“Il Protocollo d’Intesa NLTL è l’ennesima foglia di fico”

http://www.marcoscibona.it/home/?p=795

TAV ANTIMAFIA – SCIBONA, FREDIANI (M5S): “Il Protocollo d’Intesa NLTL è l’ennesima foglia di fico”

Oggi, nel vertice italo-francese, i due Governi hanno approvato il Protocollo d’Intesa Aggiuntivo riguardante i lavori della Nuova Linea Torino – Lione. Hanno cercato di riparare all’enorme danno derivante dall’approvazione dell’Accordo Internazionale di Dicembre 2012 il quale apre le porte ai mafiosi e ad appalti e commesse libertine. In quella sede dovevano essere inserite le clausole antimafia, facendo sottostare i lavori ed i cantieri alla legislazione italiana, ben più avanzata, da questo punto di vista, di quella francese.

Oggi si mette la foglia di fico per salvare le apparenze, quando è chiaro a tutti che la legge francese rimane l’unica applicabile. Si poteva agire a suo tempo, o riparare l’errore con un nuovo accordo che sostituisse il precedente.

Ci auguriamo almeno che questi nuovi protocolli siano approvati dai rispettivi Parlamenti nazionali e magari sia data l’opportunità all’organo rappresentativo del Popolo di vigilare su tutto quanto legato alla realizzazione della Nuova Linea Alta Velocità. Cosa ad esempio non avvenuta sulle recenti nomine ai vertici del Nuovo Soggetto Promotore, Renzi e Lupi hanno deciso in autonomia, ovviamente immaginiamo non siano ricorsi ai curriculum ma piuttosto al manuale Cencelli accontentando le varie anime della strana maggioranza.

L’approvazione del Disegno di Legge volto ad istituire la Commissione di Inchiesta Tav potrebbe essere finalmente il segnale di trasparenza che da più parti si invoca.
La Nuova Linea Torino – Lione dato anche l’enorme costo che incide sulle casse pubbliche, sui nostri soldi, non può essere solo “cosa loro” ma deve poter essere monitorata dal Parlamento e dai Cittadini, senza dover ricorrere ogni volta al TAR per ottenere documenti che sono pubblici!

Marco Scibona, Senatore M5S
Francesca Frediani, Consigliere Regionale M5S Piemonte

 

BAGNI “VIETATI” IN STAZIONE, CONSIGLIERA VALSUSINA ACCUSA POLIZIOTTO: “HO SUBITO INTIMIDAZIONI, E HO DOVUTO ESIBIRE I DOCUMENTI PER ANDARE AI SERVIZI”

BY  – PUBLISHED: 02/23/2015 –
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di STEFANIA BATZELLA (Consigliera Regionale)

Sabato scorso nel tardo pomeriggio, al termine della pacifica manifestazione No TAV a Torino, ho subìto atteggiamenti prepotenti ed intimidatori da parte di un agente di Polizia.

Avevo necessità di recarmi presso il bagno della stazione di Porta Nuova, e peraltro ne avevo tutto il diritto avendo ovviamente pagato il biglietto per usufruire della metropolitana.

Un agente mi ha impedito di accedere ai servizi igienici rivolgendosi nei miei confronti con parole arroganti ed arrivando persino a sostenere che avrei dovuto chiedere il permesso per entrare in bagno. Solo dopo aver esibito i documenti, e dopo l’identificazione di rito, ho avuto la possibilità di recarmi alla toilette.

Successivamente mi sono rivolta al responsabile degli agenti di Polizia presenti sul posto chiedendo espressamente che mi venissero comunicate le generalità dall’agente in questione, ottenendo però un netto rifiuto.

Questo episodio, seppur di piccola entità, rappresenta con evidenza la necessità di apporre i numeri identificativi sulle divise delle forze dell’ordine. Una richiesta che da ormai molti anni abbiamo formulato ad ogni livello istituzionale.

