Corte dei Conti: giudici cattivi!?!

Cattivi giudici della Corte dei Conti che si ostinano a fare le pulci in un paese pacificato dalle larghe intese.

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di Davide Amerio

Ma quanto sono cattivi questi giudici della Corte dei Conti? Noiosamente implacabili trascorrono il loro tempo a far di conto (forse per questo si chiama Corte dei Conti), fanno le pulci allo Stato, alle amministrazioni nazionali e sopratutto locali e lanciano strali di denunce che prontamente la “politica” applaude e poi getta nel cestino dei rifiuti un attimo dopo.

Anche quest’anno all’apertura dell’anno giudiziario il presidente Squitieri ha messo in guardia sulle conseguenze della corruzione e della mala gestione delle risorse pubbliche. Iettatori!

A questi giudici continua a sfuggire il sereno clima di “pacificazione ” politica in corso da alcuni anni dove delinquenti, condannati, mafiosi e piduisti possono serenamente partecipare alla revisione della Carta Costituzionale essendo stati titolati, proprio a seguito della nuova era pacificatoria, novelli padri costituenti.

Giudici che si ostinano a considerare la corruzione come elemento che compromette non solo l’eguaglianza sociale e il diritto di ciascuno ad avere pari opportunità ma il funzionamento stesso dell’economia nel suo complesso aggravando lo condizione di crisi economica.

Il primato negativo per le irregolarità rilevate dalla Corte spetta agli enti territoriali, vere e proprie mangiatoie di denaro pubblico che vede nel Sud alcune supremazie.

Il quadro tratteggiato è a dir poco desolante. Alla corruzione si affianca la parente più prossima: l’evasione fiscale. La caccia ai cattivi evasori è il motivetto preferito di certa politica: un abito buono per tutte le appartenenze (e le stagioni). Lo indossi, qualche colpetto di ago e filo, qualche spilla e via; come nuovo. Ogni tanto lo arricchisci con un foulard di caccia alle streghe mandando la Guardia di Finanza in giro a terrorizzare qualcuno, poi li indichi al pubblico ludibrio e la tua bella figura l’hai fatta.

Invece questi giudici ne fanno sempre una questione e parlano di “affievolimento del sistema sanzionatorio”, inefficacia delle leggi a causa di norme contradditorie e troppo complesse per cui “conviene” non pagare e attendere un eventuale condono. Rilevando pure come l’evasore alla fine risulti anche un “poveraccio” che usufruisce degli aiuti dello Stato per gli indigenti.

Una Corte insomma che non si arrende ma che deve fare i “conti” con una politica che offre sempre facili scappatoie con condoni e depenalizzazioni (il caso delle Slot Machine dove le sanzioni sono state ridotte del 70% grazie al governo Letta con il decreto Imu ne è un fulgido esempio) per tacere delle complicità con la criminalità organizzata negli appalti pubblici.

In questo contesto il popolo italiano mugugna, impreca ma nella media, alla fin fine, spera di trarre qualche piccolo vantaggio per sè. La distanza tra la quetione “morale” della politica e la realtà non potrebbe essere più visibile. E questo ponte viene di continuo allungato da un popolo incapace di guardare a se stesso con dignità e senso dello Stato.

Un paese che non riesce a immaginare qualcosa di meglio per se stesso, per la propria famiglia, per il futuro. Piegato sul proprio ombelico bestemmia contro questo sistema cui contribuisce in modo determinanate a tenere in vita cullandosi nell’illusione dei ricordi di ideologie passate che non appartengono più all’agire e al pensare di questa classe politica.

Un’illusione molto pericolosa, come dimostra la Corte dei Conti; un meccanismo lento ma inesorabile nel corrompere l’intero sistema dall’interno privandolo di legalità e di energia economica. Possiamo discutere secoli se il debito pubblico sia o meno la causa dei nostri mali; quanto sia “pericoloso” e quanto, e se, sia necessario ridurlo e rinegoziarlo ma non si può trasportare l’acqua con un secchio bucato; questa si disperde e, prima o poi, la fonte dalla quale la preleviamo si esaurirà.

D.A. 12/02/15

Bloccate le trivelle Tav a Peschiera del Garda

Gli attivisti di “Soccorso No Tav” bloccano le trivelle Tav a Peschiera del Garda.

