Archivi giornalieri: 3 dicembre 2013
Spray al peperoncino in dotazione a poliziotti e carabinieri.
Spray al peperoncino per poliziotti e carabinieri
La sperimentazione partirà a gennaio a Roma, Milano e Napoli.
Via libera, dunque, dopo una serie di verifiche, allo spray che nebulizza un principio attivo a base di Oleoresin Capsicum, sostanza irritante, a non più di 3 metri di distanza.
Lo spray sarà inizialmente assegnato in via sperimentale ai poliziotti della Polfer Stazione e Volanti di Milano, nonché ai carabinieri dei reparti operativi di Roma e Napoli. Sono esclusi, per ora, i reparti mobili. Nel caso di positivo riscontro della sperimentazione, l’uso della dotazione potrà essere allargato.
Da anni i vertici della sicurezza hanno preso in considerazione la possibilità di dotare le forze dell’ordine di questa `arma´, ma dubbi sulla pericolosità della sostanza ne avevano sempre frenato l’introduzione. Lo stesso capo della polizia, Antonio Manganelli, in audizione alla commissione Affari Costituzionale della Camera nel febbraio del 2012, aveva rilevato l’utilità dello spray. «Ad una carica di aggressività che si aggiunge al gas – aveva detto – abbiamo sempre pensato», ma ci sono «difficoltà, perché commissioni come quelle del ministero della Salute frequentemente concludono che il capsicum fa male». Ora i dubbi sono stati sciolti e c’è stato il via libera.
Lo spray che verrà usato nella sperimentazione, al pari dei tre tipi per i quali è stato autorizzata la libera vendita, contiene un modesto contenuto di principio attivo (capsicum disciolto non superiore al 10%) e non ha impatti duraturi sulla salute della persona colpita.
Disoccupati vs PD
nessuno tocchi il Pd. Chi si mette in mezzo nei suoi affari viene travolto.
I disoccupati sono tutelati dal Pd, è il partito che si occupa dei poveri, dei disoccupati, dei lavoratori e delle categorie deboli. Narra la leggenda….
(ANSA) – ROMA, 3 DIC – Un centinaio di disoccupati napoletani, appartenenti a gruppi organizzati come Edn (Euro Disoccupati Napoletani) e Gruppo Bros, stanno manifestando in piazza Fontana di Trevi, altri 40 hanno invece fatto irruzione nella sede nazionale del Pd a Roma. Quest’ultimi sono stati portati in commissariato, a bordo di alcuni blindati, per l’ identificazione poiché protagonisti di un vero blitz con momenti di tensione sia con le forze dell’ordine, sia con i militanti del partito democratico.
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Le banche bloccano i libretti di risparmio al portatore di pensionati ed eredi
Ucraina: leader e gregario
soprassediamo ai toni dell’articolo, perché si perderebbero importanti notizie come al solito occultate dai media:
– questi eurofanatici sembrano essere di destra, in controtendenza rispetto ai movimenti cosiddetti estremisti europei per i quali il ripudio dell’euro e della Ue è un fondamentale.Paradossalmente, sono molto vicini alle sinistre europee, che al massimo contestano “questa europa” ma certo venerano la Ue e l’euro.Tanto per capire che destra e sinistra non significano niente.
– questi tizi sarebbero stati ADDESTRATI presso l’Ambasciata Usa (già, e poi il tirapiedi europeo accusa la Cina di fare il divide et impera, ridicolo)
– c’è un oleodotto ed investimenti cinesi che danno in testa agli americani, che con il TTIP presto invaderanno l’europa di chincaglieria americana
Il desiderio della Cina di discutere degli investimenti con gli Stati dell’Europa centrale e orientale evitando Bruxelles, ha gettato l’Unione europea in preda alla rabbia. Il commissario europeo Karel de Gucht ha dichiarato che la Cina pratica la tattica del “divide et impera”. Bruxelles ha emesso due direttive che avvisano categoricamente i 15 Paesi della regione dall’attraversare le linee rosse della regolamentazione nel concludere accordi economici separati con la Cina. L’azione non ha dato alcun risultato. Gli Stati dell’Europa centrale e orientale hanno firmato un numero record di accordi, e molti politici hanno colto l’occasione per dimostrare a Bruxelles che le parole sui “valori europei” non sono mai sostenute da denaro reale.
