Alta velocità: opere e capitalismo.

di Ivan Cicconi.

Le grandi opere sono diventate il totem dei faccendieri della grande impresa post-fordista, con cui apparecchiare la tavola alla quale invitare i mariuoli dello stato post-keynesiano.

La grande impresa del capitalismo globalizzato è caratterizzata da una organizzazione fondata sul cosiddetto outsourcing, che sta ad identificare un processo di scomposizione e svuotamento della fabbrica fordista, che passa da un’organizzazione “a catena piramidale” ad un sistema “a rete virtuale”.

Questo modello di impresa non può che essere orientato al controllo dei fattori finanziari e di mercato e sempre meno ai fattori della produzione. E’ una grande impresa virtuale che inevitabilmente scarica, attraverso una ragnatela di appalti e subappalti, la competizione verso il basso e induce, anche nella piccola e media impresa, una competizione tutta fondata sullo sfruttamento del lavoro nero, grigio, precario, atipico.

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La grande opera è l’unico prodotto che può consentire a questo modello di impresa virtuale di funzionare: in alcuni casi massimizzando i profitti, in altri permettendogli semplicemente di sopravvivere. Essa è il piatto più ambito e consumato sulla tavola della nuova tangentopoli, nella in cui i faccendieri post-fordisti possono azzannare beni e risorse pubbliche, insieme ai mariuoli dei partiti virtuali dello Stato post-keynesiano. Le grandi opere consentono alla classe dirigentesul debito pubblico le risorse necessarie alla sua realizzazione. In tal senso, il progetto TAV ha costituito un modello di architettura finanziaria e contrattuale.

In esso si realizza una sorta di privatizzazione della committenza pubblica, attraverso l’affidamento in concessione della progettazione, costruzione e gestione dell’opera pubblica ad una società di diritto privato (Spa), ma con capitale tutto pubblico (TAV Spa appunto, ma anche Stretto di Messina Spa, e le migliaia di Spa di questo tipo). La Spa pubblica nel modello TAV serve solo per garantire al contraente generale (il privato) il pagamento oggi del 100% del costo della progettazione e della costruzione e di mantenere per sé (il pubblico) il rischio del recupero dell’investimento con la gestione (i debiti pubblici futuri).

Oltre ad un progressivo ricorso al contratto di concessione, nel quale la funzione del committente si trasferisce al privato e l’elemento finanziario diventa fondamentale, si sono introdotti ulteriori istituti contrattuali nei quali il regime privatistico ed il fattore finanziario sono dominanti. Ai contratti tipici se ne sono aggiunti altri (il project-financing, il global-service, il contraente generale, il contratto di disponibilità, il leasing immobiliare), nei quali la filiera del sistema della sub contrattazione non solo diventa più lunga e più articolata, ma si rendono anche inutilizzabili o di difficile applicazione le norme di contrasto della mafia, della corruzione o di tutela del lavoro, che sono state concepite e codificate per procedure di affidamento tradizionali, in particolare per l’appalto tipico. In questi casi infatti il contraente principale può sub-affidare tutte le attività in un regime privatistico, sottratto alle regole della gestione degli appalti pubblici.

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Con l’uso di questi nuovi istituti contrattuali, ed in un contesto nel quale il fattore finanziario pesa in modo decisivo, si determinano condizioni che offrono opportunità straordinarie proprio a quei soggetti che, oltre a disporre di denaro a costo zero, hanno l’esigenza di riciclare capitali di provenienza illecita. Se infatti già nel contratto di appalto è connaturata una fisiologica esposizione finanziaria dell’appaltatore: sia per l’attività svolta, con la quale anticipa le risorse necessarie, sia per il patologico ritardo nei pagamenti della pubblica amministrazione; con i nuovi istituti contrattuali il valore finanziario si dilata enormemente fino a diventare il fattore determinante.

Con la diffusione delle concessioni e delle società di diritto privato controllate o partecipate, siamo allo stesso livello della ricontrattazione del debito con le operazioni dei “derivati”, che scaricano sui debiti futuri gli oneri di convenienze virtuali immediate.

Qui però stiamo parlando non di qualche decina di miliardi di euro, bensì di centinaia di miliardi di debiti che si sono già accumulati e che emergeranno solo fra qualche anno nei bilanci correnti degli enti locali che si sono avventurati in queste operazioni.

Stiamo parlando di un numero semplicemente straordinario di contratti e di società che operano in un regime di diritto privato, che sono fuori dalle regole e dal controllo della contabilità pubblica. Una marea di attività economiche, controllate, determinate e gestite da Consigli di Amministrazione delle Spa nominati dai partiti, in cui il ruolo ed i rapporti fra politici, tecnici e imprenditori si confondono e diventano sempre più intercambiabili e intercambiati. La spesa pubblica dunque non è più pilotata dalla transazione occulta della tangente, ma è diventa puramente e semplicemente carne di porco azzannata direttamente e senza intermediazioni da partiti, imprese e boiardi.

