sito  

IL MANDELA DI PLASTICA

Postato il Sabato, 07 dicembre

mandela

FONTE: IRRADIAZIONI.WORDPRESS.COM

Sino al 15 dicembre folle di statisti si daranno il cambio per elogiare la vita di Nelson Rolihlahla Mandela. La cifra unica delle commemorazioni è quella della santificazione dell’uomo della pace. In una orgia di ipocrisia consumata sul corpo del capo dell’African National Congress. Non potrebbe essere altrimenti perché questo mito, fatto crescere da una banda di rockettari con a capo un altro monumento all’ipocrisia come Paul David Hewson “Bono”, è stato coltivato e istituzionalizzato da un’altra banda di ipocriti, che distribuisce a casaccio il Premio Nobel per la Pace.

Quello che si vuole nascondere è che Mandela non fu un pacifista, non fu il Ghandi dell’Africa. Fu un combattente della lotta armata per la liberazione del suo popolo. I suoi anni nelle galere del Sudafrica razzista furono determinati da un cumulo di false accuse. Tuttavia Mandela rivendicò le azioni di sabotaggio che gli erano state imputate. Rifiutò negli anni Ottanta di essere scarcerato non volendo dichiarare la sua rinuncia alla lotta armata.

La sterilizzazione della vita di Mandela oggi fa comodo ad attempati presidenti e  a  tutte le cariatidi del potere che hanno messo in moto la macchina della falsificazione storica. Non è comodo ricordare il Mandela capo di una organizzazione armata di sovversione. Meglio un Mandela di plastica manipolabile dai discorsi del Trio Lescano del PD (Cuperlo, Civati, Renzi) che alla vigilia del “voto” possono sciorinare ulteriori scemenze tardo-pacifiste. Un Mandela di plastica si aggirerà per i canali televisivi sino al 15 dicembre. Un altro nero (impallidito) userà la tribuna del funerale per raccontare quanto l’America si batta per la libertà del mondo. Tutto mentre l’Africa è in fiamme distrutta due volte, dalla colonizzazione prima e dalla decolonizzazione poi. Sfruttata sino alle ossa e depredata delle sue ricchezze naturali e perciò mantenuta in uno stato di guerra endemica alimentata dal commercio di armi. Il lutto reale non sta nella ormai prevedibile morte di Mandela ma nella trasformazione definitiva di un rivoluzionario in qualcosa che non fu, un pacifista innocuo per il potere.

Fonte: http://irradiazioni.wordpress.com

Link: http://irradiazioni.wordpress.com/2013/12/07/il-mandela-di-plastica/

7.12.2013

Il picco del cibo. In India si prosciuga un crescente numero di pozzi per l’irrigazione

Siamo abituati a riporre solida fiducia nell’agricoltura. Siamo abituati a pensare che i campi ci daranno sempre cibo. E’ uno dei più tragici errori. Il picco dell’acqua porta con sè il picco del cibo. Le alte rese cui ci ha abituato l’agricoltura dipendono dalla disponibilità di acqua per l’irrigazione. L’agricoltura assorbe il 70% del consumo mondiale di acqua. Gran parte di quest’acqua viene estratta dalle falde sotterranee: che non sono affatto inesauribili, nel senso che l’acqua vi si accumula ad un ritmo molto, molto più lento rispetto all’estrazione operata dall’uomo.

Nello Yemen l’agricoltura è in crisi perchè le falde sotterranee d’acqua si sono impoverite. La generalità dei Paesi arabi segue a ruota. La novità è che il fenomeno sta manifestandosi anche unIndia, il secondo Paese più popolato del mondo con 1,2 miliardi di abitanti. Lester Brown, uno dei pochissimi studiosi che si occupa (e preoccupa) del futuro prossimo dell’agricoltura mondiale, ritiene che l’India sia sulla strada che la porterà a dover affrontare nuovamente il problema dellafame: come negli Anni 60, quando “fame” ed “India” erano praticamente sinonimi.

La settimana scorsa Lester Brown ha firmato un articolo sul Los Angeles Times con dati che dovrebbero essere meditati dagli indiani e dagli uomini di tutto il mondo. In sintesi: anche se molti indiani sono tuttora poveri (il 43% dei bambini con meno di 5 anni è sottopeso), l’India è uscita dalla fame acuta, cronica e pervasiva degli Anni 60 scavando 27 milioni di pozzi per irrigare i suoi campi. Ora produce quasi 240 milioni di tonnellate di cereali all’anno rispetto ai 95 milioni di tonnellate di cui aveva bisogno nel 1965. Contemporaneamente la popolazione continua acrescere: ogni anno, 15 milioni di bocche da sfamare in più. Ci si attende che nel giro di vent’annigli indiani diventino 1,5 miliardi: ancora più numerosi dei cinesi.