ANCORA VIOLENZA DI MANDANTI OSCURI CONTRO GIANNI LANNES. SU LA TESTA SI FERMA.
La Cina dice NO agli OGM Americani!
Thailandia e Cina, l’Oriente ribolle
MARTEDÌ 03 DICEMBRE 2013 di Michele Paris
Con il paese sull’orlo di una nuova grave crisi, il primo ministro thailandese, Yingluck Shinawatra, ha parlato in diretta televisiva per ribadire la disponibilità del suo governo ad una soluzione negoziata che metta fine alle proteste di piazza che da alcuni giorni stanno paralizzando il centro di Bangkok. La sorella dell’ex premier in esilio, Thaksin Shinawatra, ha però respinto decisamente una richiesta chiave dell’opposizione – le sue dimissioni e l’assegnazione del potere di scegliere il prossimo capo dell’esecutivo ad un “Consiglio Popolare” non elettivo – bollandola come incostituzionale.
Il leader dei manifestanti, l’ex parlamentare del Partito Democratico all’opposizione e già vice primo ministro, Suthep Thaugsuban, aveva incontrato Yingluck nella notte di domenica senza trovare un accordo per fare rientrare le proteste. Suthep si era dimesso da deputato lo scorso 11 novembre per guidare le manifestazioni contro il governo, esplose dopo il fallito tentativo da parte di quest’ultimo di modificare la Costituzione thailandese e, in precedenza, di fare approvare un’amnistia che avrebbe consentito il ritorno in patria di Thaksin nonostante la condanna a suo carico per corruzione.
Queste iniziative del governo sono state sfruttate dall’opposizione per portare in piazza alcune decine di migliaia di propri sostenitori – in gran parte facenti parte della borghesia di Bangkok e provenienti dal sud della Thailandia – così da far cadere il governo, considerato da molti una sorta di fantoccio manovrato dall’estero dall’ex premier Thaksin.
In ogni caso, dopo il faccia a faccia con la premier alla presenza dei vertici delle Forze Armate, Suthep, sul quale grava un mandato di arresto, ha dichiarato che non ci saranno altri negoziati né compromessi. L’opposizione, secondo Suthep, non si accontenterà delle dimissioni di Yingluck e del suo governo entro martedì ma pretende la creazione di uno speciale “Consiglio” che decida l’immediato futuro politico del paese del sud-est asiatico.
Questa richiesta da parte dell’opposizione nasconde il tentativo di dare alle proteste in corso una facciata di legittimità popolare, mentre la sua attuazione non sarebbe altro che un nuovo colpo di stato contro il partito vicino all’ex premier Thaksin, preparato negli ambienti reali, militari e della potente burocrazia statale, i cui esponenti dovrebbero con ogni probabilità entrare a far parte del “Consiglio Popolare” deputato alla scelta del prossimo governo.
Lo stesso Thaksin era stato deposto da un golpe militare nel 2006, mentre due anni più tardi un altro colpo di mano dell’establishment tradizionale thailandese – questa volta con una sentenza giudiziaria – avrebbe messo fuori legge il nuovo partito formato dai sostenitori dell’ex premier e protagonista di una netta affermazione elettorale, installando di lì a poco a capo di un nuovo governo il leader del Partito Democratico, Abhisit Vejjajiva.
Come già anticipato, lunedì la premier Yingluck ha tenuto un discorso di 12 minuti alla nazione per dire che la richiesta di Suthep creerebbe uno scenario non contemplato dalla Costituzione. Cionondimeno, il capo del governo si è detto disponibile ad “aprire ogni porta” per risolvere col negoziato la crisi in corso.
