La Libia, perchè gli islamici mettono in rete i video delle uccisioni e perché non hanno paure delle ritorsioni occidentali.

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febbraio 18, 2015

Navigando in rete sono incappato nel video messo in rete dell’esecuzione dei copti da parte dei militanti islamici.

Speravo di incappare in uno dei filmati probabilmente falsi che girano in rete, purtroppo i poveretti sono stati decapitati sul serio.

 Il filmato stesso, che vi risparmio, è tecnicamente interessante, uso di telecamere fisse e di sovrapposizioni di immagini, sonoro professionale , montaggio altrettanto perfetto e “regia” all’altezza degli standard occidentali.

E ho pensato perché diavolo i fanatici si fossero tanto dati da fare.

Riflettendoci ho capito che il video non era rivolto agli occidentali, ma agli altri islamici, un vero e proprio “video di reclutamento” che dimostra che si possono far fuori i cristiani venti alla volta, ed in modo professionale.

E’ difficile pensarlo, ma esiste gente la cui massima aspirazione è fare fuori i cristiani, dovunque si trovino.

In Libia gli integralisti hanno trovato molti proseliti, ed era logico, pensandoci.

Il “terribile” dittatore Gheddafi, attaccato dagli occidentali per il petrolio libico per via del fatto che “intendeva” bombardare i ribelli, era l’unico baluardo contro integralisti e capitribù nemici.

Non c’erano altri oppositori del regime, infatti.

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In questa foto, volutamente spettacolare, potete vedere gli effetti pratici della “iniezione di democrazia” capitata in Libia negli scorsi anni.

Morte, povertà e distruzione, condita da guerra civile, nel paese che era di gran lunga il più ricco de nordafrica, con un sussidio di millecinquecento euro al mese donato dallo stato ad ogni capofamiglia.

Famiglie che vivevano in modo discreto, con personale di servizio praticamente in ogni casa e immigrati che facevano i lavori pesanti.

Insomma, il popolo libico, che non è composto di deficienti, ha capito subito a chi dare la colpa di tutta questa distruzione.

Agli occidentali e alla loro “democrazia”.

E gli integralisti , gli sventolatori di bandiere nere, ci sguazzano, in questo clima, ottenuto lavorando anche sull’odo etnico e tribale che caratterizza diverse zone del paese, Bengasi contro Misurata e tutti contro Tripoli.

Insomma cosa potrebbe fare l’occidente al popolo libico che non sia già stato fatto negli anni scorsi?

Niente.

Forse i “tagliateste” pensano che un attacco occidentale non possa far altro che aumentare il numero dei proseliti…

Fonte: Liberticida

IL PD VOLTA LE SPALLE ALLA PALESTINA

febbraio 20 2015

 Questi del Pd non fanno neanche più incavolare: fanno pena. Il loro responsabile esteri presenta una mozione parlamentare per riconoscere lo Stato di Palestina, nome che copre la sottomissione militare ed economica a Israele, e la sospendono il giorno dopo perché a Israele non va. Sottomessi, dunque, siamo anche noi italiani, governati da un partito che ogni tanto (ma proprio ogni tanto) ne azzecca una, ma subito dopo se la rimangia. E la pena ridiventa rabbia. Possibile che basti un sopracciglio alzato di quegli arroganti palloni gonfiati degli Israeliani per farsela sotto e chinare il capo? Possibile e prevedibile. Tanto che ci eravamo sinceramente stupiti dell’iniziativa piddina.

 Potevamo capirne il motivo di fondo, per una volta intelligente: dare un segnale di apertura al mondo islamico e arabo, in questo delicato frangente di guerriglia in Libia, alle porte di casa nostra. Ma non immaginavamo tanta intelligenza tattica. Oddio, capitan Renzi conosce solo quella. Ma aver sottovalutato la reazione dello Stato ebraico non è da loro, non è tipico di un’ex sinistra che appena può indossa la kippah, e quanto è bello e democratico Israele, e tuoni e fulmini e accuse di antisemitismo a chi s’azzarda a criticarne la politica d’apartheid, repressiva, aggressiva, obbiettivamente fascista

 Qualcosa di buono, d’altronde, c’è dappertutto. Perfino nel Pd. Ma è durato lo spazio di una giornata e anche meno. Poi, dietrofront, l’ambasciata israeliana ha parlato: atto prematuro contrario alla pace. Preferiscono il riconoscimento non dello Stato palestinese tout court, ma della formula “due popoli due Stati”, che presuppone il veto di Tel Aviv. Appaltiamo la nostra politica estera ad una nazione straniera, e nessuno, nel partito di governo, fa una piega, una mezza piega, un quarto di protesta, un grugnito, un ruttino di insofferenza. Niente. La Palestina dev’essere uno Stato in virtù del diritto di ogni popolo all’autodeterminazione, e anche, come minimo, come risarcimento morale e giuridico, che mai sarà sufficiente, per la tortura a cui è stato sottoposto da settant’anni a questa parte. Ciò significa riconoscere Hamas, tacciato di terrorismo? Ma se Hamas ha, come ha ma non è detto che abbia in eterno, il sostegno di una buona fetta di popolazione, con quale credibilità di presunti democratici, noi occidentali possiamo noi negare l’elementare diritto alla sovranità? Ma sanno quel che (non) votano, i Democratici abusivi di tal nome? Io, fossi in loro, mi sparerei. Sarebbe un dignitoso suicidio che riscatterebbe una vita politica passata a fare i cani servili.

