L’OMS all’OCSE: che cavolo dici?

Posted By Redazione On 10 dicembre 2013

icembre 5, 2013 [1] http://www.effervescienza.com/ [2]
Suicidi e crisi economica: i Paesi Sviluppati negano la relazione, ma i loro dati traballano. La Sanità mondiale parla apertamente di emergenza sociale. E anche l’ISTAT ammette: “Statistiche sottostimate”

Prima, i soldi. Poi, tutto quanto il resto. Fedele alla sua natura, che è una natura squisitamente economica (e cos’altro dovrebbe essere un’organizzazione che raduna i 34 paesi più sviluppati del pianeta?), poteva forse l’OCSE  non diciamo suonare l’allarme, ma mostrare un minimo di sensibilità verso il problema dei suicidi da crisi economica? Eh sì, col cavolo. Come il lettore avrà capito dal precedente articolo  sulla “salute a colpo d’occhio” – parliamo del suo rapporto “Health a glance” 2013, titolo già di per sé significativo quanto a competenza e approfondimento – all’OCSE che la gente si ammazzi non importa un fico secco, anzi no: importa tantissimo. Nel senso però che non vogliono lo si dica troppo forte in giro. Sai mai che qualcuno scrosti la facciata del dogma produttivo, e capisca quanto di malato c’è nel retrobottega dello “sviluppo” economico. Non disturbare il manovratore. Ecco, questo e null’altro sta a cuore ai signori di Parigi.
Gli italiani non s’ammazzano per crisi, sentenzia l’OCSE. E che ne sa? Ammesso e non concesso che abbia presi per buoni i numeri dell’ISTAT, forse non ha letto bene quel che l’istituto di statistica ha scritto nella premessa al suo studio sui suicidi in Italia (ma vale per tutto il mondo). E cioè, citiamo tra virgolette, “ che le statistiche su questo fenomeno soffrono di problemi di sottostima legati a una pluralità di fattori”. La legittima difficoltà a parlarne, per esempio, o a capirne le vere motivazioni, o addirittura a rilevarne i casi per la negligenza di chi dovrebbe stilare i rapporti.

E magari fosse solo questo. Perché l’OCSE, evidentemente, non ha manco letto quello che dice l’OMS, l’Organizzazione mondiale della sanità, sullo stretto legame  fra la crisi e la salute dei cittadini europei. E cioè, parliamo di uno studio di due mesi fa, che la disoccupazione è un’emergenza sanitaria perché la perdita del lavoro “aumenta la probabilità di morte e di diverse malattie, da quelle cardiovascolari alla depressione”.  Depressione, appunto. Cioè la patologia che, quanto a rischio suicidio, ne fa il più delle volte da anticamera. E se lo certifica l’OMS qualcosa vorrà pur dire.
http://www.stampalibera.com/?p=69326

Alfano si sogna “città in fiamme” …

ooh per fortuna che ci SALVERA’ ALFANO da questi CATTIVI MANIFESTANTI….ma perché non si suicidano in silenzio come tutti gli altri? Devono proprio disturbare questa gente alla fame??? Sulle ritorsioni ai commercianti mi viene da ridere. SOLO LA MAFIA E LO STATO hanno il diritto di VITA E DI MORTE SUI COMMERCIANTI……Mi sembran sogni che si debba prendere per vero quanto riportato da Repubblica, sono maestri nello screditare i movimenti……..TUTTI. O meglio, i movimenti che danno fastidio

Alfano: “Città in fiamme, non lo permetteremo”
 
Uno dei leader del movimento smentisce una manifestazione nella capitale. Continua lo sciopero in tutta Italia. Bloccato il traffico ferroviario in alcune stazioni. Sul gesto dei poliziotti Fi e Pd chiedono ad Alfano di riferire in Aula.
 
ROMA – Dopo le manifestazioni e i presidi di ieri, la protesta che attraversa tutta Italia sotto l’egida del Movimento dei forconi continua creando una serie infinita di problemi legati alle ricorrenti interruzioni della viabilità nei centri cittadini e nelle arterie di collegamento, con pesanti conseguenze sulle attività dei commercianti. A Torino, che resta l’epicentro dell’azione dei dimostranti, Confesercenti chiede “il ripristino della legalità subito” perché i commercianti “hanno diritto di lavorare in tranquillità”. L’associazione denuncia: “E’ stato impedito a migliaia di operatori commerciali di allestire i loro banchi sui mercati e si stanno minacciando di ritorsioni i negozianti che oggi hanno aperto i negozi”.
Ritorsioni nei riguardi delle attività commerciali si registrano anche in Puglia, dove si indaga sulle minacce ricevute da negozianti costretti ad abbassare le serrande. A Molfetta, i dimostranti hanno prima fatto chiudere un centro commerciale, poi le aziende. I rappresentanti del movimento si sono poi spostati e hanno raggiunto la sede della società di informatica di proprietà del presidente della Confindustria Puglia, Domenico Favuzzi. La ditta è stata evacuata e i dipendenti invitati a lasciare il posto di lavoro. Stesso trattamento per i dipendenti di un call center della zona. Stesse situazioni sono segnalate a Imperia.
 
Di fronte a simili degenerazioni, interviene il ministro dell’Interno Angelino Alfano: “Non consentiremo la messa a fuoco delle città”. La protesta non si ferma, anche se uno dei leader del Movimento dei forconi, Mariano Ferro, rimanda l’ipotesi di una manifestazione nazionale nella Capitale: “Ci sarà, stiamo stabilendo quando, ma sarà con le nonne e i bambini. Una manifestazione democratica e pulita”. Ferro attribuisce la guerriglia di ieri a “quattro scalmanati, la stragrande maggioranza era pacifica”.
 
Nelle intenzioni del Movimento, le manifestazioni dovrebbero durare cinque giorni, ma un punto di svolta potrebbe essere la votazione di domani per la fiducia al governo guidato da Enrico Letta: “Se i politici non andranno a casa e domani sarà votata la fiducia al governo Letta, ci sarà un’azione eclatante non violenta a Roma e forse in altre città: non ci arrendiamo” dice Danilo Calvani, uno dei coordinatori del movimento “9 dicembre”. Dichiarazioni che il leader della Cgil, Susanna Camusso, ha definito come “preoccupanti”. Intanto domani, Silvio Berlusconi ha annunciato che inconterà a Roma una delegazione di autotrasportatori per ascoltarne le ragioni.
 
Il movimento, in origine espressione della rabbia degli agricoltori e allevatori che si sono sentiti abbandonati dalle istituzioni, ha unito nella protesta anche venditori ambulanti, camionisti, precari, studenti, disoccupati, immigrati e persino ultras delle curve calcistiche ed estremisti di destra. Ieri la situazione più difficile si è registrata a Torino, dove ha fatto scalpore il gesto dei poliziotti, che davanti ai manifestanti, si sono tolti il casco.
 
Il fatto sta suscitando molte polemiche. Beppe Grillo l’ha definito “un grande gesto” chiedendo ai rappresentanti delle forze dell’ordine di “unirsi alla protesta”. Uno dei sindacati dei poliziotti, il Siulp piemontese, ha riconosciuto la “storicità del gesto, una resa delle armi in onore dei cittadini che protestano pacificamente”. Il Pd e Forza Italia hanno chiesto al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, di riferire in Parlamento per chiarire il comportamento delle forze dell’ordine. La Questura ha escluso che il gesto fosse riconducibile a forme di condivisione della protesta. Il Silp, il sindacato degli agenti vicino alla Cgil, ha chiesto di non strumentalizzarlo: “Non aiuta ad affrontare le questioni di ordine pubblico in maniera responsabile e civile”. Concorde la dichiarazione dell’associazione nazionale dei funzionari di polizia: “Non è così che i poliziotti mostrano la propria solidarietà ai cittadini ma sempre e solo attraverso il corretto e responsabile esercizio delle proprie funzioni”.
 
Gli scontri e le azioni violente, invece, hanno messo in allarme per il timore che le proteste possano degenerare. Alfano ha convocato un vertice con i responsabili delle forze dell’ordine per decidere quali mosse intraprendere nei confronti delle manifestazioni. Il Garante degli scioperi, Roberto Alesse, sta valutando “attentamente i fatti in stretta collaborazione con le prefetture al fine di individuare i responsabili di violazioni. Da questo punto di vista non si faranno sconti a nessuno”.
 
