LA TRUFFA DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI

lunedì 16 dicembre 2013

I campioni della bancarotta della nazione pensano di potersi rifare la verginità abolendo il finanziamento pubblico ai partiti, del quale, per quanto mi riguarda, non puo’ fregarmene di meno, se solo si avesse una classe politica  decente, con un po’ di decoro,  che operasse nell’interesse del paese.

Condurre la battaglia contro il finanziamento pubblico rischia di essere solo un elemento di distrazione dell’opinione pubblica dai veri problemi dell’Italia, offrendo in pasto alla massa degli italiani  la presunta  moralizzazione della politica solo per aver rinunciato  al finanziamento pubblico. Cosa che, come vederemo tra poco, non è affatto vera.
Il finanziamento pubblico ai partiti vale appena 91 milioni di euro all’anno. Un nulla, insomma. Eppure l’opinione pubblica è attratta dall’interesse verso questa inrzia, dimenticando, ad esempio, che dal 2015, sul bilancio dello stato, impatteranno ogni anno circa 50 miliardi euro per il Fiscal Compact. Oppure si dimenticano i 54 miliardi di euro già versati per i vari salvataggi europei, ESM compreso. Soldi presi a debito sui mercati e che, a voler essere ottimisti, gravano sulle tasche degli italiani per oltre 2 miliardi annui, contro i 91 milioni di euro del finanziamento pubblico ai partiti.
Capisco che lettura questi dati  non offra bene la dimensione dei numeri che si stanno trattando. E allora guardatevi questo grafico: magari è più persuasivo.

Come vedete stiamo parlando di un niente. Eppure si riempiono intere pagine di giornali per parlare di un tema privo di significato, che tende ad offrire all’opinione pubblica l’idea di una cosa peraltro non vera. Circostanza, questa, confermata da questo articolo di Roberto Perotti pubblicato su LAVOCE.INFO

a notizia dell’ abolizione del finanziamento pubblico dei partiti è falsa. Con questa legge i partiti costeranno al contribuente da 30 a 60 milioni, poco meno di quanto costano ora.
 (Questo articolo è stato modificato alle ore 21:30 di sabato 14 dicembre 2013, un’ora dopo la prima pubblicazione. La modifica riflette un’ incertezza nell’ interpretazione della legge. Questa nuova versione assume che  il decreto legge – che al momento di scrivere questo articolo non è disponibile su alcun sito ufficiale – abolisca il cofinanziamento del 50 percento delle elargizioni ai partiti. La versione precedente assumeva che il cofinanziamento sia ancora presente, e portava a una stima dei costi pià alta). 
GLI ANNUNCI DEL GOVERNO SONO UNA COSA LA REALTA’ UN’ALTRA
Il governo ha annunciato che il finanziamento ai partiti sarà abolito interamente a partire dal 2017. La realtà è ben diversa:  i partiti continueranno a pesare sul contribuente, da 30 milioni a 60 milioni, poco meno di quanto costano ora. Il motivo è nascosto tra le pieghe della legge approvata dalla Camera il 18 ottobre e riproposta nel decreto legge del governo del 13 dicembre.
 Con la legislazione vigente, i partiti avevano diritto a un massimo di 91 milioni di euroall’ anno: 63,7 milioni come rimborso spese elettorali, e 27,3 milioni come cofinanziamento per quote associative ed erogazioni liberali ricevute. Inoltre, il 26 percento delle erogazioni liberali ai partiti erano detraibili dall’ imposta dovuta.
LE NOVITA’ PRINCIPALI DELLA LEGGE
1) elimina i rimborsi delle spese elettorali dal 2017 (li riduce del 25 percento ogni anno fino ad arrivare a zero nel 2017)
2) innalza dal 26 al 37 percento la detrazione per le erogazioni liberali fino a 20.000 euro (la stragrande maggioranza)
3) consente al contribuente di destinare a un partito il 2 per mille della propria imposta.
L’ interpretazione universale è che, dal 2017, i partiti non prenderanno più un euro dallo Stato, e dovranno sopravvivere solo con contributi privati. Questa interpretazione è falsa: vediamo perché.
QUANTO RICEVERANNO ORA I PARTITI?
La prima cosa da notare è che i soldi ricevuti dai partiti attraverso il 2 per mille non sono un regalo deciso da privati: sono a carico di tutti i contribuenti. Il motivo è che il 2 per mille è di fatto una detrazione al 100 percento dall’ imposta dovuta. Se lo stato raccoglieva 10.000 euro in tasse per pagare sanità e pensioni, e ora un contribuente destina 1 euro a un partito attraverso il 2 per mille, tutti i contribuenti nel loro complesso dovranno pagare 1 euro di tasse in più per continuare a pagare pensioni e sanità.
L’ art. 12, comma 12 della legge autorizza una spesa massima per il 2 per mille ai partiti pari a 45 milioni dal 2017. E’ plausibile che venga toccato questo tetto? Gli iscritti totali ai partiti sono probabilmente circa 2 milioni (nel 2011 gli iscritti al PdL erano 1 milione, quelli al PD mezzo milione). Non tutti gli iscritti ai partiti pagano l’ Irpef, e non tutti sceglieranno il 2 per mille. Tuttavia, dall’ esperienza analoga dell’ 8 per mille sappiamo che, quando il costo è zero, una percentuale notevole dei contribuenti esercita la scelta. Una stima prudenzialesuggerisce quindi che il gettito del 2 per mille potrebbe essere tra i 20 e i 30 milioni. (1)
 L’ art. 11 della lege, comma 9, prevede che le detrazioni per erogazioni liberali siano di circa 16 milioni a partire dal 2016. Si noti che la legge consente di detrarre anche il 75 percento (!) delle spese per partecipazioni a scuole o corsi di formazione politicao. Nella colonna 1 della tabella sottostante assumo uno scenario prudenziale: le detrazioni saranno la metà del previsto, cioè solo 8 milioni, e il gettito del 2 per mille di 20 milioni. Il costo totale per il contribuente sarà di quasi 30 milioni.
 Nella colonna 2 assumo uno scenario intermedio: la previsione del governo sulle detrazioni, 16 milioni, è rispettata, e il gettito del 2 per mille è di 30 milioni. Il costo al contribuente è in questo caso è di circa 45 milioni
 Nella colonna 3 assumo uno scenario normale: la previsione del governo sulle detrazioni, 16 milioni, è rispettata, e il gettito del 2 per mille è di 45 milioni. Il costo al contribuente è in questo caso è di circa 60 milioni! 
IL TETTO MASSIMO DEL 2 PER MILLE
C’ è poi un meccanismo molto complicato, ed egualmente insensato (e quasi certamente non compreso neanche da chi ha scritto e votato la legge). Per il comma 11 dell’ art. 11, se le detrazioni per elargizioni liberali sono inferiori a 16 milioni, la differenza verrà aggiunta al tetto di spesa per il 2 per mille. Quindi di fatto in questo caso il tetto massimo del 2 per mille può arrivare a 61 milioni invece di 45. Poiché non sappiamo come reagiranno i contribuenti alla opzione del 2 per mille, questo è un modo per assicurarsi che, se c’è molta richiesta per il 2 per mille e poche elargizioni liberali, la richiesta del 2 per mille non vada “sprecata” dal tetto di 45 milioni.
Si noti infine che le detrazioni per erogazioni liberali sono pratica comune, ed esistono già anche in Italia. Ma i partiti si sono elargiti detrazioni quasi doppie di quelle consentite, per esempio, per le erogazioni a università e centri di ricerca (che sono al 19 anzichè al 37 percento). Inoltre questa legge, senza che questo sia stato notato da nessuno, innalza l’aliquota di detraibilità già presente nella legge Monti.
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(1) Secondo Wikipedia, nel 2007 il 43 percento dei contribuenti ha effettuato una scelta ed il 37 percento ha scelto la Chiesa Cattolica, anche se la percentuale di praticanti è molto inferiore; lo 0.89 percento dei contribuenti ha scelto la Chiesa Valdese, quindi presumibilmente quasi la totalità dei contribuenti valdesi. E’ quindi probabile che la quasi totalità degli iscritti sceglierebbe di destinare il 2 per mille al loro partito, visto che il costo è 0. Per prudenza, diciamo 1,7 milioni. Di questi, non tutti pagheranno l’ Irpef. Supponiamo dunque che 1,3 milioni di iscritti ai partiti paghino l’ Irpef e destinino il 2 per mille al partito. Supponiamo che 700.000 simpatizzanti non iscritti facciano lo stesso. Nel 2011 l’ imposta Irpef netta è stata di 152 miliardi, con 31,5 milioni di contribuenti. Se i 2 milioni di contribuenti che destinano il 2 per mille ai partiti hanno la stessa composizione media dell’ universo dei contribuenti, il gettito del 2 per mille sarebbe di quasi 20 milioni. Se a devolvere il 2 per mille saranno 3 milioni, il gettito sarà di circa 30 milioni.