 Alessio Mannino

 Fonte: www.lintellettualedissidente.it

I GIGANTI AGRICOLI OCCIDENTALI SI ACCAPARRANO L’UCRAINA

Ecco un esempio dei generosi liberatori. C’è tanta gente che ancora oggi crede ci abbiano omaggiato del Piano Marshall senza niente in cambio, il modus operandi non è cambiato, o si colonizza con le armi o con i soldi detti “aiuti”. Ieri come oggi. Un governo che ha tra ministri stranieri nazionalizzati poche ore prima dell’insediamento, un’operazione “stile Napolitano Monti” più “cosmopolita”, certo saran lì per fare gli interessi del popolo ucraino. Yanukovich ha detto di no alla Ue, gli è costato caro.

  febbraio 19

 Nello stesso momento in cui gli Stati Uniti, il Canada e l’Unione Europea annunciavano una nuova serie di sanzioni contro la Russia nella metà del dicembre dello scorso anno, l’Ucraina riceveva 350 milioni di dollari in aiuti militari da parte degli USA, arrivati subito dopo un pacchetto di aiuti da un miliardo di dollari approvato nel marzo 2014 dal Congresso degli Stati Uniti.

Il maggior coinvolgimento dei governi occidentali nel conflitto in Ucraina è un chiaro segnale della fiducia nel consiglio stabilito dal nuovo governo durante i primi giorni di dicembre.

Questo nuovo governo è più unico che raro nella sua specie, dato che tre dei suoi più importanti ministri sono stranieri a cui è stata accordata la cittadinanza Ucraina solo qualche ora prima di incontrarsi per questo loro appuntamento.

 Il titolo di Ministro delle Finanze è andato a Natalie Jaresko, una donna di affari nata ed educata in America, che lavora in Ucraina dalla metà degli anni ’90, sovraintendente di un fondo privato stabilito dal governo US come investimento nel Paese. Jaresko è anche Amministratore Delegato dell’Horizon Capital, un’azienda che amministra e gestisce svariati investimenti nel Paese.

Per strano che possa sembrare, questo appuntamento è in linea con ciò che ha tutta l’aria di essere una acquisizione dell’economia ucraina da parte dell’occidente. In due inchieste – “La Presa di Potere delle Aziende sull’Agricoltura Ucraina” e “Camminando dalla Parte dell’Ovest: La Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale nel Conflitto Ucraino” – l’Oakland Institute ha documentato questa presa di potere, in particolarmente evidente nel settore agricolo.

Un altro fattore importante nella crisi che ha portato alle proteste mortali ed infine all’allontanamento dagli uffici del president Viktor Yanukovych nel febbraio 2014, è stato il suo rifiuto di un patto dell’Associazione UE, volto all’espansione del commercio e ad integrare l’Ucraina alla UE, un patto legato ad un prestito di 17 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale.

 Dopo la dipartita del presidente e l’installazione di un governo pro-occidente, il Fondo Monetario Internazionale ha messo in atto un programma di riforme come condizione a questo prestito, allo scopo di incrementare gli investimenti privati nel Paese.

 Il pacchetto delle misure adottate include la fornitura pubblica di acqua ed energia e, ancor più importante, si rivolge a ciò che la Banca Mondiale identifica col nome di “radici strutturali” dell’attuale crisi economica esistente in Ucraina, con un occhio in particolare all’alto costo del generare affari nel paese.

Il settore agricolo ucraino è stato un obiettivo primario per gli investitori stranieri ed è quindi logicamente visto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale come un settore prioritario da riformare. Entrambe le istituzioni lodano la prontezza del nuovo governo nel seguire i loro suggerimenti.

Ad esempio, il piano d’azione della riforma agraria guidata dall’occidente nei confronti dell’Ucraina include la facilitazione nell’acquisizione di terreni agricoli, norme e controlli sulle fabbriche e sulla terra, e la riduzione delle tasse per le aziende e degli oneri doganali.

Gli interessi che gravitano intorno al vasto settore agricolo dell’Ucraina, che è il terzo maggior esportatore di mais ed il quinto di grano, non potrebbero essere più alti. L’Ucraina è nota per i suoi ampi appezzamenti di suolo scuro e ricco, e vanta più di 32 milioni di ettari di terra fertile ed arabile, l’equivalente di un terzo dell’intera terra arabile di tutta l’Unione Europea.

 La manovra per il controllo sul sistema agricolo del paese è un fattore decisivo nella lotta che sta avendo luogo negli ultimi anni tra occidente ed oriente, fin dalla Guerra Fredda.

La presenza di aziende straniere nell’agricoltura ucraina sta crescendo rapidamente, con più di 1.6 milioni di ettari acquistati da compagnie straniere per scopi agricoli negli ultimi anni. Sebbene Monsanto, Cargill e DuPont siano in Ucraina per parecchio tempo, I loro investimenti nel paese sono cresciuti in modo significativo in questi ultimi anni.

 Cargill, gigante agroalimentare statunitense, è impegnato nella vendita di pesticidi, sementi e fertilizzanti ed ha recentemente espanso i suoi investimenti per acquistare un deposito di stoccaggio del grano, nonchè una partecipazione nella UkrLandFarming, il maggiore agrobusiness dell’Ucraina.

 Similarmente, la Monsanto, altra multinazionale Americana, era già da un pò in Ucraina, ma ha praticamente duplicato il suo team negli ultimi tre anni. Nel marzo 2014, appena qualche settimana dopo la destituzione di Yanukovych, l’azienda investì 140 milioni nella costruzione di un nuovo stabilimento di sementi in Ucraina.

 Anche la DuPont ha allargato i suoi investimenti annunciando, nel giugno 2013, la volontà di investire anch’essa in uno stabilimento di sementi nel paese.

Le aziende occidentali non hanno soltanto preso il controllo su una porzione redditizia di agribusiness e alter attività agricole, hanno iniziato una vera e propria integrazione verticale nel settore agricolo, estendendo la presa sulle infrastrutture e sui trasporti.

