Grecia: i lavoratori di Ert non cedono ai ricatti del governo

Resistono da giorni, gli impiegati della radiotelevisione pubblica occupando la sede dell’emittente chiusa dalla polizia per volere del premier Samaras

 di: Andrea Perrone

a.perrone@rinascita.eu

 Da giorni centinaia di impiegati della radiotelevisione pubblica Ert continuano ad occupare la sede dell’emittente chiusa dal governo di coalizione del premier Antonis Samaras senza l’accordo degli altri partner: socialisti e sinistra moderata. Un delegato ha spiegato che l’occupazione continuerà “sino alla riapertura della Ert e al ritiro dell’atto legislativo che ne ha decretato la chiusura”. Una chiusura avvenuta qualche giorno fa che si è rivelata come un fulmine a ciel sereno, inaspettata, come altrettanto inaspettato è stato il licenziamento di circa 2.700 dipendenti della stessa azienda.

I giornalisti della Ert hanno continuato a lavorare producendo e mandando in onda i loro programmi che vengono ritrasmessi in streaming su alcuni siti internet e sulla radiotelevisione dell’Unione europea (Uer).

Dalla mezzanotte dell’11 giugno la televisione pubblica greca non ha trasmesso più, la polizia ha praticamente neutralizzato il principale trasmettitore situato sul monte Hymette, ad est di Atene, mettendo fine alle trasmissioni. Da parte sua il governo di Atene ha dato l’annuncio a sorpresa e ha immediatamente applicato la decisione di oscurare i tre canali della televisione pubblica Ert.

La decisione della chiusura ha creato una grave frizione all’interno della coalizione di governo diretta da Samaras: due dei tre partiti dell’attuale esecutivo si sono opposti alla chiusura e hanno annunciato che voteranno contro quando il decreto verrà presentato in Parlamento per l’approvazione. Tutti gli attuali 2.656 dipendenti dell’Ert riceveranno una buonuscita e saranno autorizzati a presentare la loro candidatura alla nuova struttura privata che prenderà il posto di quella pubblica. Questo intervento radicale e senza precedenti del governo greco è stato annunciato senza preavviso nel momento in cui i Soloni della troika si trovavano ad Atene per controllare i conti pubblici e naturalmente imporre le loro direttive da vera e propria macelleria sociale al popolo greco già stremato dagli altri provvedimenti.

I giornalisti hanno continuato a lavorare dai loro studi favorendo la diffusione di programmi su Internet, attraverso la European Broadcasting Union trasmettendoli anche via satellite. Il canale spagnolo TVE e l’emittente di proprietà del Partito comunista greco, “902”, ha trasmesso materiale della radiotelevisione ERT per un tempo limitato. Nel frattempo, i manifestanti si sono riuniti davanti all’ambasciata greca a Bruxelles mercoledì scorso, mentre altre manifestazioni si sono svolte a Londra, Parigi e Roma.

Il governo greco ha utilizzato un decreto ministeriale, firmato dal presidente Karolos Papoulias, per chiudere le trasmissioni di ERT.

La radiotelevisione pubblica, che è finanziata da un prelievo aggiunto sulle bollette del popolo ellenico, ha tre canali televisivi nazionali, quattro stazioni radio, una serie di stazioni radio regionali e un canale d’Oltreoceano. Il governo ha licenziato tutti i dipendenti ERT, ma ha rivelato i piani per riaprire l’azienda, entro due mesi come un emittente indipendente con 1.200 dipendenti, meno della metà degli attuali.

“Abbiamo provato durante lo scorso anno a trovare un percorso per una revisione della televisione pubblica, ma non è stato possibile cambiare nulla”, ha dichiarato ai giornalisti, Simos Kedikoglou, portavoce del governo. In realtà, da quanto emerso, risulta che tutto è stato all’improvviso senza che nessuno sapesse nulla. Secondo la Costituzione greca, il parlamento dovrà discutere e convalidare il decreto entro 40 giorni. E in relazione al suo accordo di “salvataggio” con la troika, la Grecia è tenuta a licenziare 15.000 lavoratori del settore pubblico entro il 2015.

La Commissione europea da parte sua ha negato categoricamente di essere a conoscenza o di essere coinvolta nella decisione. Del resto ai tecnocrati importa ben poco in quali enti vengono licenziati i lavoratori pubblici l’importante è che perdano il lavoro, affinché il governo ellenico ottemperi ai diktat a cui è obbligato per aver contratto il prestito ad usura con la troika (Commissione Ue, Bce e Fondo monetario).

Il portavoce dell’esecutivo comunitario Olivier Bailly ha dichiarato ai giornalisti che il braccio esecutivo dell’Ue aveva saputo quanto stava avvenendo alla radiotelevisione pubblica soltanto la sera stessa, come era capitato ai comuni cittadini. “La situazione specifica di ERT – ha osservato il portavoce – non è mai stato discusso con la Commissione o la troika”.

Tuttavia i tecnocrati di Bruxelles hanno rilasciato una dichiarazione scritta piuttosto esplicita che dichiara apertamente come “la decisione delle autorità greche dovrebbe essere vista nel contesto dei principali e necessari sforzi che le autorità stanno prendendo per modernizzare l’economia greca”. Non lo sapevano – ne dubitiamo, visto che il gruppo dei tecnocrati della troika era nella capitale greca – ma lo volevano, ne siamo certi!