Stefania Batzella, Consigliere regionale M5S Piemonte

Sparate pubblicitarie sulla Torino-Lione

Sparate pubblicitarie sulla Torino-Lione
febbraio 23 2015

Riceviamo e pubblichiamo
Le notizie diffuse in questi giorni da Ministri e pro TAV, per sminuire il valore della grande manifestazione No TAV di sabato 21 febbraio, richiedono qualche precisazione.
La creazione della nuova Società che dovrà sostituire LTF (Lyon Turin Ferroviaire) non rappresenta l’inizio della costruzione della nuova linea ferroviaria. Nel cronoprogramma allegato al contratto di finanziamento tra Unione Europea, Italia e Francia tale tappa era prevista al 31 gennaio 2010. Si tratta quindi di un ritardo di cinque anni.
La decisione di iniziare i lavori dipende da un protocollo apposito che i due Governi devono firmare e poi far ratificare dai rispettivi Parlamenti. Ricordiamo però che non ci saranno decisioni sino a quando non si conoscerà l’entità del finanziamento concesso dall’Unione Europea, condizione posta ripetutamente dal presidente francese.
Diamo però per scontato che, per l’ennesima volta, ci saranno organi di stampa, radio o TV che parleranno di “decisione presa”: noi invitiamo a leggere il testo originale e a non credere quelli che dicono di sapere cosa c’è scritto.
Per quanto riguarda i lavori al tunnel de La Maddalena, quello che conta è l’avanzamento medio: lo scavo del tunnel con metodi tradizionali è iniziato il 3 dicembre 2012, come dichiarato da Virano nel convegno di Lione. Quindi al 23 febbraio 2015 sono passati due anni e due mesi dall’inizio dello scavo e la media è di circa 2,8 metri al giorno. Lo scavo con la “talpa” TBM è iniziato il 15 novembre 2013, quindi da un anno e tre mesi, corrispondenti a una media di 4,6 metri al giorno. Una media accettabile di uno scavo con la TBM dovrebbe essere almeno di 10 metri al giorno.
Già in un caso precedente la TBM a La Maddalena aveva avuto un avanzamento maggiore del solito, ma si era trattato di una faglia, che poi aveva richiesto di essere fittamente armata e non aveva modificato la media.
Calcolando la media di avanzamento per raggiungere il primo terzo di scavo si può prevedere che per terminare il tunnel di circa 7200 metri occorreranno ancora 35 mesi, vale a dire che si terminerà a fine 2017, a fronte di una previsione di fine lavori entro il 2015. Due anni di lavori oltre il termine previsto, con un preventivo di spesa di 64 milioni di euro sui quali non ci saranno i contributi del 50% previsti sino alla fine del 2015.
Pro Natura Piemonte

La Corte d’assise: “No Tav, ecco perché l’assalto a Chiomonte non fu terrorismo”

http://torino.repubblica.it/cronaca/2015/02/23/news/no_tav_ecco_perch_l_assalto_a_chiomonte_non_fu_terrorismo-108007121/#gallery-slider=103115772
La Corte d'assise: "No Tav, ecco perché l'assalto a Chiomonte non fu terrorismo"

Depositate le motivazioni dell’assoluzione dei quattro militanti accusati di eversione: non c’è in Val Susa un contesto di particolare allarme e l’azione compiuta non era una minaccia grave allo Stato

23 febbraio 2015

 
 
Il “contesto” in cui maturò l’assalto al cantiere Tav di Chiomonte del 14 maggio 2013 “non era oggettivamente un contesto di particolare allarme” e “neppure l’azione posta in essere rivestiva una natura tale da essere idonea a raggiungere la contestata finalità” di terrorismo. Lo scrivono i giudici della Corte d’assise di Torino nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso dicembre hanno assolto dall’accusa di terrorismo i quattro attivisti No Tav a processo per il blitz al cantiere, condannandoli però a tre anni e mezzo di carcere per reati minori.

No Tav, imputati e amici esultano in tribunale

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“Pur senza voler minimizzare i problemi per l’ordine pubblico causati da queste inaccettabili manifestazioni – precisa la Corte – non si può non riconoscere che in Val di Susa non si vive affatto una situazione di allarme da parte della popolazione e che nessuna delle manifestazioni violente sino ad ora compiute ha inciso, neppure potenzialmente, sugli organismi statali interessati alla realizzazione dell’opera”.

