Archivi giornalieri: 8 dicembre 2013
Burrasca in casa Kyenge, lei smentisce il marito: “Non sono ricattata dal Pd”
ah ah ah e sarebbero stupidi perché farebbero firmare un atto impugnabile? Sfido un solo magistrato a sostenere una causa contro il Pd…per fare la fine della Forleo??
Pubblicato da ImolaOggi – dic 7, 2013
Facebook dimezza la visibilià dei post delle pagine
I TRUCCHI DI EQUITALIA PER RASTRELLARE INTERESSI NON DOVUTI
IL MANDELA DI PLASTICA
Postato il Sabato, 07 dicembre
FONTE: IRRADIAZIONI.WORDPRESS.COM
Sino al 15 dicembre folle di statisti si daranno il cambio per elogiare la vita di Nelson Rolihlahla Mandela. La cifra unica delle commemorazioni è quella della santificazione dell’uomo della pace. In una orgia di ipocrisia consumata sul corpo del capo dell’African National Congress. Non potrebbe essere altrimenti perché questo mito, fatto crescere da una banda di rockettari con a capo un altro monumento all’ipocrisia come Paul David Hewson “Bono”, è stato coltivato e istituzionalizzato da un’altra banda di ipocriti, che distribuisce a casaccio il Premio Nobel per la Pace.
Quello che si vuole nascondere è che Mandela non fu un pacifista, non fu il Ghandi dell’Africa. Fu un combattente della lotta armata per la liberazione del suo popolo. I suoi anni nelle galere del Sudafrica razzista furono determinati da un cumulo di false accuse. Tuttavia Mandela rivendicò le azioni di sabotaggio che gli erano state imputate. Rifiutò negli anni Ottanta di essere scarcerato non volendo dichiarare la sua rinuncia alla lotta armata.
La sterilizzazione della vita di Mandela oggi fa comodo ad attempati presidenti e a tutte le cariatidi del potere che hanno messo in moto la macchina della falsificazione storica. Non è comodo ricordare il Mandela capo di una organizzazione armata di sovversione. Meglio un Mandela di plastica manipolabile dai discorsi del Trio Lescano del PD (Cuperlo, Civati, Renzi) che alla vigilia del “voto” possono sciorinare ulteriori scemenze tardo-pacifiste. Un Mandela di plastica si aggirerà per i canali televisivi sino al 15 dicembre. Un altro nero (impallidito) userà la tribuna del funerale per raccontare quanto l’America si batta per la libertà del mondo. Tutto mentre l’Africa è in fiamme distrutta due volte, dalla colonizzazione prima e dalla decolonizzazione poi. Sfruttata sino alle ossa e depredata delle sue ricchezze naturali e perciò mantenuta in uno stato di guerra endemica alimentata dal commercio di armi. Il lutto reale non sta nella ormai prevedibile morte di Mandela ma nella trasformazione definitiva di un rivoluzionario in qualcosa che non fu, un pacifista innocuo per il potere.
Fonte: http://irradiazioni.wordpress.com
Link: http://irradiazioni.wordpress.com/2013/12/07/il-mandela-di-plastica/
7.12.2013
Il picco del cibo. In India si prosciuga un crescente numero di pozzi per l’irrigazione
Siamo abituati a riporre solida fiducia nell’agricoltura. Siamo abituati a pensare che i campi ci daranno sempre cibo. E’ uno dei più tragici errori. Il picco dell’acqua porta con sè il picco del cibo. Le alte rese cui ci ha abituato l’agricoltura dipendono dalla disponibilità di acqua per l’irrigazione. L’agricoltura assorbe il 70% del consumo mondiale di acqua. Gran parte di quest’acqua viene estratta dalle falde sotterranee: che non sono affatto inesauribili, nel senso che l’acqua vi si accumula ad un ritmo molto, molto più lento rispetto all’estrazione operata dall’uomo.
Nello Yemen l’agricoltura è in crisi perchè le falde sotterranee d’acqua si sono impoverite. La generalità dei Paesi arabi segue a ruota. La novità è che il fenomeno sta manifestandosi anche unIndia, il secondo Paese più popolato del mondo con 1,2 miliardi di abitanti. Lester Brown, uno dei pochissimi studiosi che si occupa (e preoccupa) del futuro prossimo dell’agricoltura mondiale, ritiene che l’India sia sulla strada che la porterà a dover affrontare nuovamente il problema dellafame: come negli Anni 60, quando “fame” ed “India” erano praticamente sinonimi.