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L’Afghanistan e il (triste) destino delle basi Nato

Centinaia di strutture che potrebbero aiutare la rinascita del Paese saranno demolite per l’incapacità afgana di gestirle

 di: Ferdinando Calda

 “Due fattori rendono difficile l’uscita dall’Afghanistan: il primo è la necessità di non mettere a rischio la sicurezza dello stesso contingente procedendo con il ritiro troppo affrettato delle componenti operative. Il secondo riguarda l’indisponibilità delle vie di trasporto, sia aeree, terrestri e navali, a causa delle richieste contemporanee di ritiro di tutti i Paesi coinvolti”. Così il ministro della Difesa italiano Mario Mauro ha risposto alle richieste di accelerare la partenza delle truppe italiane dall’Afghanistan, nel corso della sua informativa alla Camera sull’attentato costato la vita al capitano dei bersaglieri Giuseppe La Rosa.

Ma oltre allo spinoso (e costoso) problema di come far uscire da un Paese senza sbocchi sul mare migliaia di mezzi e tonnellate di materiale, i Paesi della coalizione internazionale – Usa in testa – dovranno affrontare anche il dilemma di cosa fare con le strutture che rimarranno, specialmente le basi militari e gli avamposti costruiti in oltre dieci anni di guerra.

La questione non è affatto secondaria per il futuro del Paese ed è strettamente collegata alla capacità (e alla volontà) delle forze afgane di controllare porzioni più o meno vaste di territorio. Il rischio, specialmente per gli avamposti più isolati, è che, una volta partite le truppe internazionali, le forze afgane non siano in grado di mantenerli e finiscano in mano agli insorti.

È quindi probabile che alla fine centinaia di strutture verranno demolite. Si parla di circa 500 tra basi vere e proprie, basi avanzate (le cosiddette FOB – Forward Operating Base), avamposti (COP – Combat Out post) e checkpoint fortificati. Un’operazione che è già cominciata poco più di un anno fa con l’assegnazione di un contratto da 57 milioni di dollari alla società Serco, che ha già effettuato lo stesso lavoro in Iraq. Ad esempio, tra agosto e settembre del 2012, venne raso al suolo l’avamposto italiano nel Gulistan “Snow”, nella provincia occidentale di Farah. Lo stesso dove il 31 dicembre 2010 venne ucciso il caporal maggiore Matteo Miotto.

A suo tempo lo stesso governo di Kabul protestò contro l’iniziativa di Nato e Usa di demolire le basi, sostenendo che le strutture potrebbero essere riutilizzate per la realizzazione di scuole, ospedali e uffici di governo. Da Washington ribatterono che le autorità afgane non avrebbero avuto la capacità logistica di gestire tutte le basi disseminate nel Paese.

Esemplare a questo proposito è la recente vicenda di un checkpoint nella provincia orientale di Paktika, presso il villaggio di Shkin, attaccato alla movimentata frontiera con il Pakistan. Come raccontato lo scorso mese dal colonnello Usa Dennis Sullivan, citato in un articolo del giornale Stars and Stripes, l’avamposto era gestito da 1.200 contractor afgani pagati dagli Stati Uniti. In vista del passaggio di consegne, le autorità afgane hanno proposto di assumere i contractor per continuare a gestire il checkpoint. Ma in mancanza di precise assicurazioni su rifornimenti e assistenza medica (gli afgani non possiedono la nutrita flotta di elicotteri a disposizione della Nato), solo un centinaio di loro hanno accettato. E così la struttura è stata demolita.

Una decisione che non è stata ben accolta dalle forze di sicurezza locali, che l’hanno vissuta come l’ennesima prova dell’abbandono imminente al proprio destino da parte degli “alleati” Usa. “Noi siamo pronti a rimanere e difendere il nostro Paese e la popolazione di Shkin dalle [minacce] provenienti dal lato pachistano – spiega un membro della polizia di frontiera afgana – ma all’ultimo minuto voi (statunitensi ndr) avete distrutto tutto senza dirci niente. Perché lo avete fatto? È stata la decisione sbagliata”.

“Il rischio se non fosse stato demolito – spiega invece Sullivan – è che due giorni dopo lo avremmo trovato in mano agli insorti, che avrebbero conquistato una posizione dalla quale dominare tutta la zona”.

Problema simile anche per strutture più grandi, che potrebbero rappresentare una vera ricchezza per il futuro del territorio. Come nel caso della base militare di Sharana, sempre a Paktika. “Qui esistono una gran quantità di solide infrastrutture che potrebbero tornare utili agli afgani, compresi edifici in cemento e due pozzi di acqua potabile. C’è anche una pista di atterraggio che potrebbe essere utilizzata sia a scopo bellico, sia per la ricezione di aiuti umanitari o altri mezzi in caso di catastrofe. Come aeroporto civile, potrebbe dare impulso allo sviluppo dell’economia locale”, spiega a Strars and Stripes il tenente colonnello Christopher Wendland, comandante della base.

In un incontro con i rappresentanti statunitensi, il vice governatore della provincia, Attaullah Fazli, ha riconosciuto che la base potrebbe essere ben utilizzata dall’amministrazione afgana. Ad esempio alcuni edifici potrebbero ospitare parte dei prigionieri dell’altra affollata prigione. E si potrebbe persino pensare di usare temporaneamente la base come sede dell’università provinciale. Tuttavia lo stesso Fazli ha riconosciuto che l’esercito nazionale afgana (Ana) è riluttante a prendersi carico anche del controllo e della manutenzione della grande base.

Il diplomatico statunitense Karl Olson, inoltre, fa notare che gli afgani non possiedono le conoscenze e le capacità per gestire autonomamente gli impianti per il trattamento delle acque della base. “Il governo provinciale dovrebbe concentrarsi su ciò che realisticamente può mantenere e proteggere”.

 (14 Giugno 2013)

Pd terrorizzato dal voto: “Se cade governo, niente elezioni” | VoxNews

15-06-2013

“Non e’ detto che alla fine di un governo corrisponda la fine della legislatura”. Lo dice Guglielmo Epifani da Parigi.

“Se qualcuno pensasse di mettere in difficoltà l’esecutivo sappia che la legislatura potrebbe non finire con la caduta dell’attuale governo’”. In fondo basta comprare qualche grillino in cerca di diaria.