La triangolazione tipica del sistema di tangentopoli è stata ampiamente sostituita da un sistema di relazioni e di convenienze più immediato e più complesso, nel quale gli illeciti sono molto più difficilmente contrastabili. In questo contesto, emerge pure un evidente paradosso: l’organizzazione mafiosa è nelle condizioni più favorevoli possibili per partecipare a questa fuga dalle regole, poiché in essa trova il suo habitat naturale: irresponsabilità dei tecnici nella gestione delle risorse; presenza diffusa, confusa e mascherata, della partitocrazia nelle istituzioni e nelle spa collegate; partiti frantumati, assenti nella società, vivi e vegeti e radicati solo nelle istituzioni e nelle spa lottizzate.

LES NEONAZIS DE PRAVIY SEKTOR A L’ASSAUT DANS L’EST UKRAINIEN

 EUROPÄISCHER WIDERSTAND / avec RIA Novosti – lucmichel.net – PCN-SPO /
EST DE L’UKRAINE : BATAILLONS DE PRAVIY SEKTOR CONTRE LES CIVILS
(MINISTRE RUSSE CHOÏGOU)
Des unités de la Garde nationale et des bataillons du mouvement néonazi Praviy Sektor (Secteur droit) sont lancés contre les civils dans l’est de l’Ukraine, a indiqué jeudi le ministre russe de la Défense Sergueï Choïgou. « Des unités de la Garde nationale et des bataillons d’extrémistes de Pravy Sektor sont lancés contre les civils (…). La répression des protestations pacifiques de la population civile est effectuée par des unités spéciales du service de sécurité et du ministère de l’Intérieur de l’Ukraine », a déclaré le ministre avant une réunion de la direction collégiale du ministère russe de la Défense.

Et d’ajouter que plus de 11.000 hommes, quelque 160 chars, plus de 230 véhicules de transport de troupes et de blindés, au moins 150 canons et mortiers, ainsi que l’aviation participaient à l’opération spéciale dans le sud-est de l’Ukraine.
Le ministère fantoche ukrainien de l’Intérieur a annoncé ce jeudi matin que des unités de la police et de l’armée avaient détruit à Slaviansk trois postes de contrôle installés par les partisans de la fédéralisation et tué cinq membres d’entre eux. Les adversaires du régime en place à Kiev ont fait état de deux morts et de plusieurs blessés dans leurs rangs.

EW

L’ARMEE RUSSE A LA FRONTIERE UKRAINIENNE

# LUCMICHEL.BXL / avec RIA Novosti – PCN-SPO /

UKRAINE: L’ARMEE RUSSE LANCE DE NOUVELLES MANOEUVRES A LA FRONTIERE « EN REPONSE » A LA GUERRE LANCEE PAR LA JUNTE DE KIEV CONTRE SON PROPRE PEUPLE

L’armée russe a lancé de nouvelles manoeuvres à la frontière avec l’Ukraine en réponse à l’opération militaire lancée par les autorités de Kiev contre les séparatistes pro-russes dans l’est du pays, a annoncé jeudi le ministre russe de la Défense Sergueï Choïgou. “Nous sommes contraints de réagir à un tel développement de la situation”, a déclaré M. Choïgou, cité par les agences russes. “Des exercices des unités des districts militaires du Sud et de l’Ouest ont débuté”, a-t-il indiqué. “L’aviation effectue des vols (…) près de la frontière”, a-t-il ajouté.

Le ministre a exprimé sa “grande préoccupation” quant à l’assaut meurtrier lancé par les troupes ukrainiennes contre les séparatistes à Slaviansk, bastion des insurgés pro-russes dans l’Est, qui a fait “jusqu’à cinq morts” dans les rangs des insurgés selon Kiev, et un soldat ukrainien blessé.

“Le feu vert donné à l’utilisation d’armes contre les civils de son propre pays a déjà été donné. Si on n’arrête pas cette machine militaire aujourd’hui, cela mènera à un grand nombre de morts et de blessés”, a dit M. Choïgou. Il a affirmé que plus de 11.000 soldats ukrainiens avaient été envoyés pour l’opération contre les séparatistes, qui seraient eux un peu plus de 2.000, selon lui.

“Le rapport de force est clairement inégal”, a-t-il jugé.

Un peu plus tôt, le président russe Vladimir Poutine avait déclaré que l’opération de Kiev dans l’Est était un “crime grave” et que cela aurait “des conséquences”. Il n’avait toutefois pas précisé leur nature.

