LA BOMBA A TEMPO DELL’UNIONE BANCARIA EUROPEA (GLI EUROCRATI AUTORIZZANO I BAILOUTS E I BAIL-INS)

Postato il Sabato, 05 aprile
 
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DI ELLEN BROWN
counterpunch.org
 
“Per come stanno le cose, il vero e permanente governo del paese è costituito dalle banche, qualsiasi partito sia al potere” – Lord Skidelsky, Camera dei Lords, Parlamento del Regno Unito, 31 Marzo 2011.
 
Il 20 Marzo 2014 i funzionari dell’Unione Europea hanno raggiunto uno storico accordo per creare un’agenzia unica per la gestione delle banche in fallimento. L’attenzione dei media si è concentrata sull’accordo che coinvolge lo “European Stability Mechanism” [ESM], un meccanismo comune per la chiusura delle banche fallite.
 
Ma la vera questione per i contribuenti e per i risparmiatori è la minaccia costituita da un accordo che autorizza entrambi i salvataggi, il bail-out ed il bail-in, ovvero la confisca dei fondi dei depositanti.
 
L’accordo prevede molteplici concessioni ai differenti paesi, e potrebbe essere illegale, secondo le regole del Parlamento dell’UE, ma è stato concordato in fretta e furia per “bloccare” sulle attuali posizioni i contribuenti ed i depositanti, prima che la disastrosa situazione delle banche dell’Eurozona vada ad esplodere.
 
Le clausole del bail-in sono state concordate la scorsa Estate. Bruno Waterfield, scrivendo sul Telegraph UK del Giugno del 2013, ha sostenuto che:
 
Secondo questo accordo, dopo il 2018 gli azionisti saranno in prima linea per coprire le perdite di una banca fallita, e subito dopo gli obbligazionisti ed i grandi depositanti. I depositi assicurati di entità inferiore a 100.000 Euro sono specificatamente esentati, mentre i depositi non assicurati, sia delle singole persone che delle piccole imprese, avranno il mero status di “credito privilegiato”, e caricati di conseguenza delle perdite … Secondo l’accordo, tutti gli obbligazionisti non garantiti subiranno delle perdite, prima che una banca possa aver diritto a ricevere delle iniezioni di capitale direttamente dall’ESM, peraltro senza alcun uso retroattivo di questo fondo, per i periodi precedenti il 2018.
 
Come avevo fatto notare in altri miei articoli, l’ESM [European Stability Mechanism] impone un debito “aperto” ai Governi membri dell’UE, ed sottopone i contribuenti a qualsivoglia richiesta degli euro-burocrati.
 
Ma non è solo l’Unione Europea ad avere in programma i bail-ins per le loro banche in difficoltà, “troppo grandi per fallire”. Ci sono anche Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda ed altre nazioni del G20.
 
Ricordiamo che negli Stati Uniti un depositante non è che un mero creditore chirografario [in Europa è invece un creditore privilegiato, ndt]. Quando si deposita denaro in una banca, questa “possiede” il denaro, ed il creditore non dispone che di una cambiale, ovvero di una mera promessa di pagamento.
 
In base alla nuova Unione Bancaria dell’UE, prima che lo ESM possa essere attivato, gli azionisti ed i risparmiatori dovranno essere caricati di una parte significativa delle perdite. I banchieri, in questo modo, saranno sempre vincitori: possono ottenere denaro sia dai contribuenti [intervento dello Stato, ndt] che dai  depositanti.
 
LA QUESTIONE IRRISOLTA DELL’ASSICURAZIONE SUI DEPOSITI
 
Ma almeno, si potrebbe dire, sono solo i depositi non assicurati ad essere a rischio [quelli oltre i 100.000 Euro, ovvero ca. 137.000 Dollari]. Giusto? Non necessariamente. Secondo “ABC News”:
 
L’accordo è un compromesso che si differenzia dall’idea originale di Unione Bancaria presentata nel 2012. La proposta originale aveva un terzo pilastro, l’assicurazione a livello europeo dei depositi. Ma quest’idea non è andata avanti.
 
Il Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, parlando prima della riunione del 20 Marzo a Bruxelles, ha “salutato” questo piano di compromesso come “un grande progresso per ottenere una migliore Unione Bancaria. Due pilastri sono ormai stati posizionati” – i primi due, appunto, ma non il terzo.
 
I primi due pilastri non sono sufficienti, da soli, a proteggere le popolazioni. “The Economist” ha osservato, nel Giugno del 2013, che senza un’assicurazione sui depositi di livello europeo, l’Unione Bancaria sarà un fallimento:
 
Il terzo pilastro, purtroppo ignorato, doveva essere un comune regime di garanzia sui depositi, con i costi da condividere fra i vari paesi dell’Eurozona. I contributi annuali delle banche possono coprire i depositanti in anni normali, ma non possono proteggere in modo credibile un sistema in crisi [in America, il piano pre-finanziato non avrebbe coperto che un mero 1,35% dei depositi assicurati]. Qualsiasi sistema di deposito-assicurazione deve ricorrere al sostegno del Governo … L’Unione Bancaria – e quindi l’Euro – avrà poco senso senza questo sostegno.
 
Tutti i depositi, quindi, potrebbero essere soggetti al rischio-tracollo. Ma quanto è probabile che questo accada? Abbastanza probabile, a quanto pare …
 
CHE COSA GLI EURO-BUROCRATI NON VOGLIONO CHE VOI SAPPIATE
 
Mario Draghi è stato Vice Presidente della Goldman Sachs Europa, prima di diventare Presidente della BCE. Ha svolto un ruolo importante nel plasmare l’Unione Bancaria. Secondo Wolf Richter [Ottobre 2013], l’obiettivo di Draghi e degli altri euro-burocrati era solo quello di “bloccare” sulle loro posizioni i contribuenti ed i depositanti, prima che si scatenasse il panico sull’estrema vulnerabilità delle banche dell’Eurozona:
 
Le banche europee, come tutte le altre, sono state chiuse a lungo all’interno di ermetiche scatole nere … L’unica cosa che si sa, sui buchi di bilancio [provocati da assets che si sono tranquillamente decomposti] di queste scatole nere, è che sono profondi. Ma nessuno sa quanto lo siano. E a nessuno è permesso di sapere – almeno fino a quando saranno gli stessi euro-burocrati a decidere chi è che dovrà pagare per il salvataggio di queste banche.
 
Quando la BCE diventerà il regolatore delle 130 più grandi banche dell’Eurozona, continua Richter, dovrà sottoporle a valutazioni più realistiche, rispetto ai precedenti “stress tests”, che erano nient’altro che una forma di “agitprop bancario” [l’Agitprop era il dipartimento per l’agitazione e la propaganda del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, ndt].
 
Ma queste realistiche valutazioni non avranno luogo fino a quando non sarà attivata l’Unione Bancaria. Come fa Richter a saperlo? Perché è lo stesso Draghi ad averlo detto:
 
L’efficacia di questo esercizio dipenderà dalla sottoscrizione dei necessari accordi per la ricapitalizzazione delle banche … anche attraverso la previsione di un back-stop pubblico [sostegno di ultima istanza, o acquisto di titoli non sottoscritti in un’offerta di azioni, ndt] … Questi accordi devono essere sottoscritti “prima” di effettuare le nostre valutazioni.
 