Per dire, la Cargill al momento possiede almeno Quattro ascensori per silos e due stabilimenti per la lavorazione dei semi di girasole e la produzione di olio di girasole. Nel dicembre 2013 l’azienda ha acquistato il “25% + 1% condiviso” in un terminal del grano nel porto di Novorossiysk, nel Mar Nero, terminal con una capacità di 3.5 milioni di tonnellate di grano all’anno.

 Tutti gli aspetti della catena di fornitura dell’Ucraina Agricola – dalla produzione di sementi ed altro, all’attuale possibilità di spedizione di merci fuori dal paese – stanno quindi incrementando sotto il controllo dei colossi occidentali.

 Le istituzioni europee ad il governo degli US hanno attivamente promosso questa espansione. Tutto è iniziato con la spinta per un cambiamento di governo quando il fu presidente Yanukovych era visto come un filorusso, manovra ulteriormente incrementata, a cominciare dal febbraio 2014, attraverso la promozione di un’agenda delle riforme “pro-business”, come descritto dall’US Segretario del Commercio Penny Pritzker durante il suo incontro con il Primo Ministro Arsenly Yatsenyuk nell’ottobre 2014.

L’Unione Europea e gli Stati Uniti stanno lavorando duramente, mano nella mano, per prendere possesso dell’agricoltura ucraina. Sebbene l’Ucraina no permetta la produzione di coltivazioni geneticamente modificate (OGM), l’Accordo Associato tra UE e l’Ucraina, che accese il conflitto che poi espulse Yanukovych, include una clausula (articolo 404) che impegna entrambe le parti a cooperare per “estendere l’uso delle biotecnologie” all’interno del paese.

 Questa clausula è sorprendente, dato che la maggior parte dei consumatori europei rifiuta l’idea delle coltivazioni OGM. Ad ogni modo, essa crea un’apertura in grado di portare I prodotti OGM in Europa, un’opportunità tanto desiderata dai grandi colossi agroalimentari, come ad esempio Monsanto.

Aprendo l’Ucraina alle coltivazioni OGM si andrebbe contro la volontà dei cittadini europei, e non è chiaro come questo cambiamento potrebbe portare migliorie alla popolazione ucraina.

Allo stesso modo non è chiaro come gli ucraini beneficeranno di questa ondata di investimenti stranieri nella loro agricoltura, e quale sarà l’impatto che questi ultimi avranno su sette milioni di agricoltori locali.

Alla fine, una volta che si distoglierà lo sguardo dal conflitto nella parte est “filorussa” del paese, I cittadini ucraini potrebbero domandarsi cosa ne è rimasto della capacità del paese di controllare e gestire l’economia e le risorse a loro proprio beneficio.

Quanto ai cittadini statunitensi ed europei, alla fine si sveglieranno dalle retoriche sulle aggressioni russe e sugli abusi dei diritti umani, e contesteranno il coinvolgimento dei loro governi nel conflitto ucraino?

 Frederic Mousseau è Direttore delle Politiche all’Oakland Institute.

Fonte: www.atimes.com

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCA SAVINA

 http://www.informarexresistere.fr/2015/02/19/i-giganti-agricoli-occidentali-si-accaparrano-lucraina/

CAIO CHIUDE 450 UFFICI POSTALI, LE REGIONI VANNO IN GUERRA – SARANNO I GIAPPONESI A DOPPIARE I FILM ITALIANI – WAL-MART…….

, 1 MILIARDO IN AUMENTI AI DIPENDENTI – ERMOTTI DIFENDE IL SISTEMA-SVIZZERA

 Ma nei cantoni arrivano i maxi-sconti sulle auto: il franco rivalutato fa fuggire i clienti – Caccia all’ad per adidas: in palio c’è il dominio in America da sottrarre a Nike – Sfida tra Avio Aero e Rolls-Royce per le forniture alla Marina – F2i rileva il fotovoltaico di E.On…

 1. PARTERRE

 Da “Il Sole 24 Ore”

 POSTE, CAIO AL TEST DELLE REGIONI SULLA CHIUSURA DEGLI UFFICI

 Il piano di razionalizzazione della rete sportelli di Poste, in questa fase, sta impegnando l’ad Francesco Caio più del processo di quotazione Borsa. Processo che appare confermato nella sua tabella di marcia, come ha spiegato ieri il presidente Luisa Todini sostenendo che la «quotazione potrebbe avvenire nella finestra autunnale». Caio ieri ha incontrato i rappresentanti delle Regioni e dei Comuni italiani per ascoltare le esigenze del territorio.

 Si è detto disponibile al dialogo, a spiegare ai sindaci e ai cittadini quali nuovi servizi verranno offerti in cambio delle chiusure (come il cosiddetto postino telematico). Ma ha mantenuto fermo il punto e confermato gli obiettivi del piano:?chiusura di 450 sportelli solo nel 2015 e riorganizzazione di altri 600 sportelli, nei quali verranno prolungati gli orari di apertura. No alla creazione di tavoli negoziali o alla flessibilità, sì a prendere in considerazione alcune eccezioni laddove situazioni particolarmente disagiate lo richiedano è la linea di Poste.

 Il manager non ha alcuna intenzione di rinegoziare regione per regione il piano di chiusura degli sportelli, rimettendo così in discussioni un pezzo portante del piano industriale. Il progetto rispetta i limiti per la tutela del servizio universale previsti dalla legge ed è stato approvato dall’Authority per le comunicazioni, ha spiegato la società. Bisognerà vedere se questa posizione basterà a soddisfare gli amministratori locali più agguerriti, come il governatore della Toscana Enrico Rossi.