Nei giorni scorsi, la stessa premier aveva escluso un possibile intervento delle forze di polizia per mettere fine alle proteste che avevano portato anche all’occupazione di alcuni ministeri. L’intensificarsi dello scontro politico si è però tradotto nel fine settimana in un confronto più duro tra polizia e manifestanti, i quali lunedì hanno denunciato l’uso eccessivo di proiettili di gomma e gas lacrimogeni. Gli scontri hanno anche fatto registrare le prime vittime di questo nuovo round di proteste in Thailandia, con almeno tre morti e oltre cento feriti.
Ad aggravare la situazione è stato poi l’intervento dei sostenitori del governo – le cosiddette “Camicie Rosse” – organizzati nel “Fronte Unito per la Democrazia contro la Dittatura” (UDD). Questi ultimi sono anch’essi accampati da qualche giorno a Bangkok e avevano finora evitato qualsiasi scontro con i contestatori dell’opposizione, ma nel fine settimana, al termine di una manifestazione pro-Yingluck tenuta in uno stadio della capitale, le due fazioni sono venute in contatto.
Con l’aumentare delle tensioni, secondo alcuni giornali, altre migliaia di affiliati alle “Camice Rosse” starebbero per giungere a Bangkok dalle aree rurali nel nord del paese, dove il partito attualmente al potere trova la propria base elettorale, così che la crisi potrebbe precipitare ulteriormente con esiti tutt’altro che graditi per gli stessi vertici dell’UDD e del governo.
Nelle strade, d’altra parte, per la prima volta dalla durissima repressione delle proteste pro-Thaksin nel 2010 che fece più di 90 morti, sono apparsi alcuni contingenti di militari, ufficialmente per proteggere gli uffici governativi presi di mira dai manifestanti. La mobilitazione delle Forze Armate, come accadde nel 2006, potrebbe facilmente portare ad un nuovo intervento nell’ambito politico per rimuovere il governo di Yingluck sull’onda delle proteste di piazza. Per il momento, tuttavia, i comandanti militari hanno assicurato di non avere intenzione di schierarsi a fianco di nessuna delle due parti in lotta. All’origine degli eventi a cui si sta assistendo in Thailandia ci sono in definitiva le divisioni non risolte all’interno dell’élite politica ed economica di questo paese, esplose dopo i tentativi di Thaksin Shinawatra di mettere in discussione i tradizionali centri di potere e di coltivare una propria base elettorale tra i ceti più disagiati con un programma di limitate riforme sociali.
Di fronte all’inaspettata intraprendenza delle classi solitamente escluse dalle decisioni politiche prese a Bangkok, alla vigilia del voto del 2011 il partito di Yingluck e Thaksin Shinawatra – Pheu Thai – aveva siglato un tacito accordo con i vertici militari e la monarchia thailandese per consentire la nascita del governo Yingluck e mantenere le aspettative di cambiamento all’interno del sistema.
In cambio, il nuovo esecutivo si era impegnato a non interferire nelle questioni militari e reali, ma i tentativi di riportare in patria Thaksin e cambiare la Costituzione approvata dai militari stessi nel 2007, assieme ad un rapido deteriorarsi delle condizioni economiche e ad alcune misure del governo poco gradite all’opposizione, hanno fatto riesplodere in tutta la sua gravità il conflitto che attraversa da anni questo paese.
Ma è l’intera Asia orientale – oltre alla Thailandia – che continua ad occupare le cronache internazionali di questi giorni, anche per le crescenti tensioni tra Cina da una parte e Giappone e Stati Uniti dall’altra dopo che Pechino ha annunciato la creazione di una “zona di identificazione per la difesa aerea” (ADIZ) nel Mar Cinese Orientale.