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di Leonardo Capella

Ieri mattina, 12 febbraio, appartenenti al movimento No Tav Brescia-Verona si sono ritrovati in mattinata per bloccare le trivelle. Sin dalle 7 gli attivisti bresciani e veronesi di “Soccorso No Tav” si sono radunati a Peschiera del Garda, sponda veronese del Benaco, dove sono arrivate operai e trivelle di Cepav Due, il contraente del Tav lungo il tratto tra Lombardia e Veneto.

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Gli attivisti hanno bloccato le trivelle, sbucate nel bel mezzo dei filari dei vigneti del Lugana, che il progetto del Tav (costo: 4 miliardi di euro) vorrebbe spazzare via. Dopo l’arrivo di un dispiegamento esagerato di carabinieri (8 volanti) e funzionari della questura di Verona, che hanno palesato la minaccia di portarci via con la forza fin da subito, i No Tav presenti, vista il rapporto numerico inferiore, sono stati costretti all’identificazione e a lasciare il blocco per evitare ulteriori conseguenze fisiche e giuridiche ben più gravi. 

Le attività dei No Tav sono in corso in località Broglie, a sud di Peschiera del Garda e dell’oasi del laghetto del Frassino, che sarebbe anch’esso duramente compromesso dall’Alta Velocità. Proprio da qui  passerò la terza marcia organizzata dal movimento No Tav locale per sabato 14 febbraio che partirò dal campo sportivo di Peschiera del Garda alle ore 14

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L.C. 13.-02.15

Sindaci della Val di Susa e No Tav avvertono Renzi: “Il Cipe non approvi l’opera”

Sindaci della Val di Susa e No Tav avvertono Renzi: “Il Cipe non approvi l’opera”
febbraio 13 2015

di Moreno D’Angelo
La notizia è di quelle bomba. La via del Tav sarà spostata. I sindaci No Tav e gli ambientalisti, di fronte a quello che viene giudicato “un delirio progettuale”, hanno preso carta e penna e si sono rivolti con un documento a Renzi e alle istituzioni perché il progetto sia definitivamente accantonato. Ai noti temi della sostenibilità ambientale e dei costi si rischia di restare ora impantanati nel fumoso tunnel delle procedure.
Secondo quanto comunicato dal tecnico Luca Giunti del comitato scientifico No Tav una proposta del ministero delle Infrastrutture ha ipotizzato che lo scavo per il contestato Tav eviti l’area di Susa, difficile da controllare dal punto di vista dell’ordine pubblico, e coinvolga direttamente il cantiere di Chiomonte, passando per il tunnel geognostico della Maddalena. Una variante chi si stima comporterà costi aggiuntivi per 200-300 milioni di euro. Il chiaro obiettivo è quello di evitare lo stillicidio di episodi animato dai presidi dei tenaci contestatori all’opera.
Gli ambientalisti denunciano come questa variante dovrebbe comportare nuove valutazioni di impatto ambientale:«A Chiomonte è stato autorizzato un cantiere della durata di 5 anni, che è diverso da un cantiere più ampio, con un impatto maggiore e che soprattutto durerà almeno 15 anni». Viene inoltre precisato: «Nelle fasi precedenti il Cipe (Comitato Interministeriale Programmazione economica) aveva approvato il progetto preliminare con 222 prescrizioni, ma queste in buona parte non sono state ottemperate, altre solo parzialmente e altre ancora lo saranno soltanto successivamente. Viene quindi evidenziato come la legge preveda che il progetto che il Cipe intende approvare sia accompagnato dal cronoprogramma e dalla stima certificata dei costi dell’opera, incluso il tratto francese. Una valutazione quasi impossibile visto che, al momento, questi elementi o non ci sono o risultano molto carenti. Inoltre il documento degli amministratori e ambientalisti valsusini No Tav rileva come la Francia sia in ritardo con la progettazione». «Se fosse un’opera normale – osserva Gunti – ad esempio un palazzetto dello sport, una scuola, sottoposta alla valutazione del comune, il sindaco non si prenderebbe la responsabilità di proseguire malgrado le riserve dell’ufficio tecnico sulle prescrizioni non rispettate».
Oltre che al capo del Governo il documento-appello di 40 pagine, con relazione tecnica e giuridica, firmato dal presidente dell’Unione dei Comuni della Valsusa Sandro Plano, è stato indirizzato ai ministri di Trasporti, Ambiente ed Economia, a Sergio Chiamparino e, per conoscenza, anche alla Corte dei Conti. Corte che in passato si era espressa in maniera critica sul sistema ad alta velocità che drena risorse a scapito della gran parte degli utenti che sono i pendolari. Plano non usa mezzi termini nel ribadire il suo giudizio su questa opera definita “un delirio progettuale” e invita il governo a fermare il Tav come è stato fatto per lo Stretto di Messina, preso anche atto che il 26 febbraio scade il termine per presentare il progetto definitivo alla Ue. C’è da chiedersi in un contesto simile quale possa essere il progetto definitivo? Plano, a nome dell’Unione montana Valsusa, appoggiata dalle associazioni ambientaliste Wwf e Pro Natura, ha ribadito come il Cipe non possa approvare il progetto definitivo della Torino-Lione e in particolare del tunnel di base tra Saint Jean de Maurienne e Bussoleno: «non c’è certezza né dei costi, (in una forbice compresa almeno tra 8,3 e 12 miliardi, ndr), né dei tempi. E’ stata annunciata la notifica di una diffida al Cipe che si dovrà esprimere nei prossimi giorni in vista del vertice italo-francese del 24 febbraio e della scadenza del 26 febbraio per la richiesta del cofinanziamento europeo. Gli ambientalisti si mostrano quanto mai vigili e determinati. «Se ci saranno violazioni di legge non resteremo fermi, inattivi» ha concluso Plano, ricordando come oltre ai problemi ambientali e di vivibilità della valle, emergano problematiche che riguardano in modo sempre più forte gli aspetti procedurali. Al suo fianco il sindaco di Caprie Paolo Chiri, Alberto Poggio e Luca Giunti del comitato scientifico no Tav ed Emilio Delmastro, presidente di Pro Natura Piemonte.