Anche oggi Torino è stata uno dei centri più colpiti e dove 8 persone sono state denunciate – 4 per interruzione di pubblico servizio, quattro per violenza privata -, mentre altre 12 sono state identificate mentre protestavano in piazza Statuto. Per il blocco sulla tangenziale sono stati identificati 11 manifestanti, per i quali la denuncia scatterà a breve. Sull’arteria la situazione è tornata alla normalità poco prima delle 18: 250 manifestanti erano entrati a piedi sulla carreggiata all’altezza dell’Interporto Sito e sono stati allontanati dalla polizia allo svincolo successivo, in corso Allamano.
 
I presidenti delle dieci Circoscrizioni denunciano “territori isolati e preda delle intimidazioni da 24 ore” ed esprimono “sdegno e preoccupazione per le nefaste conseguenze sul tessuto sociale e per i forti contraccolpi negativi su libertà, sicurezza e spostamento delle persone” conseguenti ai blocchi. Il prefetto del capoluogo piemontese, Paola Basilone, ha annunciato l’arrivo domani di “nuovi rinforzi delle forze dell’ordine per fronteggiare i forti disagi di queste ore”.
 
Due i cortei in corso in centro città. Alcune centinaia di persone, dopo aver cercato invano di entrare nella stazione ferroviaria di Torino Porta Nuova, hanno occupato la carreggiata centrale di corso Vittorio Emanuele e poi si sono diretti verso il Palagiustizia. Un secondo corteo ha percorso via Garibaldi in direzione piazza Statuto con disagi per la circolazione di tutta la zona. La polizia è intervenuta in piazza Derna per rimuovere il blocco che stava ostacolando il traffico. Sette persone sono state accompagnate in Questura, altre trenta sono state identificate e saranno segnalate all’Autorità giudiziaria.
 
I negozianti di Eataly sono stati costretti a tirare giù le serrande perché un gruppo di uomini armati di spranghe hanno minacciato le guardie. Assaltati altri tre supermercati, che sono riusciti a chiudere le porte in tempo, prima che i manifestanti riuscissero ad entrare. Disagi anche in provincia: ad Avigliana, in Valle di Susa, gli organizzatori de ‘L’Italia si ferma’ hanno istituito un altro posto di blocco con mezzi pesanti e trattori. Occupata anche la stazione. Rallentamenti a Pinerolo, mentre un altro presidio è stato allestito allo svincolo della tangenziale tra Collegno e Pianezza.
 
Ad Albenga (Savona) i manifestanti hanno invaso i binari della ferrovia, poi è intervenuta la forza pubblica e la circolazione ferroviaria lungo la linea del ponente è ripresa. I dimostranti avevano acceso anche dei fumogeni ma all’arrivo delle forze dell’ordine se ne sono andati. Il corteo si è quindi spostato nel centro cittadino.
 
A Milano si è conclusa a piazzale Loreto la manifestazione del Movimento dei Forconi cominciata in mattinata. I dimostranti hanno lasciato la piazza e il traffico sta tornando lentamente alla normalità. Ma la protesta non si ferma: appuntamento domani mattina alle 10 a piazzale Loreto per continuare.
 
Presidio davanti al Pirellone, dove è giunto un corteo di trattori convocati dalla Copagri, la confederazione di produttori agricoli. Paralizzata la circolazione nella zona della stazione Centrale, una trentina i trattori sistemati dagli agricoltori davanti alla sede della Regione. Presidi ancora a Rho, a Brescia e all’aereoporto di Orio al Serio.
 
Vicino Verona è stato nuovamente chiuso al traffico in entrambi i sensi il casello di Soave sull’autostrada A4, sede di uno dei presidi più numerosi in Veneto. Le autorità avevano provato in tarda mattinata a riaprire l’uscita, ma un nuovo assembramento di manifestanti, soprattutto studenti arrivati ad dar manforte ai dimostranti delle varie associazioni, ha riportato la tensione all’esterno del casello, costringendo ad una nuova chiusura.
 
Problemi anche in Puglia. La situazione più difficile è a Barletta, dove i manifestanti hanno bloccato la zona industriale, paralizzando il traffico barricando l’accesso con transenne e cassonetti. Blocchi stradali anche a Bari e Andria. Stop alla circolazione dei veicoli allo svincolo di Battipaglia dell’A3, ora riaperto. Occupati i binari della stazione di Cerignola (Foggia).
 
A Palermo, i dimostranti sono radunati sotto la Regione Sicilia. Cori e slogan contro “la politica e i politici assassini”. In tilt la circolazione stradale sotto il palazzo in piazza Indipendenza.
 
A Roma prosegue il presidio in Piazza dei Partigiani, davanti alla stazione Ostiense. La prefettura ha deciso di rafforzare le misure di sicurezza per prevenire eventuali manifestazioni. Le forze dell’ordine presidieranno stazioni e snodi autostradali e si è deciso di blindare le zone attorno a Montecitorio, Palazzo Chigi, Palazzo Madama e Quirinale.
 

Perugia – Occupata sede del PD

‘Non calpestate la Costituzione’ …..MAMMAMIA che slogan fascista…..per fortuna gli amanti della democrazia han chiamato le FFOO e DIGOS per difendere lo status quo (alla faccia di chi presume questo amore tra FFOO e manifestanti dei blocchi)

Perugia, una trentina di persone con lo striscione ‘Coordinamento 9 dicembre 2013 Perugia’ e ‘Non calpestate la Costituzione’ è entrato nella sede del Partito Democratico dell’Umbria, nel centro storico, chiedendo di poter parlare con i dirigenti.

I manifestanti hanno occupato la sala riunioni e minacciano di non andare via fin quando non potranno parlare con i dirigenti, che adesso non presenti in sede.

I dipendenti del Pd hanno chiamato la polizia, sul posto è arrivata la Digos.

Pungesti, Romania: Chevron, fracking e proteste

Posted By Maria Rita D’Orsogna On 10 dicembre 2013

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 Foto Pungesti, Romania vs. Chevron 1 [2]

“La nostra priorita’ e’ di sviluppare le nostre attivita’
in un modo responsabile per l’ambiente.
Rispettiamo il diritto delle persone di esprimere le loro opinioni
ma pensiamo che debbano essere espresse secondo i limiti di legge.”

Le balle della Chevron a Pungesti, Romania.

E quale legge considerato che la Chevron e politici corrotti hanno fatto tutto
il loro comodo in Romania dal primo giorno che sono arrivati?

Le proteste dei rumeni contro il fracking da parte della Chevron continuano – un altra storia di prepotenza e di petrolieri.

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]Ad Ottobre 2013 la Chevron aveva iniziato i suoi lavori di fracking nel nord est della Romania. C’erano state gia’ allora proteste e scontri con la polizia, dopo che alcuni contadini si erano accampati nei siti da trivellare in segno di protesta.

Siamo a Pungesti – la Chevron vuole trivellarla, la gente vuole coltivare la terra.

E’ stato a suo tempo una cosa a suo modo molto bella – la gente e’ andata fin da Bucarest ad accamparsi con i residenti di Pungesti per solidarieta’, da tutto il mondo sono arrivati messaggi di supporto e c’e’ stato l’eroico Monsignr Vasile, che da arcivescovo e’ diventato attivista.

I residenti sono riuscita a tenere duro per un paio di mesi, ma lunedi’ 2 dicembre la polizia e’ intervenuta di nuovo, con la violenza, bloccando la strada verso la citta’ principale, Vaslui, e arrestando circa 40 persone. Alcune di loro sono state malmenate.

“The police arrived, they beat us and dragged us away. They forced us out of the camp we had set up and blocked the road, not even school buses are allowed to pass” Elena Privac

“Military Police have blocked all access roads to the city . Twenty people were beaten up now . There patrols constantly, everywhere, who intimidate and threaten the population. They force small shops to close, and intimidate anyone who tries to help. The children can not go to school , the sick can not go to the doctor . Access Press is strictly prohibited ! Some residents said they had been beaten while they were collecting firewood in their own forest. It’s like living under occupation in wartime ! Please help us, and share this information!”. Domintean Zina

Ai giornalisti non e’ stato permesso l’accesso. C’erano circa 1000 agenti di polizia. Alcuni residenti riportano che alcuni dei poliziotti sono andati nelle scuole a dire ai bimbi che se non dicevano ai propri genitori di essere favorevoli al progetto Chevron, avrebbero avuto voti bassi.

La cosa interessante e’ che il campo dove erano accampati era di proprieta’ privata. Della Chevron uno direbbe?

No, di privati contadini.

Il primo ministro Victor Ponta dice e’ tutto legale.