In risposta a questa iniziativa, Washington la settimana scorsa aveva provocatoriamente fatto sorvolare l’area in questione a due bombardieri nucleari B-52, mentre sia il Giappone che la Corea del Sud avevano espresso il proprio malcontento continuando a pattugliare con aerei militari l’ADIZ cinese senza inviare alcuna notifica alle autorità di Pechino.
Sebbene la Cina abbia finora evitato di prendere le misure teoricamente previste dall’implementazione della “zona di identificazione” – un’area immediatamente al di fuori dello spazio aereo di un determinato paese e all’interno della quale gli aerei che volano sono tenuti a comunicare ad esso informazioni in merito a rotta, destinazione o qualsiasi altro dettaglio richiesto – l’escalation di provocazioni ha fatto aumentare sensibilmente il rischio di scontri non voluti. Anche per cercare di allentare le tensioni, perciò, il vice-presidente americano Joe Biden ha iniziato lunedì una trasferta in Estremo Oriente che lo porterà dapprima a Tokyo, poi a Pechino e a Seoul.
Soprattutto, il vice di Obama dovrebbe riaffermare l’impegno di Washington in quest’area del globo per isolare la Cina dopo i danni provocati alla credibilità statunitense dalla mancata apparizione dello stesso presidente nel mese di ottobre, quando decise di cancellare una trasferta asiatica programmata da tempo per risolvere la questione dello “shutdown” del governo federale.
Come già fatto da vari membri del suo gabinetto nei giorni scorsi, Biden ribadirà il sostegno degli USA al Giappone nell’ambito della disputa territoriale attorno alle isole Senkaku (Diaoyu in cinese) nel Mar Cinese Orientale, amministrate da Tokyo e rivendicate da Pechino.
Il vice-presidente americano dovrebbe poi avere parole di condanna nei confronti dell’ADIZ cinese, in una prova di forza a favore dell’alleato nipponico che, secondo alcuni osservatori, dovrebbe inserirsi nei negoziati sul trattato di libero scambio trans-pacifico (TPP), fortemente voluto da Washington ma visto con sospetto da svariate sezioni del business giapponese.
L’alta tensione nel Mar Cinese Orientale è comunque il frutto di quanto gli stessi Stati Uniti hanno seminato in seguito all’annunciata “svolta” asiatica dell’amministrazione Obama, ideata per contenere la crescita dell’influenza cinese nell’area Asia-Pacifico e destinata fin dall’inizio ad alimentare pericolosi sentimenti militaristi e nazionalisti tra i propri alleati, a cominciare dal Giappone.
Tokyo, infatti, ha risposto finora più duramente di Washington e Seoul alla decisione cinese di istituire una “zona di identificazione”, che il Giappone ha peraltro fissato da decenni. Il governo del premier di estrema destra, Shinzo Abe, si sarebbe addirittura lamentato privatamente per la reazione troppo tenera degli Stati Uniti, i quali, pur ignorando l’ADIZ di Pechino in relazione alle proprie operazioni militari, hanno però dato indicazioni alle compagnie aeree commerciali americane di adeguarsi alle richieste di Pechino.
Il tentativo degli USA di mantenere la supremazia in Asia Orientale a fronte dell’avanzata cinese, dunque, ha riaperto vecchie rivalità, scatenando forze centrifughe che rischiano di sfuggire di mano e a cui il vice-presidente Biden proverà a rimediare nel corso della delicatissima trasferta in corso.