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Lupi dice no al cantiere di Susa, meglio nascondersi nelle montagne!

Sabato 14 Febbraio 2015 

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A Chiomonte si scava ancora il tunnel di servizio ma ecco che il ministro delle infrastrutture Lupi ha proposto nei giorni scorsi, avvallato da Palazzo Chigi, una variante dei lavori che sarà valutata dal Cipe (comitato interministeriali) tra pochi giorni: non più nel 2015 l’apertura del cantiere a Susa che verrà coinvolta tra diversi anni, ma il prolungamento degli scavi da Chiomonte, sottoterra, per poi sbucare nel comune amministrato da Sandro Plano, sindaco No Tav.

Le motivazioni di questo cambio di strategia sono già state rese note poiché la variante richiederebbe un aumento dei costi di circa 250-300 milioni di euro (sicuramente destinati a lievitare) e sono state ben esplicitate da Lupi: aggirare la protesta No Tav!

In tal senso, lo scavare da Chiomonte nella montagna fino a Susa, permetterebbe a chi fa i lavori di non dover salire in superficie ed evitare che possa aprirsi un altro fronte di lotta a Susa, che l’anno scorso ha votato un’amministrazione No Tav e continua con le attività del Comitato locale a raccogliere consenso sul territorio.

Nonostante quindi le roboanti dichiarazioni mezzo stampa per cui il movimento viene dato per vinto e descritto come fenomeno residuale in una valle che oramai ha accettato di essere distrutta dai cantieri dell’alta velocità, ecco che il nemico No Tav viene ufficialmente riconosciuto come un ostacolo difficile da superare quindi meglio evitarlo, nascondendosi dentro la montagna.

250 milioni in più per evitare le proteste quindi, che vanno aggiungersi  ai 7,7 miliardi sanciti dall’accordo tra Stato e Rfi (con l’aumento di 2,3 messo nero su bianco nel novembre dello scorso anno) con la speranza che la restante parte venga messa dall’Europa la quale non ha ancora deliberato il finanziamento.

Tanti miliardi sprecati in un’opera dannosa e inutile, una cifra che potrebbe coprire un’intera finanziaria e che potrebbe servire a intervenire in maniera significativa sulla sanità, le scuole, la disoccupazione e molto altro.

Non a caso il movimento No Tav il 21 febbraio scenderà in piazza a Torino anche per denunciare l’enorme spreco di denaro pubblico che sta dietro alla volontà del governo di continuare a tutti i costi l’opera.