ALERTE ROUGE/ INFOS EXCLUSIVE SUR LA GUERRE CIVILE EN UKRAINE

# LUCMICHEL.NET / LM & FB / Alerte Info Rouge / 2014 04 24/

avec Correspondances en Ukraine – LVDR – AFP – PCN-SPO/

Analyse et infos exclusives /

 GUERRE CIVILE EN UKRAINE : L’INTERVENTION DE L’ARMEE A SLAVIANSK – ‘C’EST UN CRIME CONTRE LE PEUPLE’ (POUTINE)

 « Ayant commencé une opération au Sud-est de l’Ukraine, les autorités de Kiev ont entamé une opération punitive contre leur propre peuple », a indiqué le président russe Vladimir Poutine lors d’une séance plénière du Premier forum médiatique des médias régionaux et locaux indépendants à Saint-Pétersbourg. « Par ailleurs, de telles actions des autorités de Kiev auront des conséquences négatives sur les relations bilatérales entre Moscou et Kiev », a ajouté Poutine. « C’est un crime très grave contre son propre peuple”, a lancé le président russe Vladimir Poutine. Il a averti que cette opération auraient “des conséquences pour les gens qui prennent ces décisions” alors que le leader des séparatistes de Slaviansk Viatcheslav Ponomarev lui a demandé dimanche d’envoyer les troupes russes.

 LA JUNTE NEOFASCISTE DE KIEV CHOISIT LA GUERRE CIVILE ET LE BAIN DE SANG EN LANCANT SON ARMEE ET SES MILICES

 La junte de Kiev a lancé jeudi un assaut meurtrier contre les séparatistes à Slaviansk, bastion des insurgés pro-russes dans l’Est, aussitôt dénoncé par Vladimir Poutine comme “un crime” qui aura des conséquences. Les affrontements entre les troupes ukrainiennes et les séparatistes à Slaviansk “ont fait jusqu’à cinq morts” dans les rangs des insurgés et un soldat ukrainien blessé, a annoncé le ministère fantoche ukrainien de l’Intérieur en ajoutant que trois barrages séparatistes à l’entrée de la ville ont également été “détruits”. Sur le terrain des journalistes de l’AFP ont entendu dans la matinée des échanges de tirs à un barrage des insurgés à une entrée nord de Slaviansk puis vu plusieurs blindés, dont l’un arborant le drapeau ukrainien, passer le poste de contrôle, enflammé par les pro-russes. Les blindés ont cependant battu en retraite et n’étaient plus visibles sur ce barrage en début d’après-midi.

 Le leader séparatiste local de la ville de plus de 100.000 habitants, Viatcheslav Ponomarev, a ordonné aux civils de quitter la mairie. “Les écoles ont été fermées dans les localités voisines de Slaviansk”, ont indiqué les autorités régionales, qui ont, elles, fait état d’un bilan d’un mort. Slaviansk est depuis plusieurs jours entièrement contrôlée par les insurgés pro-russes. Des hommes armés de fusil d’assaut, en treillis sans insigne et cagoulés y occupent plusieurs bâtiments publics.

 Des combats ont lieu aussi à la mairie de Marioupol, un port de près de 500.000 habitants dans le Sud-Est. Plus au nord, « un soldat a été blessé lors d’un assaut des séparatistes contre une base militaire à Artemivsk » affirme la junte. A Kiev, le ministre fantoche de l’Intérieur Arsen Avakov – qualifié de ‘criminel’ par Moscou – a promis “une réponse sévère, jusqu’à l’élimination, aux terroristes” !

 NOS INFOS EXCLUSIVES SUR L’ATTAQUE DE KIEV, LA PARTICIPATION DES NEONAZIS A L’ASSAUT ET … LES MUTINERIES DANS L’ARMEE UKRAINIENNE

 Des habitants de la ville de Melitopol, région voisine de Donetsk ont rapporté des mouvements d’équipements militaires lourds. Des témoins ont filmé à Melitopol une colonne de chars qui est passée à travers la ville. Dans le village proche de Novobohdanivka c’est l’artillerie automotrice qui se déplaçait. C’est donc bien du matériel militaire lourd que Kiev mobilise contre la région du Donetsk.

 Par ailleurs, Dmitry Jaros le führer de la milice nazie “Secteur Droit” a déclaré qu’il participe personnellement à la bataille à la tête du bataillon spécial “Donbass” qui prendrait part à la répression de la Junte fasciste de Kiev.

 Nos correspondants nous rapportent que plusieurs cas de rébellion ont été constatés dans l’armée ukrainienne. En particulier dans la 93e brigade mécanisée de la région de Tcherkassy près de Dniepropetrovsk.

 Le conflit a commencé entre les enrôlés et les soldats mobilisés des unités militaires de la région. Les soldats sont mécontents des conditions de vie et de l’absence de nourriture. Ils ont refusé d’obéir au commandement et les officiers ont utilisé leurs armes pour éviter de perdre totalement le contrôle. Dans ces conditions, l’armée ukrainienne n’est pas sûre pour participer pleinement à la répression du soulèvement populaire en Ukraine.