Agli arrestati sono poi state date multe che variavano dai 50 ai 370 euros – l’equivalente di un mese di stipendio per il rumeno medio.

E come in Ottobre molte persone, molti attivisti sono scese in piazza a Bucarest e hanno lanciato una petizione ” Stop Chevron and police abuse in Pungesti” con le firme da mandare all’Unione Europea. In un giorno hanno raccolto quasi 19,000 firme.

La petizione dice

“This abusive intervention is without precedent in a democratic Romania and it follows two months of continuous harassment and intimidation of the local community. It is an irresponsible, dangerous attack on human and civil rights, as recognized worldwide.”

E la Chevron?

La Chevron dice che la loro priorita’ e’ di “conduct these activities in a safe and environmentally responsible manner”.

Evidentemente, non sanno che e’ impossibile.Che peccato, perche’ i contadini rumeni lo sanno invece.

Sulla stampa italiana, tutto tace.

Dopo proteste di due mesi, e finalmente il 7 Dicembre l’annuncio della fine dei lavori, ecco che il giorno dopo i nostri beniamini della Chevron ci ripensano e annunciano di volere tornare a trivellare a Pungesti, in Romania, questa volta con “metodi convenzionali”. [5]

Dopo un giorno! Ma chi gli crede?

Vorrei proprio sapere che ne pensano Letta e Scaroni e Michele Marsiglia di questo shale gas in “Europa” e se e’ questo che vogliono per l’Italia e per tutto il resto del continente.

Ecco qui il comunicato degli attivisti di Romania, scritto da Maria Olteanu, che e’ li a Pungesti.
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SOS Romania! We desperately need your help!

Terror in Pungesti and whole Romania due to Fracking operations of Chevron! Chevron has started a real war against the Romanian people, backed by the Romanian government, while using the heavy and brutal arm of the militarised police, the Riot Police.

In a country where the property rights are blatantly breached, the freedom to express is abusively prohibited, the right to free movement is restricted, we desperately need international solidarity!

Yesterday, the 7th of December, was a war day little covered and debated in Romania in the media, as expected.

In the first round, people, who have gathered there to send out a message to Chevron and to the Romanian Government, who has done everything to impose Chevron’s fracking project, pulled down the fence surrounding the land where Chevron abusively and illegally and despite the huge opposition of the local community, started erecting its first rig on Romanian territory. 20 people were arrested, others injured in the fights after, mainly to release the arrested ones.

The camp was fully evecuated and destroyed by the Riot Police for the reason of insalubrity! They accused the people of possession of white weapons (totally false) and flamable materials! In the camp, they only kept the gas for the generator used to fuel the camp with energy!

The Riot Police waited for the night to fall and sent out troops to the houses of the locals to look for guests (no real activists, whatsoever, mostly citizens who came there out of solidarity with the abused people of Pungesti), beat them up in their own yards, broke inside the homes and fined the people hosting non-local protesters and beat them up, while people were hiding fearful in their homes, with the lights switched off and whispering in the dark. Prior to this, the Riot Police made look like the protesters have thrown stones at one of their trucks, so that they intervene in force once again. This time, they have came to the local shop where the evicted people gathered and took away and brutally beat up some of the newly arrived leaders of the the political and environmental awakening movement in Romania. They were detained and beaten up brutally, the camera of one of them was broken. Some 11 more people were arrested. Penal files will be made for many of them and some of them will be arrested with a 29-detention mandate for researches (unlike until so far), like real criminals! The leaders of the camp are targeted!

In the mean time, in Bucharest, hundreds took to the street in solidarity with Pungesti! They were fined by the Riot Police right away and they tried to remove people from there using violence. No means are there for people to protest anymore! All types of protest are being denied to the people of

Romania and the resistance is brutally abused!

We underline, this is no local situation, the whole country is backing Pungesti! What the Romanian dictatorship wanted to do in Pungesti was to have a showcase of repression, so that it opens the way for the rest of the projects countrywide! The Romanian people will not give up the fight, but we

need any type of international solidarity!
Pungesti camp needs to resist and it will resist! Please help us to make it resist! Spread out the message worldwide that Romanians are resisting fracking and they want to inspire everyone to do so!

Today, massive protests throughout Romania will be held. Huge repression from the Riot Police will try to block our protest, just as they have doneit before. It’s just that this time, it got worse and they are desperate to silence us!

The war goes on and we need people to come down here to help us!!! The situation is desperate!

No gazaran!!!

And a last minute update, to sum up the real offensive of Chevron here after having announced at around 2 PM yesterday that it will temporarily stop the works, in a today’s press release at 8. AM, Chevron said that it resumed the works!!!

It is war! People from all over Romania will go there and to the streets and I fear the worst! You can easily cite me and proclaim the death of the feeble Romanian democracy!

Corporatocracy and heavy corruption of the local elected has killed it!


Article printed from STAMPA LIBERA: http://www.stampalibera.com

URL to article: http://www.stampalibera.com/?p=69275

UKRAINE / Le point de vue du KPU

PCN-SPO / LE ‘PC D’UKRAINE’ : L’UNION EUROPEENNE VEUT DETRUIRE L’UKRAINE COMME PAYS

Communiqué de presse de Petro Simonenko,

Premier Secrétaire du Parti communiste d’Ukraine/

PCN-SPO avec KPU Website / 2013 12 04 /

http://www.scoop.it/t/pcn-spo

https://www.facebook.com/PCN.NCP.press.office

PCN-SPO - Cp du PCU contre l'UE (2013 12 07)  FR (1)

Le KPU, PC d’Ukraine, dénonce les agissements des dirigeants de l’Union européenne pour « détruire l’Ukraine comme pays ».

Le Parti Communiste d’Ukraine demande aux dirigeants de l’Union Européenne de réagir immédiatement aux déclarations provocatrices du co-président de la mission de l’UE pour le pays, M. Aleksandr Kwasniewski qui, dans un entretien pour le journal polonais Rzeczpospolita, a ouvertement appelé l’opposition à user de la force pour s’emparer du pouvoir en Ukraine.

Le KPU exige également d’interroger la chancelière Angela Merkel, pour savoir de quel droit et au nom de qui le ministre des Affaires étrangères allemand Guido Westerwelle s’est rendu Place de l’Indépendance pour rencontrer les dirigeants de l’ « opposition ».

Le KPU appelle le Ministre des Affaires étrangères à réagir à l’ingérence directe de dirigeants d’Etats étrangers dans les affaires intérieures du pays.

On cherche à dénier au peuple ukrainien le droit de disposer de son propre sort. On essaie de lui nier son droit à prendre des décisions en fonction de ses propres intérêts, et non ceux du capital international.

Aujourd’hui, la pseudo-opposition, comme en 2004, est une cinquième colonne qui brade l’intérêt national aux multinationales. Ce sont quasiment les mêmes acteurs, les mêmes promesses, les mêmes procédés.

C’est pourquoi le Parti Communiste d’Ukraine appelle tous les citoyens et le peuple d’Ukraine à prendre en main la résolution de la crise politique actuelle par les seuls moyens légaux.

Dans le cas contraire, nous nous dirigeons vers une « balkanisation » du pays, la destruction de l’Ukraine comme Etat.

Petro Simonenko,

Premier Secrétaire du KPU

http://www.lucmichel.net/2013/12/09/pcn-spo-le-pc-dukraine-lunion-europeenne-veut-detruire-lukraine-comme-pays/

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(*) Le KPU, Parti Communiste d’Ukraine (et pas ‘ukrainien’ comme l’écrivent les médias révisionnistes du PCF), est une formation proche du KPRF russe de Zouganov, c’est-à-dire un communisme patriotique et anti-occidental, ce que les politologues occidentaux classent comme « national-communiste » (SPS de Milosevic, Lukashenko, KPRF, PCN …). C’est le noyau dur des forces pro-russes en Ukraine, radicalement anti-NATO.

Le KPU passé à 15% a été la véritable force politique émergente lors des législatives ukrainiennes d’Octobre 2012 (mais les médias occidentaux ont mis en avant les protégés de l’UE/NATO et le noyau dur de la coalition anti-russe, les néofascistes antisémites de Slovoba et leurs 7%, alliés électoralement à l’oligarque Timochenko).