Notizia censurata: contadini polacchi in rivolta contro le sanzioni UE, blocchi stradali e proteste di massa

http://www.piovegovernoladro.info/2015/02/14/notizia-censurata-contadini-polacchi-rivolta-contro-le-sanzioni-ue-blocchi-stradali-e-proteste-di-massa/

14 febbraio 2015

 

LONDRA – Che la politica antirussa voluta dalla UE sia stata un colossale fallimento oramai lo sanno tutti e quindi non deve sorprendere che sempre piu’ persone scendano in piazza per protestare contro i danni economici da essa causata.

Gli ultimi a ribellarsi sono stati i contadini della Polonia i quali mercoledì, due giorni fa, sono andati coi loro trattori a Varsavia per chiedere al governo maggiori aiuti economici per compensarli dalle fortissime perdite subite dall’embargo russo e dai danni causati alle colture dagli orsi selvatici.

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La chiusura del mercato russo e’ stato un colpo durissimo per l’agricoltura polacca, visto che all’improvviso i contadini si sono visti chiudere un importante mercato per i loro prodotti e il tentativo fatto dal governo polacco di dirotttare parte di queste esportazioni negli USA e’ stato un fallimento come e’ stato anche un fiasco la campagna volta a chiedere ai cittadini polacchi di consumare piu’ mele e altri prodotti agricoli.

Ai contadini non va giu’ che il governo abbia dato 100 milioni di euro all’Ucraina mentre per loro ha speso solo 1,6 milioni di euro e chiaramente ritengono di essere stati trattati come cittadini di serie B.

Al momento e’ difficile dire se il governo provvedera’ a esaudire le loro richieste, ma quel che e’ certo e’ che i polacchi stanno pagando un prezzo molto salato per via del loro asservimento agli USA e alla UE.

 

E i minatori della Slesia, in sciopero da alcuni giorni, hanno deciso di dare man forte agli agricoltori, che da circa una settimana stanno effettuando blocchi stradali di protesta. I negoziati con il governo si sono rotti, per il fine settimana si prevede una ventina di blocchi sulle strade nazionali.

Ovviamente esistono ragioni storiche per questo stato di cose, e indubbiamente, parlando degli americani, i soldi ricevuti dal governo polacco sono stati utili per modernizzare le forze armate della Polonia, ma e’ evidente che questa intransigenza della Ue contro la Russia adesso inizi ad avere dei costi altissimi, e a pagarne il prezzo sono – tra gli altri – gli agricolori polacchi.

Cio’ che sta succedendo in Polonia dovrebbe servire da lezione alla nostra classe politica che si piega con troppa facilita’ ai diktat della UE e anche degli USA.

Neppure a dirlo, di questa notizia della ribellione degli agricoltori polacchi alle sanzioni Ue contro la Russia, nessun mezzo di informazione italiano ha dato notizia, mentre intere pagine di quotidiani e grandi pezzi dei telegiornali nazionali sono dedicati al Festival di Sanremo. Ottima cosa, il Festival, ma sarebbe il caso che i giornalisti italiani tornassero a fare il mestiere che hanno scelto: dare le notizie.

Fonte: qui

La Caritas apre un hotel a Vienna per dare lavoro ai rifugiati

Nella costituzione antifascista più bella del mondo non c’era scritto che per i cittadini italiani il lavoro è un diritto?? Perché la Caritas prende 35 euro al giorno a persona per far da “agenzia interinale” ai rifugiati?

 sabato, 14, febbraio, 2015

Offrire una chance ai rifugiati, dando loro un impiego sicuro in un albergo dove la gran parte della forza lavoro è proprio composta da migranti. Gli austriaci senza lavoro? Alla Caritas non interessano. Il razzismo? Chi se ne frega? Gli xenofili possono permettersi tutto.

 Accade a Vienna, dopo nove mesi di lavori di ristrutturazione per adattare un condominio del quartiere Leopoldstadt, sta per aprire le porte il ‘Magdas Hotel’: un albergo promosso dalla Caritas con 80 camere doppie, appartamenti e una suite. Nell’hotel, vicino al Prater, i 30 addetti sono in maggioranza giovani rifugiati.

http://www.imolaoggi.it/2015/02/14/la-caritas-apre-un-hotel-a-vienna-per-dare-lavoro-ai-rifugiati/

Governo conferma: No proroga a blocco sfratti. Migliaia di anziani finiranno in strada

Per loro niente vitto e alloggio gratuito. La loro colpa? Essere italiani.