http://www.altrenotizie.org/esteri/5778-thailandia-e-cina-loriente-ribolle.html
FEMEN, LA VERSION ‘FEMINISTE’ TRASH DE OTPOR
Luc MICHEL/ En Bref /
avec PCN-SPO – Vanity Fair / 2013 12 03/
“Ces filles sont faibles, elles n’ont pas de force de caractère. La preuve: elles montrent de la soumission, un manque de courage et de ponctualité et d’autres défauts qui les empêchent d’être des vraies activistes politiques. Ce sont des qualités qu’il faut vraiment leur enseigner”
– Victor Svyatski, fondateur du groupe Femen
Un groupe de femmes seins nus, culottes baissées, qui urinent en pleine rue devant les caméras complices et complaisantes des médias de l’OTAN. Sur des photos du président ukrainien Ianoukovitch, en plein Paris, devant l’ambassade d’Ukraine (les flics de Valls ont disparu). Parmi elle, Inna Shevchenko, l’égérie ‘officielle’ du groupe – le vrai boss de ces pseudo ‘féministes’ est un homme, Victor Svyatski – et le visage de Marianne choisi par le président Hollande.
http://fr.news.yahoo.com/video/paris-les-femen-urinent-sur-125300180.html?+vp=1
C’est le nouveau coup médiatique des Femen, de plus en plus ‘classe’. En appui d’un autre coup, d’état celui-là, en cours à Kiev.
Un geste d’une rare vulgarité qui choque. En France, en Europe à l’Est comme à l’Ouest. Et qui laisse sans voix les Africains. Jusqu’où ira l’info spectacle – car on n’est pas à ce stade dans le camps politique – relayée par les TV poubelles et les médias de l’OTAN ?
LES FEMEN, LEURS PROTECTEURS ET LEURS MAITRES
Les Femen, “féministes” trash auto-proclamées. Encensées par la gauche américaine française, celles des Hollande-Valls. Adulées par le gauchisme petit-bourgeois parisien, les ‘bobos’ de la gauche-caviar. Discours trash, gestes publicitaires et hystérie médiatisée. Une imposture publicitaire, à commencer par leur nom qui en Latin veut dire « cuisse » et non « femme » comme le prétend un documentaire « Nos seins, nos armes » à leur gloire financé par ARTE (et donc le contribuable franco-allemand).
Derrière une organisation rodée, liée aux réseaux de la CIA OTPOR/CANVAS, et aussi aux ‘Pussy Riot’ russes. Un financement dit occulte – « la question du financement trouble du mouvement » dit l’AFP -, en fait occulté par les meéias, celui d’OTPOR et cie, l’Open Society Fundation du milliardaire américain George Soros, la CIA, le budget US. Des relations haut placées, en France notamment, Hollande, Valls, des ministres. Et comme avocats des figures de proue du lobby sioniste français. Et des techniques dites « pacifiques », revisitée trash, celles de Gene Sharp, l’inspirateur d’OTPOR. A nouveau.
Pour les sceptiques il existe même un Website ‘de formation’ et une coordination, où l’on retrouve Femen, Otpor, Pussy Riot. C’est « Every day rebellion ». Sur le site des viedeos de formation à l’activisme. Où une vieille connaissance, Srdja Popovic, le leader d’OTPOR, donne conseils et formations …
Leurs véritables cibles ? Les ennemis des USA et de l’OTAN. Notamment les bêtes noires orientales : Poutine, Lukashenko, le président ukrainien … Et des campagnes islamophobes – selon les termes mêmes d’Amina, ex égérie tunisienne des Femen qui est partie pour ces motifs – qui épousent étroitement celles de leurs protecteurs du Lobby sioniste français. What else ???
LA FACE CACHEE DES FEMEN …
Un documentaire de la réalisatrice australienne Kitty Green présenté à la Mostra de Venise 2013 révèle qu’un homme, décrit comme « autoritaire », a longtemps tenu les rênes du groupement féministe ukrainien. Dans “l’Ukraine n’est pas un bordel”, la réalisatrice australienne Kitty Green, 28 ans, révèle les coulisses du mouvement Femen et le rôle méconnu joué par cet homme derrière les féministes aux seins nus. Paradoxe de ce mouvement, en guerre “contre le patriarcat et la mainmise des hommes sur les femmes”, c’est donc ce quadragénaire, Victor Svyatski, qui a fondé le groupe en 2008 à Kiev.