 LA VRAIE QUESTION : QUE VA FAIRE MOSCOU ?

 La tension ne cesse de monter et Moscou, après avoir évoqué la possibilité d’une intervention militaire si ses “intérêts légitimes” étaient menacés dans l’ex-république soviétique, a lancé une charge justifiée contre les Occidentaux qui utilisent l’Ukraine comme un “pion dans le jeu géopolitique”. Hier, le chef de la diplomatie russe Sergueï Lavrov avait averti que son pays était prêt à intervenir si ses intérêts étaient menacés dans l’Est de l’Ukraine, faisant le parallèle avec l’Ossétie du Sud.  En août 2008, l’armée russe était entrée en Géorgie en réaction à des attaques géorgiennes contre cette république pro-russe, où Moscou maintient des troupes jusqu’à présent après en avoir reconnu l’indépendance ainsi que celle de l’Abkhazie, une autre république autoproclamée. 

 Ce Jeudi, M. Lavrov a mis en cause les Occidentaux qui utilisent selon lui l’Ukraine comme “un pion dans le jeu géopolitique”. “En Ukraine, les Etats-Unis et l’Union européenne (…) ont tenté de mener une nouvelle +révolution de couleur+, une opération de changement de régime contraire à la Constitution”, a-t-il déclaré. Les autorités russes ne cessent de dire fort justement que les populations ukrainiennes d’origine russe sont menacées par les nationalistes qui soutiennent le pouvoir pro-occidental en place à Kiev depuis la destitution de Viktor Ianoukovitch.

 Surtout le ton a changé à Moscou. Utilisant le langage dur qui est le nôtre, Poutine vient aussi de déclarer – ce que ne dit pas l’AFP – – que maintenant on va appeler Kiev « la Junte ou la clique » …

 Luc MICHEL & Fabrice BEAUR

Genocidio armeno, un appello per non dimenticare

http://www.repubblica.it/cultura/2014/04/22/news/genocidio_armeni_turchia_commemorazione-84142992/?ref=HREC1-15

Genocidio armeno, un appello per non dimenticare

A un secolo dalla strage in cui furono assassinati circa un milione e mezzo di persone, una petizione europea online contro il negazionismo e per la giustizia e la democrazia

22 aprile 2014
 
Pubblichiamo l’appello dell’associazione “Remember 24 april 1915” (www.remember24april1915.eu) che, con una petizione online, vuole commemorare e ricordare il genocidio armeno avvenuto circa un secolo fa.
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Nel 1915 un milione e mezzo di armeni furono assassinati nell’Impero Ottomano seguendo un piano stabilito in anticipo ed eseguito metodicamente con lo scopo ultimo di distruggerne la civiltà. Gli armeni furono così vittime di un genocidio che sarebbe diventato un riferimento funesto per coloro che vennero dopo. Da allora, i governi turchi che si sono succeduti hanno combattuto energicamente per far dimenticare questo triste episodio del passato del loro paese.Ancora oggi, soprattutto in Turchia, il semplice fatto di enunciare questa verità storica scatena, contro coloro che lo fanno, una violenta opposizione, minacce fisiche e in qualche caso perfino la morte. Il negazionismo alimenta il razzismo e l’odio contro gli armeni e altre minoranze non musulmane. Alcuni vorrebbero far credere che ammettere la realtà del genocidio armeno sia un attacco contro tutti i turchi e contro la stessa natura turca, quando di fatto si tratta di un attacco al negazionismo e di un passo avanti per la giustizia e la democrazia.

Da alcuni anni, ormai, una parte della società civile turca organizza con coraggio la commemorazione del genocidio armeno. Poco alla volta si è andato formando e ampliando un circolo virtuoso di verità e di giustizia, che riunisce sempre più persone, unite in una commovente dimostrazione di umanità per far fronte al discorso negazionista ufficiale. L’anno scorso, per la prima volta in quasi un secolo, una delegazione straniera composta da dirigenti della diaspora armena e da dirigenti antirazzisti europei, ha preso parte alle commemorazioni in Turchia, rispondendo all’appello alla solidarietà lanciato dalla società civile turca.

Tutti insieme il 24 aprile 2013 abbiamo dimostrato che coloro che in Turchia ammettono e commemorano il genocidio armeno sono di giorno in giorno più numerosi. Abbiamo fatto vedere che una parte della società turca, attaccata ai valori della democrazia e dei diritti dell’uomo, è pronta ad affrontare il suo passato con lucidità.