Secondo i giudici “appare incontrovertibile la mancanza della volontà di attentare alla vita o alla incolumità delle persone presenti nel cantiere”, volontà che “non deve essere confusa con l’accettazione del rischio che quell’evento si realizzi”. Inoltre “l’armamentario utilizzato non era indice di una volontà diretta a nuocere alle persone (nelle azioni terroristiche è raro riscontrare l’utilizzo di fuochi pirotecnici, bengala, razzi e bottiglie molotov, senza la presenza di nemmeno un’arma da sparo o mitragliette)”.

BAD BANK….ALLE SOLITE….

povere banche…sempre soccorse ma eternamente sofferenti eppure fremono per un QE da regalare poi ad imprese e famiglie a costo zero…che angeli

Governo e Banca d’Italia hanno messo a punto un documento che ipotizza di affrontare il problema dei prestiti incagliati comprando dal gruppo Intesa la Società per la gestione delle attività creata per il salvataggio del Banco di Napoli. Quest’ultima acquisirà poi una parte delle cosiddette “sofferenze” e cercherà di riscuotere il possibile dai debitori.

Non si prevedono tempi lunghi per una soluzione anche se la normativa da mettere a punto è piuttosto complessa, coinvolgendo anche l’Europa e il problema degli aiuti di Stato..

Un ruolo chiave,  sarà svolto da Sga (Società per la gestione delle attività), cioè la società creata nel 1997 per il salvataggio del Banco di Napoli.. Il governo, stando alle bozze del documento su cui lavorano il vicedirettore generale di via Nazionale Fabio Panetta, il consigliere del premier Andrea Guerra e il capo della segreteria tecnica del Tesoro Fabrizio Pagani, intende acquisire da Intesa Sanpaolo – per un prezzo di circa 600 mila euro – l’intero capitale della spa, su cui peraltro il ministero dell’Economia ha un diritto di pegno, e affidarle l’iter della riscossione. Poi verrà lanciato un aumento di capitale (fino a 2,4 miliardi) per consentire agli istituti di credito che cederanno parte delle proprie sofferenze di diventare soci, accanto a Cassa depositi e prestiti, Bankitalia ed eventuali investitori privati.

Ancora da decidere come si procederà a quel punto. La partecipazione pubblica potrebbe fermarsi al 49%, con i privati al 32% e le banche al 19 per cento , con il vantaggio che la Sga resterebbe fuori dal perimetro dello Stato, o salire all’81 per cento rendendo così non necessario l’apporto di capitali privati, considerato “difficile” visto il contesto di mercato.

Una volta decisa e sistemata la struttura dell’azionariato, la società inizierà  (con il proprio capitale e emettendo obbligazioni con garanzia statale destinate a investitori istituzionali) ad acquistare una parte dei 180 miliardi di euro di prestiti incagliati che zavorrano i bilanci degli istituti di credito della Penisola. Il criterio di scelta? Per restringere il campo dovrebbero essere considerate “trattabili” solo le sofferenze costituite da debiti di imprese, e unicamente quelle di valore superiore a una soglia minima che potrebbe essere fissata a 300 mila o 500 mila euro. Circoscrivendo così il perimetro, a seconda di dove sarà posizionata l’asticella, a non più di 74 mila o 45mila soggetti debitori

Questa soluzione, per quanto configuri di fatto un aiuto di Stato, secondo gli autori della bozza non incorrerebbe nelle sanzioni di Bruxelles. Perché rientrerebbe tra gli aiuti “compatibili” in quanto destinati a “porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”.