MOSCOU SAUVE L’UKRAINE DE LA FAILLITTE. ET DES GRIFFES DES BANKSTERS DE L’UE …

Luc MICHEL pour PCN-INFO / 2012 12 18 /

avec RIA Novosti – La Voix de la Russie – PCN-SPO /

http://www.scoop.it/t/pcn-spo

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Заседание Российско-Украинской межгосударственной комиссии

« L’accord avec Moscou a évité à l’Ukraine une faillite avec l’UE », déclare for justement le Premier ministre ukrainien. L’accord historique conclu ce mardi avec Moscou a « permis de sauver l’économie ukrainienne de la faillite, qui aurait eu lieu en cas de signature d’un accord d’association avec l’UE », déclare ce mercredi le Premier ministre ukrainien Mykola Azarov. « L’accord d’association avec l’Union européenne aurait entraîné la faillite et l’effondrement socio-économique », a encore déclaré M. Azarov en ouvrant le conseil des ministres.

« Hier on a assisté à un évènement historique », a-t-il ajouté, évoquant la visite à Moscou du président Viktor Ianoukovitch lors de laquelle la Russie a accordé à l’Ukraine 15 milliards de dollars et la baisse d’un tiers des prix du gaz. Fort en dessous des prix du marché.

« Le précédent contrat gazier (conclu par le Premier ministre de l’époque Ioulia Timochenko aujourd’hui en prison, ndlr) saignait l’économie ukrainienne depuis trois ans et demi », a-t-il dit. Timochenko, qui n’est anti ni pro occidentale, et encore moins une « prisonnière politique » (sic), mais une oligarque ukrainienne corrompue, qui participe au pillage de l’Ukraine depuis les Années 90, avait conclu cet accord avec Gazprom (Russie) pour des raisons d’agenda politique personnel. « Le président a mis un terme à cette trahison des intérêts nationaux, dont sont responsables les mêmes forces politiques qui provoquent aujourd’hui l’instabilité dans le pays », a poursuivi Mykola Azarov.

L’OPPOSITION EST-ELLE « MAJORITAIRE » ?

L’opposition – organisée, financée et excitée par les USA et les politiciens de l’UE, l’Allemagne en tête – conteste dans la rue depuis près d’un mois le refus du président ukrainien de signer un accord d’association avec l’UE au profit d’une coopération économique avec la Russie. Contrairement à ce qu’affirment les médias de l’OTAN, cette opposition, dirigée par les leaders du parti néonazi antisémite Slobova et du parti de droite dure germano-ukrainien Udar (filiale de la CDU-CSU), ne représente pas « la majorité des Ukrainiens ».

Une pétition exigeant un référendum constitutionnel contre l’anschluss par l’UE et pour l’Union douanière eurasiatique avec la Russie, organisé par le KPU, le Parti communiste d’Ukraine (proche du KPRF russe), a récolté depuis début novembre 4 millions de signatures. Ce qui force à l’organisation du référendum. Et est une des raisons de l’échec de l’UE à Kiev. Mais çà vous ne l’avez lu nulle part, car seul le PCN et La Voix de la Russie qui a repris mes informations en ont parlé …

Relire mon édito :

Ce que vous cachent les medias de l’OTAN : le ‘PC d’Ukraine’ recueille 3,5 millions de signatures contre l’adhésion a l’Union européenne !

Sur http://www.lucmichel.net/2013/12/09/pcn-spo-ce-que-vous-cachent-les-medias-de-lotan-le-pc-dukraine-recueille-35-millions-de-signatures-contre-ladhesion-a-lunion-europeenne/

MOSCOU SAUVE-T-IL REELLEMENT L’UKRAINE DE LA FAILLITE ?