Il problema è che una crescente quantità di acqua con cui l’India irriga i tre quinti della sua produzione di cereali viene da pozzi che stanno cominciando a prosciugarsi. Secondo i calcoli di Brown, questo significa che circa 190 milioni di indiani si nutrono grazie ad un uso insostenibile dell’acqua. Il loro cibo potrebbe volatilizzarsi con breve preavviso.

Brown consiglia contromisure tipo tornare all’abitudine di conservare in bacini l’acqua che cade abbondante durante la stagione dei monsoni per usarla nella stagione secca. Seminare meno riso e più grano, che ha bisogno di meno acqua. Usare tecniche di irrigazione più efficienti. Fermare la crescita della popolazione.

Avverte inoltre che, se negli Anni 60 gli Usa salvarono l’India dalla fame mediante l’invio di enormi quantità di cereali, ora anche gli Usa hanno poco da scialare perchè un terzo del loro raccolto di cereali diventa biocarburante ed un altro terzo serve come mangime per ingrassare il bestiame.

A quanto ha scritto Lester Brown, io aggiungo solo una cosa. Dal momento che picco dell’acqua con annesso picco del cibo sono dietro l’angolo, usare meglio l’acqua e pensarci due volte prima di mettere al mondo una nuova bocca da sfamare è certo doveroso, ma non è sufficiente. E’ necessario intervenire anche sulle due cose che davvero affamano il mondo: l’eccessivo consumo di carne e l’uso dei campi per produrre biocarburanti anzichè cibo.

http://blogeko.iljournal.it/il-picco-del-cibo-in-india-si-prosciuga-un-crescente-numero-di-pozzi-per-lirrigazione/78755

Cosa c’è realmente dietro l’improvviso assalto della Francia per “Salvare l’Africa Centrale”

nooo….la Francia del risorgimento massonico potrebbe mai perseguire altri fini che non il benessere dell’umanità nella sua totalità??

Andrew McKillop, Global Research, 6 dicembre 2013

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Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha annunciato sanzioni contro la Repubblica Centrafricana (CAR), e ha anche dato ai francesi una grande via libero nell’usare l’esercito come ferro di lancia delle forze dell’Unione africana per reprimere le violenze e ripristinare “sicurezza, legge e ordine” nell’ex-colonia francese. Il presidente francese Francois Hollande ha annunciato un’azione “immediata” ieri, dispiegando 250 nuove truppe dell’esercito che si uniscono alle già presenti 600 truppe di stanza nel Paese. Il Consiglio di sicurezza ha anche imposto un embargo sulle armi via mare allo Stato africano, ricco di minerali, e ha chiesto alle Nazioni Unite di prepararsi per una possibile missione di pace, presumibilmente per salvare il Paese dal caos sotto il suo nuovo leader musulmano Michel Djotodia, giunto al potere a marzo spodestando la giunta filo-francese del presidente François Bozizé.

AREVA e Africa centrale

I media statali e filo-governativi francesi, il 5 dicembre, hanno dato la diretta per tutto il giorno all’appello del presidente Hollande per una guerra nella misconosciuta Repubblica Centrafricana (CAR). Ma qual è la ragione di ciò? Questa disperatamente povera ex-colonia francese in Africa centrale era nota ai francesi per via del suo ex-dittatore, l’”imperatore” Bokassa, che prima di essere rovesciato regalava diamanti al “suo amico”, il presidente francese dell’epoca Giscard d’Estaing, per averlo aiutato ad organizzare le cerimonie d’intronizzazione dell’”imperatore”, nel 1977, indossando un abito di Pierre Cardin e decorando con 100000 pezzi di lamiera d0oro e d’argento il palazzo “imperiale”. Anche se la popolazione bianca francese oggi è piccola, non più di 600-1000, i decessi tra questi espatriati sarebbero “sconvenienti”, come ai tempi imperiali della colonia. Ancora più importante, infatti, a parte la piccola quantità di diamanti e oro prodotta dalla CAR, il Paese è ritenuto da molti attori, soprattutto francesi, canadesi, cinesi e inglesi, detenere impressionanti o anche enormi quantità di uranio. L’ufficio geologico statale francese BRGM, assieme ad interessi minerari svizzeri e tedeschi (in particolare Uranio AG) dal 1970, presume che la regione di Bakouma, nel nord del CAR, detenga “potenzialmente grandi risorse di uranio” a basse profondità, facilmente estraibile mediante la tecnica dei pozzi aperti. Le risorse di carbone o lignite relativamente vicine potrebbero teoricamente essere sviluppate per fornire energia a buon mercato (se non con “poco carbonio”), per la conversione dell’uranio in yellowcake, prima dell’esportazione.