 Il dramma è che il paese sprofonda, e loro pensano di poter andare avanti ancora a lungo con le alchimie politiche.

http://voxnews.info/2013/06/15/pd-terrorizzato-dal-voto-se-cade-governo-niente-elezioni/

In Sardegna pensano di vietare per legge Beppe Grillo

e pensare che Pd e Pd più L si indignano tanto contro la legge porcata, forse è una porcata perché lo sbarramento è troppo basso?


Pdl e Pd propongono di innalzare al 15 per cento la soglia di sbarramento per i partiti non coalizzati

 di: Matteo Mascia

 Il MoVimento 5 stelle continua a fare paura ai partiti tradizionali. Nonostante i dissidi interni e le “istruttorie” contro i parlamenti ribelli, l’organizzazione di Beppe Grillo rappresenta ancora un pericolo per Pd e Pdl.

I maggiorenti sardi del centrodestra e centrosinistra hanno quindi pensato di eliminare il comico genovese con un’operazione di ingegneria istituzionale; una modifica alla legge elettorale che renda difficilissimo l’accesso alla ripartizione dei seggi.

Nella massima assemblea sarda si sta discutendo la proposta di legge con cui si potrebbero eleggere i sessanta consiglieri regionali che animeranno la prossima legislatura, salvo dimissioni anticipate del governatore del Pdl Ugo Cappellacci, la data della consultazione è fissata per l’ultima settimana di febbraio. Complici le “larghe intese” tanto in voga a Roma, anche a Cagliari centrodestra e centrosinistra si sentono in dovere di collaborare. Un gioco di squadra fondamentale per evitare di dover rinunciare ad una decina di seggi a causa della performance delle liste pentastellate. Il secondo turno delle amministrative ha risvegliato paure e preoccupazioni nei dirigenti regionali delle principali forze politiche. Nel comune di Assemini il candidato grillino si è imposto sullo sfidante del Pd con una percentuale superiore al 65 per cento, un risultato storico per la politica isolana. L’hinterland cagliaritano potrebbe rivelarsi molto sdrucciolevole per i candidati a governatore di Pd e Pdl.

A Quartu Sant’Elena, terza città della Sardegna, l’M5S ottenne oltre il 30 per cento delle preferenze in occasione del rinnovo di Camera e Senato, nella vicina Sestu si è segnato il “record regionale” con una percentuale pari al 39,9 per cento. Numeri che hanno costretto alcuni eletti del Consiglio regionale ad agire di conseguenza. L’alleanza corre tra i banchi del Pdl e del Pd, per modificare la legge elettorale le norme statutarie impongono infatti una maggioranza qualificata.

Gli incontri che hanno preceduto l’arrivo in Aula dell’articolato sono stati utili per approntare una ghigliottina in grado di decapitare tutti i piccoli partiti che dovessero cullare il sogno di presentarsi senza alleati. Le forze politiche restie ai patti di ampio respiro – leggasi Grillo – dovranno superare una percentuale del 15 per cento per poter eleggere dei consiglieri. Un numero elevatissimo che potrebbe scendere al 12 per cento qualora dovessero essere approvati degli emendamenti presentati nella serata di mercoledì. Il frutto avvelenato si presenta ghiotto per i piccoli partiti in crisi di identità, non sono previsti sbarramenti interni per le liste coalizzate tra di loro e tra alleati si potrebbe ragionare come ai tempi del tanto vituperato “proporzionale puro”. Insomma, Beppe Grillo sarebbe chiamato ad un risultato straordinario.

Un evento che rischia di essere allontanato dalle eventuali spaccature, le amministrative siciliane hanno dimostrato l’inesistenza di fedeltà da parte dell’elettorato che aveva permesso ai grillini di entrare da trionfatori all’interno dell’Assemblea regionale siciliana.

Lo scenario sardo è poi arricchito dalla presenza di importanti forze indipendentiste, partiti identitari che avrebbero già iniziato una fase di dialogo e confronto con il MoVimento. Gavino Sale, storico dirigente di Irs (Indipendentzia Repubrica de Sardigna), potrebbe addirittura essere il candidato del listone antiplitico di Grillo e Casaleggio, forte del suo radicamento sul territorio e del 4 per cento incassato in occasione delle ultime Regionali. Le sue dichiarazioni delle ultime ore non devono sembrare casuali; secondo gli indipendentisti sarebbe in corso un “golpe a norma di legge”, una modifica della legge elettorale che permetterebbe di tenere alle porte del Consiglio regionale forze con centinaia di migliaia di voti. È contrario alla riforma anche Giuseppe Stocchino, onorevole eletto nelle liste di Rifondazione comunista. “Pd e Pdl non si rendono conto di servire su un piatto d’argento il cavallo di battaglia con cui Grillo potrebbe condurre la campagna elettorale del suo partito – spiega a Rinascita l’esponente del partito di Ferrero – L’antipolitica deve essere sconfitta con idee e programmi non con un incredibile innalzamento dello sbarramento”. Udc, Sel, Mpa, ex-Idv e Cd si dicono contrari alle proposte di Pdl e Pd. Dai grillini sardi non è arrivata nessuna presa di posizione. Forse non hanno avuto notizia della sorpresa confezionata per loro dai “grandi partiti”.

 

(14 Giugno 2013)

Siria. Una no fly zone per far fallire Ginevra 2

Obama annuncia il superamento della “linea rossa” da parte di Damasco e ipotizza forniture di armi pesanti ai ribelli e una zona di interdizione al volo

Siria. Una no fly zone per far fallire Ginevra 2

 di: Alessia Lai

 “Le informazioni sull’uso di armi chimiche da parte di Assad sono state costruite” dagli Usa come “le bugie sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein”.