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Nel silenzio generale, si sta montando la più grande operazione per il salvataggio dei grandi debitori mai vista in Italia. Si tratta di costituire una Bad Bank, cui cedere le sofferenze bancarie dei grandi debitori: quelli che per anni sono stati foraggiati, magari ad occhi chiusi, a suon di milioni di euro, e che ora si trovano in difficoltà per via della crisi.
I consueti amici degli amici, non certo gli artigiani, i commercianti o i semplici cittadini, riceverebbero un inatteso regalone: i loro debiti in sofferenza verranno impacchettati e ceduti ad un apposito Istituto, una “Bad bank” di proprietà consortile tra tutte le banche. Il trattamento di favore sarà riservato solo a loro, ai cosiddetti grandi clienti.
Le banche incasseranno subito l’importo del credito ancora iscritto in bilancio dopo la svalutazione: è denaro fresco, la famosa liquidità messa a disposizione della Banca d’Italia attraverso il Quantitative Easing deciso dalla BCE. Altro che nuovo credito!
Niente paura della “Bad bank”, però: è “cattiva” solo perché comprerà crediti ammalorati, ma non farà la “cattiva” con i grandi debitori. Le banche continueranno a mantenere i consueti rapporti: nessuno li metterà in difficoltà, chiedendo di saldare subito il credito residuo. Tanto meno saranno escusse le garanzie: pagheranno quando potranno, beati loro!
Per i grandi clienti non ci saranno cattive sorprese: niente ingiunzioni di pagamento, niente pignoramenti giudiziari, niente vendite forzate all’asta. La giustizia civile, il giudice della esecuzione, l’ufficiale giudiziario rimarranno solo per i comuni mortali, per i commercianti, gli artigiani. I cittadini che sono in ritardo per una rata di mutuo, magari dopo aver pagato regolarmente per anni ed anni, si troveranno in mezzo alla strada.
E’ per i comuni mortali che i tempi della giustizia vanno accelerati, è nei loro confronti che servono i tempi certi per il recupero dei crediti. E’ qui che il “mercato” deve fare carne di porco: sulla pelle della povera gente, sul sangue di coloro che hanno perso il lavoro o che si trovano con l’aziendina in difficoltà.
Gli spezzapollici sono già allertati. Gli avvoltoi volteggiano silenziosi sulle vittime predestinate. Alla gente comune verrà tolto tutto quello che è rimasto. Ai grandi debitori, no: a loro, verranno concessi nuovi prestiti per ricominciare. Avranno tutto il tempo che serve per restituire il debito residuo, alla Bad Bank.
Basta figli e figliastri! Basta patti scellerati a danno della gente comune. Se la crisi c’è, c’è per tutti.
La Bad bank non ci piace, ma se va fatta, va fatta per tutti.

Guido Salerno Aletta

http://scenarieconomici.it/bad-bank-per-tutti-per-nessuno-guido-salerno-aletta/

 Insomma,siamo alle solite….banche,banche,sempre banche….migliaia di miliardi regalati dalla BCE e ora anche lo Stato vuol ripulire i crediti inesigibili di banche private con denaro pubblici:

 L’ennesimo regalo alle banche, verso cui lo Stato corre ogni volta in soccorso scaricando come al solito i costi finali sui cittadini contribuenti,una follia…..ma l’efficiente funzionamento del sistema bancario non dovrebbe essere garantito prima di tutto dalle autorità di Vigilanza cui spetta il compito di controllare le banche e il loro corretto operato? Perchè mai dovrebbe intervenire il contribuente a ripulire i bilanci di questi usurai a seguito di scellerate operazioni?

 http://www.stavrogin2.com/2015/02/bad-bankalle-solite.html

Arriva “Memex”: il motore di ricerca per scovare i criminali online

Arriva un altro strumento di controllo. Siamo certi che il Pentagono si spreca per dar la caccia a pedofili e stupratori certo…….

Domenico Proietti 

2015/02/20

di Marina Crisafi

I criminali online hanno ormai le ore contate. È in arrivo infatti Memex il super motore di ricerca (sviluppato da Darpa, l’agenzia del Pentagono che si occupa delle ricerche avanzate in campo scientifico e tecnologico) che permetterà di contrastare la criminalità su internet facendo emergere notizie e informazioni estremamente utili alle forze dell’ordine.

Nato per combattere lo sfruttamento della prostituzione e riuscire a “tracciare” la rete degli sfruttatori, Memex può diventare uno strumento efficace per scovare diverse attività illecite del web, specialmente nel settore del traffico di esseri umani e al racket.

Come? Attraverso le sua capacità di ricerca e aggregazione dei dati.

È proprio questa l’innovazione del nuovo motore di ricerca: riuscire a far vedere quella parte di internet nascosta, il c.d. “deep web” (o “dark web”) che ai più resta sconosciuto. Sembra infatti che i cibernauti possano accedere solo al 5% dei contenuti. Memex promette di riuscire ad accedere al restante 95% (insomma la parte coperta dell’iceberg), aiutando così le forze dell’ordine a raccogliere le informazioni necessarie per le indagini sui crimini informatici.