Raggiunto un picco nel 2009-2010, ma decrescendo molto velocemente dopo, assieme ai prezzi dell’uranio e alle speranze del cosiddetto “rinascimento nucleare”, diversi promotori e commercianti di risorse minerarie globali erano attivi a Bakouma e in altre attività uranifere in Africa australe.

L’Uramin (o UraMinCorp. fondata da Stephen Dattels e James Mellon e quotata a Toronto e a Londra, nel 2005 inserì l’uranio di Bakouma nel suo portafoglio delle risorse uranifere africane. UraMin sorprendentemente è registrata nelle Isole Vergini, per evitare le tasse, ma più sorprendentemente fu acquistata dall’allora CEO di Areva Anne (‘Atomic Annie’) Lauvergeon con un accordo raggiunto nel 2007, ma concluso solo nel 2011. Le somme furono versate daAreva solo all’apparizione della notizia sulla stampa, circa 470 milioni dollari, la somma finale probabilmente pagata dalla statale Areva è di 2,5 miliardi di dollari, secondo il quotidiano francese ‘Le Monde‘ del 13 gennaio 2012. Poco dopo il versamento delle somme alla fine del 2011, Atomic Annie fu licenziata senza tanti complimenti dall’allora presidente Nicolas Sarkozy, negli ultimi giorni del suo regime. Il gossip politico parigino sostenne che Atomic Annie fu “ingenerosa” nelle commissioni o tangenti pagate al vecchio affarista e amico politico di Sarkozy Patrick Balkany, che aveva volato con Lauvergeon sul suo Gulfstream per compiere diverse visite d’affari a Bangui, capitale della CAR nel 2008, e nella vicina Repubblica Democratica del Congo, dove il leader della giunta o “presidente” della CAR, il filo-francese Francois Bozizé, gestiva numerose operazioni transfrontaliere con il dittatore locale. Balkany, nel dicembre 2013 fu accusato dalla giustizia francese di corruzione negli affari esteri della CAR. Dopo il disastro di Fukushima nel 2011, fatale per l’immagine del nucleare come “pulito, economico e sicuro”, il fondo fu espulso dal mercato dell’uranio. Anche Lauvergeon nel 2007 pagò un prezzo estremamente alto per il basso rendimento, o nel caso di Bakouma, nell’inefficienza della risorsa uranifera. Dovette andarsene.

Le risorse di AREVA in Sud Africa

Mentre era ancora al potere ad Areva, e aveva ancora il favore di Sarkozy, Lauvergeon utilizzò la “grande prospettiva di Bakouma” come elemento chiave della sua strategia aziendale per sviluppare le risorse di uranio dell’Africa meridionale, collegandosi in particolare alle risorse energetiche del carbone. Con il carbone a buon mercato per alimentare gli impianti di arricchimento dell’uranio, che producono uranio a “quasi zero emissioni di carbonio”, con cui alimentare i pericolosi e costosi reattori nucleari delle democrazie “ecologiche” come la Francia. Credendo che l’opinione pubblica sia assolutamente stupida, e che ciò fosse di grande aiuto per la strategia di Areva, venne promossa dai servili stampa e media francesi la strategia dell’”energia verde” di Areva. La miniera di Areva di Trekkoppje, in Namibia, acquistata da UraMin quello stesso 2007, quando acquistò anche Bakouma per un importo globale di 2,5 miliardi dollari, fu sviluppata sulla base della convinzione di Areva che l’enorme necessità idrica della miniera potesse essere soddisfatta da acqua dissalata resa a buon mercato utilizzando l’energia del carbone per la desalinizzazione, in un luogo a 200km dalle coste, e trasportata via pipeline fino al sito minerario. Areva credeva anche che i minerali dal bassissimo contenuto di uranio di Trekkopje potessero essere sfruttati in modo efficiente, e che i prezzi mondiali dell’uranio rimassero a più di 50 dollari la libbra (il prezzo, nel dicembre 2013, è di circa 36 dollari). In ogni caso Areva… sbagliava.