Per Richter tutto ciò si traduce in questo modo:
 
La verità non può essere conosciuta fino a quando gli euro-burocrati non avranno deciso chi è che deve pagare per i salvataggi. Fino a quel momento, gli esami alle banche non saranno completati perché, se uno qualsiasi di questi esami dovesse filtrare sui media – e Draghi non lo vuole – l’intero castello di carte crollerebbe [senza che i contribuenti siano disposti a pagare il conto], non appena le sue clamorose dimensioni venissero finalmente allo scoperto!
 
Solo dopo che i contribuenti ed i depositanti saranno stati incastrati sarà alzato il sipario, e sarà rivelata la paralizzante insolvenza delle banche. Prevedibilmente si diffonderà il panico, il credito andrà a bloccarsi e le banche crolleranno, lasciando che le popolazioni ignare paghino il conto.
 
COSA E’ SUCCESSO A NAZIONALIZZARE LE BANCHE FALLITE ?
 
Alla base di questi traffici frenetici, c’è la presunzione che le “banche zombie” debbano essere tenute in vita a tutti i costi – vive e nelle mani dei banchieri privati​​, che potranno continuare a speculare ed a raccogliere dei bonuses enormi, a scapito delle popolazioni, che dovranno farsi carico delle perdite.
 
Ma non è l’unica alternativa. Nel 1990 anche negli Stati Uniti l’aspettativa comune era che le mega-banche fallite sarebbero state infine nazionalizzate. Questo percorso è stato perseguito con successo non solo in Svezia ed in Finlandia, ma anche negli Stati Uniti, con il caso della Continental Illinois, che a quel tempo era la quarta più grande banca del paese, e costituiva, in assoluto,  il più grande fallimento.
 
William Engdahl, nel Settembre del 2008 scriveva:
 
In quasi tutti i casi recenti di crisi bancaria, quando è stato necessario intervenire d’urgenza per salvare il sistema finanziario, il metodo più economico per i contribuenti [come in Svezia o in Finlandia nei primi anni ‘90], si è rilevato quello della nazionalizzazione delle banche in difficoltà, e l’assunzione sia della gestione che degli assets … Nel caso svedese è stato stimato che il costo finale per i contribuenti sia stato quasi nullo.
 
Tipicamente, nazionalizzare significa farsi carico delle sofferenze della banca insolvente, rimetterla di nuovo in piedi, e restituirla ai proprietari privati​​, che a questo punto sono di nuovo liberi di mettere a rischio i soldi dei depositanti.
 
Ma sarebbe molto meglio mantenere le mega-banche nazionalizzate nella sfera “pubblica”, al servizio dei bisogni delle persone. George Irvin, nel Social Europe Journal del mese di Ottobre 2011, ha sostenuto che:
 
Il settore finanziario ha bisogno di molto di più che una semplice regolamentazione, ha bisogno di un ampio margine di controllo “pubblico”, ovvero di quella parola che comincia con la “n”: nazionalizzazione. La finanza è un bene pubblico troppo importante per essere gestito esclusivamente dai banchieri privati​​. Abbiamo bisogno, per lo meno, di una grande banca pubblica d’investimento, con il compito di modernizzare e rendere più “verdi” le nostre infrastrutture … Invece di cestinare l’Eurozona e tornare ad una dozzina di valute minori che fluttuano quotidianamente, diamo un Ministero delle Finanze [del Tesoro] all’Eurozona, con la sufficiente forza fiscale per provvedere a beni pubblici europei, a più posti di lavoro, a salari e pensioni migliori, ed infine ad uno sviluppo ambientale sostenibile.
 
LA TERZA ALTERNATIVA – DARE AL GOVERNO IL CONTROLLO DEL RUBINETTO DEI SOLDI
 
Un gigantesco difetto dell’attuale sistema bancario è che sono le banche private, e non i Governi, a creare [in pratica] l’intera offerta di moneta, e lo fanno attraverso la creazione di debito caricato degli interessi. Il debito cresce inevitabilmente in modo più veloce dell’offerta di moneta, perché gli interessi non vengono creati parallelamente al prestito originale.
 
Il problema è ancor più grave nell’Eurozona, perché nessuno ha il potere di creare ex nihilo il denaro necessario ad equilibrare il sistema, nemmeno la stessa Banca Centrale. Questo difetto potrebbe essere risolto sia consentendo ai singoli paesi di emettere individualmente moneta priva di debito o, come suggerito da George Irvin, dando all’Eurozona un Ministero del Tesoro dotato di questo potere.
 
La Banca d’Inghilterra ha appena ammesso, nel suo bollettino trimestrale, che le banche non prestano in realtà i soldi dei loro depositanti. Quello che prestano è il credito bancario che hanno creato sui loro libri. Negli Stati Uniti gli oneri finanziari su quest’importo di moneta-credito sono compresi tra il 30 ed il 40 percento dell’economia, a seconda del numero a cui si crede.
 
In un sistema monetario in cui il denaro viene emesso dal Governo, ed il credito dalle banche pubbliche, questo “rentiering” [affitto] può essere evitato. I soldi del Governo non sarebbero emessi nella forma di debito soggetto ad interessi, e qualsiasi onere finanziario a carico delle banche pubbliche rappresenterebbe un reddito per il Tesoro.
Nuovo denaro può essere aggiunto all’offerta di moneta senza creare inflazione, almeno nella misura dell’”output gap”, ovvero la differenza tra il PIL reale [o produzione effettiva] ed il PIL potenziale. Negli Stati Uniti, questa cifra è di circa 1.000 miliardi di Dollari l’anno, mentre per l’UE è di circa 520 miliardi di Euro [ca. 715 miliardi di Dollari].
 
Un Ministero del Tesoro dell’Eurozona potrebbe aggiungere questa somma alla fornitura di moneta-senza-debito, creando gli Euro necessari a dar vita a nuovi posti di lavoro, a ricostruire le infrastrutture, a proteggere l’ambiente ed a mantenere un’economia fiorente.
 
Ellen Brown è un’avvocatessa, fondatrice del “Public Banking Insitute” ed autrice di dodici libri, tra cui il bestseller “Web of Debt”. Nel suo ultimo libro, “The Public Bank Institute”, esplora i modelli bancari pubblici di successo, nella storia e nel mondo. E’ candidata  come “Tesoriere” per lo Stato della California, sulla base di un programma che prevede la creazione di una “banca di stato”.
 