Quest’anno, tutti insieme –  militanti antirazzisti, dirigenti della società civile, cittadini impegnati, intellettuali, artisti turchi e di altri paesi europei, di origini diverse ma uniti dal desiderio di vedere infine riconosciuta la verità storica – commemoreremo in Turchia il 24 aprile 2014 il genocidio armeno, che fa parte del presente anche se siamo vicini al centesimo anniversario di quando fu perpetrato.

La nostra iniziativa condivisa è un’iniziativa di riconoscimento, di solidarietà, di giustizia e di democrazia. È un’iniziativa di riconoscimento perché permette simultaneamente ai membri della diaspora armena e agli armeni di Turchia, che resistettero all’esilio, di portare apertamente il lutto per i loro antenati, così come permette alle organizzazioni e ai turchi singolarmente di chiedere perdono ai discendenti delle vittime di alcuni dei loro antenati.

È un’iniziativa di solidarietà tra tutti coloro che si battono per la verità storica. Lo spartiacque non è tra turchi e ameni, ma tra coloro che si battono perché il genocidio armeno sia ammesso e coloro che promuovono il negazionismo. In sintesi, non è questione di origini, ma di un’idea, di un progetto comune.

È un’iniziativa di giustizia. Come dice Elie Wiesel “il genocidio uccide due volte, la seconda con il silenzio”: ciò significa che il negazionismo è la continuazione del genocidio, l’evento più violento al quale possa portare il razzismo. Combattere il negazionismo significa tentare di lenire il trauma trasmesso da una generazione all’altra nelle comunità armene. Significa battersi contro il razzismo, per una società più uguale e più giusta. Significa offrire alle nuove generazioni la possibilità di proiettarsi insieme verso il futuro.

Infine, la nostra è un’iniziativa per la democrazia. Non soltanto perché rimuovere il tabù del genocidio è un requisito indispensabile per far progredire la libertà di espressione in Turchia, ma anche perché – come ricordava spesso Jorge Semprun – la democrazia presuppone una certa vitalità da parte della società civile. Rafforzare i legami tra le società civili significa dare nuova forza a coloro che lottano per promuovere la democrazia in Turchia come nel resto d’Europa.

Di conseguenza, il 24 aprile prossimo commemoreremo insieme e in Turchia il genocidio degli armeni, o sosterremo coloro che lo faranno, e invitiamo tutte le persone che hanno a cuore il riconoscimento, la solidarietà, la giustizia e la democrazia a unirsi a noi per girare una volta per sempre la pagina di un secolo di negazionismo.
(traduzione di Anna Bissanti)

Hanno già firmato la petizione, tra gli altri, Bernard Henri LévyBernard KouchnerAdam MichnikTahar Ben JellounDario Fo e André Glucksmann.

FIRMA LA PETIZIONE

FERMARE IL NEGAZIONISMO RICORDANDO I GIUSTI

http://www.gariwo.net/pagina.php?id=10799

Di Baykar Sivazliyan

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Quest’anno ci accingiamo a commemorare il99° anniversario del Genocidio degli Armeni. Il Genocidio è stato il risultato di una terribile ideologia che si radicò nella mente e nell’anima dei Giovani Turchi, per salvare il salvabile dell’Impero ottomano, ormai da decenni “Malato d’Oriente”. L’Occidente fece la sua parte, sostanzialmente senza muovere un dito per fermare la carneficina, logorato a sua volta dal dramma della Prima Guerra Mondiale.

L’annientamento della popolazione armena da parte dell’Impero ottomano è il punto culminante di questo processo storico, e la mancanza di reazioni significative ed efficaci da parte della comunità internazionale alle nefande conseguenze dell’oppressione e della repressione nei confronti di un popolo intero costituì senza dubbio un importante precedente dell’Olocausto.

L’orrendo e sistematico sterminio delle popolazioni armene, oltre alle motivazioni nazionalistiche appena citate, è stato aiutato dalle origini antiche e profonde, radicate nel contesto della cultura islamica, dove la Sharija impone un modo di vivere che oltrepassa i confini della fede, stabilisce un complesso di norme dottrinali intangibili ed infallibili, che invade il tessuto sociale e politico della nazione – e si vedrà tragicamente nei fatti concreti – subordinando e assoggettando gli infedeli, imponendo restrizioni ai loro diritti sociali e politici.

Oggi, purtroppo, gli armeni devono fare i conti, oltre all’entità delle distruzioni umane e materiali, con un ottuso atteggiamento negazionista e accusatorio degli esecutori e con la mancanza di reazione del mondo esterno: la stessa Commissione di inchiesta Anatolica, nominata nel 1919 per le pressioni congiunte esercitate dalle Potenze vincitori della Prima Guerra Mondiale, non fu efficacemente risoluta nel condannare e punire i carnefici. Nel maggio del 1915, a Genocidio avviato,  gli Alleati – nella dichiarazione congiunta Foreign Relations of the United States – esprimono una condanna esplicita per i massacri, la connivenza e l’assistenza delle autorità ottomane, introducendo per la prima volta il termine di crimine contro l’umanità e ritenendone direttamente responsabile la Sublime Porta.