La Russie investit une partie des réserves du ‘Fonds national du bien-être’ pour 15 milliards de dollars dans les titres ukrainiens. C’est ce qu’a déclaré Vladimir Poutine à l’issue des discussions lors de la Commission intergouvernementale russo-ukrainienne. La nécessité d’un nouveau prêt de 15 milliards de dollars a été évoquée par le président ukrainien déjà en octobre, lorsque le FMI a entamé sa mission en Ukraine. En attendant la décision du FMI, les investisseurs ne se pressent pas de placer des fonds en Ukraine. Cependant, les investissements russes pourront maintenant les stimuler, affirment les experts.

Mikhaïl Pogrebinski, directeur du Centre de recherches politiques de Kiev, estime que « ce prêt donnera à l’Ukraine la possibilité d’éviter l’effondrement économique ». « Cela nous donne la possibilité d’éviter un éventuel défaut de paiement, car l’année prochaine, des dépenses colossales attendent l’Ukraine, ce qui pourrait la dépourvoir de pratiquement toutes ses réserves en or et en argent. Nous étions contraints de tout donner (au FMI). Et aujourd’hui, nous avons la chance de nous en sortir en rendant positive la balance des paiements et en améliorant l’économie du pays. »

« La baisse du prix du gaz permettra aussi d’accélérer la croissance économique du pays ». Selon l’avenant au contrat de Gazprom et de Naftogaz, signé par les deux présidents, les prix du gaz russe pour la compagnie ukrainienne seront réduits de 410 à 268,5 dollars pour mille mètres cubes. C’est ce qu’a noté Nikolaï Ivtchenko, chef du Département des Recherches analytiques du Forex Club (Ukraine). « La baisse des prix du gaz pour l’Ukraine est un facteur économique très important, car l’efficacité énergétique de ce pays est assez faible et les entreprises travaillant avec le gaz sont nombreuses. Il s’agit tout d’abord de l’industrie chimique qui constitue environ 15-20 % des exportations ukrainiennes. De plus, le gaz russe est également utilisé dans la métallurgie. »

LES 15 MILLIARDS DE MOSCOU CONTRE LES 400 MILLIONS DE BRUXELLES

« Les accords signés ouvrent de bonnes perspectives à l’économie ukrainienne pour des années à venir. Tout cela aurait été impossible sans accord entre les présidents russe et ukrainien », a conclu le Premier ministre.

Selon M. Azarov, qui ne fait que dresser le constat de la duplicité de l’UE, « en signant l’accord d’association avec l’UE, l’Ukraine aurait dû accepter les conditions du Fonds monétaire international telles que la hausse des tarifs du gaz pour les particuliers, la dévaluation de la devise nationale ou le gel des salaires, tout en achetant le gaz russe au prix fort ».

Aujourd’hui rien ne menace la stabilité économique et financière en Ukraine, a-t-il assuré. On ne laissera plus personne déstabiliser la situation, a-t-il déclaré alors que l’opposition a encore mobilisé quelques milliers de personnes, transformés en 50.000 (resic) par l’AFP, pour dénoncer l’accord avec la Russie mardi soir dans le centre de Kiev.

Il y a quelques jours, le gouvernement ukrainien avait posé à l’UE la question de l’aide réellement apportée. Demandant si Bruxelles était prête à mettre 20 milliards (ce que sera in fine le montant de l’aide russe) et pas les 400 millions proposés. La réponse fut cinglante et Mme Merkel put même piquer une de ses grosses colères. “Nous n’allons pas jouer avec les chiffres. La prospérité de l’Ukraine ne peut pas être l’objet d’un appel d’offres où le mieux-disant gagne le prix” (sic), avait réagi un porte-parole de la Commission européenne, Olivier Bailly, à Bruxelles. A Berlin, un porte-parole de la chancelière allemande Angela Merkel avait estimé qu’avec le chiffre avancé par M. Azarov, les dirigeants ukrainiens semblaient vouloir “faire diversion” quant à leur responsabilité concernant la situation dans leur pays (resic).

En réalité l’UE en crise économique et financière n’a évidemment pas les moyens de mettre ces 15 ou 20 milliards sur la table. L’UE propose du vent. « On s’assied, on signe, nous donnons des miettes et nous prenons tout dans 6 mois », voilà les propositions de Bruxelles. Qui se moque bien de l’Ukraine et des Ukrainiens.

Le but était double.

Géopolitiquement, c’était Kiev dans l’OTAN et la Russie isolée.

Economiquement, c’était la « thérapie de choc » (demandez aux Russes de 1992 ou aux Argentins …), le pillage de l’économie ukrainienne par les banksters de Bruxelles et Berlin, la destruction de l’industrie lourde ukrainienne, les diktats du FMI.

Un mauvais plan proposé par des canailles politiques. Moscou, qui a les moyens de ses projets eurasiatiques et le sens de la solidarité post-soviétique, les a mis échec et mat !

Luc MICHEL

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Landini: “Con il sindaco si può voltare pagina, su lavoro e diritti battaglia comune”….PARLA DI RENZI

eh già. Per fortuna che ci sono i sindacati a vigilare sulle masse impoverite e tanto lottano per loro……se non ci fosse questo meraviglioso unico mondo possibile….ci sarebbe un golpe…..raccontano certi lacché

Lavoro, ecco la proposta di Renzi: neo assunti senza articolo 18
Nuovi tempi indeterminati slegati dall’obbligo di reintegra e riforma degli ammortizzatori.

Contratti a tempo indeterminato senza articolo 18. Ossia slegati dall’obbligo di reintegro in caso di licenziamento ingiusto. Ma solo per i nuovi contratti, per i vecchi tutto come prima.
È questa la proposta del segretario del Pd Matteo Renzi per rilanciare l’occupazione giovanile. O meglio, entro un mese intende presentare il suo “job act”, una riforma del lavoro che – almeno negli intenti – vuole cambiare contratti e ammortizzatori sociali. CONTINUA A QUESTO LINK
http://www.ilsalvagente.it/Sezione.jsp?titolo=Lavoro%2C+ecco+la+proposta+di+Renzi%3A+neo+assunti+senza+articolo+18&idSezione=23522