Spesso, infatti, questo tipo di attività viene svolta “manualmente”, attraverso il reperimento di piccoli frammenti di informazione sparsi nella rete che consentono di seguire determinate tracce risalendo alle connessioni tra diversi siti. Ma quando queste informazioni svaniscono nel deep web le cose si complicano e proseguire le ricerche diventa difficile o se non impossibile.

Ecco dunque che viene in aiuto il motore di ricerca Memex che estrarrà i dati sulla base degli elementi indicati (come un qualsiasi motore appunto), con in più la capacità ricercare non solo testi, ma anche immagini e coordinate di localizzazione. Il motore è in grado anche di decifrare i numeri che appaiono in un’immagine e soprattutto di fare un’analisi comparativa dei dati e di aggregare automaticamente i risultati.

Per fare un esempio pratico, se si fa un’indagine sullo sfruttamento della prostituzione, come spiega il direttore del progetto Chris White, si può arrivare ad intercettare lo scambio tra domanda e offerta e questo permette alle autorità di rintracciare i responsabili e di impedire che nuove vittime finiscano nella rete della criminalità organizzata o del racket.

Partendo, infatti, dai numerosi annunci di offerte sessuali online, Memex potrà anche fornire una localizzazione precisa (ad esempio riconoscendo gli sfondi delle immagini e individuare una stanza d’albergo, un appartamento, e altro).

– See more at: http://guardforangels.altervista.org/blog/arriva-memex-il-motore-di-ricerca-per-scovare-i-criminali-online-fonte-arriva-memex-il-motore-di-ricerca-per-scovare-i-criminali-online/?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews#sthash.8ADHPHyX.dpuf

Intanto in Ucraina, Torna di Brutto il Mercato Nero per Avere Dollari e Euro

Di FunnyKing , il 20 febbraio 2015 10 Comment
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Dunque ci risiamo, le autorità Ucraine forzano un finto cambio ufficiale tra Grivnia e Dollari (e Euro). Un cambio al quale le banche non effettuano alcuna transazione, vediamo le differenze.

Ufficiale: 28 Grivnie per 1 $

Schermata 2015-02-20 alle 23.19.12

Cambio Nero, ovvero quello VERO: intorno a 31

Schermata 2015-02-20 alle 23.22.37

Con una differenza che per ora è del 10%.

Insomma, verso l’infinito e oltre.

http://www.rischiocalcolato.it/2015/02/intanto-in-ucraina-torna-di-brutto-il-mercato-nero-per-avere-dollari-e-euro.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+blogspot%2FHAzvd+%28Rischio+Calcolato%29

TSIPRAS, UN ALTRO FALSO LEONIDA

Tsipras-Junker

Il presidente John Fitzgerald Kennedy dichiarò, durante il suo discorso di insediamento, «Non dovremo mai negoziare per paura».

 Tsipras prima che venisse eletto sembra dovesse interpretare il ruolo di Leonida contro il temibile Serse, interpretato dalla Troika.

Si parlava di uscita dall’euro, di rivedere tutti i trattati europei, di non dare nemmeno un centesimo di euro a FMI e a BCE, di rinnegare le riforme strutturali imposte dall’Ue.

 E adesso, dopo le elezioni, che è successo al nostro Leonida-Tsipras?

Dove è finito il suo coraggio nel manifestare contro il temibile mostro della troika?

 Adesso Tsipras e il suo valoroso prode Varoufakis sembrano accontentarsi anche solo di un allungamento del piano debitorio.

 La situazione del debito pubblico greco è la seguente: esso ammonta a 323 miliardi di euro, pari al 177% del Pil. Di questi, il 15% è detenuto dal settore privato, il 10% dal Fondo monetario internazionale e il 6% dalla Bce. Il grosso del debito, ossia il 60% del totale, pari a 195 miliardi di euro, è in mano agli altri governi dell’eurozona. Di questi 195 miliardi, 142 miliardi sono arrivati alla Grecia attraverso l’Efsf, il Fondo europeo di stabilità finanziaria (noto come “Fondo salva-stati”); 53 miliardi sono invece il frutto di prestiti bilaterali ricevuti dagli altri stati membri. 