La settimana scorsa Lester Brown ha firmato un articolo sul Los Angeles Times con dati che dovrebbero essere meditati dagli indiani e dagli uomini di tutto il mondo. In sintesi: anche se molti indiani sono tuttora poveri (il 43% dei bambini con meno di 5 anni è sottopeso), l’India è uscita dalla fame acuta, cronica e pervasiva degli Anni 60 scavando 27 milioni di pozzi per irrigare i suoi campi. Ora produce quasi 240 milioni di tonnellate di cereali all’anno rispetto ai 95 milioni di tonnellate di cui aveva bisogno nel 1965. Contemporaneamente la popolazione continua acrescere: ogni anno, 15 milioni di bocche da sfamare in più. Ci si attende che nel giro di vent’annigli indiani diventino 1,5 miliardi: ancora più numerosi dei cinesi.
Il problema è che una crescente quantità di acqua con cui l’India irriga i tre quinti della sua produzione di cereali viene da pozzi che stanno cominciando a prosciugarsi. Secondo i calcoli di Brown, questo significa che circa 190 milioni di indiani si nutrono grazie ad un uso insostenibile dell’acqua. Il loro cibo potrebbe volatilizzarsi con breve preavviso.
Brown consiglia contromisure tipo tornare all’abitudine di conservare in bacini l’acqua che cade abbondante durante la stagione dei monsoni per usarla nella stagione secca. Seminare meno riso e più grano, che ha bisogno di meno acqua. Usare tecniche di irrigazione più efficienti. Fermare la crescita della popolazione.
Avverte inoltre che, se negli Anni 60 gli Usa salvarono l’India dalla fame mediante l’invio di enormi quantità di cereali, ora anche gli Usa hanno poco da scialare perchè un terzo del loro raccolto di cereali diventa biocarburante ed un altro terzo serve come mangime per ingrassare il bestiame.
A quanto ha scritto Lester Brown, io aggiungo solo una cosa. Dal momento che picco dell’acqua con annesso picco del cibo sono dietro l’angolo, usare meglio l’acqua e pensarci due volte prima di mettere al mondo una nuova bocca da sfamare è certo doveroso, ma non è sufficiente. E’ necessario intervenire anche sulle due cose che davvero affamano il mondo: l’eccessivo consumo di carne e l’uso dei campi per produrre biocarburanti anzichè cibo.
Cosa c’è realmente dietro l’improvviso assalto della Francia per “Salvare l’Africa Centrale”
nooo….la Francia del risorgimento massonico potrebbe mai perseguire altri fini che non il benessere dell’umanità nella sua totalità??
Andrew McKillop, Global Research, 6 dicembre 2013
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha annunciato sanzioni contro la Repubblica Centrafricana (CAR), e ha anche dato ai francesi una grande via libero nell’usare l’esercito come ferro di lancia delle forze dell’Unione africana per reprimere le violenze e ripristinare “sicurezza, legge e ordine” nell’ex-colonia francese. Il presidente francese Francois Hollande ha annunciato un’azione “immediata” ieri, dispiegando 250 nuove truppe dell’esercito che si uniscono alle già presenti 600 truppe di stanza nel Paese. Il Consiglio di sicurezza ha anche imposto un embargo sulle armi via mare allo Stato africano, ricco di minerali, e ha chiesto alle Nazioni Unite di prepararsi per una possibile missione di pace, presumibilmente per salvare il Paese dal caos sotto il suo nuovo leader musulmano Michel Djotodia, giunto al potere a marzo spodestando la giunta filo-francese del presidente François Bozizé.