MA NON E’ RAZZISMO E DAL MONDO DELLA SUPERIORITA’ MORALE NESSUN APPELLO ALLA SOLDIARIETA’

 CHE MUOIANO, L’INPS NE GIOVERA’ E NE SARA’ CONTENTO IL FMI

Si si le “tutele” LE CONOSCIAMO, VEDI ESODATI, VEDI DISOCCUPATI, VEDI ASPIC DELLA FORNERO

 venerdì, 13, febbraio, 2015

Sorpresa amara per gli inquilini sotto sfratto. Il governo infatti conferma la volontà di non procedere alla proroga del blocco degli sfratti. E’ il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, a gelare così le aspettative di tanti inquilini in bilico. Il decreto Milleproroghe, in discussione alla camera, dunque, contrariamente alle voci che erano circolate negli ultimi giorni, non conterrà nessun emendamento in questo senso.

“Nessuna proroga o mini-proroga” precisa Lupi. Quello che il governo invece sta studiando è una norma che tuteli i nuclei familiari deboli “garantendo loro il passaggio da casa a casa”, spiega rinviando però ad una verifica “dell’effettiva disponibilità delle risorse assegnate ai Comuni per il fondo affitti, e destinate per il 25% ai casi di sfratto per fine locazione di particolari categorie di inquilini”. Una linea dura che fa insorgere la Cgil. “È una vera follia”, commenta senza giri di parole il leader dei pensionati, Carla Cantone.

“In questo modo sostanzialmente si mandano in strada migliaia di persone anziane che si ritrovano in una condizione di morosità perché non hanno i soldi per pagare l’affitto“, dice ancora. “Non si scherza su queste cose – conclude – e non c’è tempo da perdere. Il governo trovi una soluzione al più presto o davvero molti anziani dall’oggi al domani si ritroveranno senza una casa. E questo è francamente inaccettabile”.

A sposare in pieno la posizione del governo invece la Confedilizia che parla di “vittoria di civiltà”. “Una società che non rispetta i contratti privati e li mette alla mercé di chi più grida o inscena manifestazioni, non ha futuro”, spiega ancora il presidente Corrado Sforza Fogliani che plaude alla filosofia alla base della decisione dell’esecutivo: “il provvedimento viene incontro alle esigenze degli inquilini bisognosi per favorirne il passaggio da casa a casa e, nel contempo, non viola un’altra volta ancora i diritti della proprietà”, aggiunge ricordando i 30 provvedimenti di blocco varati da tutti i governi nell’arco degli ultimi 30 anni: “quasi uno all’anno”, conclude.

Ma perplessità la esprime anche Antonio Satta, componente dell’ufficio di Presidenza dell’Anci. “In poco più di un’ora ho ricevuto almeno una decina di telefonate da sindaci della mia regione, la Sardegna”, racconta. “Questa è una realtà che però interessa tutta l’Italia e che ha pesanti ripercussioni sociali, nelle grandi come nelle piccole realtà”, prosegue ricordando a Lupi e al suo provvedimento allo studio, le reali condizioni in cui versano molti comuni dopo l’ultima spending review.

“Lupi dice che sta studiando se tutelare alcune categorie di cittadini. Faccio però presente che i fondi dei comuni per tutelare i nuclei più bisognosi sono ridotti al lumicino, anche per effetto dei tagli ai trasferimenti. Bloccare gli sfratti significa anche tenere conto della difficile situazione economica cui sono precipitati milioni di italiani”, conclude.

http://www.imolaoggi.it/2015/02/13/governo-conferma-no-proroga-a-blocco-sfratti-migliaia-di-anziani-finiranno-in-strada/

In migliaia sulle spiagge libiche pronti a partire e invadere l’Italia

non troviamo posto per una senzatetto italiana a Udine, ma per migliaia di profughi si. E guai.Il business più redditizio della droga non c’entra, certo certo.

Una volta questa si chiamava eugenetica, lasciar morire di inedia un gruppo (autocnoni) per privilegiarne altri se non è oltre che razzista, selezione indotta non saprei come chiamarlo.