 
 
31.04.2014
 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCO
 
NdT
 
GLI EUROCRATI AUTORIZZANO I BAILOUTS [quando una banca vicino alla bancarotta riceve un’iniezione di liquidità, per soddisfare i suoi obblighi di breve termine, ndt] ED I BAIL-INS [quando le perdite causate da un default bancario vengono addebitate ai finanziatori privati – ovvero agli azionisti, agli obbligazionisti ed ai depositanti]

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13191&mode=&order=0&thold=0

Solo 9 Paesi hanno una Banca Centrale non privatizzata

9 paesi con banco centrale autonomo

A. Folliero Sono solamente 9 i Paesi che hanno la Banca Centrale che non appartiene ai Rothschild. Sono: Cina, Russia, Iran, Venezuela, Ungheria, Siria, Cuba, Islanda e Corea del Nord. Tre di questi Paesi, nell’ordine Russia, Iran e Venezuela, sono anche le tre più grandi riserve energetiche del mondo, considerando le riserve di petrolio, gas e carbone.
Direttamente o indirettamente tutte le altre banche centrali appartengono o sono controllate dai Rothschild. Ci sono addirittura quattro banche centrali che sono quotate in borsa: le banche centrali:
di BelgioGreciaGiappone e Svizzera. La Banca centrale di Grecia oltre che essere quotata alla Borsa di Atene è quotata anche alla Borsa Tedesca.
Da queste brevi considerazioni, penso sia comprensibile a tutti perchè i paesi che hanno una banca centrale indipendente siano costantemente attaccati mediaticamente dai media di tutto il mondo, tutti al servizio ovviamente delle grandi potenze imperialistiche dell’occidente.
Tutti questi paesi sono praticamente inseriti nell’asse del male, tutti i loro governi sono per i media occidentali delle “dittature” ed in tutti ci sono tentativi di destabilizzazione.
Si comprende anche perchè Russia, Iran e Venezuela siano costantemente “presi di mira” dai media internazionali. Oltre che avere la Banca Centrale indipendente dai Rothschild sono anche le tre più grandi riserve energetiche del mondo.
Quando una Banca Centrale disegna la politica economica e monetaria del proprio paese sta pensando ai benefici per il suo popolo o ai benefici per i propri azionisti? Scontata la risposta: pensano ai benefici per i propri azionisti. Si comprende perchè un Paese come il Belgio possa stare per mesi (esattamente 18) senza un governo, perchè in sostanza il ruolo del governo è relativo. Si comprende perchè un paese come Grecia è completamente in balia della Troika, ossia del Fondo Monetario Internazionale (FMI), della Banca Centrale Europea (BCE) e della Commissione Europea (CE).
 
E l’Italia? La maggior parte degli italiani pensa che la Banca d’Italia, ossia la Banca Centrale dell’Italia appartenga allo Stato! Invece, come tutte le banche centrali del mondo, escluse quelle dei 9 paesi citati sopra, la Banca d’Italia appartiene ai propri azionisti. L’elenco completo degli azionisti della Banca d’Italia è consultabile nel sito stesso della Banca d’Italia, all’URL: http://www.bancaditalia.it/bancaditalia/funzgov/gov/partecipanti/Partecipanti.pdf. Da tale documento, in linea, si evince che le due principali banche italiane, Intesa San paolo e Unicredit hanno il 52% delle quote; Inps e Inail, enti statali, hanno quote irrilevanti. Ovviamente nel capitale delle grandi banche italiane, che controllano la Banca d’Italia, rientra quello dei Rothschild. Povera Italia! Poveri italiani!

Dipendenza energetica? Meglio dalla Russia che dagli Usa

http://temi.repubblica.it/limes/dipendenza-energetica-meglio-dalla-russia-che-dagli-usa/60072

Limes Oggi

di Demostenes Floros

GEOPOLITICA DEL CAMBIO Nel giro di qualche anno, complice il Ttip, lo shale gas degli Stati Uniti potrebbe essere per l’Europa un’alternativa agli idrocarburi di Mosca. Con sommo beneficio di Washington, non certo del Vecchio Continente – tantomeno di Roma.
[Carta di Laura Canali – per ingrandirla clicca qui]

A marzo gli alti prezzi del petrolio sono lievemente calati: circa 2 dollari al barile ($/b) in meno rispetto alla chiusura di febbraio.

 Il costo del barile permane comunque elevato: Brent e Wti quotano rispettivamente poco sotto i 108$/b ed i 102$/b, risentendo quindi delle fortissime tensioni internazionali.

 Gli eventi in Ucraina rappresentano un vero e proprio conflitto geopolitico che ha come protagonisti gli Stati Uniti d’America da una parte e la Federazione Russa dall’altra. Tale scontro – che vede la presenza della Cina in appoggio alla Russia (non tragga in inganno l’astensione in sede Onu), seppur da una posizione più defilata – sta assumendo un carattere sempre più globale. Si manifesta infatti, politicamente e militarmente, in almeno tre distinti palcoscenici: l’Ucraina per l’appunto, la Siria e il Venezuela (con il tema del nucleare iraniano sullo sfondo).

 Dal punto di vista energetico, l’amministrazione Usa persegue una strategia che ha come obiettivo la riduzione delle forniture russe di gas all’Europa e la futura sostituzione di quest’ultime con lo shale americano. Se così fosse, si tratterebbe di un’operazione complessa e lunga un decennio, vista la sostanziale inesistenza di impianti di liquefazione negli Usa e di gassificazione in Europa, oltre ai problemi connessi ai costi di trasporto e ai prezzi di vendita (il mercato asiatico è più profittevole di quello europeo). Inoltre i limiti di legge impediscono agli Usa di esportare in quei paesi con cui non hanno siglato un accordo di libero scambio che contempli anche il tema dell’energia.L’eventuale stipula del Trattato Transatlantico tra Washington e Bruxelles (T-Tip) supererebbe una parte di questi problemi.

Il paniere energetico dell’Ue è attualmente composto per il 57% da idrocarburi: 33% petrolio e 24% gas naturale. Nel 2013, la Federazione Russa ha fornito all’Europa (Turchia compresa) il 31% circa del suo fabbisogno di metano, pari a 161.5 mld di m3 (il 24% all’Ue). In base ai dati forniti da Gazprom Export, il 53% di tale ammontare – equivalente a 86.1 mld di m3 – è transitato attraverso il territorio dell’Ucraina. Prima della costruzione del Nord Stream, la pipeline sotto il Baltico, ben l’80% del gas di Mosca passava da Kiev.

Di converso, l’Europa è ancora il principale cliente della Russia – secondo le cifre di sicurezzaenergetica.it – dal momento che la prima assorbe il 61% delle esportazioni energetiche del gigante eurasiatico (il 50% del gas naturale). Più precisamente, Mosca ricava dall’export di energia un ammontare pari al 18% del proprio pil (368 mld di $). Ne consegue che il rapporto tra Unione Europea e Federazione Russa è di effettiva interdipendenza più che di mera subordinazione della prima nei confronti della seconda: prova ne sono anche i gasdotti Nord Stream (capacità max. 55 mld di m3),Blue Stream (16 mld di m3) e South Stream (63 mld di m3), nei cui capitali sono presenti società multinazionali tedesche, olandesi francesi e italiane (Eni ha una joint venture paritetica con Gazprom in Blue Stream e possiede il 20% di South Stream Ag).

 

[Carta di Laura Canali]

 L’ipotetica sostituzione dei flussi energetici russi con quelli americani ridurrebbe drasticamente le entrate valutarie di Mosca, che grazie ad esse negli anni scorsi ha costituito un fondo statale di 530 mld di dollari (60 mld dei quali sono stati utilizzati per arginare il crollo della Borsa e la fuga di capitali causata dalle sanzioni). Ciò costringerebbe il Cremlino a guardare sempre più verso l’Asia rafforzando il proprio rapporto strategico con Pechino (nel 2011, il 21,7% della produzione manifatturiera mondiale aveva luogo in Cina) a discapito di una possibile sinergia energetica e manifatturiera con l’Europa.