Landini: “Con il sindaco si può voltare pagina, su lavoro e diritti battaglia comune”
Il rappresentante sindacale della Fiom e l’asse con il leader: è più libero dei suoi predecessori
di ROBERTO MANIA
ROMA  –  “Renzi ha un atteggiamento molto più libero sui temi della democrazia, del lavoro, della lotta alla precarietà rispetto a chi lo ha preceduto alla guida del Partito democratico”. Chi parla è Maurizio Landini, leader della Fiom, sindacato politico per eccellenza, radicale di sinistra-sinistra, conflittuale, movimentista. Fino al punto da teorizzare e praticare l'”indipendenza” nei confronti della Cgil. Ma la frase di Landini, che non appartiene nemmeno alla stessa generazione di Renzi avendo compiuto 52 anni, dimostra che c’è davvero un’inedita sintonia tra il nuovo segretario del Pd e il capo della Fiom, nel passato più vicino alle posizioni di Sel e di Rivoluzione civile.
http://www.repubblica.it/economia/2013/12/14/news/landini_con_il_sindaco_si_pu_voltare_pagina_su_lavoro_e_diritti_battaglia_comune-73573028/

UN RIPASSINO SU CHI DIRIGE MATTEO RENZI

Matteo Renzi: un pupazzo nelle mani della McKinsey, la multinazionale che ha affossato il sistema bancario italiano pubblicato qui
http://davi-luciano.myblog.it/2013/12/16/matteo-renzi-pupazzo-nelle-mani-della-mckinsey-la-multinazionale-che-ha-affossato-il-sistema-bancario-italiano/

vedi anche Matteo Renzi, gli scheletri nel suo armadio

Elogio del “bel gesto” SOLO UN FASCISTA DI MERDA ?

SOLO UN FASCISTA DI MERDA ?
Data: Mercoledì, 18 dicembre
DI ENRICO GALOPPINI
ideeinoltre.blogspot.it

Io non so chi sia Simone di Stefano, vicepresidente di Casa Pound Italia, e non m’interessa che per qualcuno sia solo un “fascista di merda”.
So solo che quello che ha fatto avrei voluto farlo io e, certamente, molti altri italiani come lui e me.
Niente di delinquenziale, intendiamoci, se con ciò s’intende esporre l’altrui incolumità ad un grave pericolo, oppure devastare senza senso dei beni pubblici come invece capita di vedere durante le manifestazioni di certi alternativi.

Quello di Di Stefano è stato un classico “bel gesto”. Di quelli che, complice la possibilità di mostrarlo e rivederlo attraverso un filmato, suscitano immediatamente consenso, s’imprimono nella memoria e infondono coraggio.

Il “bel gesto” è quell’atto che da tempo si vorrebbe veder fare, ma nessuno, per un motivo o per l’altro, si sente di compierlo. E chi lo fa diventa subito un eroe.

Un “bel gesto” è anche un simbolo. Mostra immediatamente, senza bisogno di minacciare nessuno né di devastare nulla, che al di là dei mille distinguo di cui questo popolo è capace esiste qualcosa su cui si è d’accordo in parecchi senza bisogno di chiacchiere o ideologie. Sempre che non si appartenga alla genia dei soddisfatti e degli arrivati; di quelli che sguazzano beati in quest’andazzo schifoso.

Non fa onore alle forze dell’Ordine andare a legnare chi, ostentando la sola bandiera nazionale – cioè quella di tutti quanti, e non un vessillo di partito – esprime il disagio dei propri connazionali sotto la sede italiana di un’istituzione senza volto e senz’anima come l’Unione Europea. Sono o non sono anche loro italiani?

Grazie Simone per averci fatto vedere quell’emblema della dittatura finanziaria volare giù dal balcone come un qualsiasi straccio qual è in effetti.

Dopo decenni di ‘tabu patriottico’ post-bellico, sono vent’anni che ci danno il permesso di esporre il tricolore dai palazzi istituzionali, ma a patto che venga affiancato, cioè esorcizzato, dalla bandiera blu con la coroncina di stelle. Era l’ora che qualcuno la togliesse di mezzo.

Enrico Galoppni
Fonte: http://ideeinoltre.blogspot.it
Link: http://ideeinoltre.blogspot.it/2013/12/enrico-galoppini-elogio-del-bel-gesto.html 17.12.2013

Titolo originale Elogio del “bel gesto” 

Occhio alla Google tax

18/12/2013 10:51 | POLITICA – ITALIA | Fonte: Il Manifesto | Autore: Vincenzo Vita

Un passo avanti e due indie­tro. Così si potrebbe dire dell’attività del governo e delle isti­tu­zioni in mate­ria di inno­va­zione. Una nota posi­tiva è stata l’introduzione del prin­ci­pio sot­teso alla vexata quae­stio della cosid­detta «Goo­gle tax». Vale a dire che i ric­chi devono pur pagare ade­gua­ta­mente le tasse, per con­tri­buire fat­ti­va­mente all’età digi­tale. Pur­troppo, però, una giu­sta intui­zione è stata avvolta in un abito for­male assai opi­na­bile, che rischia di but­tare via acqua sporca, bam­bino e tutto il resto.
Il tema è in corso d’opera a livello euro­peo e un rac­cordo comu­ni­ta­rio sarebbe stato utile, anche in vista dell’agognata pre­si­denza ita­liana dell’Unione. Atten­zione, però. Bando ai fari­sei­smi di com­menti curiosi e tar­divi. Ora si infol­ti­sce, infatti, il coro dei no agli emen­da­menti pro­po­sti (e appro­vati dalla com­mis­sione bilan­cio della Camera) alla legge sulla sta­bi­lità. Legit­timo, ci man­che­rebbe. Pec­cato che quei testi sono noti da diverse set­ti­mane e un dorato silen­zio li aveva finora accom­pa­gnati. Non della rete, già per­plessa da tempo; non delle cro­na­che da Mon­te­ci­to­rio, dove nel rac­conto qual­che scam­polo fil­trava. Ma certo nella gran­cassa media­tica solo adesso il capi­tolo della tas­sa­zione ita­liana degli «over the top» è rim­bal­zato vor­ti­co­sa­mente. Ne ha par­lato anche il neo segre­ta­rio del par­tito demo­cra­tico nella rela­zione intro­dut­tiva dell’assemblea nazio­nale di Milano, ma ha col­le­gato la cri­tica allo scon­forto per l’arretratezza in mate­ria, come è il caso incre­scioso del rego­la­mento varato dall’Autorità per le comu­ni­ca­zioni sul copy­right on line. Sul punto va segna­lata la strana deter­mi­na­zione dell’Agcom, che tut­tora non ha affron­tato ade­gua­ta­mente il deli­cato tasto del mer­cato pub­bli­ci­ta­rio, men­tre ha usato le maniere forti sul tes­suto con­net­tivo della rete.