 SARANNO I GIAPPONESI A DOPPIARE I FILM ITALIANI

 Saranno i giapponesi a doppiare i film in italiano della 20th Century Fox e di altre case cinematografiche: un consorzio nipponico ha raggiunto l’accordo per acquisire la più grande società al mondo di servizi per doppiaggio, sottotitolazione e “localizzazione” di contenuti media, la californiana Sdi (presente in 41 mercati e in grado di doppiare in oltre 80 lingue).

Capofila del consorzio acquirente è Imagica Robot Holdings (che ieri a Tokyo ha guadagnato circa il 20%), in partnership con la casa di trading Sumitomo e Cool Japan, il fondo pubblico-privato che intende promuovere la cultura giapponese nel mondo. Da questo deal nasce infatti la prospettiva di maggiori esportazioni di contenuti mediatici Made in Japan. Così il fondo parapubblico finanzia per quasi la metà una operazione da quasi 160 milioni di dollari. (S.Car.)

 I CINQUE PILASTRI DI ERMOTTI A DIFESA DELLA SVIZZERA

Sergio Ermotti, ceo di Ubs, scende in campo direttamente e lancia proposte per difendere il sistema Svizzera. In un intervento, pubblicato dai quotidiani svizzeri Le Temps, Corriere del Ticino, Tages Anzeiger, Ermotti ha indicato i suoi 5 “pilastri” della strategia: il Governo elvetico deve mettersi con coraggio e decisione al timone della politica economica; bisogna evitare qualsiasi peggioramento normativo delle condizioni quadro in Svizzera; occorre assicurare la competitività fiscale nel lungo periodo; bisogna assicurare l’accesso ai mercati mondiali, guardando anche all’accesso duraturo al mercato europeo e dunque pure agli accordi bilaterali con la Ue; lo Stato deve puntare sistematicamente a mantenere bassi i costi per le imprese svizzere. Un pacchetto che ha attirato l’attenzione non solo del mondo economico elvetico ma anche di quello politico, tanto più considerando che in autunno in Svizzera ci saranno le elezioni. E all’interno del suo intervento, inusuale per un top manager in Svizzera, Ermotti si rivolge in effetti senza mezzi termini anche alla politica: «È auspicabile che Governo e Parlamento resistano alla tentazione di essere influenzati dalla prossima campagna elettorale». (L.Te.)

 2. SUSSURRI & GRIDA

 Dal “Corriere della Sera”

F2I RILEVA IL FOTOVOLTAICO DI E.ON PER IL POLO DELLE RINNOVABILI

( C.D.C. )  – F2i mette a segno un’altra acquisizione nelle energie rinnovabili. Dopo aver dato vita solo qualche mese fa insieme a Edison e a Edf Energies Nouvelles al terzo operatore nelle rinnovabili in Italia — una nuova realtà con circa 600 megawatt di capacità installata in cui F2i ha una quota del 70% — ora la società guidata da Renato Ravanelli, tramite la controllata Hfv, ha rilevato gli impianti fotovoltaici di E.on.

 Renato Ravanelli

L’operazione è stata seguita dagli advisor Crédit Agricole, Ubi, Ing e Clifford Chance e rientra nel piano di dismissioni della multinazionale tedesca, che ha deciso di cedere le sue attività in Italia. Gli asset termoelettrici, che rappresentavano la parte più importante del portafoglio, sono stati ceduti al gruppo energetico ceco Energeticky un Prumyslovy. Adesso E.on chiude anche il dossier sul fotovoltaico cedendo a F2i un parco solare da 50 Mw di capacità installata, che porterà a 150 Mw la potenza a disposizione del fondo infrastrutture nel settore dell’energia solare. E.on aveva in Italia quattro impianti solari avviati nel 2011 e localizzati in Puglia, Piemonte, Lombardia e Lazi0.

 WAL-MART, 1 MILIARDO AI DIPENDENTI

 (giu.fer.) Finora Wal-Mart era conosciuta (e criticata) per i bassi salari e la mancanza di benefit ai lavoratori. Ora la maggiore catena di grande distribuzione del pianeta cambia strada e annuncia che spenderà quest’anno oltre un miliardo di dollari per aumentare la busta paga di 500 mila dipendenti negli Usa. L’aumento deciso dal gruppo guidato dal ceo, Douglas McMillon, che è il più grande datore di lavoro nel settore privato in America, con 1,3 milioni di dipendenti, coprirà circa il 40% della sua forza lavoro negli Usa.

 A cominciare da aprile i lavoratori full time, part time e pagati all’ora, guadagneranno almeno 9 dollari all’ora, cioè 1,75 dollari più del salario minimo federale. Poi dal 1° febbraio 2016 riceveranno almeno 10 dollari all’ora. Un passo avanti nella direzione indicata dagli attivisti con feroci campagne contro il gruppo, anche se non abbastanza lungo per i sindacati, che chiedevano 15 dollari all’ora .

 SFIDA TRA AVIO AERO E ROLLS-ROYCE PER LE FORNITURE ALLA MARINA

 ( f. ta. ) Scontro di lobby tra Avio Aero, l’azienda torinese acquisita da General Electric, e Rolls-Royce per le forniture alle navi della Marina italiana. In gioco ci sono gli ordini per le turbine di propulsione che verranno montate sulle navi costruite da Fincantieri. L’entità della commessa è ancora da definire, ma dovrebbe risultare intorno a 130-150 milioni. Le navi sono sei pattugliatori d’altura, un’unità di supporto logistico e un’unità di trasporto. La possibilità è che si aggiungano altri quattro pattugliatori. Finmeccanica provvederà a consegnare radaristica e sistemi di combattimento.

Avio Aero punta ad aggiudicarsi la gara giocando come asso l’impegno a garantire lavoro a stabilimenti italiani. In particolare Pomigliano d’Arco, Brindisi e Torino. Ma anche le fabbriche di Massa e Firenze. Rolls-Royce ribatte cercando di far valere posizioni di forza nella tecnologia e sui mercati internazionali. I fondi arriveranno dal Mise e dalla Difesa.