 L’Italia delle Pmi, di Enel ed Eni sarebbe il paese più colpito; per di più, dopo l’errore strategico della guerra in Libia dalla quale ci approvvigionavamo per il 24% dei consumi di petrolio, non pare giovi al nostro paese il congelamento – dal sapore geopolitico più che normativo – delle trattative Ue-Gazprom in merito all’opportunità che la pipeline South Stream (esattamente come è avvenuto per il Tap) ottenga l’esenzione dall’obbligo di concedere l’accesso a terzi prevista dal Terzo Pacchetto Energia (nel 2013, il 43% dei nostri consumi di gas è stato soddisfatto dai russi).

 Siamo così sicuri che la crisi Ucraina sia per l’Europa un’occasione unica per smarcarsi dalla dipendenza energetica russa? Quali le eventuali conseguenze?

 Proviamo ad abbozzare una risposta a una domanda tutt’altro che semplice, ma che non riguarda solamente il tema dell’energia. Secondo l’approccio teorico mainstream (filone neoclassico), la crisi atlantica odierna – la più grave dal 1929 – ha avuto un’origine finanziaria poi estesasi all’economia reale. Un secondo approccio concettuale, classico e minoritario, ha invece individuato la genesi in un eccesso di investimenti per alcuni e in un deficit della domanda per altri.

 Nel bel mezzo della discussione in merito al T-Tip, all’Ue e all’Italia, suggeriamo di prestare maggiore attenzione alla spiegazione che l’economista borghese J.A. Shumpeter diede della 1ª Grande depressione, quella tra il 1873 ed il 1898. Questa poteva essere spiegata “con la spinta dei prodotti provenienti in gran copia da un apparato produttivo che i due precedenti decenni avevano grandemente allargato”.

 Per quanto riguarda gli Usa invece, è forse un po’ più chiaro perché stiano tentando di mantenere l’attuale basso livello dei prezzi dello shale gas, 2/3 $ per Mmbtu, a fronte di costi di produzione di 5/6 $ per Mmbtu.

 Per approfondire: In Ucraina, la partita energetica tra Russia ed Ue

(3/04/2014)
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Quasi la metà dei pensionati percepisce meno di mille euro al mese

Di Vittorio Argese, il 2 aprile 2014 – # – Replica

Dai dati Istat sul 2012 emerge che il 42,6% dei pensionati, oltre 7 milioni di persone, percepisce un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese; il 38,7% tra 1.000 e 2.000 euro, il 13,2% tra 2.000 e 3.000 euro; il 4,2% tra 3.000 e 5.000 euro e il restante 1,3% percepisce un importo superiore a 5.000 euro.
Nel 2012 la spesa complessiva per prestazioni pensionistiche, pari a 270.720 milioni di euro, è aumentata dell’1,8% rispetto all’anno precedente, mentre la sua incidenza sul Pil è cresciuta dello 0,45 % (dal 16,83% del 2011 al 17,28% del 2012).
L’importo medio annuo delle pensioni è pari a 11.482 euro, 253 euro in più rispetto al 2011 (+2,3%). Secondo l’Istat, i pensionati sono 16,6 milioni, circa 75 mila in meno rispetto al 2011; ognuno di essi percepisce in media 16.314 euro all’anno (358 euro in più del 2011) tenuto conto che, in alcuni casi, uno stesso pensionato può contare anche su più di una pensione.
Le donne rappresentano il 52,9% dei pensionati e percepiscono assegni di importo medio pari a 13.569 euro (contro i 19.395 degli uomini); oltre la metà delle donne (52,0%) riceve meno di mille euro al mese, a fronte di circa un terzo (32,2%) degli uomini.
Il 47,8% delle pensioni è erogato al Nord, il 20,5% nelle regioni del Centro e il restante 31,7% nel Mezzogiorno.
http://www.qelsi.it/2014/quasi-la-meta-dei-pensionati-percepisce-meno-di-mille-euro-al-mese/

Consumi: serviranno 33 anni per tornare ai livelli pre-crisi

ma se il sogno europeo ci ha resi tutti ricchi e benestanti tanto da poter garantire una vita dignitosa come prescritto in costituzione a chiunque approdi qui?
Dal 2007 le spese sono calate di oltre 80 miliardi. A febbraio l’indicatore di Confcommercio resta piatto su gennaio e cala dello 0,7 per cento annuo. I tagli più consistenti per alberghi e ristoranti, in controtendenza le spese per le comunicazioni
Crolla il prezzo delle case: -5,6% rispetto al 2012
MILANO – Dal 2007 a oggi i consumi sono calati di oltre 80 miliardi di euro. E’ la stima fornita dall’indicatore Confcommercio, secondo cui ci vorranno fino a 33 anni per tornare ai livelli pre-crisi. “Le perdite subite dal mercato dei beni durevoli – sottolinea Confcommercio – sono state tali che, nella migliore delle ipotesi, ci vorranno dodici anni per riprendere i livelli del 2007 mentre ne serviranno ben 33 anni, cioè nel 2046, nell’ipotesi peggiore. Una ripresa della spesa alimentare all’1% richiederebbe circa 13 anni per un pieno recupero rispetto ai massimi. Un inatteso boom dei consumi totali costantemente al 3%, permetterebbe un pieno recupero prima della fine del 2016. E’ più un augurio che una previsione”.
 
Quanto agli ultimi dati, l’indicatore dei consumi Confcommercio registra, a febbraio, una diminuzione dello 0,7% in termini tendenziali ed una variazione nulla rispetto a gennaio confermando l’avvio, in atto già da alcuni mesi, di una fase di stabilizzazione che, però, in assenza di miglioramenti sul versante occupazionale e del reddito disponibile, non riesce ancora a tradursi in una ripresa in grado di far ripartire il ciclo economico.
 
Analizzando i singoli comparti di spesa, si registrano variazioni positive, rispetto allo stesso mese dello scorso anno, per la spesa reale in beni e servizi per le comunicazioni (+4,3%), in beni e servizi per la mobilità (+1,4%, il secondo segno positivo nell’ultimo trimestre) e per i beni e servizi ricreativi (+0,4%). Le riduzioni più significative
si sono registrate per gli alberghi, pasti e consumazioni fuori casa (-2,1%), i beni e servizi per la casa (-1,9%). Il dato di marzo relativo alle immatricolazioni a privati (famiglie) è ancora negativo a confermare che i miglioramenti del sentiment faticano a tradursi in incrementi della spesa. Per quanto riguarda gli alimentari e le bevande, a febbraio la domanda si è mantenuta stabile.
 