Saremo stati anche noi migranti, ma che nei luoghi di approdo ci ricoprissero di diritti non l’ho visto

 L’assenza di un governo saldo a Tripoli, l’avanzata dell’Isis e il miglioramento delle condizioni meteo rischiano di innescare dalle coste libiche un esodo che finirebbe per riversarsi sull’Italia. Il Viminale lancia l’allarme: “Si annuncia una primavera impegnativa”

Sergio Rame  – Sab, 14/02/2015 – 10:07

In settecento li hanno salvati oggi ad una manciata di miglia dalla Libia, altre migliaia sono pronti a partire e rischiano di riversarsi in mare già nelle prossime ore. È iniziata la fuga degli immigrati dalla Libia, proprio come temevano analisti, 007 ed esperti del Viminale che nei giorni scorsi avevano lanciato l’allarme.

 L’assenza di un governo saldo a Tripoli, l’avanzata dei miliziani dello Stato islamico e il migliorare delle condizioni meteo rischiano di innescare dalle coste del paese nordafricano un esodo che finirebbe inevitabilmente per riversarsi sull’Italia. Le prime avvisaglie si sono avute ieri quando alla centrale operativa della Guardia Costiera è arrivata una chiamata di soccorso da un satellitare: proveniva da un gommone in difficoltà a appena 30 miglia da Tripoli. Nella stessa zona i soccorritori hanno individuato altri sei gommoni, partiti a distanza di poche ore l’uno dall’altro. Alla fine sono stati recuperati settecento clandestini. Ma non è escluso che qualcuno non ce l’abbia fatta: alcuni disperati tratti in salvo da uno dei due mercantili avrebbero raccontato che alcuni di quelli che erano a bordo sono morti durante il viaggio e sarebbero stati gettati in mare. Testimonianze tutte ancora da verificare ma che fanno capire quanto sia drammatica la situazione.

 “Ci sono decine e decine di barche come queste pronte a partire – dicono soccorritori e forze dell’ordine a Lampedusa – in centinaia sono già nei pressi delle spiagge e ai trafficanti delle condizioni del mare non importa nulla”. Già i numeri di gennaio, d’altronde, dimostrano che la situazione è, se possibile, peggiore di quella del 2014, quando alla fine sono stati 170mila i immigrati accolti: 3.538 persone arrivate nei primi trenta giorni dell’anno contro 2.171 sbarcate l’anno scorso. “La situazione in Libia è drammatica – ha detto appena due giorni fa il capo del Dipartimento dell’Immigrazione del Viminale Mario Morcone – Si annuncia una primavera decisamente impegnativa”. Che non riguarderebbe soltanto il problema sbarchi: se l’Isis dovesse prendere in mano il traffico degli esseri umani, nessuno può escludere che i barconi possano essere utilizzati per far arrivare in Europa potenziali terroristi. “Al momento – sostengono fonti qualificate negli apparati di sicurezza – non sembra questo sia ancora accaduto perché i fautori del califfato in Libia sono impegnati su altri fronti”. Ci sono, tuttavia, segnali di contatti tra le organizzazioni che gestiscono le traversate e gli uomini in nero. “La Libia è il centro del problema, come ha sottolineato anche il presidente Renzi – dice il ministro dell’Interno Angelino Alfano ricordando che l’80% di chi arriva sulle coste italiane parte proprio dalla Libia – quel paese è fuori controllo e in preda al caos”. Ecco perché il titolare del Viminale torna a ripetere che serve un’azione forte della comunità internazionale: “Senza una rapida mobilitazione generale per la Libia correremo il rischio di vedere installato un califfato islamico alle nostre porte e assisteremo ancora ad altre tragedie in mare”. Che non si evitano, sottolinea il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, “solo con il controllo e il salvataggio in mare: bisogna lavorare sui paesi di transito, a cominciare dalla Libia e sui paesi in cui si originano i flussi migratori”.

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/migliaia-sulle-spiagge-libiche-pronti-partire-e-invadere-1093987.html

Non ha una casa, con la tenda sotto al municipio

per lei niente vitto e alloggio gratis. Con lei, indigente italiana, il business più redditizio della droga non fa soldi. Questa è l’eguaglianza politically correct

 UDINE – Non è nuova alle cronache Tiziana Perco, senza fissa dimora, e anche stavolta fa parlare di sè. Esasperata per il perdurare della mancanza di alloggio, dopo che da due anni ormai lotta per un tetto, ieri sera, verso le 18.30, quando nel centro storico girava ancora qualche passante diretto a cena, ha raggiunto il Municipio bordo della sua Pegeout e, tra gli sguardi esterrefatti, ha tirato fuori e montato una tendina da campeggio nella quale si è sistemata insieme ai due cagnolini, nel freddo pungente.