I paesi più esposti al debito greco sono la Germania (56 miliardi), la Francia (42 miliardi), l’Italia (37 miliardi), la Spagna (24 miliardi) e l’Olanda (11 miliardi).

 Tsipras, rinnegando le affermazioni pre-elettorali, ha dichiarato di voler ripagare tutto ciò che deve alla troika (il 16% del debito). Inoltre, nessuno dei paesi creditori sarebbe disposto ad un haircut del proprio debito verso la Grecia.

Anzi stiamo al peggio del peggio: il Governo greco deve presentare una richiesta di estensione del piano di salvataggio europeo entro il 16 febbraio. In caso contrario non avrà più il sostegno finanziario della Ue. L’ultimatum viene da Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo.

 Io credo che non ci debbano essere compromessi o patti di alcun tipo con coloro che hanno distrutto la dignità di un popolo.

Tsipras avrebbe dovuto rispondere a Draghi, Merkel e alla troika tutta come Achille rispose ad Ettore nell’Iliade:

<< Ettore, tu, maledetto, non parlarmi di accordi!
Come non esistono patti affidabili tra i leoni e gli uomini,
né possono lupi ed agnelli avere cuore concorde,
ma sempre gli uni degli altri vogliono il male,
così non possiamo tu ed io essere amici, né ci saranno
patti fra noi, prima che uno dei due caduto
sazi di sangue Ares, il guerriero armato di scudo.>>

Non si fanno patti col nemico, lo si affronta con coraggio e a viso aperto. Non farlo significa continuare ad abusare della speranza di un popolo ormai nel baratro.

 Salvatore Tamburro

http://salvatoretamburro.blogspot.it/2015/02/tsipras-un-altro-falso-leonida.html

Anche per i sauditi è l’ora dell’austerity

The Wall Street Journal Europe

di Summer Said

 Il rifiuto dell’Arabia Saudita di porre un freno alla produzione di petrolio alla fine dello scorso anno ha favorito l’innesco del crollo dei prezzi, che ha danneggiato i Paesi produttori e le società energetiche quotate. Adesso comincia a soffrire anche la compagnia petrolifera del Regno saudita.

 Di conseguenza, secondo indiscrezioni, il gruppo statale Aramco sta studiando dei sistemi per tagliare i costi un po’ ovunque, dalle pressioni sui subappaltatori per avere accordi più vantaggiosi sui servizi di estrazione alla negoziazione di sconti sulle bollette telefoniche e dell’elettricità.Inoltre la compagnia, che è il maggiore produttore di petrolio al mondo, secondo alcune fonti, sta considerando di ridurre del 25% le spese future per la produzione e la prospezione, proprio come stanno facendo le compagnie petrolifere private. «Come chiunque altro, stiamo sfruttando la flessione come un’opportunità per affinare la nostra disciplina finanziaria», ha dichiarato il mese scorso il ceo di Aramco, Khalid Al Falih, durante il World Economic Forum di Davos. «Stiamo operando tagli su diversi elementi, ma siamo più dediti che mai alla nostra strategia di lungo periodo».

 Queste misure dimostrano il rischio che l’Opec si è assunta quando lo scorso novembre ha deciso di rinunciare alla tradizionale operazione di taglio della produzione volta a sostenere i prezzi. La decisione dei sauditi ha colpito le grandi compagnie petrolifere quotate in borsa, come Royal Dutch Shell e Chevron, ma ora sta cominciando a colpire anche le compagnie petrolifere statali.

 Non solo stanno diminuendo gli introiti destinati alle casse statali, ma le società statali dei Paesi dell’Opec, come le loro controparti private, stanno operando dei tagli che potrebbero rendere difficile approfittare del ritorno degli aumenti delle quotazioni del greggio. Si tratta di un territorio inesplorato per Aramco, che tra il 2011 e il 2014, quando i prezzi erano superiori ai 100 dollari al barile, aveva aumentato le spese di estrazione petrolifera e aveva lanciato i primi investimenti nella produzione offshore. Ma a partire dal giugno scorso, il prezzo del Brent si è praticamente dimezzato, attestandosi intorno ai 60 dollari al barile.