Il lavoro intel­let­tuale si tutela sul serio aggior­nando le cul­ture giu­ri­di­che, ferme all’era ana­lo­gica: non con inu­tili e rischiose grida man­zo­niane. Spe­riamo dav­vero che il tempo porti con­si­glio e che l’esecuzione del rego­la­mento attenda dove­ro­sa­mente il varo di una legge del par­la­mento. Altro buco nero è l’entrata in scena nel prov­ve­di­mento chia­mato «destino Ita­lia» del paga­mento delle news tratte dai quo­ti­diani e vei­co­late in rete. Qui siamo al grot­te­sco e all’eterogenesi dei fini. Se è vero che il set­tore ha perso circa un milione di copie nell’anno pas­sato, si pensa di recu­pe­rare dichia­rando guerra ai let­tori del futuro, che oggi pre­fe­ri­scono Inter­net? Non sarebbe di gran lunga pre­fe­ri­bile aiu­tare la cre­scita di un con­sumo cross-mediale? Et et, non aut aut. Con simile norma gli edi­tori otter­reb­bero una vit­to­ria di Pirro e la certa disaf­fe­zione di un enorme pub­blico poten­ziale. Tra l’altro, è per­sino imba­raz­zante sen­tire gli inu­tili ser­moni sull’Agenda digi­tale, sull’urgenza di cam­biare il modello e il para­digma pro­dut­tivi, per poi vedere le cadute pra­ti­che. Da MediaEvo. È in corso un vasto e non indo­lore ricam­bio gene­ra­zio­nale. Che senso ha fare del male pro­prio ai nativi digi­tali? E beato il mondo che non ha biso­gno di eroi, per evi­tare sci­vo­late gravi e insieme ridi­cole. Si can­celli il divieto di usare gli arti­coli on line. E si ri-formuli la «Goo­gle tax» affin­ché non vi siano dubbi sul fatto che non è e non deve diven­tare una tassa sul web. Ha senso se è un pre­lievo sui gruppi sovra­na­zio­nali, a favore dei com­parti più deboli e meno legati al mer­cato del vil­lag­gio globale.

Ps. In que­sto arti­colo ci sono delle cita­zioni. In base alle ultime tro­vate del governo si deve pagare qual­che royalty? Forse ai discen­denti di Lenin? (Un passo avanti e due indietro…)
http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2013/12/18/38664-occhio-alla-google-tax/

Altro omicidio di stato ma perché indignarsi?

Ci si indigna solo se queste persone SI RIFIUTANO DI SUICIDARSI e si ribellano

Rho, imprenditore si toglie la vita gettandosi nel vuoto

È successo martedì sera in via Gramsci a Rho. Dietro l’estremo gesto ci sarebbero alcuni problemi legati alla sua attività lavorativa
 
Alessandro Gemme 18 Dicembre 2013
Inutili i soccorsi
 
Un uomo di 54 anni si è è tolto la vita martedì sera in via Gramsci a Rho. Si tratta di Salvatore Mirabelli, noto imprenditore rhodense.
 
L’uomo, secondo quanto riferito da alcune fonti, sarebbe salito sull’ultimo piano del palazzo dove abitava e si sarebbe gettato nel vuoto. Inutili i soccorsi.
 
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Dietro l’estremo gesto ci sarebbero alcuni problemi legati alla sua attività.

BLOG A RISCHIO CHIUSURA

se è la volontà della democrazia così sia. Mica possiamo lasciare che venga distrutto il migliore dei mondi possibile no?
 
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Vi avevo anticipato mesi fa, che presto la rete sarebbe stata soggetta di leggi che permettevano il suo controllo. Gli esperti del web l’hanno definita la settimana più nera per il web in Italia, ma io sono ancora più pessimista è credo che sia proprio la fine. Tanti si sono mossi contro le varie leggi per salvare la libertà di stampa, ma in questi giorni molte cose sono passate nell’assoluto silenzio.
 
Ecco una lista (cliccare sui link):
 
 
 
 
 
Dove sono andati a finire tutti quei paladini che difendevano la libertà?
 
Vi conviene non ignorare queste notizie e l’ora di non essere indifferenti.
 