LA DITTATURA FINANZIARIA TOTALITARIA PROSSIMA VENTURA

Postato il Lunedì, 09 dicembre
 
DI PIERO VALERIO
Byoblu.com
 
1. LA BANCA D’ITALIA
 
In quanto aderente al sistema SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) della BCE, Banca d’Italia è un’autorità monetaria completamente autonoma ed indipendente dal governo, perché in base ai trattati europei e al suo statuto non può finanziare direttamente lo Stato italiano tramite scoperti di conto di tesoreria, acquisto diretto di titoli del debito pubblico o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia. Inoltre, nessun politico o ministro italiano può influire sulle scelte di politica monetaria della Banca d’Italia o può chiedere conto e ragione, in parlamento o in altre sedi, dell’operato del Consiglio superiore o del governatore dell’istituto.
 
La situazione opposta, invece, è incredibilmente ammessa, come conferma la lettera inviata il 5 agosto del 2011 da Trichet e Draghi al governo Berlusconi. L’unico obiettivo di Banca d’Italia, in linea con quello della BCE, è il mantenimento di un tasso annuo di inflazione prossimo al 2%, mentre l’istituto non si assume alcuna responsabilità né per quanto riguarda la disoccupazione né la crescita economica in generale, lasciando che siano il governo e il parlamento con la sola leva fiscale e tributaria a doversi fare carico della soluzione di questi problemi. Tranne l’elezione del governatore, che avviene su esplicita proposta e indicazione del Consiglio superiore della banca centrale (articolo 17 dello Statuto), i politici non hanno alcuna influenza nelle attività strettamente tecniche o istituzionali di Bankitalia.
 
La proprietà della banca centrale è al 95% privata, anche se l’istituto viene ipocritamente definito di diritto pubblico, perché si è appropriato giuridicamente di un’attività regolamentata per legge: l’emissione della moneta (sotto forma di banconote e riserve bancarie). Siccome noi siamo obbligati per legge dal corso forzoso ad accettare l’euro come moneta di stato, la Banca d’Italia, che ha l’esclusivo privilegio di emettere le banconote e le riserve elettroniche in euro, malgrado la sua proprietà e funzione privatistica ha acquisito negli anni una chiara posizione dominante nell’assolvimento di un diritto pubblico. I banchieri privati si sono gradualmente, con il tacito consenso o l’approvazione unanime di tutti i politici, impossessati di un istituto giuridico pubblico, la moneta, cercando di ricavarne nel corso del tempo un maggiore profitto privato. E visto che un’istituzione o è pubblica (nel senso che non è orientata ai profitti ma a garantire un diritto della cittadinanza) o è privata (nel senso che antepone il raggiungimento del profitto al benessere dei cittadini),Bankitalia da questo punto di vista è un ente assolutamente privato, perché antepone il profitto dei suoi azionisti banchieri (inflazione bassa, dividendi, prestiti agevolati agli amici della cricca) a quello dei cittadini (occupazione, bassa tassazione, regolarità del credito a famiglie e imprese). Tuttavia, questo esproprio di fatto della funzione monetaria un tempo subordinata al governo democratico, fino ad oggi veniva quantomeno ricompensato versando gran parte degli utili di gestione alle casse dello Stato (e per come viene gestita oggi una banca centrale, gli utili sono sempre assicurati, mentre è praticamente impossibile avere delle perdite). Da oggi invece, tramite la scandalosa proposta di trasformare Banca d’Italia in una public company, anche gran parte di questi utili verranno veicolati verso gli azionisti bancari privati.
 
2. I PROFITTI DEI BANCHIERI PRIVATI
 
Ma vediamo nel dettaglio cosa si nasconde dietro questa incredibile truffa legalizzataspulciando il documento redatto da tre consulenti di Banca d’Italia (uno dei tre relatori è il famigerato ex-presidente del consiglio fantoccio della Grecia Lucas Papademos, governatore della banca centrale ellenica ai tempi dei trucchi di bilancio organizzati insieme a Goldman Sachs per fare rientrare il paese nei parametri di Maastricht: con un consulente così siamo in una botte di ferro!!!). Innanzitutto partiamo dall’assetto proprietario attuale, che è diviso in quote fittizie per un valore complessivo del capitale sociale simbolico di €156.000, di cui Banca Intesa, Unicredit e Assicurazioni Generali insieme detengono quasi il 60% del totale. Il fatto che si sia creata una tale concentrazione di capitale sociale in pochi grandi gruppi dipende dal processo di trasformazione e fusioni successive avvenute nel sistema bancario italiano a partire dai primi anni novanta.
 
In base alle rispettive quote e al valore nominale delle stesse, secondo quanto disposto dall’articolo 39 dello Statuto, i dividendi dovuti agli istituti finanziari e assicurativi privati ammonterebbero al 10% dell’intero capitale sociale, ovvero a soli €15.600. Tuttavia i banchieri sono già riusciti in passato ad inserire un comma all’articolo 40 dello Statuto, secondo cui oltre ai risibili dividendi figurativi di cui sopra, spettano agli azionisti privati altridividendi aggiuntivi pari ai profitti degli investimenti del valore massimo del 4% delle riserve detenute nell’anno precedente (per il 2012 l’aliquota è stata piuttosto bassa, 0,5%, che tradotta in soldoni equivale a €70 milioni regalati alle banche). Il resto dell’utile netto (€2,5 miliardi nel 2012) viene invece ripartito fra accantonamenti a riserve statutarie (€1 miliardo) o girato direttamente al ministero del Tesoro (€1,5 miliardi). Considerando che l’utile lordo è stato di poco superiore a €7 miliardi e sottratta la quota versata in anticipo al fondo rischi generali, ciò significa che lo Stato incassa all’anno all’incirca altri €2 miliardi di tasse sugli utili. E in totale si tratta di €3,5 miliardi entrati nelle casse dello Stato nel 2013. Una bella somma, che giustifica le enormi pressioni dei banchieri sul governo per accaparrarsi una fetta molto più grande del bottino. Dato ilcontesto istituzionale e politico favorevole (dall’inizio della crisi del 2011 i banchieri sono riusciti ad infiltrare nei governi tecnici Monti e Letta una quantità considerevole di propri dirigenti, affiliati e simpatizzanti) e lasituazione di emergenza in cui versa l’Italia, era chiaro che fosse arrivato il momento di sferrare l’attacco decisivo.
 
3. LA TRUFFA LEGALIZZATA
 
La proposta dei banchieri è la rivalutazione del capitale sociale, ricalcolato in base ai flussi di reddito che esso genera, il quale si collocherebbe in un intervallo compreso fra i €5 e €7,5 miliardi. Questi soldi verrebbero spostati contabilmente dalle riserve di Banca d’Italia, prendendo a pretesto il fatto che le banche per 14 anni di fila non hanno sfruttato fino in fondo le potenzialità dell’articolo 40, utilizzando sempre un valore di riserve investite inferiore al 4%. Come dire, non solo lo Stato ha fatto annualmente un regalo alle banche (i 70 milioni di euro di cui sopra), ma adesso i banchieri pretendono pure di farci pesare la colpa che il gentile omaggio non fosse all’altezza delle loro aspettative. Inoltre verrebbe fissato un limite del 5% alle quote possedute da ogni singolo azionista e a coloro che, adesso o in futuro, dovessero ritrovarsi con quote in eccesso, verrebbe concesso un periodo di tempo prestabilito per sbarazzarsene, vendendole ad “investitori istituzionali con un orizzonte di lungo periodo” (definizione generica che significa tutto e niente, ma che alla fine si ridurrebbe a privilegiare i ben noti colossi finanziari mondiali “too big to fail”, tipo Goldman SachsMorgan StanleyJP MorganBarclays,Deutsche Bank e così via).
 
In pratica si verrebbe a creare un vero e proprio mercato internazionale delle quote di Banca d’Italia, difficile se non impossibile da gestire e monitorare (se Goldman Sachs acquisisce o scala un altro azionista, chi si deve prendere la briga di obbligarla a cedere le sue quote in eccesso?), a cui potrebbero accedere soltanto gli istituti finanziari abilitati ed autorizzati (come avviene oggi con il consorzio degli “specialisti” in acquisto di titoli di stato). In nessun altro contesto internazionale, in cui la banca centrale è in tutto o in parte controllata dai privati, esiste un mercato regolamentato delle quote di partecipazione al capitale di una banca centrale, dato che queste ultime rappresentano ovunque una semplice certificazione azionaria fittizia che non può essere trasferita, venduta, prestata, acquistata. L’Italia sarebbe all’avanguardia in questo settore, visto che il progetto in questione prevede chiaramente che le quote siano “facilmente trasferibili e in grado di attrarre potenziali acquirenti”.
 