 Di certo, i tagli di spesa sono esigui per Aramco e per le altre compagnie del Golfo, i cui costi di produzione sono molto inferiori rispetto alla maggior parte dei concorrenti internazionali, e i vertici del gruppo sostengono che non minacceranno i livelli di produzione dei grandi giacimenti di Arabia Saudita, Kuwait o Emirati Arabi Uniti. I tagli, inoltre, non sembrano essere profondi quanto gli interventi attuati in seguito al crollo del petrolio avvenuto a metà degli anni 80, quando Aramco e altre società licenziarono migliaia di dipendenti, tagliando la produzione ai minimi storici.

 D’altra parte, le compagnie statali come Aramco e le altre del Golfo detengono il monopolio della produzione delle proprie enormi riserve di greggio e non devono rendere pubblici i propri conti, quindi è difficile sapere precisamente quanto progettino di spendere e di tagliare o se stiano avendo delle perdite. Tuttavia, l’oro nero a questi livelli di quotazione ha dato modo di avere una nuova conoscenza dei costi affrontati dalle compagnie petrolifere statali del Golfo Persico.

 Secondo indiscrezioni, lo scorso dicembre, il governo saudita ha suggerito ad Aramco di operare dei tagli. E Aramco, che generalmente basa i suoi investimento sulla domanda e l’offerta di petrolio, sta cercando di portare avanti alcuni progetti a un costo inferiore, mentre ne ha rimandati altri finché il panorama del mercato petrolifero non sarà più chiaro. Visto che i prezzi del petrolio restano bassi, i piani alti di Aramco stanno considerando di ridurre le spese di produzione e di prospezione da 40 a 30 miliardi di dollari l’anno, secondo fonti del settore.

 Aramco, inoltre, si è unita ad altre compagnie petrolifere, grandi e piccole, che stanno spingendo aggressivamente per ottenere sconti dai fornitori, compresi gli operatori delle telecomunicazioni e i fornitori di energia elettrica. La compagnia saudita ha infatti convocato nei propri uffici di Khobar le società di servizi petroliferi, comprese Baker Hughes, Halliburton e Schlumberger, per chiedere loro uno sconto del 20% su alcuni servizi, come le procedure di analisi dei pozzi. Secondo una fonte, Baker Hughes ha offerto un piccolo sconto, ma Aramco ha insistito per il 20%.

 Le due parti stanno ancora discutendo per trovare un accordo, ma non è stato cancellato alcun contratto. Sul tema, Halliburton, Baker Hughes e Schlumberger non si sono rese disponibili per un commento. Il mese scorso, in occasione di una conferenza per la comunicazione dei dati trimestrali, il ceo di Baker Hughes, Martin Craighead ha affermato che la società è in trattative con «le più grandi compagnie petrolifere che si avvalgono di un intrico piuttosto sofisticato di appaltatori» per una riduzione dei prezzi. Durante una conferenza per la trimestrale di Schlumberger, il ceo Paal Kibsgaard ha reso nota l’ipotesi molto probabile di una riduzione della spesa in Medio Oriente.

 Sempre in occasione di una telefonata, il presidente di Halliburton, Dave Lesar, ha previsto l’arrivo di «venti contrari» in Medio Oriente, sebbene ritenga che la società sia più resistente degli altri soggetti, in particolare per gli ultimi appalti con l’Arabia Saudita. Una fonte ha riportato che Aramco ha rimandato di un anno il progetto di costruire un impianto di combustibili ecologici da 2 miliardi di dollari, ha sospeso le perforazioni in mare aperto, la prospezione di gas e le attività di trivellazione nel mar Rosso poiché la redditività di queste operazioni è ora in discussione.

 I geologi hanno stimato che l’area saudita del mar Rosso potrebbe detenere l’equivalente di più di un terzo delle riserve di petrolio e gas note del Regno, ma questi bacini sono anche molto costosi da sfruttare rispetto ai progetti onshore. Secondo la società di consulenza energetica norvegese Rystad Energy, a livello mondiale i progetti in acque profonde generalmente necessitano che il petrolio sia intorno ai 53 dollari al barile per raggiungere il pareggio.