L’ITALIA E’ SPACCIATA , UNICA OPZIONE; EMIGRARE

L’IMPOSSIBILE E STERILE RIVOLUZIONE CONTRO LA CASTA
I correnti moti di ribellione dal basso, che si aggiungono agli attacchi sul piano politico e della legittimità costituzionale portati dai partiti di opposizione, pongono la questione se un’eventuale rivoluzione violenta diretta ad abbattere il sistema di potere italiano sarebbe legittima oppure illegittima.
La recente sentenza della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità della legge elettorale vigente (quindi del parlamento, del capo dello Stato e dei giudici costituzionali da esso eletti, e delle leggi da esso varate) ha riconosciuto esplicitamente e formalizzato irreversibilmente la già palese illegittimità complessiva del regime (uso questa parola nel senso neutro di apparato dominante) rispetto alla Carta Costituzionale, che esso ha ampiamente e molteplicemente tradito. Il colmo è Napolitano, che si ostina a difendere questo parlamento illegittimo e  incostituzionale da chi ne reclama lo scioglimento. Ma sciogliere il parlamento e cambiare la legge elettorale non basterebbe a ricostituire la legittimità: se il sistema è illegittimo nel suo insieme, solo l’azione diretta del popolo può costituire, ex novo, un nuovo sistema costituzionale e legittimo.
Le continue scoperte giudiziarie che politici e pubblici amministratori, se appena si va a indagare, sono generalmente e spudoratamente dediti al peculato, evidenziano che in Italia generalmente si fa politica per rubare, e che la cultura dei partiti, dei loro apparati, è questa e non altra. Oramai sembra diffondersi la consapevolezza che non è possibile salvare il Paese senza eliminare la casta politica, storicamente e trasversalmente incompetente e corrotta, assieme alla casta burocratica, ancora più corrotta, inetta, potente e irresponsabile, proprio perché non elettiva e maggiormente autoreferenziale. Caste indifferenti alla sofferenza della popolazione. Caste che succhiano il sangue del lavoro, del risparmio e dell’industria, mentre sprecano gran parte delle sempre più pesanti tasse che spremono al Paese.
 La gente manifesta crescente sfiducia nell’establishment, mentre movimenti come i grillini e i forconi richiedono sempre più fermamente ed estesamente che la casta se ne vada.
La casta però ovviamente non se ne andrà mai volontariamente, anzi si aggrappa ai propri privilegi, minaccia, dall’alto delle istituzioni che essa occupa, di esercitare una dura repressione contro le ribellioni, mentre vende il Paese agli interessi stranieri per ricevere sostegno esterno al proprio regime.Inoltre controlla gli spazi e canali elettorali dello Stato, oltre alle forze dell’ordine e alle forze giudiziarie, quindi impedisce il cambiamento per le vie interne all’ordinamento dello Stato, cioè attraverso le elezioni politiche e amministrative, nonché i referendum. Conseguentemente, per abbattere la casta e salvare il Paese, ai cittadini resta solo l’opzione rivoluzionaria, il ricorso alla forza.
 Ogni sistema di potere, ogni regime statuale (uso questa parola in senso neutro, non denigratorio), dichiara di essere sempre e assolutamente legittimo, qualsiasi cosa faccia e per quanto sia corrotto. Perciò il fatto che si dichiari tale anche quello italiano, minacciando repressione dura dall’alto delle istituzioni che esso occupa, non significa nulla, non prova che sia legittimo.
Per stabilire se e in quali situazioni possa essere giusta e legittima una rivoluzione violenta che abbatta un regime statuale formalmente legittimo e riconosciuto dall’ordinamento internazionale, come è il regime italiano, occorre rifarsi alla sensibilità culturale diffusamente maturata e ai principi fondamentali del diritto come oggi riconosciuti perlomeno in ambito occidentale, ossia ai diritti dell’uomo e della società, civili e politici. In effetti, il nostro milieu culturale sente e giudica giuste e legittime le rivoluzioni violente che mirano ad abbattere regimi che sono illegittimi perché stabilmente violano i diritti fondamentali dell’uomo o i principi di democrazia e legalità. I regimi in carica giudicano infatti come giuste e legittime, appoggiandole talvolta, rivoluzioni quali quelle della primavera araba, o, per il passato, quella francese contro l’Ancien Régime, o quella americana contro il Regno Unito. Il regime italiano attuale fonda la propria esistenza non sulla continuità, bensì sulla discontinuità col precedente regime (il Regno d’Italia, o la Repubblica di Salò), anzi sulla sua radicale negazione, anzi sulla sua eliminazione fisica mediante la violenza delle armi.
 Orbene, il regime italiano, come è notorio, viola stabilmente e sistematicamente i diritti dell’uomo in una discreta misura, soprattutto in ambito giudiziario e carcerario. Viola altresì il principio di democrazia, perché occupa lo Stato e i suoi poteri, compresi i meccanismi elettorali, da sottrarsi alla scelta degli elettori, soprattutto per quella parte del potere, che è la più ampia, detenuta da burocrati, da funzionari non eletti e non revocabili dal popolo, quindi ancora più autocratici e incuranti delle regole. Fa addirittura leggi elettorali incostituzionali per togliere all’elettorato la possibilità di scelta politica.
Viola inoltre conclamatamente, stabilmente e sistematicamente il principio di legalità: dovunque si vada a indagare si trovano uomini politici e pubblici amministratori dediti trasversalmente al peculato e ad altri reati, ed è chiaro a tutti ormai che in politica ci si mette per rubare e che i partiti, cioè quelle cose che sostengono i governi, sono eserciti composti principalmente di ladri. La viola anche perché ha tradito la sua Costituzione, che è la sua carta di legittimazione: la ha tradita sia non attuandone larga parte, che stravolgendone gli stessi principi fondamentali attraverso i trattati internazionali e la cessione della sovranità ad organismi esteri, non responsabili verso il popolo italiano, e che infatti non si curano di esso.
 Il rovesciamento rivoluzionario di tale regime sarebbe ulteriormente legittimato e necessitato dal fatto che esso da oltre vent’anni sta conducendo la politica economica e la politica europea in modo rovinoso per la nazione e non ha mai corretto tali politiche né pare capace di farlo; e altresì dal fatto, oramai percepito dalla maggioranza della nazione, che esso opera al servizio di interessi stranieri e a danno della nazione, che esso ha privato di quasi ogni ambito di indipendenza.
 Tutto quanto sopra vale in teoria. Nella pratica, al contrario, una rivoluzione in Italia non è possibile e sarebbe infruttuosa, sicché non posso che ribadire il mio solito consiglio: emigrate.
Impossibile, a causa della forza poliziesca, militare e giudiziaria del regime nonché del carattere storicamente remissivo, servile e codardo degli italiani, che per giunta sono inclini a dividersi, a tradirsi e a vendersi tra loro.
Infruttuosa, perché in primo luogo la casta e la cultura di regime non sono un corpo estraneo ma sono espressione della mentalità e delle aspettative della popolazione generale; in secondo luogo, perché manca una classe politica e burocratica di ricambio, che sia sana e competente; infine, perché l’Italia è troppo condizionata dall’esterno, non ha sufficiente indipendenza per sviluppare una sua politica, soprattutto in campo economico-finanziaria; quindi una rivoluzione, in essa, cambierebbe poco. Con Maastricht, Lisbona, il Fiscal Compact e il MES, in aggiunta alle circa 130 basi militari USA sul suo territorio, non ha più libertà di quanta ne ha un pezzo di ferro nel mandrino di un tornio.
 Da qui la mia solita  conclusione: l’Italia è spacciata, non è riformabile, l’unica opzione pratica, per chi p in grado, resta l’emigrazione.
18.12.13 Marco Della Luna
http://altrarealta.blogspot.it/2013/12/litalia-e-spacciata-unica-opzione.html

C’è un giudice a Washington

MERCOLEDÌ 18 DICEMBRE 2013 00:00
di Michele Paris

Per la prima volta dall’inizio delle rivelazioni di Edward Snowden sui programmi da stato di polizia dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale americana (NSA), questa settimana un giudice federale ha sentenziato quello di cui tutti erano a conoscenza nonostante la propaganda del governo, cioè che la raccolta indiscriminata dei dati telefonici di centinaia di milioni di persone è indiscutibilmente una pratica illegale e contraria al dettato della Costituzione degli Stati Uniti.
Il parere del giudice Richard Leon del tribunale distrettuale federale del Distretto di Columbia, a Washington, è stato accompagnato da considerazioni pesantissime sulla condotta del governo in merito alla sorveglianza dei propri cittadini. Inoltre, il giudice nominato da George W. Bush alla vigilia dell’11 settembre 2001 ha ordinato la fine delle intercettazioni telefoniche ai danni dei querelanti e la distruzione dei dati finora raccolti su di essi dall’NSA. L’ingiunzione è stata però immediatamente sospesa, in attesa quanto meno di un sentenza d’appello che arriverà non prima di sei mesi.