In poche righe, in un tweet, la risposta di Mosca al tentativo Usa di rovesciare il tavolo e mandare all’aria Ginevra 2 è netta. Nella tarda serata di giovedì la Casa Bianca ha annunciato che la “linea rossa” sulle armi chimiche sarebbe stata superata da Damasco, il che comporterà contromisure da parte di Washington. La riconquista di Al Qusayr da parte dell’esercito regolare e quella imminente di Aleppo hanno imposto alla casa Bianca e ai suoi alleati un’accelerazione dei piani. La speranza che i ribelli vincessero “per logoramento” si è infranta sulla capacita delle forze regolari siriane e sull’appoggio degli Hizbollah libanesi alla marcia di riconquista. E così ecco ri-spuntare le armi chimiche. La risposta degli Usa ipotizza forniture di armi pesanti ai ribelli, ma anche di una no fly zone, l’antico sogno del premier turco Erdoğan.

Il consigliere per la politica estera di Vladimir Putin, nonché ex ambasciatore negli Usa, Yuri Ushakov, ha argomentato la posizione di Mosca affermando che “gli americani hanno cercato di fornirci informazioni su come il regime usi armi chimiche, ma, francamente, non le abbiamo trovate convincenti. Preferisco non tracciare un parallelo con la nota smoking gun del Segretario di Stato Colin Powell, ma i fatti comunicati non sembrano convincenti”. Il riferimento è alla mossa teatrale con cui l’ex segretario di Stato Usa mostrò al Consiglio di sicurezza Onu  fotografie satellitari, registrazioni audio, video e una boccetta dal contenuto sconosciuto per dimostrare che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa.Tutti si ricordano come è finita: a marzo del 2003 iniziarono i bombardamenti su Baghdad e ad oggi mai nessuna traccia di armi di distruzione di massa è stata trovata nel Paese. In Siria le trecce sono state trovate, ma pare che il sarin sia stato adoperato dai “ribelli”, quelli finanziati e appoggiati dai Paesi occidentali e dai loro alleati del Golfo Persico, Qatar in testa. Anche in Turchia ne sanno qualcosa, visto che pochi giorni fa sono stati arrestati dei “ribelli” che si recavano in Siria i quali sono stati trovati in possesso del gas tossico. Mosca aveva chiesto ad Ankara di indagare sul fatto e dare notizia degli sviluppi. Sarà che ora i turchi sono impegnati sul fronte interno, ma sulla vicenda è calato il silenzio.

La denuncia che sono stati i ribelli ad usare le armi chimiche era venuta addirittura da un membro della Commissione Onu incaricata di indagare sull’uso di questi armamenti in Siria, la stessa Carla del Ponte, ex giudice del Tpi, che la scorsa settimana, in una intervista a Euronews, ha affermato: “Confermo le mie dichiarazioni sull’uso di armi chimiche. Naturalmente non esistono prove certe, ma solo elementi di indagine. Vediamo cosa accadrà nel corso dell’indagine, ma abbiamo alcuni elementi, altrimenti non avrei detto nulla al riguardo”. Un dato del quale i “falchi Usa” non sembrano interessarsi, partiti in quarta, bramosi di nuovi territori da bombardare e nuove commesse da stipulare. Il senatore John McCain – ex rivale di Obama alle presidenziali del 2008 – ha elogiato apertamente la decisione di Barack Obama di aumentare il sostegno militare ai ribelli siriani: “La ‘linea rossa’ del presidente è stata attraversata, ora è in gioco la credibilità americana. Non è più il tempo di procedere a piccoli passi, è il momento di agire in modo deciso”, ha detto poco dopo l’annuncio della Casa Bianca. Secondo quanto riportato ieri dal Wall Street Journal gli Stati Uniti stanno valutando l’imposizione di un’area di interdizione di volo al confine con la Giordania che si estenderebbe in territorio siriano per 40 chilometri.

In pratica si creerebbe un santuario ribelle, protetto dalle forze nordamericane, in territorio siriano, dove personale Usa sarebbe impegnato a garantire armi e addestramento agli oppositori del governo. Per il controllo dello spazio aereo verrebbero usati velivoli di stanza nelle basi giordane, muniti di missili aria-aria a lunga distanza. Secondo i funzionari americani i tempi di attuazione sarebbero rapidi, circa un mese, e la no fly zone si potrebbe imporre anche senza il via libera del Consiglio di sicurezza, perché gli aerei americani non entrerebbero con regolarità nello spazio aereo siriano. I presidenti di Russia e Stati Uniti, Vladimir Putin e Barack Obama, saranno entrambi al vertice G8 in Irlanda del Nord il 17 giugno prossimo e avranno un incontro bilaterale in cui si discuterà anche della questione siriana, un confronto difficile ora che Washington ha cambiato le carte in tavola. Ginevra 2 è sempre stata in bilico, ma mai come ora.

  (14 Giugno 2013)

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Fine della ‘Primavera araba’

Obama sacrifica i suoi servitori arabi, lo sceicco Hamad e il primo ministro

Karim Zmerli, Tunisie-Secret 16 giugno 2013

 Era prevedibile per chiunque, tranne che per questi capicosca, che si credevano invulnerabili. Agli ordini di Washington, Hamad abdica in favore del figlio Tamim. Ma, sostenuto da Israele, il primo ministro di questo emirato wahhabita ha tentato di prendere il potere con la forza. Invano. La situazione non è ancora chiara in questo Paese microscopico, ma tutto indica che la sua politica estera cambierà totalmente.