Victor apparaît dans le documentaire comme un homme très égocentrique, à la recherche du pouvoir. La réalisatrice, qui a partagé le quotidien des Femen, affirme au quotidien The Independent “qu’il pouvait se montrer horrible avec les filles, leur crier dessus et les traiter de sales p… ” et qu’il avait engagé de jolies filles “parce qu’elles vendent plus de journaux, qu’elles font les premières pages”.
LES FEMEN FEMINISTES ?
‘Non’ répond une vraie militante du droit des femmes, Chloé Delaume, qui dénonce dans ‘Vanity Fair’ « Les Femen : bonnets pleins, idées creuses ». Ecoutons la flinguer les Femen : « Une bien jolie histoire, un conte contemporain. Des femmes partout se lèvent, furieuses et fières, elles dressent les tétons et le poing. Elles sont tellement nombreuses, des centaines, des milliers, « Liberté, nudité ! » peint sur leur épiderme. Elles s’appellent les Femen, ce sont les femmes nouvelles, celles qui hurlent leur révolte, le front haut, ceint de fleurs. 2012, 2013, déjà elles étaient là, prônant le « sextrémisme » et l’action de terrain, formant leurs combattantes, prêtes à prendre d’assaut la phallocentrisme, ses symboles et ses maîtres. La légende rapporte que sous leurs invectives l’oppression masculine soudain terrorisée rend les armes et s’incline. Ainsi il y eut un soir, et il y eut un matin. Jean Baudrillard disait : « Nous ne voulons plus d’un destin, nous voulons une histoire ». Une histoire de bonnes femmes, c’est donc ce qu’on nous servait. 2012, 2013, j’ai du mal à comprendre comment il est possible, en France, que ça fonctionne. Ce qui pousse tant de personnes à faire semblant d’y croire. Comme si le féminisme ne pouvait avoir de destin, comme si l’avenir des femmes se résumait à un conte. Il était une fois les Femen, un épiphénomène aussi spectaculaire que contre-productif, énième construction marketing, une fable publicitaire où le réel, encore, se retrouve réécrit (…) les Femen partagent en tous points les positions du féminisme français dominant, pétri de valeurs petites bourgeoises et de morale bien-pensante, des associations comme Osez le féminisme, jusqu’au sein du gouvernement. »
Reste un groupe égotique, hystérique et vulgaire, qui donne comme image de la Femme précisément celle des visions machises. Après les scènes de miction publique devant l’ambassade d’Ukraine, cette image s’est encore dégradée…
Luc MICHEL
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Luc MICHEL /
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Missioni: governo pone questione fiducia alla Camera su decreto
02 Dicembre 2013 – 16:34
(ASCA) – Roma, 2 dic –
Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, ha posto nell’Aula della Camera, a nome del governo, la questione di fiducia, sulla ”conversione in legge del decreto-legge 10 ottobre 2013, n.114,
recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia”, sul testo licenziato dalle Commissioni senza modifiche. Il provvedimento, ha precisato Franceschini, ”scade il 9 dicembre e deve essere ancora approvato dal Senato”.
Il decreto missioni, riferisce il ministro per spiegare le ragioni dell’esecutivo, e’ senza fortuna ”da diverse settimane all’attenzione delle Commissioni e dell’Aula, oggetto di diversi incontri per apportare eventuali correzioni condivisibili nel merito”.
Ma ”dal momento che si tratta di una materia delicata, con ristretti margini di trattativa”, senza dimenticare la scadenza fissata tra sette giorni, il governo, anche per ”far cessare l’atteggiamento negativo delle opposizioni”, ha deciso di porre la fiducia.
In precedenza, ricorda Franceschini, solo un’altra volta, sui 16 decreti esaminati finora dal Parlamento, Palazzo Chigi aveva ritenuto necessario ricorrere a questo strumento.
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