3. AUTO, MAXI SCONTI: IL FRANCO RIVALUTATO FA FUGGIRE I CLIENTI

 Da “il Giornale” – Operazione maxi-sconti verso i potenziali clienti da parte delle case auto in Svizzera. È la conseguenza della recente decisione presa dalla Banca elvetica che ha rivalutato il franco sull’euro.

Per evitare che gli automobilisti comprino il nuovo veicolo magari in Italia, ecco partire l’operazione che «riduce fino al 15-18% il prezzo di una macchina», come spiegato da François Launaz, presidente dell’associazione importatori di vetture in Svizzera, alla presentazione dell’85° Salone di Ginevra (5-15 marzo) svoltasi a Milano. La rivalutazione del franco ha infatti cominciato a incidere anche sulle immatricolazioni, previste in rallentamento. Nessun riflesso, invece, sugli espositori dato che tutti i pagamenti sono stati effettuati nel 2014 con l’euro ancora forte sul franco.

 4. LA SFIDA A NIKE – CACCIA ALL’AD PER ADIDAS: IN PALIO GLI USA

 Da “il Giornale” – Dopo la «caccia» ai calciatori, parte quella all’amministratore delegato: la sfida di Adidas a Nike continua a tutto campo. In palio c’è la supremazia negli Usa, dove il colosso tedesco dell’abbigliamento sportivo negli ultimi anni ha perso terreno rispetto alla rivale. Un risultato che costerà il posto all’ad Herbert Hainer: è bastato ieri l’annuncio che il board sta cercando un successore per far risalire il titolo alla Borsa di Francoforte.

Non è servita l’ambiziosa campagna acquisti, lanciata nei mesi scorsi: entro il prossimo 2017, ben 500 giocatori della National Football League e della Major League Baseball avranno il marchio Adidas sulle attrezzature. Ma non sulla divisa, che resta a Nike, forte di un contratto da oltre un miliardo di dollari. Nel 2017, in compenso, se ne andrà Hainer.

 http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/caio-chiude-450-uffici-postali-regioni-vanno-guerra-saranno-94926.htm?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Suona l’allarme nella UE per la visita di Putin in Ungheria, conclusasi con cinque importanti accordi di cooperazione (incluso per l’energia atomica)

Nella sua visita in Ungheria del 17 Febbraio, il presidente russo Vladimir Putin si è riunito con il primo ministro Viktor Orban ed il presidente János Áder. Il viaggio, che ha avuto luogo un giorno successivo alla introduzione di una nuova serie di sanzioni contro la Russia da parte della UE, ha suscitato una intensa attenzione mediatica.

Le relazioni tra la Russia e l’Ungheria “si vanno rafforzando”, ha indicato con preoccupazione l’agenzia di notizie Bloomberg. “Orban sta vacillando tra il desiderio di rafforzare i legami con la Russia e i suoi obblighi come membro della UE e della NATO”, reagisce così un analista dell’Economist (voce del modo finanziario della City londinese). “Per quanto si opponga alle sanzioni imposte a Mosca per causa della crisi n Ucraina, Orban non potrà voltare le spalle all’Europa”, si consola il “Deutsche Welle”.

Perchè la visita di Putin in Ungheria viene interpretata come una sfida? Si tratta del “risorgere della Russia”: “Mosca sta facendo sentire la sua presenza in tutta Europa”, influendo sulla politica e sulla formazione dell’opinione pubblica in tutto il continente, così spiega “The Guardian”. “Il vertice Orban-Putin metterà alla prova il significato delle sanzioni della UE”, lo afferma con preoccupazione il giornale “EU Observer”.

L’Ungheria “sta pagando un alto prezzo politico” per la sua aspirazione di costruirsi delle relazioni più intense con Mosca, ha sottolineato l’analista politico András Deák davanti alle telecamere del network televisivo Rossiya 24. ” L’avvicinamento alla Russia mette in pericolo la collaborazione con la Polonia, la Repubblica Cheka e la Slovacchia. Pregiudica anche le relazioni con la Germania e con gli Stati Uniti”, ha indicato Deák.

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L’Unione Europea “si è sparata da sola sui piedi” nel pregiudicare le sue relazioni commerciali con Mosca, aveva avvisato Orban già nel 2014.   Il settore energetico, l’industria nucleare, l’agricoltura. il turismo e l’innovazione tecnologica sono i principali punti di cooperazione tra Mosca e Budapest.

Uno dei punti chiave dei negoziati di questo 17 di febbraio è stato quello della fornitura del gas: attualmente, la Russia copre un 90% della domanda ungherese. Gli esperti prevedono che si porrà anche la questione del nuovo gas dotto- il Turkish Stream- destinato a sostituire il progetto antecedente, il South Stream, annullato sotto la pressione di Bruxelles, con la probabile partecipazione di Budapest nel  nuovo gasdotto russo.
“Per Budapest, Mosca rappresenta il partner commerciale più importante al di fuori della UE ed il terzo maggiore fornitore dopo Germania ed Austria”, ha commentato l’assessore di Putin, Yuri Ushakov, in una conferenza stampa poco prima della visita. Il gigante statale russo Rosatom ha avuto un contratto per la costruzione di due nuovi reattori nella centrale nucleare ungherese di Paks.

Il volume del commercio bilaterale nel 2014 è arrivato a 7.900 milioni di dollari nonostante una riduzione del 16% dopo l’imposizione delle sanzioni europee a Mosca. La Russia è “un mercato enorme” per i prodotti ungherese Budapest “dispone di idee concrete” su come aumentare le forniture per poter utilizzare tutto il suo potenziale, ha affermato Levente Magyar, il portavoce del Ministero degli Esteri di Ungheria.