E’ proseguito – sottolinea Confcommercio – il lento miglioramento della fiducia delle imprese, sia pure con andamenti non univoci nel sentiment degli operatori dei diversi settori produttivi. Stando alle stime di confindustria, a marzo, dopo il contenuto arretramento rilevato a febbraio, la produzione industriale segnala un aumento dello 0,5% sul mese precedente. Anche i dati sugli ordini registrano, nello stesso mese, un miglioramento (+0,5% su febbraio). A marzo il clima di fiducia delle famiglie ha mostrato un deciso recupero. Mentre la percezione della situazione personale e corrente non migliora sensibilmente, le aspettative sul futuro appaiono in forte crescita: la contenuta evoluzione dei prezzi e le aspettative di riduzione del carico fiscale hanno senz’altro avuto un ruolo importante.
(03 aprile 2014)

“La povertà diverrà norma da qui a dieci anni”. A svelare la drammatica realtà un rapporto della Commissione Europea che lo ammette nero su bianco…Ovviamente oscurato dai media

L’Italia povera? I poveri non esistono, infatti se non hai un reddito per gli “umanisti, solidali caritatevoli” camerieri al potere NON ESISTI. COME SE FOSSI CANCELLATO ALL’ANAGRAFE. Avete letto qualche proposta in favore dei disoccupati negli ultimi decenni? Hanno anche rimesso la tassa di eredità, per cui un disoccupato che dovesse ereditare la casa dei genitori se entro 6 mesi non PAGA IL PIZZO -una casa le cui tasse sono state pagate al tempo della costruzione o dell’acquisto dai genitori) allo stato VIENE REQUISITA. RUBATA. C’è tanta gente in arrivo da accogliere, forse, meglio così.
Una selezione “Indotta” ….

euro-poverta
Nell’ultimo rapporto trimestrale dell’Unione Europea sull’euro redatto dalla Commissione europea e pubblicato alcune settimane fa, c’è un passaggio sfuggito a vari commentatori. A un certo punto c’è una previsione a 10 anni.
Si legge: “Presumendo che l’area euro e le previsioni sugli Stati Uniti sostengano che questo scenario sia accurato, è previsto che l’area euro finisca nel 2023 con degli standard di vita che potrebbero essere più bassi di quelli di metà anni 60relativamente agli Stati Uniti. Se questo accadesse nel 2033 gli standard di vita dell’area euro (PIL pro capite) sarebbero circa il 60% di quello degli Stati Uniti, con una differenza di quasi 2/3 nello standard di vita a causa dell’abbassamento dei livelli di produttività del lavoro e col rimanente terzo dovuto alle differenze nell’utilizzazione del lavoro”.
Se ad alcuni non spaventerà lo scenario “materiale” – per molti versi sarebbe un bene tornare ad avere una macchina a famiglia come negli anni ’60, a riciclare gli oggetti e ad essere meno ferocemente consumisti – è sicuramente da temere lo scenario politico.
Qui infatti non si parla di una decrescita felice scelta (e spiegata ai cittadini) dai governi. Ma di un impoverimento a brevissimo termine di milioni di persone. Questi poi chi voteranno? Il trend apparente è che negli stati che stanno accusando di più l’impoverimento crescono i partiti populisti. Tenedo conto che il rapporto è su scala decennale forse siamo solo all’inizio…
Catturaeuro

Le nuove forme dell’odio verso le classi inferiori: l’ideologia antirazzista

In Italia, solo il 55% della forza lavoro risulta occupata. Interessa a qualcuno, visto che siamo pieni di filantropi caritatevoli, sapere come vive il 44%, QUASI metà della popolazione italiana che NON percepisce un reddito? Come mangia, come si cura, se ha un tetto sulla testa. Soprattutto considerato che non esiste un reddito di cittadinanza, che non è considerato da tanti “umanitaristi” un diritto. CHi da loro vitto e alloggio? Ed i pensionati, oltre la metà che vive con meno di mille euro? Davvero devo pensare che la nazione che si straccia tanto le vesti per gli ultimi, crei gli esodati e quote 96?  
Gennaro Scala
 
Rai – Trasmissione in mezz’oraIn precedenti scritti (1) ho cercato di evidenziare la natura, “di classe” si sarebbe detto una volta, dell’ideologia antirazzista (sottolineo che qui stiamo analizzando un’ideologia e non il valore dell’eguale dignità di ogni essere umano, di cui questa ideologia si vorrebbe abusivamente impossessare). In senso più estensivo, rispetto al dualismo della lotta di classe contro classe, avevo cercato di evidenziare le modalità secondo cui tale ideologia sorge dai conflitti tra i vari gruppi sociali, in particolare come essa segnava la frattura fra il ceto medio semicolto (2) e le classi inferiori, essendo un’ideologia con cui i ceti scolarizzati, dediti o aspiranti ad occupazioni non segnate dalla competizione con gli immigrati, “prendevano le distanze” dalle classi inferiori, incolte, incapaci di “cultura dell’accoglienza”, dedite a “rozzi” conflitti con gli immigrati riguardanti l’esercizio delle capacità lavorative,  mezzo esclusivo con cui alcune classi riescono tutt’oggi ad ottenere i “banali” mezzi di sussistenza.
Vorrei ora fare un passo in avanti, approfittando del fatto che un paese come l’Italia che vive una condizione abnorme mostra più apertamente di altri alcune dinamiche. I recenti governi italiani, quelli semi-golpisti seguiti al dimissionamento di Berlusconi, sono gli unici al mondo, a quanto mi risulta, che hanno usato l’antirazzismo come strumento di legittimazione, nei confronti del ceto medio semicolto (la pseudo base sociale di questi governi, base alquanto riluttante perché sottoposta a decimazione (3)) per sopperire ad un deficit totale di legittimazione. Infatti, il precedente governo vedeva come ministro la signora Kyenge (di origini congolesi, venuta in Italia come clandestina, come da lei orgogliosamente rivendicato), designata ministro perché con la pelle di colore nero (un’autentica forma di razzismo al contrario), scelta frutto di una “raffinata” operazione con cui si voleva legittimare il governo, seppur soltanto in negativo, qualificando come “razzista” l’opposizione a tali scelte del governo e implicitamente al governo stesso. La scelta della “ministra di colore” aveva però anche finalità più dirette, cioè favorire l’immigrazione. La cosa appare chiara con il presente governo che ha addirittura abolito il reato di immigrazione clandestina, esplicitando così la natura abnorme, coloniale, dello stato italiano, in quanto la possibilità di decidere chi ammettere nei propri confini è una delle prerogative principali di uno stato, senza la quale neanche si lo può definire tale.
Per quale motivo, nel momento in cui la disoccupazione raggiunge uno dei livelli più alti dal dopoguerra e in una fase di acutissima crisi economica, si favorisce l’immigrazione, abolendo il reato di immigrazione clandestina, e si stanziano notevoli fondi per l’“accoglienza” (mentre la tassazione da cui pur derivano questi fondi fa chiudere tante piccole e medie imprese)?
La risposta a tale domanda ci porta oltre il ceto medio semicolto al fine di individuare la vera origine della ideologia antirazzista. Origine da ricercarsi nella natura perversa delle nostre classi dominanti, nel fatto che si sono costituite come classi dominanti “antinazionali” (La Grassa) (4), nel fatto che nel loro asservimento verso le classi dominanti statunitensi non esitano ad eseguire il disegno della de-industrializzazione dell’Italia e del depauperamento delle classi lavoratrici italiane, in ossequio alla nuova collocazione internazionale subordinata dell’Italia. A questo serve l’immigrazione, a depauperare il paese, a trasformare l’Italia in un bacino di manodopera a basso costo, ed inoltre a mascherare con il buonismo questo autentico odio verso la popolazione e distacco dalle sorti dell’Italia come nazione. L’Italia è il paese delle maschere e questo perverso disegno si maschera con il volto del buonismo.
Il ceto medio semicolto, o quel che ne resta, si dimostra così essere un’appendice subordinata delle classi dominanti. Sui giovani studenti a partire dalle scuole elementari, per finire con l’Università, luogo del più pesante condizionamento mentale, in special modo nelle facoltà cosiddette umanistiche viene esercitata una forte pressione propagandistica, viene ripetuto, a mo’ di lavaggio del cervello, mille volte in mille salse che chi non accetta l’immigrazione è una persona negativa, razzista, fascista ecc. Tuttavia, il motivo principale per cui ha fatto presa tale ideologia sta nel distacco nella separazione delle classi medie scolarizzate dalle classi inferiori, il che è stata una delle principale cause della rovina del ceto medio semicolto, il quale nel momento in cui è stato decimato e precarizzato non ha potuto effettuare nessuna resistenza. Nel momento in cui la “classe politica”, la testa del ceto medio semicolto, la quale è un’esecutrice di ordini e non dispone del potere reale, appannaggio della Grande Finanza e Industria Decotta (Gianfranco La Grassa), è stata deprivata delle sue principali funzioni non ha potuto fare appello a nessuna alleanza sociale, essendosi distaccata dalle classi inferiori. L’ideologia antirazzista resta così oggi nell’ambito del ceto medio semicolto soltanto una vaga pretesa di superiorità morale.
L’ideologia antirazzista poggia su uno dei cardini della ideologia liberale egemone e unica ideologia vittoriosa del mondo occidentale odierno: l’individualismo-universalismo. In merito,  è fondamentale la “correzione comunitaria” dell’universalismo di Costanzo Preve: l’individuo partecipa al genere umano attraverso le “comunità intermedie” della famiglia, della classe sociale e dello stato, saltando direttamente dall’individuo al genere abbiamo quella forma di universalismo in cui principalmente si esplica la forma di dominio odierna, una forma che assume principalmente un volto di “sinistra”, motivo per cui le destre in Europa in genere assumono delle posizioni più sensate. Ad es. il Front National della Le Pen è l’unico partito che ha delle posizioni sensate sull’immigrazione e che non scivolano nella xenofobia come quelle della nostra Lega Nord. Tra l’altro il partito della Le Pen è l’unico grande partito europeo che ha preso le parti della Russia contro le provocazioni ordite dagli Stati Uniti, il che ne chiarisce la sua estraneità al neo-fascismo o neo-nazismo. Ma è un discorso valido esclusivamente per il contesto europeo, ad es. il Partito Comunista della Federazione Russa, la cui “ricca” esperienza, dalla rivoluzione sovietica in poi, ne ha mutato essenzialmente i connotati fino a farlo diventare qualcosa di essenzialmente diverso rispetto ai partiti comunisti europei,  ha una posizione di netta contrarietà all’immigrazione (cosa “inconcepibile” per  la sinistra europea).
Quindi se, per quanto riguarda le questioni contingenti, c’è aspettarsi, in Europa (sottolineo), posizioni maggiormente sensate dai partiti provenienti della destra, la natura perversa, degenere, delle classi dominanti europee, di cui quelle italiane sono solo un esempio più estremo, ci parla a chiare lettere della necessità di un cambiamento di sistema, il che vuol dire andare oltre la dinamica destra/sinistra.
 