«Voglio una casa e resto qui» ha spiegato una donna decisa. Ha riferito di avere un’occupazione ma di non essere in grado di mantenere anche un’abitazione. Stufa di dormire in macchina o presso chi le dà una mano ha quindi deciso di ricorrere al gesto plateale.

 In breve sul posto sono giunti due agenti della polizia locale che hanno fatto presente la situazione che si era venuta a creare all’amministrazione comunale perchè venisse avviata una procedura di emergenza per risolvere almeno la contingenza.

 I servizi sociali hanno già provato a prendere in carico la vicenda di questa donna ma il percorso intrapreso non si è evidentemente rivelato semplice.

giovedì 5 febbraio 2015, 04:38

http://www.ilgazzettino.it/PAY/UDINE_PAY/udine_non_232_nuova_alle_cronache_tiziana_perco_senza_fissa_dimora_e_anche/notizie/1162615.shtml

Reato di negazionismo: gli storici lo rifiutano

si applica anche a chi nega le foibe?

Riproponiamo un articolo pubblicato per la prima volta il 17 ottobre 2013. La repressione penale delle opinioni ha conseguenze esplosive. L’approvazione in prima lettura da parte del Senato del reato di negazionismo apre molti più problemi di quelli che vorrebbe risolvere. Gli storici la rigettano, da sempre.

di Pino Cabras

Il recente voto parlamentare sul “negazionismo”, in pieno revival di una potente campagna sui reati d’opinione, fa fare un salto deleterio alla nostra Repubblica. Per sommo e aberrante paradosso, una legge presuntamente antifascista è il nido in cui farà l’uovo lo Stato Etico, la tipica base liberticida e totalitaria del fascismo. Un fascismo di tipo nuovo, politically correct.

Dopo tanti tentativi, contro i quali – come vedremo – c’è stata una forte opposizione di tanti valenti storici antifascisti – anche in Italia la repressione penale delle opinioni si è fatta strada in Parlamento, con conseguenze esplosive. L’emendamento approvato nella Commissione giustizia del Senato – relatrice la PD Rosaria Capacchione – con i voti di PD, PDL, Scelta Civica, SEL e i senatori Cappelletti e Gianrusso del M5S, prevede tre anni di reclusione (sette anni e mezzo con le aggravanti) e multe fino a diecimila euro da comminare a chi “nega o minimizza crimini di genocidio” come ad esempio la Shoah.

L’idea di contrastare con la legge penale le opinioni – per quanto infondate e profondamente sbagliate – apre scenari pieni di pericoli.

 Legare l’interpretazione della Storia a una legge penale sarebbe come cristallizzare una conoscenza scientifica aperta al dibattito – ad esempio le scoperte di Newton- in una norma sigillata dal dogma dello Stato (e un domani di un governo o di un regime politico contingente). Una volta aperto un varco così grande a questo modo di procedere, potrebbero presentarsi abusi drammatici su ogni interpretazione controversa degli eventi storici: la Storia è sempre controversa.

Un articolo di Francesco Santoianni descrive con molta chiarezza vari casi di arresti e condanne penali avvenuti negli ultimi anni in tutta Europa, compreso il caso dell’austriaca Sylvia Stoltz, che fu condannata a tre anni e mezzo di reclusione nell’esercizio della sua funzione di avvocato difensore durante il processo a un “negazionista”. Le norme qui in Italia non ci sono ancora, ma la tempesta sì: contro Piergiorgio Odifreddi, che si è dichiarato contrario all’approvazione della legge, è già in corso una campagna d’intensità maccartista. Molti di coloro che vorrebbero dire pubblicamente che Odifreddi deve potersi esprimere liberamente non lo faranno, perché il manganello mediatico fa già male. Figuriamoci il clima che avremo con un manganello penale.

 Lo storico Franco Cardini, nel 2009, scrisse un articolo molto ricco di argomentazioni sui rischi di una legge penale in materia. Tra queste, c’è un’argomentazione sottile e importante:

«Cresce il numero di chi in pubblico afferma una cosa e in privato sostiene esattamente il contrario. E sapete perchè? Per il fatto che se ne perseguitano i sostenitori e che li si condanna senza dar loro il diritto di parlare e senza controbattere. Ma in questo modo si crea nell’opinione pubblica la crescente sensazione che se ne abbia paura, e che essi stiano dicendo cose vere: e, questo sì, può costituire la premessa a una nuova ondata di pregiudizio antisemita, anche se è difficile immaginare sotto quali forme potrebbe presentarsi.»