La smania di incentivare l’arrivo di capitali esteri ha contagiato pure uno dei settori in cui la presenza straniera non è affatto necessaria (gli stranieri sanno per caso “stampare” le banconote meglio di noi? O azionare i computers dei funzionari della banca centrale in maniera innovativa?) e creerebbe invece dei paradossi difficilmente risolvibili senza innescare infiniti intoppi diplomatici ed istituzionali: cosa succederebbe se un giorno Banca d’Italia diventasse interamente di proprietà straniera? Potrebbero istituti finanziari esteri pretendere tutto l’oro e il patrimonio accumulato da Banca d’Italia in passato, grazie soprattutto ai privilegi di gestione concessi dallo Stato italiano? Il patrimonio di Banca d’Italia è pubblico o privato? Non sono stati gli italiani e il loro ligio rispetto della lex monetae di Stato a garantire a Banca d’Italia di incrementare nel tempo le sue proprietà e ricchezze? Un ginepraio inestricabile, che giustifica il fatto che nei paesi più civili ed evoluti del mondo la proprietà della banca centrale è interamente pubblica e anche nei casi di proprietà privata, nessuno ha mai osato tanto quanto gli italiani oggi in termini di privatizzazione e apertura ai mercati esteri.
 
4. COME FUNZIONA?
 
Se la ridefinizione dell’assetto proprietario di Bankitalia venisse attuata in tempi brevi, consentirebbe al governo e ai banchieri di raggiungere tre importanti obiettivi in un colpo solo:
  1. il governo incasserebbe una tassa una tantum sulle plusvalenze della rivalutazione pari a circa €1,5 miliardi, utile a coprire il mancato gettito per il 2013 dell’IMU sulla seconda casa;
  2. migliorerebbe la situazione patrimoniale dei disastrati istituti bancari italiani in vista degli stress test che la BCE condurrà per tutto il 2014;
  3. i banchieri avrebbero annualmente maggiori dividendi complessivi, che finirebbero alle banche private azioniste (italiane e straniere).
Analizzando tuttavia un punto alla volta questo programma, ci si accorge ben presto che ogni passaggio equivale ad un guadagno certo per i banchieri e ad una perdita netta per noi cittadini.
 
a) la tassa una tantum
 
Lo Stato incasserà subito €1,5 miliardi, da utilizzare soltanto per un anno a copertura di un mancato gettito, privandosi però per tutti gli anni futuri di un sicuro introito derivante dalle tasse e dalla redistribuzione degli utili di Banca d’Italia. E’ lo stesso tipo di errore che si commette quando si vogliono utilizzare i proventi delle privatizzazioni (un asset strategico in conto capitale che produce rendimenti certi) per abbattere magari debiti di medio e breve periodo (che invece, in una logica di contabilità spicciola, dovrebbero essere ridotti utilizzando le entrate in conto corrente). In questo modo, una volta abbattuto tutto o parte di quel debito, lo Stato si ritroverebbe senza un asset, senza un rendimento certo, e senza essere neppure riuscito ad estirpare la vera causa da cui si originava quel buco di bilancio, che qualora dovesse riaprirsi avrebbe ora minori possibilità di essere rimarginato. Perché non solo lo Stato avrà unpatrimonio minore a garanzia di quel nuovo debito ma anche meno entrate nel suo conto economico per equilibrare le uscite e le eventuali perdite di esercizio. In un paese normale, la necessità di reperire €1,5 miliardi tramite Banca d’Italia si sarebbe risolta in un’altra maniera, molto più immediata e indolore per le tasche dei cittadini: la rinazionalizzazionea costo zero dell’istituto, la rivalutazione del capitale sociale a €7 miliardi e l’incasso delle tasse sulle plusvalenze direttamente da Banca d’Italia. Inoltre, ogni volta che si fanno questo tipo di operazioni avventate, bisognerebbe quantomeno fare un confronto fra i rendimenti attivi dell’asset che si vuole privatizzare (che possono essere anche figurativi, come i mancati costi di affitto di un edificio pubblico) e gli interessi passivi del debito che si vuole ridurre. Se i primi sono superiori ai secondi,la privatizzazione non ha alcun senso, perché conviene pagare gli interessi passivi e incassare annualmente la quota marginale di profitto. Cosa che sta puntualmente accadendo con il fallimentare e scandaloso piano di privatizzazioni del governo Letta chiamato beffardamente “Destinazione Italia”, che toglierà allo Stato asset strategici, rendimenti certi dell’ordine del 7%, per ripagare una parte minima del montante di debito (circa €12 miliardi), da cui scaturiscono mediamente interessi passivi del 4%. Ogni anno quindi lo Stato perderà il 3% di quei €12 miliardi, ovvero €360 milioni, che dovrà recuperare mettendo altre tasse o facendo altri tagli ingiustificati alla spesa pubblica sociale.
 
b) la patrimonializzazione delle banche
 
Andiamo al secondo punto, la questione controversa dellapatrimonializzazione delle banche, che è all’origine di tutti i problemi attuali dei paesi europei. Come già sappiamo, nell’eurozona si è già deciso da tempo che i costi della cattiva gestione dei banchieri devono essere pagati dai cittadini, con ingarbugliati accordi intergovernativi o fraudolenti schemi di salvataggio pubblico (Fiscal Compact, MES, bail in e bail out, prelievi forzosi etc). Anche nel caso della rivalutazione del capitale sociale di Banca d’Italia la musica non cambia, perché quei €7 miliardi di aumento di capitale, che i banchieri si ritroveranno spalmato come per magia sui loro bilanci, deriva da un fondo di riserve che in teoria (ma anche in pratica) è di proprietà dello Stato e dei cittadini italiani. Sono infatti lo Stato e i cittadini italiani (questi ultimi come sempre a loro insaputa) ad avere concesso negli anni alla Banca d’Italia il privilegio di emettere la moneta legale a corso forzoso, senza il quale l’istituto nazionale di Palazzo Koch non avrebbe mai potuto registrare utili o creare riserve statutarie. Siamo alle solite insomma, il Governo dei Banchiericerca di mascherare una chiara operazione di salvataggio pubblico delle banche, con nomi più o meno evocativi di altro: rivalutazione delle quote di Banca d’Italia non significa altro che spostamento fisico e contabile di un tesoretto degli italiani nelle casse delle banche private. Qualora un giorno lo Stato italiano volesse procedere alla sacrosanta e legittimanazionalizzazione della sua banca centrale, per mettersi al passo con i paesi europei più grandi ed evoluti (Germania, Francia ed Inghilterra) e allontanarsi dalla condizione di colonia del Terzo Mondo, dovrebbe conferire ai banchieri privati ben €7 miliardi di regali ed elargizioni per riacquistare tutte le quote azionarie circolanti. Insomma i banchieri stanno già cercando di pararsi il colpo, nell’improbabile caso in cui agli italiani dovesse un giorno venire un insperato (e alquanto provvidenziale) impeto di orgoglio e amore nazionale.
 