1.G. Scala, Carattere reazionario dell’antirazzismo; G. Scala, Razzismo e antirazzismo
2. Per la definizione del concetto di ceto medio semicolto vedi G. Scala, Origini del ceto medio semicolto
3. Scala, Addio ai Monti, addio al ceto medio semicolto
4. G. La Grassa, Capitalismo italiano, capitalismo antinazionale, 05/05/2009

Marinaleda: il paese senza disoccupati né mutui da pagare

Un paese senza disoccupati né mutui da pagare, dove tutti hanno uno stipendio garantito. Un’utopia? A quanto pare no: esiste un piccolo centro abitato nei pressi di Siviglia, in Andalusia, dove tutto questo è realtà. Marinaleda conta all’incirca 2.700 abitanti, ognuno con un lavoro e una casa. Miracolo economico, strategia anti-crisi o isolamento anacronistico? Fatto sta che la politica economica del sindaco Juan Manuel Sànchez Gordillo resiste da più di 30 anni ed è passata indenne anche attraverso la crisi economica mondiale. Il principio ispiratore si fonda sulla cooperazione. L’obiettivo da realizzare è un’utopia, nel senso letterale del termine: è scritto a caratteri cubitali perfino sullo stemma della città: “Marinaleda, un’utopia verso la pace”.

Marinaleda è un piccolo comune rurale, circondato da decine di ettari di terreno coltivabile e alberi di ulivo. Il rivoluzionario sindaco attraverso una riforma agraria ha ottenuto dal governo andaluso questi terreni per i propri cittadini, che si sono organizzati in una grande cooperativa agricola per gestirli ed oggi si garantiscono la sussistenza producendo e trasformando peperoni, carciofi, legumi e olio. Una percentuale di disoccupati pari a zero e una cooperativa che rappresenta la vera forza economica di questo paese (impiegando il 70% dei residenti). Il restante 30% della popolazione lavora negli uffici e nelle scuole o in piccole botteghe a conduzione familiare e percepisce uno stipendio (uguale per tutti) di 47 euro al giorno, per sei giorni di lavoro alla settimana. Identico stipendio anche per gli operai dei campi e per quelli dell’industria della trasformazione, indipendentemente dalla mansione ricoperta o dalle ore di lavoro svolte, che oscillano dalle sei giornaliere a coltivare la terra alle otto in fabbrica. I prodotti raccolti e trasformati sono destinati anche all’esportazione, non solo all’interno della regione ma in tutto il territorio spagnolo e all’estero, fino al Venezuela per quanto concerne ad esempio l’olio d’oliva.
Non esistono poliziotti, perché non esiste criminalità e le cariche politiche sono volontarie e senza compenso, svolte solo per il bene della collettività. Le imposte da pagare sono bassissime e il bilancio comunale è pubblico, affisso su una lavagna mobile e consultabile dai cittadini in qualsiasi momento. Il servizio di pulizia di strade e spazi comuni viene garantito la domenica (le cosiddette domeniche rosse), quando ognuno pulisce la propria zona, aiuole e giardini compresi. Tutti gli altri servizi hanno un prezzo simbolico: basti pensare alla mensa scolastica che costa 12 euro e alla piscina comunale che per l’intera estate costa 3 euro.

A Marinaleda il contributo medio mensile per comprare una casa (in media di 90 mq) è di 15 euro. Non ci sono mutui da pagare: il terreno e il progetto sono a carico del Municipio e i soldi per la realizzazione li presta senza interessi il governo andaluso. I fondi ricevuti vengono amministrati direttamente dal comune e non finiscono in alcuna banca. L’acquirente interessato contribuisce con la propria forza lavoro alla costruzione materiale dell’abitazione. Fino ad ora ne sono state realizzate 317 ed altre sono in fase di progettazione.