Di contro, il governo ottomano rispose dissimulando le vere intenzioni del massacro che però nel frattempo continuava a perpetrare in nome della sovranità dello Stato e della difesa delle proprie frontiere contro i traditori infedeli, senza doverne dare conto a governi stranieri. Chi organizzò e pianificò il genocidio si preoccupò allo stesso tempo di cercare di nascondere la verità. Per fare in modo di negare la premeditazione del massacro, i turchi deportarono la popolazione armena con il pretesto della guerra in corso; inoltre per effettuare la deportazione di queste persone vennero incaricate alcune tribù curde, in modo da coprire le responsabilità dei funzionari governativi.

Oggi una buona parte dell’armenità fonda le sue speranze e le radici della propria ferma convinzione nel fatto che a smuovere l’incrostazione ormai cronica del negazionismo statale turco sarà il ricordo e la valorizzazione dei Giusti per gli armeni. La figura di un governatore ottomano che si rifiuta di eseguire gli ordini ricevuti per la deportazione degli armeni della sua provincia, il semplice contadino turco che nasconde i bambini dei suoi vicini armeni deportati, possono costituire un inizio di un itinerario di pace e di comprensione, fra i discendenti dei sopravvissuti e i nipoti dei responsabili.

Gli armeni e i turchi sono “condannati” a convivere per i secoli a venire, le nuove generazioni delle due parti farebbero bene a iniziare un dialogo, guardandosi negli occhi e ricordando  semplicemente le gesta di coloro che non hanno girato la testa dall’altra parte.

MOSCOU INSISTE POUR QUE KIEV RETIRE SES TROUPES DE L’EST DU PAYS ET ACCUSE LES USA DE DIRIGER LA REPRESSION A KIEV …

Luc MICHEL/ En Bref / avec LVDR – AFP – PCN-SPO / 2014 04 23 /

 LM.NET - EN BREF ukraine Moscou hausse le ton (2014 04 23) FR

“Une attaque contre les citoyens russes est une attaque contre la Russie”

 – Sergei Lavrov.

 Moscou insiste pour que les autorités de Kiev retirent leurs troupes de l’Est de l’Ukraine, où elles ont relancé une “opération antiterroriste” contre des séparatistes pro-russes, a indiqué ce mercredi le ministère russe des Affaires étrangères.”La Russie insiste de nouveau sur la désescalade immédiate de la situation dans le Sud-Est de l’Ukraine, sur le retrait des troupes ukrainiennes et le début d’un réel dialogue inter-ukrainien avec toutes les régions et les formations politiques du pays”, a déclaré la diplomatie russe dans un communiqué.

 « CE SONT LES AMERICAINS QUI DIRIGENT CE SPECTACLE A KIEV »

 Les autorités ukrainiennes pro-occidentales ont relancé mardi, juste après une visite du vice-président américain Joe Biden, l'”opération antiterroriste” contre les séparatistes pro-russes en Ukraine, auparavant suspendue pour Pâques.

Le ministère a fustigé ce qui devient selon lui “une nouvelle règle (…) évidente”, soulignant que l’opération terroriste avait été lancée le 13 avril après une visite à Kiev du chef de la CIA John Brennan et qu’elle avait été relancée après celle de M. Biden.

Ces déclarations font écho à celles du chef de la diplomatie russe Sergueï Lavrov à la chaîne de télévision RT. “L’opération avait été déclenchée immédiatement après la visite à Kiev de John Brennan (et) il est clair qu’ils ont choisi le moment de la visite du vice-président américain pour annoncer (sa) reprise”, a-t-il déclaré ce mercredi. “Je n’ai aucune raison de ne pas croire que les Américains dirigent ce spectacle de la manière la plus directe”, a ajouté M. Lavrov.

 LA RUSSIE MENACE D’INTERVENIR « SI SES INTERETS SONT MENACES »

 La Russie répondra si ses intérêts sont attaqués en Ukraine, de la même manière qu’ils l’avaient été en Géorgie en 2008, ce qui avait mené à une intervention armée, a aussi affirmé ce mercredi le ministre russe des Affaires étrangères, Sergueï Lavrov. “Si nos intérêts, nos intérêts légitimes, les intérêts des Russes étaient attaqués directement, comme par exemple ils l’avaient été en Ossétie du Sud (républiques autonomes séparées en 1991-92 de la Géorgie), je ne vois pas d’autre manière que de répondre, dans le respect du droit international”, a expliqué M. Lavrov à la chaîne télévisée RT.