 Mentre la stampa francese ha osservato omertosamente il segreto, il settimanale Le Point evocava il 5 giugno il ritiro di sheikh Hamad in favore del figlio. Le point ha scritto che “L’emiro del Qatar, lo sceicco Hamad bin Khalifa al-Thani, organizza il passaggio di consegne a suo figlio Tamim. Al potere dal 1995, l’attuale emiro sembra stanco e vuole ritirarsi… Quindi questa è una transizione graduale, durante la quale il Primo ministro Hamad bin Jassim al-Thani, dovrebbe lasciare il posto. Inoltre, l’emiro aveva iniziato la trasmissione dei suoi beni immobiliari francesi a una delle figlie.”

L’unica piccola bugia, per omissione, è che lo sceicco Hamad non è né stanco, né malato, né desideroso di lasciare il potere, anche se a favore del figlio. Questo è un ordine di Barack Hussein Obama al capocosca del Qatar di sparire. Il motivo del licenziamento è duplice. In primo luogo, il fallimento del servitore arabo nel far cadere il regime siriano. In secondo luogo, l’indiscrezione con cui ha sostenuto l’ascesa al potere degli islamisti in Tunisia e in Egitto. Alleato strategico dei Fratelli musulmani, Obama avrebbe preferito che i suoi sostenitori servili operassero con tatto e discrezione. Peggio ancora, si credeva autorizzato a sostenere al-Qaida e altre organizzazioni terroristiche islamiche in Mali e nel continente africano. Secondo il nostro collega R. Mahmoudi di Algeria Patriottica, “Sembra che il ricchissimo principe non abbia più il favore dei suoi sponsor statunitensi che non apprezzano, da qualche tempo, l’incoscienza e l’avidità del loro alleato, e vorrebbero un socio più adatto alla nuova realtà… Si scopre che il suo fallimento in Siria e la cattiva situazione di tutti i Paesi che hanno sperimentato il cambiamento di regime, Tunisia, Libia ed Egitto, giocano contro di lui. Gli Stati Uniti, che fin dall’inizio hanno sostenuto la “primavera araba”, ora cercano di stabilizzare il mondo arabo, per evitare di danneggiare i loro interessi nella regione e la sicurezza d’Israele.”

La nostra ben informata fonte ha detto che a Doha, ieri, il Primo ministro e ministro degli Esteri Hamad bin Jassim, molto turbato da questo trasferimento di potere dal padre al figlio di Mozza, avrebbe tentato un colpo di Stato con l’appoggio dei suoi amici israeliani. Il fallito colpo di Stato è stato riferito dal quotidiano palestinese al-Manar, ripreso dall’agenzia di stampa iraniana IRIB, secondo cui “Il colpo di stato fallito è stato inscenato da un gruppo di leader politici e militari guidato dal primo ministro del Paese, Hamad bin Jassim.” Sempre secondo la nostra fonte locale, una trentina di funzionari militari e della sicurezza sono stati arrestati dalle guardie del corpo dell’emiro licenziato. Protetto da Israele e da alcuni potenti alleati neoconservatori statunitensi, Hamad bin Jassim non è stato arrestato, ma privato delle sue guardie del corpo e messo agli arresti domiciliari. Alcuni osservatori occidentali ben consapevoli ritengono che il nuovo emiro dovrà fare i conti con questo incrollabile alleato di Israele e Regno Unito. Di tutti questi avvenimenti, al-Jazeera e i media del Qatar non hanno lasciato filtrare nulla. Come affermato da al-Manar, “in effetti cercano di consolidare le basi del potere del futuro emiro, qualcosa che richiede la previa eliminazione dei leader del colpo di Stato.”

Nato nel 1980 ed erede ufficiale dal 2003, Tamim bin Hamad al-Thani si è laureato alla Royal Military Academy di Sandhurst, Regno Unito. E’ Presidente del Consiglio del QIA, il fondo di investimento del regno, e del Comitato Olimpico del Qatar. È l’uomo della politica sportiva dell’emirato, del PSG e della Coppa del mondo di calcio 2022. La sua influenza è cresciuta negli affari del Qatar in questi ultimi mesi. Da due giorni il giovane emiro ha cominciato le grandi pulire delle stalle di Augia. Ha dato ordine di rimpatriare le ONG pseudo-umanitarie che operano in Egitto, Tunisia, Libia e soprattutto nell’Africa nera. L’ambasciatore del Qatar a Tunisi è stato richiamato. Un’altra spettacolare inversione di tendenza, le figure emblematiche della Fratellanza musulmana residenti a Doha sono state invitate a lasciare rapidamente il territorio. Secondo il quotidiano al-Ahram al-Jadid del 15 giugno, il mercenario palestinese Khaled Mashaal è stato espulso lo scorso venerdì verso una destinazione sconosciuta. Il leader di Hamas che ha tradito i suoi ex protettori siriani per del denaro, viveva a Doha da due anni. Altri giornali egiziani indicano che è arrivato al Cairo con una ventina di compagni. Secondo la nostra fonte presente nella capitale del Qatar, anche Yusif Qaradawi sarebbe colpito da queste misure. Sembra anche che ieri davanti al palazzo dell’imam, chiamato dall’opinione araba “il mufti della NATO“, siano stati visti tre grandi camion in movimento. Destinazione probabile l’Egitto. Il Mufti della NATO ancora gode della cittadinanza del Qatar!

Riguardo all’emiro deposto, la sua scelta è caduta sulla Francia. Secondo le nostre fonti francesi, lo sceicco Hamad bin Khalifa al-Thani probabilmente si stabilirà in uno dei suoi castelli, non lontano da Nizza, dove potrà finire i suoi giorni frequentando la “Biblioteca”, il più grande casinò della città.

 

Traduzione di Alessandro LattanzioSitoAurora

Per saperne di più: QATAR: L’assolutismo del XXI Secolo

http://aurorasito.wordpress.com/2013/06/16/fine-della-primavera-araba/

In una settimana, 50 palestinesi colpiti dal fuoco israeliano. 1200 ulivi danneggiati dai coloni

Ramallah – Quds Press.