Marinaleda rappresenta un modello d’ispirazione per quanti hanno una visione di sinistra e credono “all’utopia” socialista di un mondo differente, che non tenga conto né dell’economia capitalista (ma neppure della tecnologia e del progresso) né del profitto personale (ma neppure della formazione e della meritocrazia). E quindi, quanto realistica ed esportabile?

http://news.biancolavoro.it/blog/2581-marinaleda-il-paese-senza-disoccupati-ne-mutui-da-pagare

LA RUSSIA AMMONISCE LA NATO SUL RAFFORZAMENTO MILITARE IN EST EUROPA

04 APR 2014
di Johannes Stern e Alex Lantier

Ieri ufficiali russi hanno protestato formalmente il rafforzamento militare della NATO in Europa orientale, avvertendo che sta mettendo in discussione i trattati che hanno governato i rapporti NATO-Russia fin dalla dissoluzione dell’URSS da parte della burocrazia stalinista nel 1991.
Questa settimana, la NATO ha rotto la cooperazione militare con la Russia ed effettuato esercitazioni in diversi paesi confinanti o vicini ad essa, compresi gli stati baltici e la Bulgaria.

Le esercitazioni fanno parte di un più ampio rafforzamento militare, in atto dal colpo di stato a guida fascista che a febbraio ha installato in Ucraina un regime filo-occidentale, rafforzamento che ha visto dispiegate forze NATO o pianificate esercitazioni militari in Polonia, Ucraina e negli stati baltici.
Il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha detto ieri che Mosca pretende spiegazioni dalla NATO su tale rafforzamento militare. “Abbiamo posto domande all’alleanza militare del Nord Atlantico. Ci aspettiamo non una risposta qualsiasi, ma una risposta pienamente rispettosa delle regole che abbiamo coordinato”, ha affermato.
Lavrov ha accusato la NATO di violare l’accordo del 1997 con la Russia, che specifica che la NATO non effettuerà alcun nuovo “stazionamento permanente di forze di combattimento significative”. Ha anche accusato la NATO di violare la convenzione di Montreux sui dispiegamenti navali nel Mar Nero, la quale stabilisce che le navi da guerra di paesi esterni al Mar Nero rimangano nella regione solo 21 giorni. “Le navi da guerra statunitensi hanno recentemente prolungato la loro presenza nel Mar Nero diverse volte. Questo prolungamento non ha sempre rispettato le regole della Convenzione Montreux”, ha detto Lavrov.
La Russia ha ritirato il suo ambasciatore alla NATO, apparentemente per consultazioni, due giorni dopo che questa aveva sospeso la cooperazione con la Russia. “La politica di alimentare le tensioni non è di nostra scelta. Nondimeno, non vediamo alcuna possibilità di continuare la cooperazione militare con la NATO in un regime di routine,” ha dichiarato il vice ministro alla difesa russo Anatoly Antonov.
Ufficiali della NATO hanno indicato che continueranno nella loro escalation, ignorando le obiezioni russe. Il segretario generale della NATO, generale Anders Fogh Rasmussen, ha liquidato il discorso di Lavrov come “solo altra propaganda e disinformazione russa.”
Rasmussen ha indicato che, in quest’ottica, la NATO non è più vincolata al trattato del 1997. Citando la guerra in Georgia del 2008 e l’odierna crisi in Ucraina, ha detto: “La Russia sta violando ogni principio ed impegno internazionale preso in precedenza, prima di tutto l’impegno a non invadere altri paesi.”
Le argomentazioni di Rasmussen per giustificare l’irresponsabile escalation della NATO in Europa orientale, dipingendo la Russia come l’aggressore, sono un mucchio di bugie. La guerra in Georgia del 2008, come più tardi ammesso perfino da ufficiali USA, cominciò quando il regime georgiano supportato dagli USA assalì le truppe di pace russe di stanza in Abkazia e Ossezia del Sud, che non avevano attaccato nessuno.
I tentativi di presentare la NATO come il difensore dell’ordine mondiale e del diritto internazionale sono una frode evidente. Anche tralasciando il fatto che le potenze della NATO eseguono operazioni globali di tortura e assassinio per mezzo di droni, esse hanno più volte -nell’invasione dell’Iraq del 2003, guidata dagli USA, o nella minaccia di guerra alla Siria dell’anno scorso- cercato di muovere una guerra d’aggressione, nonostante l’opposizione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, in violazione del diritto internazionale.
Per quanto riguarda l’attuale crisi in Ucraina, questa è esplosa dopo che le potenze NATO hanno sfacciatamente appoggiato il golpe a Kiev, guidato da gruppi fascisti come il Settore Destro e il partito Svoboda, per rovesciare il regime filo-russo ed installarne uno allineato militarmente alla NATO, proprio ai confini della Russia.
L’escalation aggressiva della NATO, portata avanti nonostante il Cremlino la ammonisca che sta sfasciando tutte le fondamenta legali della fragilissima pace in Europa, minaccia una guerra tra NATO e Russia, potenza militare di prim’ordine con un enorme arsenale di armi atomiche.
[…] Il giorno dopo la decisione della NATO di terminare la cooperazione con la Russia, il Suddeutsche Zeitung, il maggiore quotidiano in abbonamento della Germania, ha dichiarato apertamente che “la NATO ora considera la Russia come un nemico.”
Ieri, in un’intervista con il settimanale tedesco Die Zeit dal titolo “Un invasione è possibile”, il primo ministro polacco Donald Tusk ha chiesto a gran voce l’installazione di uno scudo missilistico e lo schieramento di truppe NATO in Polonia. “La nostra spiegazione è semplice,” ha spiegato. “La presenza fisica della NATO in Polonia è meglio di tutte le rassicurazioni scritte sulla carta. Ciò è anche nell’interesse dell’Europa, perché qui ad oriente c’è il vero confine esterno dell’UE.”
Le conseguenze disastrose della restaurazione del capitalismo in Europa orientale da parte della burocrazia stalinista, basata sulla credenza ingenua che l’imperialismo fosse solo una storiella inventata dal marxismo, stanno venendo alla luce.
Spinte dalla crescente crisi geo-strategica e socio-economica del capitalismo mondiale, le potenze imperialiste della NATO stanno procedendo nell’escalation, mirata ad affermare senza scrupoli il controllo sull’Europa orientale e a giustificare le enormi spese militari. Stanno usando le accuse infondate di un’imminente invasione dell’Ucraina da parte russa come pretesto per incrementare le loro forze in Europa orientale e mettere a punto piani di guerra contro la Russia.
Definendo la situazione “incredibilmente preoccupante”, il comandante supremo alleato della NATO, generale Philip Breedlove, […] ha delineato i piani per circondare la Russia armando gli stati dell’Europa orientale fino ai denti e aumentando massicciamente le spese militari: “Lavoreremo su ‘garanzie’ aeree, terrestri e marittime, e posizioneremo queste ‘garanzie’ lungo l’ampiezza della nostra esposizione: nord, centro e sud… E ora la discussione più dura con i nostri alleati sarà su quale componente terrestre costituirà il pezzo di garanzia che ci porta in questo nuovo paradigma.”
[…]
Traduzione: Anacronista
Fonte: WSWS

http://www.controinformazione.info/la-russia-ammonisce-la-nato-sul-rafforzamento-militare-in-est-europa/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=la-russia-ammonisce-la-nato-sul-rafforzamento-militare-in-est-europa

Il governo delle multinazionali (anche sulla pelle dei bambini)

E’ bene ricordare le parole del “nostro”. Volete che un uomo come lui non sia a favore di globalizzazione ed immigrazione solo per fini esclusivamente “umanitari”? Come le guerre a lui care.