Soprattutto, aggiungiamo noi, l’Ungheria, non essendo inserita, per sua fortuna, nell’euro sistema (al quale non ha aderito), mantenendo la propria moneta (il fiorino ungherese)  non si trova esposta ai ricatti della Commissione Europea (come accade per la Grecia) ed il governo di Orban ha una idea della sovranità nazionale come di un bene prezioso che non deve essere ceduto ai burocrati di Bruxelles, come ad alcuna altra entità finanziaria sovranazionale.

Questo è un concetto totalmente in contrasto con la visione degli esponenti di governo italiano, da Giorgio Napolitano, a Mario Monti ed a Matteo Renzi, i quali frequentemente in questi anni hanno sostenuto la “necessità di cedere quote di sovranità all’Europa”, ossia all’oligarchia di Bruxelles e Francoforte che si sostituisce all’autorità dei governi nazionali.

Fonte: El Espia Digital

Traduzione e nota: Luciano Lago

Nella foto sopra: Putin con Orban

Nella foto al centro: manifestazione a Budapest della “quinta colonna” atlantista

http://www.controinformazione.info/suona-lallarme-nella-ue-per-la-visita-di-putin-in-ungheria-conclusasi-con-cinque-importanti-accordi-di-cooperazione-incluso-per-lenergia-atomica/#more-9377

Il vergognoso governo banco-finanziario di Renzi si appresta a colpire ancora una volta i lavoratori italiani.

Il lavoro Nobilita l’uomo e lo rende libero, diceva Charles Darwin ed  è diventato il motto della società civile. E’ la versione politically correct dell’Arbeit macht frei.

 La parola d’ordine è : Demansionare!

 Punto finale di un disegno iniziato anni fa con la Legge Treu e che ha poi raggiunto la sua apoteosi con quella Biagi, ora si vuole colpire di fino i dipendenti delle aziende dando in mano ai padroni uno strumento in più.

 Ciò sarà possibile, è quello che vuole attuare il governo , in modo diretto dal datore di lavoro nei casi di: riorganizzazione o ristrutturazione aziendale, ove siamo in presenza ragioni tecniche – oggettive (e chi le stabilisce giacché nessun rappresentante dei lavoratori siede nei CdA?), o per una inidoneità sorta durante la vita lavorativa a svolgere la mansione superiore.

Oggi la legge prevede la possibilità di demansionare, ma nei limiti dell’equivalenza professionale, solo nei casi come i motivi di salute o per evitare il licenziamento. Nessun accordo può essere fatto in deroga.

Si vuole anche ampliare il campo della modifica delle mansioni mediante accordi con il sindacato o presso la Direzione Provinciale del Lavoro, oltre ai casi già previsti per legge si aggiungerebbero i motivi di vita-lavoro, la richiesta espressa del dipendente per un proprio interesse, oppure per inidoneità a ricoprire la mansione.

 É facile intuire come oltre alla precarietà sempre più diffusa, che sta contraddistinguendo i contratti di lavoro in Italia, vi sia la chiara volontà di riportare le lancette dell’orologio indietro di oltre 100 anni, ai tempi dei cosiddetti “padroni delle ferriere”, dando carta bianca ai datori di lavoro e relegando i lavoratori al mero ruolo di merce da utilizzare nella più completa libertà di sfruttamento.

 La vulgata neoliberista, grazie al controllo tout court dei media, oramai da qualche tempo ci recita la falsa storiella che “solo il mercato debba regolare la vita delle Nazioni”, mercato nel quale gli uomini sono considerati eufemisticamente “risorse”, come le materie prime.

grazie al centrosinistra renziano, si sta per assestare un altro fendente contro una delle poche garanzie ancora rimaste del “fu Stato Sociale” d’anteguerra e del primo dopoguerra.

Falsamente i pifferai magici indicano nelle garanzie poste a tutela dei lavoratori dipendenti, i lacci e i lacciuoli che frenano lo “sviluppo” e “l’occupazione”italiana, si vuol far passare la sicurezza del contratto a tempo indeterminato come un “privilegio” di pochi contro i molti, come freno all’occupazione, come una bestemmia contro “l’illuminata guida dei guru del mercato”.           

Si vuole far credere, che sia obsoleta e anacronistica ogni tutela contrattuale di chi lavora, arrivando finanche a stravolgere il significato della parola licenziamento, fatta apparire come d’incanto come una ”opportunità in più per misurarsi con se stessi e crescere”, cercando e adattandosi a sempre nuove occupazioni, possibilmente peggio inquadrate e retribuite delle precedenti.

Stiamo andando verso una africanizzazione del lavoro, una globalizzazione dei poveri, con masse di immigrati che accetteranno ogni tipo di lavoro e contratto, e così anche i nostri connazionali senza più tutela saranno costretti ad accettare ogni forma di precariato e ribasso salariale, da tempo anche il sindacato ha smesso di rappresentarli, la politica invece rappresenta ben altri interessi, quelli dei nemici della Nazione e del nostro Popolo.

 http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=50376

A che cosa è ridotta la “cultura”?

di Enrico Galoppini – 17/02/2015

Fonte: Il Discrimine

  “Chiamare persone e cose con i loro nomi”

Ezra Pound, Culture, 1938

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Dev’essere uno strano concetto di “cultura” quello dei redattori dell’Ansa, se nella serata del 13 febbraio, sulla colonna di destra del sito dell’agenzia, è stata pubblicata una sfilza di segnalazioni che con la cultura c’entrano come i proverbiali cavoli a merenda.

Stai a vedere che piume di struzzo, decolleté e “trasparenze” devono aver preso il posto della Divina Commedia e dell’Eneide e non me n’ero accorto!