 Dati diffusi dall’Ufficio internazionale che vigila sulle violazioni israeliane al popolo palestinese affermano che 50 cittadini palestinesi sono stati colpiti dal fuoco delle forze di occupazione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, che i coloni hanno danneggiato un migliaio di ulivi e che le autorità israeliane hanno lasciato senza casa 13 cittadini gerosolimitani in seguito alla demolizione delle loro abitazioni a Gerusalemme Est, la settimana scorsa.

 

L’Ocha, l’Ufficio di coordinamento degli aiuti umanitari dipendente dalle Nazioni Unite, ha dichiarato, nel suo rapporto settimanale che riguarda il periodo compreso tra il 28 maggio e il 3 giugno scorso, che nel numero dei feriti si trovano 30 minorenni.

 Il rapporto registra non meno di 18 aggressioni, che hanno avuto come conseguenza danneggiamenti alle proprietà palestinesi, e un’altra aggressione, che ha portato al ferimento di un palestinese nell’insediamento di Gilo, che sorge nei territori palestinesi a sud di Gerusalemme.

 Questi numeri sono suscettibili di un aumento del 50% se confrontati alla media settimanale con cui si sono verificati tali incidenti nel 2013, mentre nessun colono è rimasto ferito durante la settimana.

 l rapporto dichiara inoltre che i coloni hanno appiccato il fuoco e abbattuto non meno di 1220 ulivi, bucato i cerchioni di 17 auto a Gerusalemme Est e a Gerico, tracciandovi sopra scritte o incendiandole, così come hanno lasciato scritte ostili ai cristiani, come “pagate il prezzo”,  sulle mura di una chiesa nella Città Vecchia di Gerusalemme e su un gran numero di case e di auto nel paese di Beitillu, a ovest di Ramallah.

 Il rapporto aggiunge che le forze di occupazione hanno demolito in questa settimana quattro edifici di proprietà palestinese a Gerusalemme Est e nella Zona C, con il pretesto che i proprietari non disponevano della licenza israeliana di costruzione. Di conseguenza, sono stati trasferiti 13 cittadini palestinesi, tra cui 5 bambini, e sono state distrutte le fonti di sostentamento di 34 palestinesi.

 Nella Striscia di Gaza, le forze di occupazione hanno aperto il fuoco sulle coltivazioni palestinesi, provocando i ferimenti durante l’incursione nell’area che si trova nella fascia di 300 metri dallo steccato che separa Israele da Gaza.

 Le forze di occupazione hanno compiuto operazioni di rastrellamento nei territori che si trovano a qualche centinaio di metri all’interno della Striscia di Gaza, dove gli israeliani hanno sparato in molti casi contro pescatori palestinesi, allo scopo di costringerli a tornare a riva, con conseguenti danni ad almeno un’imbarcazione.

 Traduzione per InfoPal a cura di Federica Pistono

 Fonte :(Agenzia stampa Infopal – www.infopal.it)

 

Pubblicato da Cristian Piga 

Turchia, polizia usa agenti chimici, coinvolti bambini negli scontri

lunedì 17 giugno 2013
Riceviamo e pubblichiamo da Angelo Iervolino:
Turchia uso di agenti chimici, anonymous  garantisce la diretta streaming
Attacco della polizia turca  verso le ore 21:00 del 15 giugno, entra in modo violento nel parco. La notizia ha provocato disordini in tutta la Turchia e da molte zone della città sono arrivate persone in direzione del parco. Hanno tagliato la corrente elettrica e distrutto tutto, tende, cucine, ambulatori, vietato l’accesso ai giornalisti, pochissimi i fotografi presenti, anche i medici picchiati dalla polizia. Nessuno si aspettava un attacco così improvviso e violento, infatti molte persone erano andate al parco anche con i bambini ed alcuni di loro di 5 6 anni sono stati feriti in modo grave. Chi non è riuscito a scappare dal parco è rimasto vittima di gas molto aggressivi ed è stato colpito dall’acqua degli idranti che conteneva agenti chimici, molti manifestanti stesi atterra con grosse irritazioni sulla pelle provocate dalle armi chimiche della polizia Turca.
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=BisGRkiwyKg

La polizia ha circondato il parco, ha attaccato e lanciato gas anche contro il DIvan Otel, l’albergo che da giorni funziona come ambulatorio e che ora ha molti feriti anche gravi, la popolazione per difendersi sta creando barricate per strada.
Tra i feriti anche una giornalista Russa Alexandra Bondarenko, della televisione Russa, RT, Russia Today, che è stata colpita da proiettili di gomma.
Molte strade bloccate, grazie agli Anonymous Svedesi è stato possibile seguire gran parte degli scontri in streaming su facebook. Persone che dai balconi attaccavano la polizia, una vera e propria guerriglia, Erdogan ha deciso di usare il pugno duro.

http://www.anonsweden.se/?p=3339

Autore:  Angelo Iervolino

Turchia uso di agenti chimici, Anonymous garantisce la diretta streaming

Attacco della polizia turca  verso le ore 21:00 del 15 giugno, entra in modo violento nel parco. La notizia ha provocato disordini in tutta la Turchia e da molte zone della città sono arrivate persone in direzione del parco. Hanno tagliato la corrente elettrica e distrutto tutto, tende, cucine, ambulatori, vietato l’accesso ai giornalisti, pochissimi i fotografi presenti, anche i medici picchiati dalla polizia. Nessuno si aspettava un attacco così improvviso e violento, infatti molte persone erano andate al parco anche con i bambini ed alcuni di loro, tra i 5 ed i 6 anni sono stati feriti in modo grave. Chi non è riuscito a scappare dal parco è rimasto vittima di gas molto aggressivi ed è stato colpito dall’acqua degli idranti che conteneva agenti chimici, molti manifestanti stesi atterra con grosse irritazioni sulla pelle provocate dalle armi chimiche della polizia turca.