 Aramco non è l’unica grande compagnia petrolifera statale che sta cercando di ridurre i costi. Suhail bin Mohanned al-Mazroui, ministro del petrolio degli Emirati Arabi Uniti, il mese scorso ha affermato che il suo Paese, insieme ad altri produttori, avrebbe ridotto i costi degli appaltatori per adattarsi al calo delle quotazioni del petrolio. «Le società di servizi e gli appaltatori dovranno comprendere che si tratta di un ciclo», ha affermato in occasione di una convention sull’energia a Dubai.

 Qatar Petroleum ha invece annunciato all’inizio dell’anno di aver accantonato un progetto in partnership con Shell legato al settore petrolchimico. Secondo indiscrezioni, in Oman, un Paese del Golfo con riserve e produzione di petrolio contenute e non membro dell’Opec, la compagnia petrolifera statale Petroleum Development of Oman a dicembre ha rimandato la concessione settennale di un appalto da 1 miliardo di dollari per la fornitura e la gestione della produzione petrolifera. Il governo ha informato gli offerenti che, prima di impegnarsi in grandi opere, si dovrà attendere un anno per vedere come si evolvono le quotazioni del petrolio, ha riferito una fonte dei vertici dell’Oman.

 Ma anche se Aramco comincia a soffrire, l’Opec non sembra incline a cambiare strategia, almeno non prima del prossimo incontro di giugno. Peraltro, questa settimana Pira Energy Group, una società di ricerca di New York, ha comunicato che i sauditi stanno pompando più greggio del solito, sui 10 milioni di barili al giorno, avvicinandosi così alla capacità stimata di Aramco. (riproduzione riservata)

 traduzione di Giorgia Crespi

http://www.milanofinanza.it/news/anche-per-i-sauditi-e-l-ora-dell-austerity-201502201854597009?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Il Pd regala un monastero allo chef Carlo Cracco, costato ai contribuenti circa 13 milioni di euro

21/02/2015 

Sandro Bulgarella

Lo chef stellato Carlo Cracco riceverà, in comodato gratuito, l’ex convento dell’Annunciata, proprietà del comune di Abbiategrasso. Il monastero è stato restaurato nel 2007 ed è costato ai contribuenti circa 13 milioni di euro. All’interno della giunta comunale scatta la polemica per la generosa concessione. L’Annunciata verrà “regalata” per un anno, in vista di possibili investimenti dello stesso Cracco. L’apertura di una scuola di cucina permanente. Nel frattempo l’associazione Maestro Martino, di cui lo chef è presidente, organizzerà eventi legati a Expo 2015 e si impegnerà a pagare solo le spese vive. Nessun canone per il giudice di Masterchef.

 La polemica – Il monastero costa 130 mila euro all’anno. E secondo la giunta le spese aumenterebbero se andasse in porto l’affare Cracco. Il capogruppo della lista di centrosinistra “Cambiamo Abbiategrasso”, Domenico Fineguerra, dichiara così il suo disappunto al Corriere della Sera: “Per i matrimoni civili, il costo del monastero è di 500 euro a cerimonia, mentre per Cracco è tutto gratis”. Non mancano voci contrarie neanche dal centrodestra. E il consigliere di Forza Italia, Valter Bertani, afferma di non escludere il ricorso alla Corte dei Conti.

 La difesa – Ma il sindaco Pd della cittadina, Pierluigi Arrara, difende l’idea: “Le polemiche dimostrano una grande miopia politica. Si critica il fatto che un bene pubblico sia concesso in uso a un privato e questa visione è di un vecchiume ormai superato dai fatti”. La presenza di Cracco, continua il primo cittadino, “Porterà a Abbiategrasso un pubblico diverso e visitatori che sarebbero difficili da intercettare in altro modo. Sarà nostra bravura saperli portare dall’Annunciata a conoscere il resto della città”.

 Fonte: http://www.liberoquotidiano.it/news/milano/11758847/Carlo-Cracco–il-Pd-gli.html

http://gek60.altervista.org/2015/02/il-pd-regala-un-monastero-allo-chef-carlo-cracco-costato-ai-contribuenti-circa-13-milioni-di-euro/