Preso dal panico, sono andato immediatamente alla voce “cultura” del Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani. Che fortunatamente mi ha tolto il dubbio di soffrire di allucinazioni.

La cultura, che ha la stessa radice di “coltivare”, secondo l’illustre linguista è la cura assidua dell’individuo necessaria per ottenere istruzione e buona educazione, e, per le nazioni, assurgere al grado della civiltà. In ciò, questa cura è pari a quella dell’agricoltore che vuol far fiorire e fruttificare le sue piante.

Se poi si vuole allargare il concetto di “cultura” ad attività più o meno di contorno, vada pure, tanto oramai le parole si stanno sfaldando completamente, e con loro gli individui e le nazioni.

Ma inserire nella sezione culturale ciò che ha piuttosto a che fare col pettegolezzo e la voluttuosità è davvero troppo. Capisco che “Sanremo è Sanremo”, ma non si potrebbe assegnare i “ritocchi” e gli “abiti osé” alla categoria “spettacolo”?

arte_degenerata

Tutti conoscono la frase attribuita ad un gerarca nazista: “Quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola”. Un’affermazione che, sentita per la prima volta sui banchi di scuola, deve far inorridire gli studenti, che per definizione sono lì per “farsi una cultura”.

Quando però viene gabellato per “cultura” quello che chiunque qui può giudicare, non penso che alla cultura stessa si renda un gran bel servizio. Non si sarà messa mano alla pistola, ma per l’idea di “cultura” che alla fine si fa passare a forza di abbassarne il livello è come se si fosse decretata la fine del concetto stesso di cultura. Il che è l’equivalente della proverbiale “pistola” nazista, che tanto per fare un po’ di chiarezza era puntata contro un concetto di cultura sfatto e decadente. In una parola, “degenerato”.

Che è esattamente quello che viene diffuso oggi dai cosiddetti “mezzi d’informazione”, per i quali valgono più le viscide pulsioni dell’uomo-massa che la sana aspirazione dei migliori ad elevarsi.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=50375

Il FMI arriva in Ucraina: le tariffe del gas aumenteranno del 264%

Ma come? L’Fmi è quell’ente delle banche che nacque dalla fine della sec guerra mondiale, quando il male nel mondo cessò ed il bene trionfò. Mai farebbero una cosa del genere, sicuramente è colpa della cattiva Germania che impone il suo volere sulla potente fondazione di banche con maggioranza di capitale statunitense. Poveri liberatori, sempre “soggiogati” dai cattivi. E’ arrivata la democrazia anche in Ucraina esultiamo

Con una contrazione del Pil pari al 15,2% e un aumento del pane di 10-12% al peggio non c’è fine in Ucraina.

di Eugenio Cipolla

Quando la scorsa settimana Christine Lagarde ha annunciato l’accordo quadriennale con l’Ucraina per un prestito da 17,5 miliardi di dollari, estensibile fino a 40, in molti a Kiev hanno tirato un sospiro di sollievo. Perché quasi un anno dopo l’inizio della guerra nell’est del Paese, l’Ucraina è a un passo dal default, stretta nella morsa di un conflitto che toglie dalle casse (vuote) dello Stato tra i cinque e i sette milioni di dollari al giorno. Così Poroshenko e Yatseniuk, la cui popolarità è in netto calo negli ultimi mesi, avranno una seconda possibilità per cercare di salvare il Paese. Anche se le previsioni sono tutt’altro che rosee.

 Oggi intanto a Kiev è arrivata la mazzata dell’ufficio nazionale di statistica, che nell’ultimo trimestre del 2014 ha registrato una contrazione del Pil pari al 15,2%. La guerra in Donbass, infatti, ha privato l’Ucraina di un importante centro industriale (lì si concentrava circa un quarto della produzione industriale del Paese prima che scoppiasse la guerra), rendendo ancora più difficoltosa la risalita dell’economia post Maidan. Il futuro non promette nulla di buono. Proprio ieri Natalia Yaresko, ministro delle Finanze di Kiev, ha fatto sapere che nel 2015 il Pil dovrebbe contrarsi di 5,5 punti, dato in netta controtendenza rispetto alla volontà del governo ucraino di voler aumentare del 3% le spese per la difesa.

 A farne le spese, ovviamente, saranno i cittadini ucraini. Negli ultimi 12 mesi la grivna, la moneta nazionale, si è svalutata del 200%, l’inflazione è schizzata sopra il 20% e Kiev non ha adeguato stipendi e pensioni. Il risultato è che il potere di acquisto dei cittadini è nettamente diminuito e sempre più famiglie sono costrette a risparmiare persino sullo stretto necessario (cibo, luce e gas). Da domani nel frattempo il prezzo del pane aumenterà ancora, di circa il 10-12%. Dal ministero dell’Agricoltura hanno fatto sapere che a causa della svalutazione della moneta ci dovrebbe essere un aumento di circa 9-10 grivne, promettendo di utilizzare le riserve dei fondi agricoli per evitare che la crescita dei prezzi schizzi alle stelle.

 Ma, come si dice in gergo, al peggio non c’è mai fine. In questi giorni la Rada sta discutendo la legge sul bilancio dello Stato nel 2015 e il governo ha presentato una serie di emendamenti che, spiega il quotidiano ucraino Vesti, prevedono l’aumento delle tariffe del gas per uso domestico fino al 264% (qualcuno parla anche di un forte aumento dei canoni di locazione, ndr). E’ questo, quello dell’aumento del prezzo del gas, uno dei punti fondamentali dell’accordo che Kiev ha stretto con il Fondo Monetario Internazionale per accedere al pacchetto di aiuti da 40 miliardi di dollari.