Prodi: la paura della Cina, dell’immigrazione, della globalizzazione frena l’Europa
lunedì, 24, febbraio, 2014
Un’iniezione di democrazia in Europa che passi attraverso l’elezione diretta del presidente della Commissione Ue “certamente darebbe un aiuto, ma siamo talmente lontani da questo. Ora il problema dell’Europa è sopravvivere“. Lo ha affermato l’ex premier ed ex presidente della Commissione europea Romano Prodi, durante un covegno promosso da Nomisma a Bologna. “In Europa c’è un’atmosfera da ‘salviamo il salvabile’ – ha aggiunto il Professore – si sta ondeggiando e ondeggeremo ancora tutti qualche anno”.
Attualmente, ha aggiunto Prodi, “in Europa c’è paura di tutto, della Cina, della globalizzazione, dell’immigrazione” e questa paura “paralizza” il vecchio continente. “Ora il problema dell’Europa è sopravvivere” ha concluso Prodi, ma “poi dovrà fare un passo in avanti di fronte a potenze come la Cina, gli Usa e il Brasile”.
http://www.imolaoggi.it/2014/02/24/prodi-la-paura-della-cina-dellimmigrazione-della-globalizzazione-frena-leuropa/

Le industrie trasformatrici, che siano collocate a nord o a sud fa poca differenza, sempre di sporco lobbying si tratta
Il governo delle multinazionali (anche sulla pelle dei bambini)

Il Partito Democratico, quantomeno nella sua classe dirigente, si sta confermando ogni giorno che passa non solo per il partito delle banche, quelle che scuciono i soldi, ma ultimamente anche il partito difensore delle multinazionali. Nello specifico quelle operanti nel settore della trasformazione industriale dei prodotti agricoli.  

Il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, pressato dalle lobby industriali, ha infatti compiuto un’autentica giravolta a 180° per ribaltare completamente il voto favorevole della Commissione Politiche Agricole che aveva votato per innalzare dall’attuale 12% al 20% la quota minima legale italiana di succo di frutta vera nelle bibite che vengono presentate e rivendute come succhi di frutta e simili.   

La commissione politiche europee, su impulso dello stesso esimio ministro, da parte sua aveva infatti votato no. Ora la parola passerà all’Aula della Camera e sarà curioso vedere come andrà a finire perché il PD è di fatto spaccato. I deputati peones del PD, quelli senza incarichi a Montecitorio e al governo, sono piuttosto irritati e la Lega si è schierata con loro. Resta da vedere come si schiereranno i vari gruppi del cosiddetto centrodestra, difensori a parole degli interessi degli agricoltori e della salute dei cittadini, ma troppo spesso pronti a piegarsi ai desideri e agli interessi delle multinazionali.  

Il no del ministro del governo Renzi ad un innalzamento della quota minima, che da tempo viene richiesta  dai medici, specie per tutelare la salute dei bambini, è semplicemente criminogeno per non dire peggio. Si tratta peraltro di un emendamento presentato da due deputati piddini (Anzaldi e Oliverio) già approvato in gennaio dalla Commissione Affari Costituzionali. Un voto favorevole che si scontrò con il no dell’allora governo di Enrico Aspen Letta, a dimostrazione che il marcio sta già nella testa. Nel partito erede del Pci-Pds-Ds che non prova più vergogna. Il marcio sta insomma nel direttivo del PD e nei suoi stretti legami con certi ambienti internazionali. Da qui nasce infatti anche la difesa a spada tratta di tutte le misure e di tutti i regolamenti partoriti dalla Commissione europea, anche i più idioti e i più dannosi per l’Italia.  

In questo caso dannosi per la salute dei cittadini, in particolare i bambini che di quel tipo di bevande sono grandi consumatori. I deputati del PD hanno fatto notare che la misura del 20% oltre che sacrosanta finirà per dare un sostegno concreto ai nostri agricoltori che potranno contare su una maggiore richiesta dei loro prodotti. Ma evidentemente né Renzi né Martina, al pari di Letta e soci, hanno alcun interesse a tutelare gli interessi nazionali ma soltanto il ruolo e gli interessi delle multinazionali alimentari per le quali è del tutto irrilevante cosa ci sia nei prodotti che vengono smerciati ed è del tutto secondario da dove provenga la materia prima.  

Il fatto è che pure le aziende italiane del settore partecipano a questo andazzo tanto che il presidente della associazione produttori di bibite, senza alcun senso di vergogna, è arrivato a dichiarare che la scelta di portare la quantità minima non esiste in nessun Paese europeo e impedisce il rilancio delle imprese e dell’economia. Gli italiani, a suo dire, godono di ampia scelta di bevande con diversi tenori di succo di frutta. Oltretutto, ha precisato ancora, la media europea di succo di frutta presente nelle bottigliette e nelle confezioni è appena del 5%. Insomma, non si tratta di succhi di frutta.  

Poi uno va a controllare e scopre che il capo di questa associazione di bibitari è un dirigente di Coca Cola Italia. Ma guarda un po’. A luglio scorso, in un articolo pubblicato su questo sito, sottolineavamo il fatto che in Europa il settore agricolo è marginalizzato dal peso dell’industria trasformatrice alimentare e dalla grande distribuzione che obbligano gli agricoltori a vendere il prodotto di base al prezzo stabilito da loro altrimenti rimarrà a marcire nei campi. Una industria trasformatrice, collocata per lo più nell’Europa del Nord. Un’industria  che non ama la differenziazioni tra prodotti che, grazie al clima mite e variato, è tipica dei Paesi mediterranei come Italia, Spagna, Grecia e Francia. Una industria trasformatrice che si è mossa tramite le proprie lobby per bloccare a Bruxelles le norme in favore della tracciabilità dei prodotti con l’indicazione della loro origine geografica sull’etichetta. Una industria trasformatrice che è riuscita a fare passare il principio che non importa da dove provenga un prodotto come l’olio extravergine d’oliva ma conta invece dove viene imbottigliato. Tanto che oggi è normale leggere sulle etichette di extravergine: “prodotto con olii comunitari”. Sì, ma di dove?  

Non è un caso che dal 1973 ad oggi non c’è stato alcun commissario europeo dell’area Sud. Ma invece due olandesi, tre danesi, un irlandese, un lussemburghese, un austriaco, un lettone ed un romeno. Paesi che, con tutto il rispetto, non vantano una agricoltura variata come quella italiana o francese. Paesi del Nord Europa dove, in quel settore, è l’industria casearia a farla da padrona e dove la frutta è un optional. Una mancanza che si cerca di compensare con intrugli a basi di zuccheri che hanno effetti devastanti (diabete in primo luogo) per chi ha la sventura di berli.

Irene Sabeni
Fonte: http://www.ilribelle.com/
5.04.2014