Inoltre quelle quote un tempo simboliche e fittizie, con la rivalutazione diventerebbero concreti e reali attestati di proprietà, che potrebbero porre diversi contenziosi o interrogativi in caso di liquidazione della Banca Centrale: chi sarebbero i proprietari dei €100 miliardi e oltre di riserve valutarie e auree, lo Stato o i banchieri? E i €23 miliardi di riserve statutarie invece? Visto che proprio da queste ultime sono stati ricavati i €7 miliardi di rivalutazione, sembrerebbe che le banche private vantino ad oggi maggiori diritti di proprietà rispetto allo Stato riguardo al patrimonio di Banca d’Italia e non è escluso che potrebbero sfacciatamente rivendicare questo diritto in qualsiasi momento futuro (magari richiedendo una nuova ricapitalizzazione dell’istituto per ripianare i loro buchi di bilancio). E non abbiamo ancora parlato dell’enorme conflitto di interessi che vede le banche controllate proprietarie dell’ente controllore di vigilanza. Ed è qui che entra in ballo il più sfrontato raggiro dell’opinione pubblica, perché questa intollerabile ambiguità di fondo viene fatta passare come la maggiore garanzia di imparzialità, autonomia ed equidistanza dell’istituto di sorveglianza, dato che, testuali parole, “non va alterato l’equilibrio che ha assicurato l’indipendenza dell’Istituto, preservandone la capacità di resistere alle pressioni politiche”, prendendo gli Stati Uniti e la Federal Reservecome esempio virtuoso e modello di massima efficienza dell’azionariato privato nel capitale sociale dell’ente di vigilanza bancaria (senza citare però minimamente i disastri della crisi finanziaria dei subprime del 2008, avvenuti anche grazie ad un controllo quasi inesistente della Federal Reserve sull’operato delle grandi banche private sue proprietarie). Ma che cos’è questa se non una truffa? Abbiamo detto prima che i trattati europei impediscono a monte qualsiasi influenza dei politici sull’operato della banca centrale, sia in termini finanziari (impossibilità di acquisto diretto di titoli di stato o di scoperti sul conto di tesoreria) sia in termini operativi (incapacità di fissare il tasso di interesse di riferimento o di regolamentare il sistema del credito). Quindi che bisogno c’è di blindare l’autonomia e l’indipendenza della banca centrale dal governo, ricorrendo all’azionariato privato? Prova ne è il fatto che la Bundesbank e la Banque de France sono interamente pubbliche, eppure né Hollande né la Merkel né l’ultimo dei politici tedeschi o francesi avrebbe oggi la capacità di influire anche lontanamente sulle scelte di politica monetaria dei rispettivi istituti centrali. Inoltre il modello degli Stati Uniti è completamente fuori luogo per fare un paragone con gli stati non più sovrani dell’eurozona, perché sappiamo che la Federal Reserve, benché di proprietà privata, è obbligata ad indirizzare le proprie decisioni di politica monetaria in base alle esigenze del Governo. Mentre gli stati dell’eurozona sono costrettiobbligatoriamente a coprire i propri deficit di bilancio chiedendo in prestito i capitali ai mercati finanziari privati, gli Stati Uniti possono invece decidere discrezionalmente di finanziarsi sui mercati con il collocamento dei propri titoli di stato oppure di ricorrere al supporto diretto della banca centrale. La loro scelta insomma è di carattere più tecnico, politico o ideologico (il terrorismo fatto sull’ampiezza estrema dei debiti pubblici, che invece in condizione di sovranità monetaria sono sempre contabilmente solvibili) che strettamente finanziario, perché gli americani, così come i giapponesi, i canadesi, gli australiani, non immaginano nemmeno che sia possibile interrompere drasticamente il collegamento e il coordinamento fra politica monetaria della banca centrale e politica fiscale del governo, così come è avvenuto qui in Europa con l’adesione ai trattati comunitari. Il confronto quindi fra l’azionariato privato della Federal Reserve e quello di Banca d’Italia è del tutto inappropriato, anche perché mentre negli Stati Uniti la scelta di fornire dei dividendi agli azionisti privati non esclude il governo dal pieno controllo della banca centrale e non limita la capacità di spesa dello Stato (il vero vincolo caso mai riguarda l’equilibrio dei conti con l’estero e la stabilità di cambio della moneta), qui in Italia il governo non solo non può ricevere nulla dalla banca centrale in termini di sostegno finanziario ma continua a perdere parte degli utilissimi introiti da signoraggio a favore dei banchieri, rendendo più pressante e oneroso il ricorso ai mercati finanziari privati. Con questa riforma l’Italia quindi si avvicinerebbe più che altro ai sistemi privatistici periferici dell’eurozona di Belgio e Grecia (non proprio due fari di innovazione, sviluppo e modernità nel panorama internazionale), allontanandosi invece pericolosamente dai modelli più equilibrati ed evoluti di Francia, Germania ed Inghilterra, dove quantomeno i profitti della banca centrale pubblica sono interamente girati allo Stato. Nel caso specifico gli utili della Bundesbank tedesca sono disciplinati per legge e ritornano alle casse statali fino alla somma di €2,5 miliardi, mentre la parte eccedente viene destinata ad un fondo speciale istituito per finanziare i costi della riunificazione tedesca e vari programmi di sviluppo. I profitti dellaBanque de France vanno invece per più della metà allo Stato, mentre il resto viene distribuito tra fondi pubblici e altre riserve della stessa banca. Ripetiamo che si tratta di briciole, rispetto alla possibilità di finanziare per intero il proprio fabbisogno pubblico o calmierare a piacimento gli interessi passivi, come avviene negli stati che hanno mantenuto intatta la propria sovranità monetaria. Tuttavia, strozzati come siamo nell’eurozona daivincoli di bilancio, questi soldi sono molto utili se non indispensabili per evitare di applicare ulteriori salassi tributari alla cittadinanza o ditagliare ancora servizi pubblici essenziali.
 
Ma è proprio questo il nodo più spinoso della questione. L’Italia ha già deciso di uscire dal novero dei paesi forti economicamente in Europa, autoriducendosi al grado di protettorato e colonia (sulla scia di Grecia e Belgio), oppure esiste ancora qualche possibilità di riscatto per il nostro paese? I nostri politici sono davvero così incapaci e incompetenti da svendere in pochi anni tutto il nostro notevole patrimonio economico e geopolitico agli stranieri, oppure esiste ancora un modo per liberarci da questi impostori collaborazionisti e mercenari? Stando alla cruda realtà dei fatti, pare che il destino dell’Italia sia già stato scritto e segnato da tempo, e nel nostro paese ormai la tecnocrazia bancaria abbia preso il sopravvento e incorporato l’intera classe politica e dirigente. Non si spiegherebbe altrimenti la tracotanza con cui viene ribadito nel documento di Banca d’Italia che bisogna “evitare che si dispieghino gli effetti negativi della legge n. 262 del 2005, mai attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà della Banca”. Per carità, non dobbiamo ambire a diventare come Francia, Germania, Inghilterra, ma rassegnarci a ridurci come Belgio e Grecia. Solo per la cronaca, la legge n. 262 del 2005 prevedeva che entro tre anni dalla sua entrata in vigore le quote di partecipazione a Banca d’Italia possedute da istituti privati venissero trasferite allo Stato o ad enti pubblici. Ma, oltre ad essere ignorata, ci pensarono ProdiNapolitanoPadoa SchioppaDraghi (il quartetto di Quisling più pericoloso del paese) già nel 2006 a modificare l’articolo 3 dello Statuto di Banca d’Italia per vanificare l’attuazione della legge, impedire di fatto la nazionalizzazione e rendere legittima la presenza di azionisti privati nel capitale sociale della banca centrale.
 
c) il rendimento garantito
 
Ma veniamo adesso all’ultimo punto cruciale della riforma, quello delrendimento garantito da corrispondere agli azionisti privati. Prendendo spunto dalle regole utilizzate negli Stati Uniti e in Giappone (due esempi come abbiamo detto del tutto inopportuni), il tasso di dividendo verrebbe fissato al 6% del nuovo capitale sociale rivalutato, ovvero ben €420 milioni annui nel caso in cui quest’ultimo fosse ampliato a €7 miliardi. Una bella differenza dai €70 milioni attuali, che verrebbe sottratta direttamente alle casse dello Stato per un ammontare di €350 milioni annui. I banchieri insomma con un investimento iniziale di €1,5 miliardi, ammortizzabile in soli quattro anni, si assicurerebbero una rendita perpetua di posizione di €420 milioni annui, con un valore di riscatto del capitale di €7 miliardi. Chi, sano di mente, non farebbe mai un investimento simile? E viceversa, quale politico veramente interessato al bene del proprio paese priverebbe i propri cittadini di una rendita che gli spetta di diritto per regalarla ai banchieri nazionali e internazionali? La risposta è presto trovata: Saccomanni e Letta stanno facendo questo all’Italia, perché il primo non nasconde neppure di fare gli interessi dei banchieri essendo un banchiere lui stesso, e il secondo ormai è troppo impelagato negli intrecci di palazzo e nella difesa dei suoi interessi personali per pensare seriamente al bene dei propri connazionali.
 
5. CONCLUSIONI
 
Per concludere, possiamo dire che il senso profondo di questa operazione di riforma di Banca d’Italia è che gli italiani, al contrario dei francesi o dei tedeschi, devono essere “cornuti” (perché non hanno più una banca centrale) e “mazziati” (perché devono pure rinunciare a buona parte degli utili e delle riserve che la banca centrale produce annualmente). L’Italia, così come Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna, deve essere sacrificata sull’altare dell’euro, mettendo a disposizione degli investitori nazionali ed esteri, non solo il suo patrimonio industriale, naturale, artistico, ma anche alcuni dei suoi tradizionali istituti giuridici, come l’attività di emissione della moneta. Ma la vera discriminante fra una nazione che può ancora pretendere di difendere la propria democrazia e uno stato ormai in balia degli organismi sovranazionali, senza più uno straccio disovranità politica ed economica, non sono tanto i profitti da signoraggio o la natura giuridica dell’ente emittente (pubblico o privato), ma il grado di indipendenza ed autonomia delle banche centrali dai governi democratici. E quello che sta accadendo oggi in Italia è solo una normale conseguenza dell’eccesso di autonomia e indipendenza conquistato dalle banche centrali nel corso degli anni. Più le banche centrali sono autonome, indipendenti, svincolate dai governi, più si restringe lo spazio di manovra dei decisori politici. E ormai lo spazio qui da noi è diventato talmente risicato da rendere indistinguibile la nostra forma ibrida e imbastardita di governo da una vera e propria dittatura finanziaria totalitaria. I banchieri sono talmente autonomi e indipendenti da avere assoggettato e sostituito i politici al governo delle nazioni, anteponendo i loro interessi corporativi al benessere del paese. Con buona pace dei cittadini, della democrazia e dei principi costituzionali.
 