Il Video
http://www.youtube.com/watch?v=BisGRkiwyKg&feature=player_embedded

Fonte: http://news.cloudhak.it/turchia-uso-di-agenti-chimici-anonymous-garantisce-la-diretta-streaming/
http://www.nocensura.com/2013/06/turchia-polizia-usa-agenti-chimici.html

L’immagine su Facebook QUI

 Venerdì il premier turco Erdogan in occasione di un discorso pubblico ha rivolto un appello alle madri dei manifestanti, invitandole a richiamare a casa i propri figli per proteggerli: le madri hanno “risposto” scendendo in piazza Taksim a loro volta al grido “noi proteggiamo i nostri figli lottando per loro”…
http://www.nocensura.com/2013/06/la-dignita-delle-madri-turche.html

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Turchia: dopo gli avvocati, ora arrestano i medici che soccorrono i manifestanti… senza parole!

 

 

Banca del seme per creare le super api. Negli Usa vogliono lo sperma di quelle italiane | Blogeko.it

Sembra la trama di un film di serie C a metà fra l’horror sadico e la fantascienza catastrofista. Invece è proprio vero. Uno scienziato statunitense viene inItaliaperprelevarelospermadelle nostreapi, congelarlo nell’azoto liquido e creare una banca del seme destinata alla fecondazione delle api regine americane.

 Vuole creare le super api, in grado di resistere dal declino che si manifesta in tutti i Paesi in cui l’agricoltura è industrializzata, Italia compresa: negli Stati Uniti, in particolare, l’anno scorso è morto addirittura un terzo delle colonie. Ma soprattutto ha intenzione di produrre ceppi di api “on demand”, su misura per le particolari esigenze di ogni agricoltore. Infatti le api sono essenziali per l’impollinazione delle colture, e solo in subordine sono utili per il miele.

 Evidentemente agli americani non viene neanche in mente di salvare le api riducendo l’uso degli insetticidi in agricoltura. Pensano invece di continuare a vendere insetticidi e di cominciare a vendere lo sperma delle api: l’iniziativa di raccoglierlo viene da un’università, ma è facile immaginare che poi non lo regaleranno mica.

 L’idea delle super api e della banca del seme è di Steve Sheppard, professore di Entomologia alla Washington State University.

 Parte dalla constatazione che da vent’anni è vietato importare api negli Stati Uniti, per preservarle da parassiti e malattie che altrove sono diffuse. Quindi (e fin qui il ragionamento non fa una piega) una maggiore variabilità genetica non potrebbe che giovare alle api americane.

 Però (e a questo punto le mie e le sue vedute iniziano a divergere) lui vuole il miglioramento genetico delle api per aumentare la loro resistenza alle attività umane che ne causano il declino.

 Il professor Sheppard lo attribuisce al mix formato da malattie, pesticidi ed alimentazione poco varia a causa della diffusione delle monocolture.

 Si potrebbe agire direttamente sugli ultimi due fattori. Sheppard si propone invece di creare le super api fecondando le migliori api regine statunitensi con lo sperma dei migliori fuchi (i maschi delle api) reperibili in Europa.

 La sua attenzione si è focalizzate su tre varietà di api europee: l’Apis mellifera carnica (tipica della zona che va dall’Austria all’Ungheria), l’Apis mellifera caucasica, diffusa soprattutto in Georgia, e l’Apis mellifera ligustica, la nostra tipica ape italiana.

 Le api italiane sono abituate al caldo, ragiona Sheppard, e dunque entrano in azione non appena si affaccia la primavera. Lo sperma dei loro maschi è dunque adatto a fecondare le api regine americane quando gli apicoltori hanno necessità di impollinare colture di precoce fioritura. Al contrario, le api austriache e caucasiche sono abituate a climi piuttosto freschi; entrano lentamente in piena attività e il loro sperma va bene per gli agricoltori che hanno bisogno di far fruttificare colture tardive.

 L’entomologo dice che prelevare lo sperma dei fuchi è facilissimo (e comunque, poveretti, credo che essi si aspettino legittimamente di contribuire in ben diverso e più soddisfacente modo alla perpetuazione della specie); si conserva a temperatura ambiente per qualche giorno e per periodi più lunghi il metodo dell’azoto liquido funziona alla perfezione.

 La sua intenzione è appunto metter su una banca dello sperma per api. Abc News sostiene che il professor Sheppard ha già raccolto campioni di sperma di tutte e tre le varietà europee su cui ha posato gli occhi; The Verge aggiunge che nelle prossime settimane il professore verrà in Italia per effettuare ulteriori prelievi.

 Se fossi un apicoltore e lo trovassi ad armeggiare attorno ai miei alveari, lo trascinerei innanzitutto da un notaio per fargli firmare l’impegno perpetuo a regalare lo sperma delle api senza pretendere nulla in cambio da chicchessia.

 Immagino però che ci sia in giro tanta gente meno liberale di me. C’è infatti anche l’altra opzione: costringere il professore a transitare davanti alla cassa prima di ricever l’autorizzazione ad effettuare i prelievi.

 Significherebbe però mettersi al suo livello. Mettersi al livello di uno che vede solo l’utilità commerciale della biodiversità. Mentre invece essa appartiene a tutti e non ha prezzo: esattamente come la natura nella sua complessità e nel suo insieme.

http://blogeko.iljournal.it/banca-del-seme-per-creare-le-super-api-negli-usa-vogliono-lo-sperma-di-quelle-italiane/73934

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La prima urgenza è fermare la delocalizzazione

lunedì 17 giugno 2013

 Il Governo continua a ” trastullarsi” con provvedimenti che servono a poco o nulla, e le aziende, quando non vengono svendute agli stranieri, delocalizzano.