 “Une attaque contre les citoyens russes est une attaque contre la Russie”, a-t-il ajouté.

 En 2008, une guerre éclair avait opposé la Russie à la Géorgiese – Tbilissi étant l’agresseur (ce que ne disent pas les médias de l’OTAN) – à l’issue de laquelle Moscou a reconnu l’indépendance de deux républiques séparatistes pro-russes séparées de ce petit pays du Caucase, l’Ossétie du Sud et l’Abkhazie.

Ces déclarations font aussi suite à l’annonce par les autorités de Kiev de la reprise de l’opération “antiterroriste” contre les séparatistes de l’Est de l’Ukraine, quelques heures seulement après le départ du vice-président américain Joe Biden, en visite officielle.

 Luc MICHEL

 http://www.lucmichel.net/2014/04/23/lucmichel-net-moscou-insiste-pour-que-kiev-retire-ses-troupes-de-lest-du-pays-et-accuse-les-usa-de-diriger-la-repression-a-kiev/

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INTERNET APRÈS L’AFFAIRE SNOWDEN : LE BRÉSIL CONVOQUE UN SOMMET INTERNATIONAL INÉDIT

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TEM - posts - ACTU Internet apr+¿s l'affaire Snowden, le Br+®sil convoque un sommet (2014 04 23) (2)

 Courroucée par le scandale des écoutes de la NSA, la présidente brésilienne Dilma Rousseff accueille ce mercredi à Sao Paulo un sommet international sans précédent voué à remettre en cause la tutelle américaine sur la gouvernance de l’internet.

 Ce NETmundial de deux jours s’impose déjà comme un évènement fondateur.

* Par son audience: les représentants de 87 pays y côtoient pendant deux jours universitaires, instituts techniques, acteurs privés et ONG.

* Mais aussi par son ambition : établir des principes de gouvernance et une feuille de route qui soient validés pour la première fois par tous les acteurs de la toile.

 Une initiative qui semble opportune au moment où le réseau vient de souffler ses 25 bougies avec, selon l’ONU, un tiers de l’humanité potentiellement connectée.

 S’AFFRANCHIR DE L’HÉGÉMONIE AMÉRICAINE

 Pour Brasilia, l’objectif est avant tout de s’affranchir de l’hégémonie américaine sur les instances de régulation d’internet. Une démarche motivée par le scandale de l’espionnage des courriels de Mme Rousseff et de ses collaborateurs par l’Agence américaine de sécurité (NSA).

 “Le Brésil veut insister avec force sur un processus de changement de la gouvernance d’internet”, a résumé devant la presse Diogo Sant’Ana, secrétaire général de la présidence du Brésil. “Nous avons besoin d’un changement maintenant”, a-t-il insisté.

 Mardi soir, Brasilia a confirmé son statut de pays à l’avant-garde de la défense de la confidentialité avec le vote par le Congrès d’un “Cadre civil” établissant des droits et devoirs pour les pouvoirs publics, les entreprises et les usagers du web.

Présenté par le gouvernement comme une véritable “Constitution de l’internet”, le texte garantit la liberté d’expression mais surtout la protection de la confidentialité de l’usager contre toute violation et utilisation indue de ses données, désormais passibles de sanctions ad-hoc.

TEM - posts - ACTU Internet apr+¿s l'affaire Snowden, le Br+®sil convoque un sommet (2014 04 23) (3)

 SUITE AUX RÉVÉLATIONS DE SNOWDEN …

 A l’été 2013, les révélations de l’ex-consultant Edward Snowden avaient déclenché l’ire de Brasilia, provoqué le refroidissement des relations entre les deux pays et incité Mme Rousseff à vouloir remettre de l’ordre dans la maison internet pour que de tels agissements ne puissent se reproduire.

 Peu après le scandale des écoutes, Dilma Rousseff a avancé l’idée devant les Nations unies d’un contrôle multilatéral de l’utilisation d’internet, faisant également écho aux aspirations de plusieurs organismes du net soucieux de leur indépendance vis à vis de Washington.

 Pour des raisons principalement historiques, les Etats-Unis contrôlent ou hébergent les principaux organismes administrant les adresses, noms de domaines, normes et protocoles du web, ce qui provoque depuis plusieurs années frustrations et grincements de dents parmi les acteurs du net et certains gouvernements.

 Longtemps inflexibles, les Etats-Unis ont plié sous la pression diplomatique le mois dernier en cédant du terrain sur la supervision de l’Icann (“Internet Corporation for Assigned Names and Numbers”), l’organisme qui délivre notamment les noms de domaine sur internet, comme .com ou .gov, et dont le siège se trouve en Californie.