Il caso in questione – “Klayman contro Obama” – era scaturito dalla denuncia di due attivisti conservatori, Larry Klayman, fondatore dell’organizzazione di tendenze libertarie Freedom Watch, e Charles Strange, padre di un “Navy Seal” ucciso durante una missione in Afghanistan. Basando la propria istanza sui documenti di Snowden, i due sono riusciti a convincere il giudice distrettuale dei loro requisiti legali per avviare un procedimento contro l’NSA. In precedenza, altri tribunali avevano respinto simili richieste affermando che, dal momento che l’NSA non rende pubblica l’identità delle persone intercettate, nessuno avrebbe la facoltà di citare l’agenzia in giudizio.

Per il giudice Leon, al contrario, i querelanti hanno questa facoltà, poiché è “altamente probabile” che le loro telefonate siano state intercettate come quelle di chiunque altro e finite nel “vasto archivio di metadati” telefonici dell’NSA, la cui esistenza è stata ammessa dal governo stesso.

Come già anticipato, l’amministrazione Obama è subito ricorsa in appello, così che il programma di intercettazioni potrà proseguire sia ai danni di coloro che hanno denunciato l’NSA in questo caso di fronte al tribunale del Distretto di Columbia sia, a maggior ragione, del resto degli americani e di virtualmente qualsiasi cittadino di qualsiasi paese del mondo. Al di là della sentenza di appello, la questione finirà per approdare con ogni probabilità alla Corte Suprema in un procedimento che potrebbe esaurirsi tra svariati anni.

Ciò che il più influente tribunale distrettuale degli Stati Uniti ha stabilito con la sentenza di lunedì rappresenta comunque uno schiaffo per il governo e l’NSA – ma anche per i media ufficiali e i membri del Congresso, tutti più o meno concordi nel giudicare sostanzialmente legittimi i programmi di sorveglianza nonostante gli “eccessi” – la cui flagrante violazione delle basilari norme democratiche americane è stata esposta pubblicamente e con toni insolitamente duri.

In 68 pagine, infatti, il giudice Leon ha affermato, tra l’altro, che non è possibile “immaginare un’invasione [della privacy] più indiscriminata e arbitraria di questa sistematica raccolta e archiviazione di informazioni personali riguardanti virtualmente ogni singolo cittadino… senza una preventiva autorizzazione giudiziaria”. Senza alcun dubbio, prosegue il testo della sentenza, il programma di intercettazioni dell’NSA “contravviene a quel livello di privacy che i [Padri] Fondatori hanno inteso garantire con il Quarto Emendamento [alla Costituzione]”.

Per questa ragione, ha poi aggiunto il giudice federale, è lecito ipotizzare che “l’autore della nostra Costituzione, James Madison, il quale ci ha messo in guardia dalla limitazione della libertà del popolo dovuta alle graduali e silenziose intrusioni di coloro che governano, resterebbe inorridito” di fronte allo scenario attuale.

Il rispetto del Quarto Emendamento – che garantisce contro arresti, perquisizioni e confische arbitrarie – non è nemmeno assicurato dalle delibere del cosiddetto Tribunale per la Sorveglianza dell’Intelligence Straniera (FISC), l’organo chiamato ad autorizzare le richieste di intercettazione presentate dalle varie agenzie governative. Il FISC, infatti, si riunisce in segreto e all’insaputa degli individui interessati dai programmi dell’NSA, i cui rappresentanti legali, ovviamente, non presenziano alle sue sedute.

Come se non bastasse, il giudice Leon ha anche espresso “seri dubbi circa l’efficacia” del programma dell’NSA, visto che il governo non è stato in grado di citare “un solo caso nel quale la raccolta di massa di metadati telefonici abbia effettivamente impedito un attacco terroristico imminente”.
La sentenza ha inoltre respinto il presupposto legale sul quale il governo si è finora basato per giustificare il controllo delle comunicazioni elettroniche, cioè una decisione della Corte Suprema del 1979 (“Smith contro Maryland”) che aveva escluso i metadati telefonici dalle garanzie del Quarto Emendamento. I cosiddetti metadati includono i numeri telefonici digitati o la data e la durata delle conversazioni ma non il loro contenuto e, secondo il governo, in merito ad essi i cittadini non possono aspettarsi di essere protetti dal diritto alla privacy, visto che, ad esempio, queste informazioni sono a disposizione delle compagnie telefoniche.

Per il giudice Leon, invece, la sentenza del 1979 – che si riferiva al caso di un solo individuo intercettato dalle forze di polizia – non è applicabile alla situazione odierna relativa all’NSA, sia perché in ballo c’è la raccolta indiscriminata di dati appartenenti a centinaia di milioni di individui sia perché il ruolo che svolgono oggi i telefoni e, più in generale, la tecnologia, non è paragonabile a quello di oltre tre decenni fa.

Il verdetto emesso lunedì è stato accolto positivamente anche dallo stesso Snowden. L’ex contractor dell’NSA ha rilasciato una dichiarazione tramite il giornalista americano Glenn Greenwald, al quale erano stati consegnati i documenti riservati pubblicati nei mesi scorsi. Snowden ha ricordato come le sue azioni erano scaturite dalla “convinzione che i programmi di sorveglianza di massa dell’NSA non avrebbero potuto superare nessuna prova di costituzionalità e che gli americani meritavano una possibilità di vedere tali questioni approdare di fronte ad un tribunale pubblico”.

Se la sentenza di questa settimana è la conseguenza delle rivelazioni dei crimini dell’NSA da parte dello stesso Snowden, il governo e l’apparato della sicurezza nazionale americano continuano ad operare per mantenere in vita i programmi di sorveglianza appena dichiarati incostituzionali. Proprio lo scorso fine settimana, ad esempio, una speciale commissione nominata da Obama aveva anticipato le proprie raccomandazioni al presidente ufficialmente per “riformare” l’NSA ma, in realtà, per apportare solo alcune trascurabili modifiche esteriori alla condotta dell’agenzia e placare le critiche provenienti da più parti.