Delocalizzazione è una bella parola che, tradotta, significa sempre meno lavoro in Italia, sempre più disoccupazione, sempre più vite grame ai limiti della minima sopravvivenza.

Ma perchè le aziende se ne vanno ? Non solo e non tanto per il costo manodopera, ma, sopratutto, per la burocrazia, per la pressione fiscale, e per una non-politica industriale.

Tanto per fare un esempio, in Austria, e non in Paesi come India,Cina, ect., si può aprire una Azienda in una settimana, quando vengono a fare i controlli vengono tutti insieme e non, come da noi, prima Inail, poi Usl, ect. che si rimpallano i problemi l’uno con l’altro, e la tassazione è al 25%.

Forse sarà per questo che l’Austria ha una disoccupazione tra il 5-6%, un debito pubblico del 60% sul PIL, ed una quantità innumerevole di aziende italiane che vanno a produrre in quel Paese. E potremmo continuare con molti altri.

Se non si affrontano questi problemi è inutile protestare: alla fine non c’è rimedio.

Claudio Marconi

Ormai è un crollo verticale in tutti i settori. Anche i mobili si spostano in Brasile, India, Est Europa ed Estremo Oriente.

 L’azienda leader dell’arredamento delocalizza: 1.900 gli esuberi. Dopo tre anni di cig e più di 101 milioni di soldi pubblici va a casa il 70% degli operai. Il 28 la protesta a Bari

 La Natuzzi, la più grande azienda italiana nel settore dell’arredamento, pare sempre più intenzionata a delocalizzare la produzione all’estero. In attesa del piano industriale, la cui presentazione è stata rinviata a luglio, nell’ultimo incontro con i sindacati l’azienda ha comunicato 430 nuovi esuberi (che si sommano ai 1.470 attuali per arrivare alla cifra di 1.900 su 2.700 unità totali), con la cassa integrazione in scadenza il prossimo 28 ottobre.

 L’azienda, che secondo i sindacati ha assunto da diverso tempo un atteggiamento minaccioso nei confronti dei lavoratori, ha motivato la decisione con il calo di produttività registrato negli stabilimenti italiani.

 Ma la realtà vissuta dai lavoratori è ben diversa. In attesa del Cda del gruppo convocato per oggi, è infatti scattata la mobilitazione nello stabilimento di Laterza, in provincia di Taranto, in cui vengono realizzati divani e complementi d’arredo.

 I circa 500 lavoratori del sito ionico, hanno indetto da mercoledì uno sciopero ad oltranza nei tre turni di lavoro «contro un atteggiamento padronale inaccettabile ed un piano industriale che punta unicamente alla salvaguardia della griffe aziendale e del made in Italy», che vuol scaricare sui lavoratori e sui sindacati «responsabilità ascrivibili al solo tentativo malcelato di delocalizzare» le stesse produzioni in Brasile, piuttosto che in India, in Cina e in Romania «con la conseguente soppressione degli attuali siti» pugliesi e lucani.

 «È un gioco che abbiamo compreso benissimo, che denunciamo da tempo e che non condividiamo», sostengono compatte le segreterie di categoria regionali Filca Cisl, Fillea Cgil e Feneal Uil, dopo l’ultimo incontro avuto con l’azienda la settimana scorsa, presso la sede di Confindustria Bari, dove erano presenti anche delegazioni Rsu degli stabilimenti di Ginosa, Laterza, Matera e Santeramo. «L’azienda ha chiesto per lo stabilimento di Laterza – spiegano i sindacati – una cospicua riduzione operativa al netto del cosiddetto personale infungibile, a partire dal 17 luglio e fino al 12 agosto, in concomitanza con l’inizio del periodo feriale, con un incomprensibile abbassamento del livello produttivo al 25 per cento circa».

 I sindacati denunciano inoltre l’atteggiamento incomprensibile assunto dall’azienda negli ultimi tempi, che invece di assumere decisioni condivise in un momento di grave crisi, «confeziona atti unilaterali e non condivisi con segreterie e Rsu persino sul calendario del lavoro che riguarda tutti i dipendenti». La protesta dei lavoratori di Laterza è scattata all’indomani della consegna da parte della dirigenza di un piano di giornate lavorative che, secondo la Fillea Cgil, «di fatto riducono del 50% la presenza in fabbrica dei dipendenti. La Natuzzi, a fronte degli esuberi che annuncia sempre più cospicui, dovrebbe invece (…) mettere in atto un intervento di equità e giustizia nei confronti di tutti».

 I sindacati ricordano inoltre come tre anni fa l’azienda sosteneva la necessità di ricorrere alla cassa integrazione per un numero cospicuo di dipendenti, quale condizione indispensabile per superare e risolvere definitivamente una sfavorevole congiuntura di mercato. Teoria non confermata dalle ultime dichiarazioni pubbliche dell’azienda «secondo cui il mercato del mobile imbottito andava e continua ad andare a gonfie vele e che il made in Italy, in questo settore, non ha rivali nel mondo». Il che è dimostrato dal fatturato realizzato dalla Natuzzi nel 2011, pari a 486,4 milioni di euro.

 Peraltro, appena lo scorso 8 febbraio a Roma venne siglato l’accordo di programma per rilanciare il settore del mobile imbottito, con un finanziamento di 101 milioni di euro così distribuito: 40 dal Mise e dalla Regione Puglia, e 21 dalla Regione Basilicata. Intanto, venerdì 28 giugno, si fermeranno tutti gli stabilimenti del gruppo perché i lavoratori porteranno la loro protesta a Bari, sotto la Prefettura.

 Fonte: ledicolaonline.blogspot.com.ar

Tratto da: http://www.frontediliberazionedaibanchieri.it/article-la-prima-urgenza-e-fermare-la-delocalizzazione-118541602.html