Le motivazioni per opporsi a un simile provvedimento sono già state formulate molto bene nel 2007 da molti storici italiani (tra cui molti studiosi con profonde radici familiari e intellettuali nell’ebraismo italiano), quando si opposero fermamente all’allora ministro della giustizia Clemente Mastella, che – fotocopie alla mano – voleva introdurre nel nostro ordinamento una legge analoga alla francese Fabius-Gayssot. L’appello degli storici italiani è un documento di straordinaria attualità, che condivido dalla prima all’ultima riga, e che propongo qui sotto all’attenzione dei lettori.

 Mentre Giorgio Napolitano, fra una larga intesa e l’altra, esorta sovranamente i parlamentari ad approvare le nuove norme penali, i lettori potrebbero esortarli più sovranamente ancora a non approvarle, consigliando loro di leggere l’appello degli storici. Magari recapitandolo nelle loro caselle e-mail.

 Buona lettura.

Contro il negazionismo per la libertà di ricerca

 (http://www.sissco.it/index.php?id=28)

 Il Ministro della Giustizia Mastella, secondo quanto anticipato dai media, proporrà un disegno di legge che dovrebbe prevedere la condanna, e anche la reclusione, per chi neghi l’esistenza storica della Shoah. Il governo Prodi dovrebbe presentare questo progetto di legge il giorno della memoria.

Come storici e come cittadini siamo sinceramente preoccupati che si cerchi di affrontare e risolvere un problema culturale e sociale certamente rilevante (il negazionismo e il suo possibile diffondersi soprattutto tra i giovani) attraverso la pratica giudiziaria e la minaccia di reclusione e condanna.

 Proprio negli ultimi tempi, il negazionismo è stato troppo spesso al centro dell’attenzione dei media, moltiplicandone inevitabilmente e in modo controproducente l’eco. Sostituire a una necessaria battaglia culturale, a una pratica educativa, e alla tensione morale necessarie per fare diventare coscienza comune e consapevolezza etica introiettata la verità storica della Shoah, una soluzione basata sulla minaccia della legge, ci sembra particolarmente pericoloso per diversi ordini di motivi:

1) si offre ai negazionisti, com’è già avvenuto, la possibilità di ergersi a difensori della libertà d’espressione, le cui posizioni ci si rifiuterebbe di contestare e smontare sanzionandole penalmente.

 2) si stabilisce una verità di Stato in fatto di passato storico, che rischia di delegittimare quella stessa verità storica, invece di ottenere il risultato opposto sperato. Ogni verità imposta dall’autorità statale (l’«antifascismo» nella DDR, il socialismo nei regimi comunisti, il negazionismo del genocidio armeno in Turchia, l’inesistenza di piazza Tiananmen in Cina) non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale.

 3) si accentua l’idea, assai discussa anche tra gli storici, della “unicità della Shoah”, non in quanto evento singolare, ma in quanto incommensurabile e non confrontabile con ogni altri evento storico, ponendolo di fatto al di fuori della storia o al vertice di una presunta classifica dei mali assoluti del mondo contemporaneo.

L’Italia, che ha ancora tanti silenzi e tante omissioni sul proprio passato coloniale, dovrebbe impegnarsi a favorire con ogni mezzo che la storia recente e i suoi crimini tornino a far parte della coscienza collettiva, attraverso le più diverse iniziative e campagne educative.

La strada della verità storica di Stato non ci sembra utile per contrastare fenomeni, molto spesso collegati a dichiarazioni negazioniste (e certamente pericolosi e gravi), di incitazione alla violenza, all’odio razziale, all’apologia di reati ripugnanti e offensivi per l’umanità; per i quali esistono già, nel nostro ordinamento, articoli di legge sufficienti a perseguire i comportamenti criminali che si dovessero manifestare su questo terreno.

 È la società civile, attraverso una costante battaglia culturale, etica e politica, che può creare gli unici anticorpi capaci di estirpare o almeno ridimensionare ed emarginare le posizioni negazioniste. Che lo Stato aiuti la società civile, senza sostituirsi ad essa con una legge che rischia di essere inutile o, peggio, controproducente.

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