 Dans la foulée des déclarations américaines, une transition vers un nouveau statut de l’Icann a déjà été engagée avec janvier 2015 comme échéance.”Ce serait un acte symbolique de changer la relation particulière entre l’Icann et des Etats-Unis. Il faut marquer une distance”, souligne à l’AFP le vice-président de l’Icann pour l’Amérique latine Rodrigo de La Parra.

 NETMUNDIAL : ENTRE BONNE VOLONTE ET PIEGES

 Baptisé NETmundial en cette année de Coupe du monde au Brésil, cette réunion internationale s’est donnée comme délicate mission de concilier les intérêts de pays victimes de l’espionnage de la NSA (Brésil, Allemagne, Mexique…), d’Etats contrôlant accès et contenu internet (Chine), d’acteurs privés jalousant leur liberté (Google) et de libertaires radicaux (WikiLeaks). “Ils n’ont pas tous les mêmes opinions, mais nous souhaitons des actions concrètes”, a annoncé le président du sommet Virgilio Almeida dans un entretien à l’AFP.

 Face à une telle gageure, beaucoup craignent que le document final soit dénué de substance. Mais même s’ils ne seront pas contraignants, ces principes auront le mérite de marquer le point de départ d’une véritable gouvernance mondiale.

 Dans un projet de résolution soumis aux participants d’environ 80 pays et publié par WikiLeaks, les organisateurs indiquent que la “gouvernance doit être ouverte, participative, multipartite, technologiquement neutre, sensible aux droits de l’homme et fondée sur des principes de transparence, de responsabilité”.

 “Il est clair que ce qui va être défini ici sont des principes généraux, on ne va pas résoudre tous les problèmes, mais on va donner une direction au futur d’internet”, avance M. de la Parra.

 TEM / avec AFP / 23 avril 2014 /

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Quando il violento è un Sì Tav, lo si può anche tacere

http://www.tgvallesusa.it/?p=7554

TG Valle Susa
 Il silenzio è padrone, il ricordo è offuscato. Ma i No Tav hanno menti fresche e storiche.
Ieri il fatto, oggi tutti i mass media intitolano e pubblicano l’atto di violenza compiuto nel paese di Venaus. Il Tg3 Regionale dà la notizia senza servizio video.
I fatti. Venaus. Viene arrestato per tentato omicidio Roberto Corona, pensionato 61enne residente da poco a Giaveno.

VIDEO DI SERVIZIO PUBBLICO

L’aggressore aveva abitato in valle, in una delle villette di via Roma a Venaus. La causa, vecchi rancori e dissidi tra vicini, duravano da quasi 10 anni. Il violento prima blocca la strada alla sorella del suo ex vicino, con un oggetto contundente sfonda il lunotto posteriore della vettura. La giovane signora di circa trent’anni, impaurita, scappa nella direzione della casa del fratello, ex vicino di Corona. L’uomo esce di casa ma nulla può con la furia ceca del Corona, ha già colpito la sorella con violenza lasciandola a terra, viene colpito anche lui alla spalla e alla schiena. Alcuni passanti assistono alla scena, intervengono e immobilizzano l’aggressore.

Fino qui è cronaca, non fosse che i fatti si svolgono in Valle di Susa e le conoscenze sono molto strette. Sfugge il violento ai giornali, sfugge il violento ai Tg, ma non sfugge ai valsusini. Lungi da noi marciare sui fatti, ci dispiace molto e siamo vicini alle vittime.

Ma la bieca violenza e squallida attività messa in pratica da personaggi che del sopruso fanno il loro motto di vita, va fatto cronaca. Ripetiamo non sfugge il fatto. Solo a ottobre 2012, con lucidità, questa persona si presentava alle telecamere di servizio pubblico come un Sì Tav, parlando di violenza nei fatti e nella ideologia; spiegando che i No Tav creavano una mafia, e fin qui, le idee sono libere.

Sfugge ai tanti… e perché? Solo i valsusini No Tav si ricordano che il violento è un Sì Tav. Ma questo passa del tutto in secondo piano se  si tratta di violenza, quella stessa tanto sottolineata quando si tratta di creare un nemico pubblico. Quando si tratta di associare l’atto di un singolo, completamente avulso, all’intero movimento; quando si tratta di mettere ignominiosamente sullo stesso piano delinquenza comune, mafia, movimento No Tav; quando un incidente qualunque viene attribuito al movimento ancor prima di aver appurato se e come vi siano legami (il caso più recente – ma gli esempi sarebbero tanti e si potrebbero moltiplicare all’infinito – è quello della manifestazione del 12 aprile a Roma, quando il quotidiano Libero, ancora prima che le cariche della Polizia terminassero, già attribuiva a pieno titolo la responsabilità dei disordini allo spezzone No Tav, distante duecento metri dai ministeri in cui tutto era cominciato). Ma appunto, non si tratta di un No Tav, che sia un Sì Tav si può benissimo tacere.