Alla fine del 2011 annunciò una svalutazione di 1,5 miliardi di euro del suo “portafoglio” delle operazioni minerarie sudafricane, e in particolare di Trekkopje, così come una perdita di 800 milioni di euro nelle sue operazioni nucleari. Le perdite di Areva nella sua operazione nella CAR non furono mai rese note, ma alcun sviluppo minerario di alcun genere fu mai iniziato nella CAR, mentre a Trekkopje qualche lavoro iniziale per sviluppare la miniera fu avviato, prima che il progetto venisse abbandonato o “messo fuori servizio”. La strategia nell’Africa meridionale di Areva non solo era guidata dall’affezionata speranza che i prezzi dell’uranio potessero raggiungere i 75 dollari al chilo, mentre ordini e progetti per i reattori nel mondo ebbero una grave contrazione, anche a causa dell’aggravarsi delle preoccupazioni per la sicurezza nelle sue due gigantesche miniere di uranio nel Sahel, in Niger. Dal 2009, e da allora, si ebbero sequestri a scopo di estorsione e attacchi suicidi a personale e installazioni dell’Areva, aggravando i costi di Areva, negati dalla società ma riportati dalla stampa francese, di almeno 30 milioni di euro solo per il “riacquisto” e la liberazione degli ostaggi. Tracimata nei vicini Mali, Burkina Faso, Mauritania, Algeria, Libia e Ciad, Areva viene contrastata dagli insorti regionali e locali, che vanno dai tuareg irredentisti ai jihadisti di al-Qaida e agli insorti fondamentalisti cristiani della lontana Uganda. I rapporti di Areva con le giunte filo-francesi locali che controllano il Mali e il Niger, in particolare, sono anch’essi “turbati”. Ciò, il 27 ottobre 2013, ha portato la giunta del Niger a rifiutarsi di collaborare ulteriormente con Areva, e alla chiusura della sua gigantesca miniera di Arlit. La giunta stessa ha contribuito con 500 tonnellate (1.000.000 di euro) di uranio per “coprire le spese”, ma il suo bottino non è stato ancora venduto.

Salvare la CAR “per la Francia e il Mondo”

La CAR è paragonabile a un’altra ex-colonia francese, Haiti, per la sua estrema povertà e le estreme corruzione e barbarie delle sue giunte e dittature, o “governi” andati al potere con l’appoggio francese. La CAR può avere un notevole potenziale agricolo, le sue risorse minerarie possono essere più grandi di quanto ritenute, ma “salvare il Paese” richiede grandi investimenti a lungo termine che difficilmente si materializzeranno nella povertà di un Paese devastato e soggetto ad anarchia, ribellione e quasi-genocidio. L’affermazione di Hollande, nei media del governo e al servizio del governo francese, secondo cui l’intervento armato della Francia nella CAR è sostenuta ed incoraggiata da “altri Paesi europei”, cioè dalla Germania preoccupata di pagare la Francia per il suo entusiasta remake del proprio colonialismo, difficilmente è qualcosa d’altro che protagonismo politico di Hollande. L’interesse per un Paese vasto e scarsamente popolato, privo di infrastrutture e di sbocco sul mare, nel continente africano, non può che essere basso. Altri Paesi europei molto difficilmente invieranno truppe e il coinvolgimento militare degli Stati Uniti è molto improbabile. Sarà uno spettacolo tutto francese, che terminerà con un’altra giunta scelta e sostenuta dai francesi.

Quasi certamente, i media “patriottici” della Francia canteranno le vaste riserve di uranio di Bakouma, quando non reclamizzeranno i diamanti che tempestano i torrenti e i fiumi della CAR. In realtà i diamanti sono pochi e rari, e le riserve di uranio sono scarse. Gran parte dei dati forniti dall’Uranio AG e da UraMin sono definite “fantasie” dal geologo più-gentile che non voglia usare altri e più duri termini per descrivere il materiale che alimenta Areva per 2,5 miliardi di dollari dei contribuenti francesi. Andati in malora!

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Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

http://aurorasito.wordpress.com/2013/12/07/cosa-ce-realmente-dietro-limprovviso-assalto-della-francia-per-salvare-lafrica-centrale/