Piero Valerio

Milano – 40 trattori davanti al Pirellone

Carosello di trattori dall’Idroscalo fino al centro di Milano per la protesta degli agricoltori della Confederazione produttori agricoli della Lombardia. Dopo l’adunata, nella periferia est della città, sono partiti in corteo, con 30-40 trattori e un centinaio di persone, fino alla Regione Lombardia, in piazza Duca d’Aosta, dove in serata il traffico è andato in tilt. La circolazione nella zona della stazione centrale è paralizzata. Nel mirino dei manifestanti ci sono soprattutto le politiche europee sulle quote latte. “Maroni – si legge su uno striscione esposto su un trattore – devi fare emergere la verità sulle quote latte in Lombardia”

FOTO :

http://milano.repubblica.it/cronaca/2013/12/10/foto/milano_40_trattori_in_marcia_verso_il_centro-73210106/1/#1

 

Cgil Cisl Uil contro i blocchi

volantino cgil contro blocchi

le manifestazioni devono essere innoque, sennò il potere si arrabbia…

POLLI, IMBECILLI E FARABUTTI ALLE PRIMARIE

Data: Domenica, 08 dicembre
DI EUGENIO ORSO
pauperclass.myblog.it

Domenica 8 dicembre, dalla mattina alle venti di sera, su tutto il territorio nazionale si ordirà l’ennesima truffa del potere sub-politico (il vero potere politico è rappresentato dai “mercati” e dall’eurozona) a danno degli italiani. La truffa si chiama primarie ed è parte del rito elettorale. Più precisamente, è una sorta di condicio sine qua non per andare al voto, in futuro, simulando democrazia, rispetto della volontà popolare, partecipazione. Fumo negli occhi da parte dei venditori di fumo. Con le primarie, si prepara adeguatamente il terreno per il rito elettorale liberaldemocratico, che equivale a una truffa elitista nei confronti del popolo, delle masse, delle classi subalterne (chiamatele come volete).

In questo, cioè nel truffare il popolo, i piddini hanno dimostrato di essere piuttosto bravi. E’ la loro principale abilità, che li fa apprezzare dai padroni sovranazionali, che li rende utili ai mercati e all’eurozona. Questa abilità l’hanno coltivata e affinata per anni, lungo la catena involutiva pci-pds-ds-pd. Al punto tale che hanno allevato una nuova generazione di imbroglioni sub-politici del calibro di Matteo Renzi, in potenza ancor più pericolosi dei D’Alema, dei Bassolino, dei Fassino e dei Bersani. Ciò che gli importa di più, adesso, sono i numeri di partecipazione alla simulazione elettorale, essendo il vincitore predeterminato, nella persona dell’emergente ultraliberista Renzi.

La prima preoccupazione dell’infame PD, infatti, è la partecipazione popolare alla kermesse di domenica. Per tutti, anche per quell’imbroglione di Civati in corsa alle primarie con Renzi e Cuperlo, che si finge un “alternativo” senza macchia e senza paura. Tuttavia, i numeri della partecipazione a questa specie di pre-voto si possono sempre manipolare. La volta precedente, infatti, avendo già predeterminato il vincitore – il clownesco Bersani – hanno millantato ben quattro milioni di voti, ridottisi a poco più di tre milioni appena ventiquattr’ore dopo lo spoglio delle schede, poi a tre milioni, poi a due milioni e ottocentomila, eccetera. Se per “incoronare” Veltroni – mediocre critico cinematografico, affondatore dell’Unità e del comune di Roma e fondatore del pd – hanno votato a suo tempo oltre tre milioni e mezzo di polli e imbecilli, nonché un certo numero di farabutti, mentre per Bersani due milioni e ottocentomila, domenica si dovrà tenere a tutti i costi la “linea del Piave” della partecipazione. Il bottino ideale sarebbe, per quel che riusciamo a comprendere, a occhio e croce almeno due milioni di schede, superficialmente identificate con il numero di votanti.

In passato, abbiamo scritto molto sulle primarie cercando di analizzare questo fenomeno, importato dall’America. Vedi, ad esempio, Effetto primarie di Eugenio Orso in occasione delle precedenti primarie, quelle bersaniane. Il riferimento è al celebre film di François Truffaut Effetto notte (in lingua originale La nuit américaine) del lontano 1973. Il titolo del film richiama una tecnica cinematografica, squisitamente hollywoodiana, che grazie ad un filtro davanti all’obiettivo consente di trasformare il giorno nella notte, ossia una scena ripresa in piena luce in una scena notturna. La metafora dovrebbe essere chiara a tutti. Trasformare il giorno nella notte, magari manipolando a dovere dati elettorali e partecipazione, con la complicità dei farabutti e il futuro scorno per polli e imbecilli (che erano e sono la maggioranza). Solo che domenica 8 dicembre nel “cast” non avremo il grande Truffaut, l’indimenticabile Jacqueline Bisset e altri attori francesi di razza, ma i guitti nostrani della politica minore Renzi, Cuperlo, Civati.

Fondamentale sarà la manipolazione dei voti e del numero dei partecipanti. Le primarie, è necessario precisare, non sono ufficialmente elezioni regolate dalla legge, previste dalla costituzione. Qui non c’è un Viminale che deve intervenire, che deve fare la conta dei voti. Le primarie sono assimilabili a una “festa privata”. Si può fare tutto ciò che si desidera, si può organizzare a talento, sempre che non si commettano reati e si violino le leggi, facendosi beccare con le mani nel sacco. Esemplificando per assurdo, gli organizzatori piddini non possono far sequestrare una corriera piena di passeggeri, tenendoli sotto sequestro per un paio d’ore e costringendoli a votare (non importa se per Renzi, Cuperlo o Civati), ma possono far votare i loro adepti più fidati cinque o sei volte, gonfiando il dato della partecipazione. Possono raccattare partecipazione al voto dalla criminalità organizzata, in certe aree del paese, dove il territorio è controllato dalla camorra, dalla mafia, dalla ‘ndrangheta. Possono far votare gli immigrati – anche quelli senza cittadinanza, com’è accaduto in passato – facendogli promesse che non manterranno mai. Tanto, come abbiamo detto è una specie di “festa privata” e, in quanto tale, le regole le dettano loro e il funzionamento lo controllano come gli pare. I regolamenti si lasciano scrivere. Si possono liberamente aggiungere beffe alle beffe, facendo pagare qualche euro (due o addirittura due e mezzo, se non ci sbagliamo) agli sprovveduti che vogliono votare e non hanno la tessera di partito. Almeno per ora, non si utilizza la drink card. Soltanto una sorta di biglietto d’ingresso per accedere alla “festa privata”, destinata a rivelarsi un bidone molto presto. Smaniosi come sono di privatizzare l’Italia, per conto dei loro potenti “datori di lavoro” europoidi e elitisti, si trovano perfettamente a loro agio nel “fai da te” delle primarie, festa privata per eccellenza. E’ evidente, però, che “biglietto d’ingresso” a parte, i costi della festa sono coperti con il finanziamento pubblico (rimborsi elettorali, chiamateli come cavolo volete), cioè con i miseri averi del popolo italiano gabbato.

Il nostro appello, rivolto alle teste ancora pensanti, a tutti coloro che non intendono darsi la classica e infausta martellata sui coglioni, è di tenersi lontano dai seggi piddini, domenica 8 dicembre 2013. Non solo per non mettere qualche euro in più nelle tasche di chi, saldamente al governo, vi riduce i redditi e le opportunità di lavoro, ma per la consapevolezza che le primarie sono una truffa, un espediente per legittimare, prima delle elezioni effettive, i servi sub-politici delle eurocrazie globaliste e ultraliberiste.

Lontano dalle urne, domenica prossima, e … stateci bene.