 Già lo scorso aprile il governo ucraino, su indicazione del Fondo Monetario Internazionale, aveva deciso un aumento del 50% delle tariffe. I nuovi prezzi, spiegano fonti della Banca Centrale ucraina al quotidiano Vesti, porteranno a un aumento dell’inflazione pari al 9%, mentre il tasso complessivo dovrebbe attestarsi attorno al 27% entro la fine dell’anno in corso. E pensare che Viktor Yanukovich, nonostante non abbia mai spiccato in bravura nel governare il suo Paese, si era sempre rifiutato di piegarsi ai diktak del Fondo Monetario Internazionale. «Non siamo bambini, non devono umiliarci in questo modo», disse nel novembre 2013, rifiutando un prestito di 610 milioni di euro dell’Unione Europea legato al rispetto delle condizioni imposte dal Fondo Monetario Internazionale «che ci chiede – precisò – di aumentare il prezzo pagato dalle famiglie e dalle imprese per il gas».

Notizia presa dal sito www.Lantidiplomatico.it visita www.Lantidiplomatico.it

Notizia del: 17/02/2015

http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=10614

Deraglia un treno di gasolio negli Stati Uniti

Martedì 17 Febbraio 2015

 Nel pomeriggio di lunedì 16 febbraio 2015, un convoglio della CSX formato da cento ferrocisterne cariche di gasolio ha sviato nella West Virginia, causando un incendio e sversando il carburante nel fiume Kanawha. Nessun ferito, ma evacuato un paese.

 CSX locomotore curvaIn una nota, la compagnia ferroviaria statunitense CSX precisa che lo svio è avvenuto vicino a Mount Carbon, nello Stato del West Virginia. Il convoglio – formato da due locomotori e 109 ferrocisterne di tipo CPC 1232– viaggiava dal Nord Dakota e Yorktown, in Virginia. Le cronache locali riferiscono che due carri sono caduti nel fiume Kanawha, che costeggia la linea ferroviaria, e che quattordici carri si sono incendiati, creando una “palla di fuoco”.

Finora, si registra solamente una persona intossicata dal fumo, ma per precauzione le Autorità hanno evacuato centinaia di famiglie residenti nei dintorni dell’incidente e hanno chiuso due impianti di trattamento delle acque del fiume, per prevenire inquinamento dovuto allo sversamento del gasolio. È stata evacuata l’intera cittadina di Boomer, i cui abitanti sono stati alloggiati in albergo a spese della CSX. La mattina di martedì, l’incendio è ancora in corso e i Vigili del Fuoco dichiarano che potrebbe continuare ancora per diverse ore, prima di domarlo.

Non si conoscono le cause dell’incidente, avvenuto alle 13:20 ora locale, che potrebbe essere stato causato dalle cattive condizioni meteo. Infatti, il treno stava viaggiando in una tormenta di neve. Sono in corso le indagini per accertare gli eventi. Ultimamente, sono avvenuti negli Stati Uniti diversi incidenti ferroviari che hanno coinvolto ferrocisterne e che hanno spinto il Governo della Virginia a proporre una legge che mette fuorilegge migliaia di carri vecchi.

 Filmato Associated Press sull’incendio del treno http://www.trasportoeuropa.it/index.php/home/archvio/44-ferrovia/12139-deraglia-un-treno-di-gasolio-negli-stati-uniti

E DIRE CHE VIRANO DOVREBBE CONOSCERE BENE IL FRANCESE !

Traduzione non professionale delle parti evidenziate:
 
Priorité européenne ?

L’Europe retiendra-t-elle le tunnel franco-italien dans sa liste de chantiers à financer, alors que les projets sont légion – la France présentera à Bruxelles d’autres dossiers comme le canal Seine-Nord Europe, évalué à 4 milliards d’euros environ, et l’Italie, le tunnel du Brenner la reliant à l’Autriche ?

 

 

Priorità europea ?

L’Europa manterrà il tunnel franco-italiano nell’elenco dei cantieri da finanziare, dal momento che moltissimi sono i progetti: La Francia presenterà a Bruxelles altre richieste come ad esempio il canale Senna-Europa del Nord valutato circa 4 miliardi di euro e l’Italia chiederà i fondi per il tunnel del Brennero che la collega all’Austria?

Une chose est sûre : si l’Europe ne finance pas, le projet ne se fera pas. « Il est peu probable que l’Europe dise jamais, mais il peut y avoir une révision à la baisse, avec un financement à 20 % seulement ; ou qu’elle renvoie le projet à plus tard », estime Hubert du Mesnil, président de Lyon-Turin Ferroviaire (LTF),

 

Una cosa è certa: se l’Europa non lo finanzia, il progetto non si farà: << È poco probabile che l’Europa dica “mai”ma può esserci una riduzione con un finanziamento solo al 20%; o che rinvii il progetto a tempi migliori>>, prevede Hubert du Mesnil, presidente di Lyon Turin Ferroviarire (LTF),
Les opposants, eux, continuent de batailler . En décembre 2014, saisi par les députées européennes d’Europe Ecologie-Les Verts Michèle Rivasi et Karima Delli, l’Office européen de lutte antifraude (OLAF) a « ouvert une enquête concernant le projet ligne à grande vitesse entre Lyon et Turin ». Une petite victoire pour les opposants, probablement insuffisante face à la volonté des deux Etats de percer le massif d’Ambin.

 

 

Gli oppositori continuano la loro battaglia. In dicembre 2014, adito dai deputati europei di Europa Ecologia-Verdi Michéle Rivasi e Karima Delli, l’ufficio europeo di lotta antifrode (OLAF) ha <<aperto un’inchiesta relativa al TAV Torino Lyon>> una piccola vittoria per gli oppositori, probabilmente insufficiente di fronte alla volontà dei due Stati di bucare il massiccio d’Ambin.