Sempre lunedì, poi, la Casa Bianca ha nuovamente respinto ogni ipotesi di amnistia per Edward Snowden, dopo che alcune voci all’interno del governo avevano suggerito una misura di clemenza in cambio della consegna di tutti i documenti ancora nelle mani dell’ex contractor costretto all’asilo in Russia.

Lo stesso giudice federale che ha condannato così severamente le violazioni della Costituzione del governo ha in definitiva subordinato la propria decisione di fermare la raccolta di informazioni personali da parte dell’NSA alle necessità dell’intelligence statunitense. Alcuni diritti democratici fondamentali, perciò, potrebbero in ultima analisi essere sacrificati, visti, a suo dire, “i significativi interessi relativi alla sicurezza nazionale che risultano in gioco”.
http://www.altrenotizie.org/esteri/5799-ce-un-giudice-a-washington.html

Grandi opere al buio: i misteri del Terzo Valico

BINARI Tra Genova e Milano si costruisce una linea ad Alta velocità, ma nessuno ha mai calcolato se è utile e se vale il costo previsto di 6 miliardi. Tanto paga lo Stato

di Marco Ponti

Una grande opera è stata finalmente avviata, con pochissime proteste e un sostanziale silenzio mediatico: si chiama Terzo Valico. È un tunnel ferroviario tra Genova e la Pianura padana, pensato per le merci del porto di Genova, e che in futuro potrà anche divenire una linea Alta velocità fino a Milano.    Si chiama “terzo valico” perché di linee ferroviarie ce ne sono già due, fortemente sottoutilizzate. Oltre a questa comunanza con la Torino-Lione, anch’esso affiancato da una linea sottoutilizzata, il progetto costa molto caro (circa 6 miliardi, rispetto agli 8,5 della To-Li). Questa linea servirà anche a rendere più veloci i treni passeggeri, non solo quelli merci, e il traffico passeggeri è certo più consistente che sulla linea Torino-Lione . Però la dovremo pagare interamente noi: è una tratta nazionale, quindi niente contributi da altri paesi né dalla Unione europea. Persino l’ingegner Mauro Moretti, amministratore delle Ferrovie dello Stato, l’aveva dichiarata un’opera inutile in un convegno, poi è stato sgridato sul Sole 24 Ore per questa libertà che si era preso in pubblico, dall’ex-ministro dei Trasporti Pietro Lunardi. L’appalto è stato assegnato molti anni fa senza gara al Cociv, gruppo pilotato dall’impresa Gavio. Ovviamente questo appalto è inossidabile, ci mancherebbe.    Ci si aspetterebbe che al pubblico, agli amministratori e politici locali e a quelli dello Stato centrale, siano state fornite analisi economiche e finanziarie che dimostrino che non solo l’opera serve molto in relazione al suo elevato costo, ma che sia prioritaria rispetto ad altre. Infatti quelle analisi lì servono proprio a quello, soprattutto in una situazione di soldi pubblici scarsi.    I numeri    che non si trovano    Lo scrivente, con l’aiuto di un bravo laureando genovese, ha cercato questi documenti economici, ma stranamente non è stato trovato nulla di nulla. Ma è stato trovato un graziosissimo documento di istruzioni su come l’opera deve essere presentata al pubblico da parte dei promotori. Anche lì, nessun cenno a dati economici o finanziari, o anche solo a previsioni dettagliate di domanda futura. L’opera è utile “in se”, metafisicamente (bè, c’è un grande porto e una grande città, che altro serve sapere? Poi il vasto pubblico non capirebbe quelle analisi complicate…). Inoltre può essere molto dannoso fornire argomenti ai perfidi nemici del progresso, dell’occupazione , dell’ambiente, del Porto, ecc., insomma della Patria, che poi magari leggerebbero quei dati in modo malevolo, come è già successo più volte in casi simili.    Tuttavia negli ultimi anni qualcosa è filtrato, da varie fonti. Chi scrive fu consultato per caso da due giovani ingegneri che erano stati incaricati di fare una analisi costi-benefici dell’opera. Ingenuamente chiesero: “Ma lei, che è così pratico di queste analisi, non può mica consigliarci qualche modo per far venire positivi i risultati? Noi ci abbiamo provato, ma non ci si riesce proprio…”. Peccato che si trattò di una rapida conversazione, e niente di documentabile.    Più recentemente, emerse un’ipotesi di finanziare l’opera con un finto intervento di capitali privati (cioè in “project financing”, come si dice in termini tecnici). L’impresa destinata a gestire la linea, Ferrovie dello Stato appunto, avrebbe pagato ai costruttori un “canone di disponibilità” fisso, cioè non dipendente dal traffico (che magari poi era poco, chissà…). Il canone annuo sarebbe stato ovviamente tale da ripagare interamente l’opera. Fs è una impresa al 100 per cento pubblica, ma giuridicamente una società per azioni, come le Poste che intervengono “spontaneamente” per salvare Alitalia. Quindi formalmente si tratta di un privato.    Bene, sembra tuttavia che anche con questo “schema creativo” i numeri in gioco fossero così tragici (ricavi da traffico previsti meno di un decimo della rata annua che Fs avrebbe dovuto pagare), che non se ne fece nulla. Allora il ministero dello Sviluppo guidato da Corrado Passera (nella persona del suo viceministro Mario Ciaccia), prese una decisione eroica: basta perder tempo, non occorre nessuno schema finanziario (scartoffie!), pagherà il 100 per cento lo Stato, cioè noi.    Il Sole 24 Ore, nello stesso periodo, pubblicò un articolo di lodi a una proposta di sconti fiscali dedicati alle “Grandi Opere”, articolo che conteneva questa perentoria affermazione: “In questo modo si potranno anche realizzare opere molto costose e con poco traffico”. L’ironia, si sa, non è patrimonio di tutti.    Intanto i cantieri sono partiti, che è quello che davvero interessa a costruttori e politici. Non si sa se ci saranno i soldi per finire l’opera, cosa che vale per quasi tutte queste iniziative. Alcuni gruppi locali protestano per possibili danni ambientali. Ottima cosa, i costi per risarcirli generosamente, e con molta pubblicità, sono assolutamente irrilevanti rispetto al valore dell’appalto. E così alla fine tutti saranno contenti.    * professore di Economia dei trasporti    al Politecnico di Milano

Illustrazione di Roberto La Forgia