Orso, Anatoli e pollpot
Fonte: http://pauperclass.myblog.it
Link: http://pauperclass.myblog.it/2013/12/03/polli-imbecilli-farabutti-alle-primarie-eugenio-orso-anatolio-anatoli-il-compagno-pollpot/
3.12.2013

CULTURE EUROPEENNE / ROUMANIE

TRANS-EUROPA MEDIAS / CULTURE EUROPEENNE / ‘L’OR DE LA ROUMANIE ? SES JEUNES MUSICIENS’

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TEM posts - CULTURE Roumanie (2013 12 09) (1)

Il y a une version sombre de la Roumanie.

Celle de ses politiciens qui ne sont pourtant ni pires ni meilleurs que les autres.

Celle aussi précisément que les politiciens et les administrations des ‘vieux pays’ de l’UE – et singulièrement la France et la Belgique – entretiennent. Celle d’une « criminalité roumaine », d’une « émigration de bas niveau » (alors que les Roumains sont des citoyens de l’UE), la question des Roms … Celle des préjugés, de la xénophobie franchouillarde ou belgicaine.

Par exemple une Ville comme Charleroi (la première ville de Wallonie à la sinistre réputation) – et en particulier ses politiciens au pouvoir, au niveau de son administration ou de sa police – traite fort mal les Roumains ou les Bulgares, cultive discrimination rampante et vexations multiples. C’est une honte et la négation même des valeurs que l’UE prétend défendre.

Et il y a pourtant une autre version lumineuse de la Roumanie.

Ainsi celle de la contribution de la culture roumaine à la Culture européenne.

TEM posts - CULTURE Roumanie (2013 12 09) (2)

La musique par exemple. Et une jeunesse hautement éduquée. “Ces musiciens sont l’or de ce pays!”, s’émerveille le maestro américain Lawrence Foster en dirigeant l’Orchestre des jeunes de Roumanie, mais dans un des « Etats les plus pauvres d’Europe », dixit l’AFP, « les jeunes talents luttent pour vivre leur passion ».

La Roumanie a donné à la scène internationale des musiciens brillants, du violoniste et compositeur Georges Enesco aux pianistes Dinu Lipatti, Clara Haskil que Charlie Chaplin qualifiait de “génie” ou Radu Lupu. Nombre de Roumains jouent dans les grands orchestres d’Europe comme Liviu Prunaru, premier violon solo au Concertgebouw d’Amsterdam.

Mais une ombre plane aujourd’hui sur la relève en raison de la faiblesse des financements pour la culture et du manque d’intérêt des gouvernements successifs pour un secteur qui collectionne pourtant les succès à l’étranger dans le cinéma, la peinture et la musique. En 2014, le budget du ministère de la culture baissera à moins de 130 millions d’euros dans un pays de 20 millions d’habitants. C’est cinq fois moins qu’en Pologne, une goutte d’eau par rapport aux milliards dédiés à ce secteur en France.

Depuis 2008, en raison de la crise économique, le recrutement de musiciens dans les orchestres d’Etat a été gelé, privant de perspectives une partie des jeunes. Si des postes devraient se débloquer, le niveau dérisoire des salaires pose problème.

Un jeune musicien qui entre dans un orchestre gagne de 200 euros à 350 euros par mois. “C’est très dur d’être un jeune musicien professionnel en Roumanie. Chacun d’entre nous fait face à un dilemme: continuer ou pas, rester ici ou partir à l’étranger”, confie à l’AFP Roxana Oprea violoniste de 28 ans à l’Orchestre de Targu Mures (nord-ouest). Roxana est malgré tout restée car elle croit “que sans la culture les gens ne sont pas complets”.

Mais surtout deux grands noms roumains de la musique, le violoncelliste Marin Cazacu et le chef d’orchestre Cristian Mandeal ont su redonner espoir à sa génération en créant “l’Orchestre national des jeunes” en 2008.

Financé majoritairement par des fonds privés –l’Etat ne contribue qu’à hauteur d’environ 5%– l’orchestre sélectionne les jeunes les plus talentueux dans tout le pays mais pas uniquement sur leur virtuosité. “Nous regardons aussi leur capacité à jouer avec d’autres”, explique à l’AFP M. Cazacu. Longtemps, l’école roumaine “a éduqué les jeunes comme des individualistes pour devenir le plus grand soliste du monde sans donner la culture du jouer ensemble”, raconte cet homme, mécène pour des jeunes de tous âges.

Mais grâce aux prestigieux musiciens invités, les jeunes ont redécouvert la noblesse de la musique symphonique et du collectif. “Aujourd’hui, ils sont au niveau des plus grands orchestres de jeunesse en Europe”, juge le chef d’orchestre Lawrence Foster qui les a dirigés durant le festival Enesco.

“Certains professionnels ne peuvent que rêver d’une telle présence”, a estimé le quotidien allemand Tagespiegel après le festival Young Euro Classic.

“Tout ce qu’a réalisé cet orchestre était vu comme une mission impossible mais l’altruisme de notre équipe, le dévouement des musiciens et de ceux qui nous soutiennent l’ont rendu possible”, souligne M. Cazacu. Il raconte avec humour que pour pallier les faibles budgets, il est “à la fois le directeur musical, la secrétaire, l’homme à tout faire” de l’Orchestre.

Les musiciens donnent aussi un coup de main pour la logistique lorsque l’Orchestre doit voyager à l’étranger tandis que nombre d’intervenants de prestige viennent volontairement. “J’ai peur parfois que les meilleurs de ceux que nous avons formés partent à l’étranger car là-bas ils peuvent jouer dans n’importe quel orchestre professionnel, c’est compréhensible mais dommage pour le public roumain. J’ai aussi peur parfois que beaucoup de jeunes qui voient qu’ils n’ont aucun soutien (en Roumanie) depuis des années perdent l’espérance”, confie-t-il.

Etoile montante, Alexandra Dariescu, 28 ans, a quitté la Roumanie pour la Grande-Bretagne il y a neuf ans. Elle qui a été la première pianiste roumaine à jouer au Royal Albert Hall de Londres aux côtés du Royal Philharmonic Orchestra rappelle qu’au Royaume-Uni, de nombreux particuliers et fondations soutiennent les jeunes musiciens. “En Roumanie, on devrait davantage se serrer les coudes”, dit-elle.

Marin Cazacu garde l’espoir: “L’avenir… je ne le vois qu’avec un soutien minimum de l’Etat et des compagnies privées. Je vieillis, un jour, la santé, le temps ne me permettront plus de poursuivre mais cet orchestre doit vivre car il est essentiel pour l’avenir du pays”…

TEM / avec AFP – EODE / 9 déc. 2013 /

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Draghi: «Il mandato delle banche centrali va visto in modo ampio»

Draghi: «Il mandato delle banche centrali va visto in modo ampio»
«Non c’è spazio per un ritorno al nazionalismo e al protezionismo»

«È fondamentale completare l’agenda delle riforme a livello europeo e nazionale. In questa agenda non c’è spazio per un ritorno al nazionalismo e al protezionismo». E ancora: « I maxi finanziamenti alle banche (Ltro) e i programmi di acquisto dei titoli di stato (Smp e Omt non attivato) messi in campo dalla Bce non rappresentano «un’uscita dal suo mandato (della stabilita di prezzi ndr) ma piuttosto l’opposto». Oppure: «Dobbiamo rimanere concentrati sulle priorità delle riforme fondamentali: completare l’unione bancaria, affiancare il risanamento di bilancio alla crescita e fare riforme strutturali nei mercati del lavoro e dei prodotti. Ho pochi dubbi sul fatto che tutte queste riforme sono utili». Parole e pensieri del presidente della Bce, Mario Draghi, in un convegno in Banca d’Italia sulla memoria dell’economista Curzio Giannini.

LA DEFLAZIONE – Il numero uno dell’Eurotower ha tranquillizzato sul rischio deflazione:«Ci sono molti motivi per cui l’Eurozona è in una situazione radicalmente diversa dal Giappone» e dal suo doppio decennio perduto. E ha sottolineato come «un elevato grado di fiducia da parte dei cittadini è in definitiva la più importante garanzia di indipendenza della banca centrale nel lungo termine. E ha aggiunto come la creazione di un’unione bancaria sia uno dei «passi essenziali per migliorare la governance del settore finanziario dell’area dell’euro e aumentarne la sua capacità di recupero».

10 dicembre 2013
http://www.corriere.it/economia/13_dicembre_10/draghi-il-mandato-banche-centrali-va-visto-modo-ampio-0c4be2d4-618c-11e3-9835-2b4fbcb116d9.shtml