AREVA e Africa centrale
I media statali e filo-governativi francesi, il 5 dicembre, hanno dato la diretta per tutto il giorno all’appello del presidente Hollande per una guerra nella misconosciuta Repubblica Centrafricana (CAR). Ma qual è la ragione di ciò? Questa disperatamente povera ex-colonia francese in Africa centrale era nota ai francesi per via del suo ex-dittatore, l’”imperatore” Bokassa, che prima di essere rovesciato regalava diamanti al “suo amico”, il presidente francese dell’epoca Giscard d’Estaing, per averlo aiutato ad organizzare le cerimonie d’intronizzazione dell’”imperatore”, nel 1977, indossando un abito di Pierre Cardin e decorando con 100000 pezzi di lamiera d0oro e d’argento il palazzo “imperiale”. Anche se la popolazione bianca francese oggi è piccola, non più di 600-1000, i decessi tra questi espatriati sarebbero “sconvenienti”, come ai tempi imperiali della colonia. Ancora più importante, infatti, a parte la piccola quantità di diamanti e oro prodotta dalla CAR, il Paese è ritenuto da molti attori, soprattutto francesi, canadesi, cinesi e inglesi, detenere impressionanti o anche enormi quantità di uranio. L’ufficio geologico statale francese BRGM, assieme ad interessi minerari svizzeri e tedeschi (in particolare Uranio AG) dal 1970, presume che la regione di Bakouma, nel nord del CAR, detenga “potenzialmente grandi risorse di uranio” a basse profondità, facilmente estraibile mediante la tecnica dei pozzi aperti. Le risorse di carbone o lignite relativamente vicine potrebbero teoricamente essere sviluppate per fornire energia a buon mercato (se non con “poco carbonio”), per la conversione dell’uranio in yellowcake, prima dell’esportazione.
Raggiunto un picco nel 2009-2010, ma decrescendo molto velocemente dopo, assieme ai prezzi dell’uranio e alle speranze del cosiddetto “rinascimento nucleare”, diversi promotori e commercianti di risorse minerarie globali erano attivi a Bakouma e in altre attività uranifere in Africa australe.
L’Uramin (o UraMin) Corp. fondata da Stephen Dattels e James Mellon e quotata a Toronto e a Londra, nel 2005 inserì l’uranio di Bakouma nel suo portafoglio delle risorse uranifere africane. UraMin sorprendentemente è registrata nelle Isole Vergini, per evitare le tasse, ma più sorprendentemente fu acquistata dall’allora CEO di Areva Anne (‘Atomic Annie’) Lauvergeon con un accordo raggiunto nel 2007, ma concluso solo nel 2011. Le somme furono versate daAreva solo all’apparizione della notizia sulla stampa, circa 470 milioni dollari, la somma finale probabilmente pagata dalla statale Areva è di 2,5 miliardi di dollari, secondo il quotidiano francese ‘Le Monde‘ del 13 gennaio 2012. Poco dopo il versamento delle somme alla fine del 2011, Atomic Annie fu licenziata senza tanti complimenti dall’allora presidente Nicolas Sarkozy, negli ultimi giorni del suo regime. Il gossip politico parigino sostenne che Atomic Annie fu “ingenerosa” nelle commissioni o tangenti pagate al vecchio affarista e amico politico di Sarkozy Patrick Balkany, che aveva volato con Lauvergeon sul suo Gulfstream per compiere diverse visite d’affari a Bangui, capitale della CAR nel 2008, e nella vicina Repubblica Democratica del Congo, dove il leader della giunta o “presidente” della CAR, il filo-francese Francois Bozizé, gestiva numerose operazioni transfrontaliere con il dittatore locale. Balkany, nel dicembre 2013 fu accusato dalla giustizia francese di corruzione negli affari esteri della CAR. Dopo il disastro di Fukushima nel 2011, fatale per l’immagine del nucleare come “pulito, economico e sicuro”, il fondo fu espulso dal mercato dell’uranio. Anche Lauvergeon nel 2007 pagò un prezzo estremamente alto per il basso rendimento, o nel caso di Bakouma, nell’inefficienza della risorsa uranifera. Dovette andarsene.
Le risorse di AREVA in Sud Africa
Mentre era ancora al potere ad Areva, e aveva ancora il favore di Sarkozy, Lauvergeon utilizzò la “grande prospettiva di Bakouma” come elemento chiave della sua strategia aziendale per sviluppare le risorse di uranio dell’Africa meridionale, collegandosi in particolare alle risorse energetiche del carbone. Con il carbone a buon mercato per alimentare gli impianti di arricchimento dell’uranio, che producono uranio a “quasi zero emissioni di carbonio”, con cui alimentare i pericolosi e costosi reattori nucleari delle democrazie “ecologiche” come la Francia. Credendo che l’opinione pubblica sia assolutamente stupida, e che ciò fosse di grande aiuto per la strategia di Areva, venne promossa dai servili stampa e media francesi la strategia dell’”energia verde” di Areva. La miniera di Areva di Trekkoppje, in Namibia, acquistata da UraMin quello stesso 2007, quando acquistò anche Bakouma per un importo globale di 2,5 miliardi dollari, fu sviluppata sulla base della convinzione di Areva che l’enorme necessità idrica della miniera potesse essere soddisfatta da acqua dissalata resa a buon mercato utilizzando l’energia del carbone per la desalinizzazione, in un luogo a 200km dalle coste, e trasportata via pipeline fino al sito minerario. Areva credeva anche che i minerali dal bassissimo contenuto di uranio di Trekkopje potessero essere sfruttati in modo efficiente, e che i prezzi mondiali dell’uranio rimassero a più di 50 dollari la libbra (il prezzo, nel dicembre 2013, è di circa 36 dollari). In ogni caso Areva… sbagliava.
Alla fine del 2011 annunciò una svalutazione di 1,5 miliardi di euro del suo “portafoglio” delle operazioni minerarie sudafricane, e in particolare di Trekkopje, così come una perdita di 800 milioni di euro nelle sue operazioni nucleari. Le perdite di Areva nella sua operazione nella CAR non furono mai rese note, ma alcun sviluppo minerario di alcun genere fu mai iniziato nella CAR, mentre a Trekkopje qualche lavoro iniziale per sviluppare la miniera fu avviato, prima che il progetto venisse abbandonato o “messo fuori servizio”. La strategia nell’Africa meridionale di Areva non solo era guidata dall’affezionata speranza che i prezzi dell’uranio potessero raggiungere i 75 dollari al chilo, mentre ordini e progetti per i reattori nel mondo ebbero una grave contrazione, anche a causa dell’aggravarsi delle preoccupazioni per la sicurezza nelle sue due gigantesche miniere di uranio nel Sahel, in Niger. Dal 2009, e da allora, si ebbero sequestri a scopo di estorsione e attacchi suicidi a personale e installazioni dell’Areva, aggravando i costi di Areva, negati dalla società ma riportati dalla stampa francese, di almeno 30 milioni di euro solo per il “riacquisto” e la liberazione degli ostaggi. Tracimata nei vicini Mali, Burkina Faso, Mauritania, Algeria, Libia e Ciad, Areva viene contrastata dagli insorti regionali e locali, che vanno dai tuareg irredentisti ai jihadisti di al-Qaida e agli insorti fondamentalisti cristiani della lontana Uganda. I rapporti di Areva con le giunte filo-francesi locali che controllano il Mali e il Niger, in particolare, sono anch’essi “turbati”. Ciò, il 27 ottobre 2013, ha portato la giunta del Niger a rifiutarsi di collaborare ulteriormente con Areva, e alla chiusura della sua gigantesca miniera di Arlit. La giunta stessa ha contribuito con 500 tonnellate (1.000.000 di euro) di uranio per “coprire le spese”, ma il suo bottino non è stato ancora venduto.
Salvare la CAR “per la Francia e il Mondo”
La CAR è paragonabile a un’altra ex-colonia francese, Haiti, per la sua estrema povertà e le estreme corruzione e barbarie delle sue giunte e dittature, o “governi” andati al potere con l’appoggio francese. La CAR può avere un notevole potenziale agricolo, le sue risorse minerarie possono essere più grandi di quanto ritenute, ma “salvare il Paese” richiede grandi investimenti a lungo termine che difficilmente si materializzeranno nella povertà di un Paese devastato e soggetto ad anarchia, ribellione e quasi-genocidio. L’affermazione di Hollande, nei media del governo e al servizio del governo francese, secondo cui l’intervento armato della Francia nella CAR è sostenuta ed incoraggiata da “altri Paesi europei”, cioè dalla Germania preoccupata di pagare la Francia per il suo entusiasta remake del proprio colonialismo, difficilmente è qualcosa d’altro che protagonismo politico di Hollande. L’interesse per un Paese vasto e scarsamente popolato, privo di infrastrutture e di sbocco sul mare, nel continente africano, non può che essere basso. Altri Paesi europei molto difficilmente invieranno truppe e il coinvolgimento militare degli Stati Uniti è molto improbabile. Sarà uno spettacolo tutto francese, che terminerà con un’altra giunta scelta e sostenuta dai francesi.
Quasi certamente, i media “patriottici” della Francia canteranno le vaste riserve di uranio di Bakouma, quando non reclamizzeranno i diamanti che tempestano i torrenti e i fiumi della CAR. In realtà i diamanti sono pochi e rari, e le riserve di uranio sono scarse. Gran parte dei dati forniti dall’Uranio AG e da UraMin sono definite “fantasie” dal geologo più-gentile che non voglia usare altri e più duri termini per descrivere il materiale che alimenta Areva per 2,5 miliardi di dollari dei contribuenti francesi. Andati in malora!
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Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora