“NIENTE CONTROLLI ANTIMAFIA” “LA MAFIA RINGRAZIA E LA UE TAGLIA I FONDI!!”

http://www.marcoscibona.it/home/

NIENTE CONTROLLI ANTIMAFIA AL CANTIERE TAV DI CHIOMONTE E SUSA, LO CONFERMA ANCHE BUEMI (PSI)

In merito alla Ratifica dell’Accordo tra Italia e Francia per la realizzazione e l’esercizio di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione apprendiamo, dalle agenzie di stampa, la dichiarazione del Sen. Buemi (PSI) il quale conferma in pieno la nostra tesi e cioè che “l’accordo prevede l’applicazione solo della normativa francese che non contempla i controlli antimafia”.

Il Senatore aggiunge poi che la commissione bicamerale Antimafia, di cui è membro, è impegnata in modo ravvicinato a seguire le attività connesse con l’Alta Velocità ed annuncia difatti una sua visita al cantiere, con il sen. Esposito ed il viceministro ai trasporti Nencini.

Peccato che i due senatori partecipino a tale visita a titolo personale, o meglio a passerella elettorale personale, visto che la commissione Antimafia non ha autorizzato nessuna missione in tal senso.

Tali parole ed azioni non fanno che dimostrare la nostra assoluta ragione nel dire che vengono meno i controlli antimafia sul TAV e che la politica, ancora una volta, dopo il 416-ter, favorisce le organizzazioni della criminalità organizzata.

Sen. Marco Scibona (M5S) – Segretario 8ª Commissione Trasporti
Sen. Luigi Gaetti (M5S) – Vicepresidente Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.

TAV TORINO LIONE: IL SENATO APPROVA IL TRATTATO, LA MAFIA RINGRAZIA E LA UE TAGLIA I FONDI!!

Oggi è stato ratificato dal Senato l’accordo italo francese del 30 gennaio 2012 relativo alla Torino Lione, con sommo gaudio del PD, grande sponsor del progetto, e delle altre componenti del partito unico degli affari; ed è subito è partita la grancassa.

Ormai il Presidente del Consiglio ha fatto scuola e la verità lascia spazio alla menzogna. Contrariamente a quanto si scrive, il TAV non è stato trasformato in legge, il Parlamento ha semplicemente ratificato un accordo che non prevede l’avvio dei lavori, infatti cita espressamente al punto 1 “Il presente accordo …. In particolare non ha come oggetto di permettere l’avvio dei lavori definitivi della parte comune italo-francese che richiederà l’approvazione di un protocollo addizionale separato, tenendo conto in particolare della partecipazione definitiva dell’unione europea al progetto.” quindi è un accordo preparatorio che sinora è servito solamente per sancire l’ingresso ufficiale della mafia nell’opera, tale è infatti la conseguenza dell’applicazione della legge francese (che non ha leggi antimafia) per l’assegnazione degli appalti dell’opera.

Ma è di questi giorni la pubblicazione della decisione della UE del 2013 con cui i fondi UE per la Torino Lione vengono drasticamente tagliati e passano dagli originari € 671.800.000 del 2008 agli attuali € 395.282.150, un taglio di quasi il 50% causa l’ ”importante ritardo dovuto alle difficoltà amministrative e tecniche”!

L’accordo appena ratificato afferma che la realizzazione della Torino Lione dipende esclusivamente dalla partecipazione della UE al progetto, ma già nel 2013 la UE ha tagliato i fondi al progetto di quasi il 50%, il che lascia presagire che non lo ritenga più un progetto così importante!

Il Presidente del Consiglio è sempre alla disperata e frenetica ricerca di fondi per rilanciare il nostro Paese, si fermi un attimo, riposi ed ascolti il nostro suggerimento: è sicuramente un risultato straordinario aver incassato circa 57mila euro dalla vendita su Ebay delle prime sei auto blu, e le prospettive di quell’azione sono quanto di meglio uno statista possa sperare, però forse vale la pena di valutare che il TAV Torino Lione, a cui ormai neanche la UE crede più (tanto da aver dimezzato i fondi), costerà agli italiani circa 30 miliardi di euro, se vi rinunciasse avrebbe automaticamente trovato i fondi per il rilancio dell’occupazione e dell’economia di cui ha tanto bisogno l’Italia!

Marco Scibona – senatore M5S Piemonte
Alberto Airola – senatore M5S Piemonte
Carlo Martelli – senatore M5S Piemonte

Tavistock Institute: Come l’elite gioca a fare dio

giovedì, aprile 10, 2014
 
Pubblicato da neovitruvian
 
Come un gatto che gioca con il topo, l’elite ci stuzzica mostrandoci scorci della nostra situazione reale. Di simil fattura è stato il film del 1998 “The Truman Show” di Peter Weir.
Truman Burbank, interpretato da Jim Carrey, non è a conoscenza che la sua vita altro non è che un live show televisivo (reality). Tutti, compresi la moglie, sono attori e tutto ciò che accade fa sempre parte di un copione. In altre parole, la sua vita è una frode.
La situazione di Truman Burbank descrive la nostra. Secondo John Coleman, l’elite sta scrivendo e dirigerendo la sceneggiatura di quasi 100 anni di storia presso il Tavistock Institute of Human Relations con sede a Londra.
Coleman, 71 anni, è un ex funzionario dell’intelligence britannica (MI-6), che espose la cricca che domina il mondo nel suo libro: Conspirator’s Hierarchy: The Story of the Committee of 300 (1992)
Come il titolo suggerisce, il suo ultimo libro è un grido di disperazione: The Tavistock Institute of Human Relations: Shaping the Moral, Spiritual, Cultural, Political and Economic Decline of the United States of America. (2005)
Il libro è la conferma che una élite finanziaria ha progettato ogni guerra e depressione della storia moderna che continua a condizionare le nostre convinzioni e comportamenti.
tavistock_book_cover
Secondo Coleman, il Tavistock vide la luce durante la prima guerra mondiale con lo scopo di convincere popolazioni pacifiche ad entrare in guerra.
“Quei giovani ragazzi americani dal viso fresco dell’Arkansas e del North Carolina sono stati inviati a marciare verso l’Europa credendo di combattere per il loro paese non sapendo che Wilson li ha mandati a rendere il mondo sicuro per uno “Stato socialista internazionale”, Un governo dittatoriale mondiale “. (42)
Finanziato dalla famiglia reale, dai Rockefeller e dai Rothschild, il Tavistock sperimentò le tecniche di propaganda usate per giustificare la guerra. Le menzogne ??sulle atrocità commesse dai tedeschi nella prima guerra mondiale risuonano attraverso i decenni nelle menzogne perpetrate nei confronti di Sadaam Hussein accusato di aver ucciso i curdi con il gas e i bambini del Kuwait. Naturalmente la più grande menzogna di tutte è che i musulmani fossero coinvolti con gli attentati dell’11 settembre.
Coleman ha scoperto che il 94% delle parole chiavi e delle fasi sviluppate dal Tavistock nella Seconda Guerra Mondiale “corrispondevano con quelle utilizzate nella guerra di Corea, nella guerra del Vietnam e nella Guerra del Golfo”. (153)
Il punto principale di Coleman è che non possiamo fidarci dei mass media o di quello che ci dice il governo, soprattutto delle “News”. Egli cita il capo della propaganda di Stalin, Willy Münzenberg: “Tutte le notizie sono menzogne ??e tutta la propaganda è travestita da notizia”.
Coleman dice che la società è marcia dato che le istituzioni e le organizzazioni vengono dirette dal Tavistock per ingannare e distorcere.
La congiura arriva fino al livello locale. Secondo Coleman, il Tavistock ha un “esercito invisibile” di attori che operano oggi nelle sale di giustizia, nella polizia, nelle chiese, nei consigli scolastici, negli enti sportivi, nei giornali, nelle tv … nei consigli comunali, nelle legislature statali “
Praticamente ogni società importante, università, think tank o fondazione è legata al Tavistock. (Leggi Conspirators’ Hierarchy pp 221 – 253 per una lista) Sceglie gli intrattenitori che guardiano in tv, gli esperti a cui ci rivolgiamo, ai politici che eleggiamo. Ogni presidente degli Stati Uniti da Theodore Roosevelt è sotto il suo controllo. Esempi di ribelli possono essere trovati in JFK e in Nixon.
Tavistock è dietro ogni movimento sociale “spontaneo” del secolo scorso, tra cui il femminismo, la “liberazione” sessuale, il movimento per la pace, la “New Age”, l’ambientalismo, l’omosessualità e l’aborto.
“La bancarotta morale, spirituale, razziale, economica, culturale e intellettuale in cui ci troviamo immersi non è un fenomeno sociale nato dall’oggi al domani. Piuttosto è il prodotto di un programma che il Tavistock ha attentamente pianificato”, scrive Coleman.
Siamo costantemente studiati per vedere come reagiamo sotto stress. L’invasione marziana annunciata da Orson Well nel 1938 è stata progettata per dimostrare il potere fraudolento della “notizia”. Coleman non ne parla, ma il black out elettrico nel Nord-Est è stato probabilmente un altro studio del comportamento di massa. Così come lo è stato a New Orleans. Fiducioso nel comportamento sedato dei nostri simili, Coleman afferma che il Tavistock si è spinto oltre massacrando David Koresh e alcuni dei suoi seguaci a Waco dopo aver mentito sulle sue attività. (240).
Tavistock segue la massima di Sun Tsu : “Uccidine pochi; terrorizzane molti”. Coleman chiama la decisione di Winston Churchill di bombardare i civili tedeschi “un crimine di guerra”. Dresda fu “un attacco puro e semplice al cristianesimo, cronometrato proprio durante la Quaresima.” (188)
Secondo Coleman, Tavistock è in guerra contro il mondo musulmano perché l’Islam rappresenta un ostacolo al suo controllo. (151) Sostiene inoltre che Russia e Cina hanno ancora una certa indipendenza.
CONCLUSIONI
Siamo in questo schifo totale perché un piccolo gruppo di famiglie dinastiche ha accumulato ricchezze illimitate usurpando il ruolo del governo nella creazione del denaro.
Per mantenere questo ingiusto vantaggio, hanno bisogno di creare un “governo mondiale” dittatoriale. Come in ogni situazione coloniale, le nostre élites nazionali vengono scelte per la loro disponibilità a collaborare con la potenza occupante.
Le persone pensano che gli Illuminati siano un nemico elusivo e fuggente. Per fortuna, come Truman Burbank, sempre più gente sta scoprendo la trama nascosta. La stanno analizzando e la trovano perversa e orribile. Stanno finalmente scendendo dal palco per riscoprire una vita più autentica.

Tutti vogliono i bond dei Piigs. Cosa sta succedendo sui mercati?

giovedì, aprile 10, 2014
 
I bond Piigs sembrano vivere una fase magica sui mercati, con i rendimenti all’asta in Grecia crollati sotto le attese e per i BoT a un anno sono scesi al minimo storico. Perché tutto questo miglioramento?
 
Giornata da incorniciare per il Sud Europa. Oggi è stato il gran giorno del ritorno della Grecia sui mercati finanziari con l’emissione di un bond a medio-lunga scadenza (quinquennale), dopo quattro anni di assenza. Che l’esito sarebbe stato positivo era fuori dubbio, altrimenti il governo di Atene non avrebbe nemmeno lontanamente corso il rischio, ma forse nessuno immaginava il risultato all’asta: dai 2,5 miliardi di euro previsti come offerta, si è saliti a 3 miliardi e le richieste degli investitori istituzionali (gli unici, in prima battuta, a potere acquistare il bond) hanno ammontato a 20 miliardi di euro, 6,7 volte in più. Il successo è stato di tali proporzioni, che contro un’attesa di un rendimento medio lordo tra il 5% e il 5,25%, il tasso è sceso al 4,95%, ossia sotto la soglia psicologica del 5%.
 
 
Ma non era solo la Grecia a doversi rifinanziare stamane sui mercati. L’Italia lo ha fatto con l’emissione di BoT a un anno per 7,5 miliardi di euro. Il rendimento lordo esitato è stato dello 0,589%, il nuovo minimo storico assoluto, aggiornando così il precedente record minimo dello 0,592% del mese scorso. Le richieste sono state per 10,2 miliardi.
 
Nel frattempo, lo spread BTp-Bund è a 163 punti base sulla scadenza a 10 anni, con i BTp decennali a rendere il 3,16%. Per la stessa scadenza, i titoli lusitani rendono ormai sotto il 4% e quelli in Grecia intorno al 6%. Meglio ancora fanno i titoli irlandesi al 3%, cioè più bassi dell’Italia.
 
Sembrano cronache dal Bengodi, invece, i Piigs, come sono stati ironicamente definiti i paesi con problemi di debito nell’Eurozona, non sembrano essere usciti del tutto dalla crisi, anche se certamente dalla fase più acuta.
 
Le ragioni del boom bond Piigs
 
Ma sui mercati c’è tantissima carta, che in qualche modo deve essere impiegata. Chi meglio dei titoli di stato periferici dell’Eurozona, che offrono rendimenti ancora allettanti, nonostante sembra essere stato scongiurato il pericolo di una rottura dell’euro? Il super-euro sta facendo il resto. Con la previsione che il cambio possa apprezzarsi ancora di più contro le altre valute, gli investitori fuori dall’Eurozona hanno tutta la convenienza ad investirvi in titoli.
 
Difficile prevedere se questo trend magico si protrarrà e per quanto tempo. Gli analisti non intravedono all’orizzonte nuove tensioni. In realtà, qualche scossone potrebbe arrivare a fine maggio, quando i mercati “scopriranno” quanto impopolare sia l’euro e l’Europa con le elezioni del 25 del mese.
 
Quanto all’altra possibile fonte di tensioni sui mercati – la svolta monetaria della Federal Reserve – con la pubblicazione delle minute di oggi dell’ultimo board sembra allontanarsi il momento in cui arriverà il rialzo dei tassi Fed. Insomma, che l’economia dell’Eurozona sia in stato comatoso continuerà ad importare poco e niente. La festa dei bond europei può proseguire.
 
di Giuseppe Timpone
http://cogitoergo.it/?p=26022

Come si misura la sofferenza in Afghanistan?

“Non esiste un dolorometro. La combinazione di macelleria-inferno – creata dalla NATO e dai talebani nel penultimo paese meno sviluppato del mondo, per la lotta tra i signori della guerra occidentali e quelli locali, l’inettitudine di un regime criminale formato da famiglie mafiose e protetto dalla NATO – ha strappato la vita a decine di migliaia di civili e costretto a fuggire dalle loro case milioni di loro.
Nell’Ospedale dei Bambini Indira Gandhi di Kabul il numero di bambini ricoverati per denutrizione severa si è quadruplicato dal 2012. Sono apparsi bimbi-vecchi, con la pelle che cade dal viso piena di rughe, a causa del marasma (Decadimento progressivo delle funzioni dell’organismo provocato da vecchiaia o da gravi malattie, n.d.t.), risultato di un forte deficit calorico.
Alle società occidentali che vivono dell’affare della guerra non importa neppure della morte di circa 3.400 soldati della NATO o lo sconvolgente dato che una media di 18 veterani delle guerre in Iraq e Afganistan si tolgano ogni giorno la vita. Alcuni, forse, per aver partecipato alla mattanza “per errore” di 16-23.000 afgani.
Il Nobel per la Pace Obama sostiene di essere l’artefice della “prima transizione democratica” afgana, una farsa dove la gente non potrà neppure scegliere tra un signore della guerra e l’altro; dalle urne uscirà quello deciso dallo Studio Ovale.”

Da Obama ha mentito: la NATO non se ne andrà dall’Afganistan, di Nazanín Armanian, politologa ispano-iraniana.
http://byebyeunclesam.wordpress.com/2014/04/11/come-si-misura-la-sofferenza-in-afghanistan/

Le due Italie del Ministro Padoan

quindi ci sono margini per aumentarle?

”Sono molto contento di poter dire che l‘Italia è uno dei sistemi fiscali più sostenibili fra le economie avanzate“
Pier Carlo Padoan, Ministro

Finalmente un Ministro fa una affermazione importantissima dalla quale si evince con tutta chiarezza che è ufficiale: esistono due Italie, una di poveri disgraziati, autonomi o stipendiati, che danno allo Stato oltre il 70% del loro reddito e tirano l’anima per arrivare alla fatidica fine del mese.. ed una altra di privilegiati, dei quali evidentemente fa parte il Ministro Padoan, che vive benissimo e paga un carico di tasse sostenibile.
E’ di tutta evidenza che se il Ministro dovesse cedere allo Stato oltre il 70% dei suoi introiti, non si sognerebbe di fare una affermazione tanto assurda. Ed è anche purtroppo evidente che gran parte degli Italiani non sembrano aver letto nel modo giusto la affermazione del Ministro fermandosi allo sberleffo ed alla battuta.
..Purtroppo viviamo in tempi che dovrebbero lasciare poco posto alle battute e un giusto spazio alla riflessione.
Uscirsene con una tale assurdità ed un tanto grande distacco dalla realtà, evidente da ogni grafico e studio, significa solo che si ha ( e non vale solo per il ministro Padoan purtroppo,ma per tutta la ultramediocre classe dirigente che subiamo bovinamente ), una pancia tanto piena da aver il cervello stanco e poco irrorato per le fatiche dovute alla digestione.
Due Italie quindi.. una assurdità accettarlo supinamente come gli italiani continuano a fare!
– See more at: http://www.maristaurru.com/index.php/Articoli/Le-due-italie-del-Ministro-Padoan.html#sthash.5lYj8AOt.dpuf

senza parole

dite anche nome e cognome di queste merde umane che hanno commesso questa orrenda atrocità.Bastardi luridi!

cane ucciso

Cane ucciso a Irgoli (NU) da un allevatore di 42 anni e da suo figlio di 16 dopo averlo trascinato per km legato al gancio traino della loro macchina. La Lega Nazionale per la Difesa del Cane – Sez. di Alghero LegadelCane Sez Alghero mi chiede di diffondere queste immagini per far capire ai cittadini contro chi e cosa combatte ormai da anni. Si chiede inoltre di condividere questo album in modo che tutti possano sapere o fornire altri elementi utili alle indagini in corso. La Lega Nazionale per la Difesa del Cane di Alghero si è costituita parte civile contro i due responsabili, individuati e denunciati dal Comando dei Carabinieri di Siniscola, e tutti gli eventuali complici riconosciuti tali alla fine delle indagini. Foto prese da un servizio andato in onda su Videolina il 09/04/2014 visibile al seguente link:http://www.videolina.it/video/servizi/61670/barbarie-a-irgoli-padre-e-figlio-trascinano-un-cane-con-l-auto.html

Il reddito minimo sparito dall’agenda

11.04.14

Chiara Saraceno

L’introduzione di un reddito minimo per i poveri di tipo non categoriale è stata cancellata dall’agenda politica. Il Governo Renzi si interessa solo di lavoratori con scarso reddito o disoccupati. Dimenticando chi non è mai entrato nel mercato del lavoro.

SOLO LAVORATORI E DISOCCUPATI

L’introduzione di un reddito minimo per i poveri di tipo non categoriale sembra di nuovo sparita dall’agenda politica. Rimandata dal Governo Letta a un lontano futuro, a favore della carta acquisti riservata solo, in via sperimentale, a una categoria di poveri così ristretta e cervelloticamente definita che i comuni fanno fatica persino a individuarli, come hanno ammesso anche Maria Cecilia Guerra e Raffaele Tangorra su questo sito :

http://www.lavoce.info/sperimentazione-nuova-social-card/

nonostante l’evidenza dell’aumento della povertà assoluta, non fa parte delle riforme radicali che questo esecutivo ha in mente. Tra le tante raccomandazioni europee, è quella più ignorata, anche a parole, ancora più delle pur trascuratissime politiche di conciliazione tra responsabilità famigliari e lavorative.

A onor del vero, un accenno si trova nel disegno di legge delega “Disposizioni in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive”, in cui dovrebbe concretizzarsi il promesso jobs act renziano.

Ma si tratta dell’ennesima misura categoriale. All’articolo 1, comma 5 (che segue il comma sulla generalizzazione, in prospettiva e in via sperimentale, dell’Aspi), si legge: “eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’Aspi, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti”. Ovvero, solo coloro che hanno perso il diritto all’Aspi e sono poveri potranno forse ottenere un sussidio. Coloro che non sono mai riusciti, per motivi diversi, a trovare un’occupazione che facesse loro maturare il diritto all’Aspi, ne sono esclusi e con loro anche le loro famiglie. Queste non vengono effettivamente “viste”, salvo che come base di calcolo dell’Isee.

A ben vedere, ciò che si propone qui è ciò che esisteva in Germania prima della riforma Harz del 2000: un sussidio di disoccupazione di secondo livello, destinato appunto ai disoccupati poveri che avevano perso il diritto alla indennità di disoccupazione standard senza aver trovato una nuova occupazione. Ma in Germania esisteva, ed esiste tutt’ora dopo l’eliminazione dell’indennità di secondo livello, una misura di reddito minimo per chi si trova in povertà, distinta dall’indennità di disoccupazione e senza il requisito della perdita del diritto a questa, ma solo sulla base del reddito famigliare. Non si capisce la logica per cui si introdurrebbe il secondo livello, che non esiste ormai da nessuna parte, mentre continua a mancare una misura di sostegno al reddito per tutti coloro che si trovano in povertà, che viceversa esiste nella quasi totalità dei paesi UE ed è specificamente raccomandata dalla UE stessa, a partire dal lontano 1992.

Mettendo insieme questa norma e quanto annunciato nel Dpef relativamente alla riduzione dell’Irpef per i lavoratori dipendenti a basso reddito (individuale? famigliare?), se ne deduce che i poveri “meritevoli” sono solo i lavoratori che guadagnano poco e coloro che hanno perso un lavoro che ha dato loro, per un certo tempo, accesso all’indennità di disoccupazione. Mamme sole costrette a presentarsi sul mercato del lavoro per la fine di un matrimonio, donne e uomini che non sono mai riusciti ad avere una occupazione nel mercato del lavoro formale, e i loro famigliari, continueranno, come già avviene per la social card sperimentale, a essere considerati immeritevoli di sostegno.

UN RITORNO ALL’OTTOCENTO

Nella delega, il requisito dello status di disoccupato che ha esaurito il diritto all’Aspi per ottenere sostegno economico sembrerebbe contraddetto dal successivo comma 6, dove si propone “l’eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale”.

Dato che non posso pensare che chi ha scritto i commi si sia distratto, temo che si tratti non di un allargamento delle norme di accesso all’assistenza economica, ma di una restrizione, per altro legittima, all’accesso ad altre prestazioni assistenziali: non basterà più essere disoccupati per avere l’abbonamento scontato sui mezzi pubblici o per non pagare i ticket sanitari. Occorreranno anche altri requisiti, in primis di reddito.

Per avere assistenza economica, tuttavia, non basterà essere poveri ed essere disponibili a mettere in opera tutte le attività necessarie per migliorare le proprie chances occupazionali. Occorrerà, appunto, anche aver perso il lavoro ed esaurito l’Aspi.

Un’ultima osservazione: mentre si identificano i soli disoccupati come possibili beneficiari si assistenza economica, si dà una interpretazione assistenziale anche della indennità di disoccupazione, o Aspi. Al punto c del comma 6, infatti, si propone di individuare meccanismi che prevedano un coinvolgimento attivo dei soggetti beneficiari sia di Aspi che del sussidio di secondo livello, al fine di favorirne “l’attività a beneficio delle comunità locali”.

Non solo l’assistenza, anche la previdenza sono così trasformate in beneficenza da contraccambiare con lavoro gratuito, neppure con i discussi e discutibili mini-jobs imposti agli assistiti in Germania.

Più che #la(s)voltabuona, sembra piuttosto un ritorno all’Ottocento.

http://www.lavoce.info/reddito-minimo-disoccupati-renzi-mercato-del-lavoro/

Las Vegas, donna lancia scarpa contro Hillary Clinton

11 aprile 2014

L’ex segretario di Stato ha reagito prontamente: si è leggermente chinata e ha schivato la scarpa, senza essere colpita. L’autrice del gesto è stata arrestata

08:01 – Imitando una forma di protesta resa celebre nel 2008 da un iracheno nei confronti dell’allora presidente George W. Bush a Baghdad, una donna ha lanciato una scarpa contro l’ex first lady Hillary Clinton, che stava pronunciando un discorso a Las Vegas ad una conferenza sul riciclaggio dei metalli.

L’ex segretario di Stato ha reagito prontamente: si è leggermente chinata e apparentemente ha schivato la scarpa, senza essere colpita. La donna che l’ha lanciata è stata invece subito fermata dagli agenti della sicurezza e poi arrestata. I motivi del gesto restano al momento oscuri.
http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/2014/notizia/las-vegas-donna-lancia-scarpa-contro-hillary-clinton_2038671.shtml

ECCO SVELATO L’IMBROGLIO DEL DEF di Leonardo Mazzei

10 aprile. Un DEF per l’Europa, ma soprattutto per le europee

Al liceo “Dante” i compagni lo chiamavano «il bomba». Soprannome azzeccato come pochi. Certo, presentando il Documento di economia e finanza (DEF), il bomba ha dovuto darsi una calmata: niente slide, né sforature dei vincoli europei, ma tuttavia tante balle da far impallidire perfino il ricordo delle performance del suo amico barzellettiere.

Ha torto perciò Massimo Giannini (La Repubblica del 9 aprile) nel ritenere che l’imbonitore fiorentino stia tornando nel «mondo reale». Non ci sta tornando affatto, che le capacità illusionistiche sono il suo unico piatto forte. Se per una volta è apparso meno irreale del solito è solo perché l’imbroglio sta già tutto nel DEF e nelle sue cifre.

Ce ne occuperemo perciò nel dettaglio. Ma prima è necessaria una premessa: a Renzi oggi interessa solo e soltanto una cosa, il risultato che riuscirà a conseguire alle elezioni europee. Questo obiettivo viene prima di tutto, a questo obiettivo tutto è finalizzato. La sarabanda propagandistica è dunque destinata a continuare, con le mistificazioni populistiche su tagli, rottamazioni, costi della politica, semplificazioni, eccetera. Ma al Renzi populista dedicheremo un apposito articolo, qui ci interessa invece andare a vedere come le trovate propagandistiche del bomba vadano ad intrecciarsi con i vincoli europei. E da questo punto di vista il DEF è un buon banco di prova.

La leggenda del lieto fine

C’è una leggenda che di questi tempi va forte nel mondo dei media, e che si basa su quattro “pilastri”, uno più falso dell’altro. Eccoli:
1. la crisi sta finendo; 2. l’austerità pure; 3. il rigorismo dell’Europa si sta allentando; 4. in questo quadro il Fiscal compact ci fa un baffo.
Naturalmente, siccome la quotidiana esperienza delle persone comuni va semmai in direzione opposta, questo lieto fine viene presentato come tendenza, per adesso impercettibile ma destinata certamente ad affermarsi. Finito il tempo della negazione della crisi (Berlusconi), terminato quello dei tecnici “salvapatria” che a tutto avrebbero rimediato con i sacrifici (Monti et similia), è ora lo strano tempo di un personaggio da avanspettacolo che si sente autorizzato a promettere il tutto in nome del semplice fatto che al governo c’è lui.

Ovviamente, secondo questo narratore da strapazzo, questo lieto fine potrà essere raggiunto con l’applicazione più spinta delle ricette passepartout che imperversano ormai da un terzo di secolo: privatizzazioni, tagli, precarizzazione del lavoro, liberalizzazioni, più mercato e (oggi un po’ meno) più Europa.

Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Ma come si combinano i quattro “pilastri” di cui sopra nel puzzle denominato Documento di economia e finanza?

I numeri falsi del DEF

Tutti sanno che il valore del DEF è assai relativo. Cifre che vengono proiettate a cinque anni, ma che vengono poi riviste – in genere assai pesantemente – ogni sei mesi. Del resto è ben noto come le previsioni economiche siano normalmente assai meno attendibili di quelle meteorologiche.

Tuttavia quei numerini, benché così volatili, qualcosa ci dicono. Ma quelli dell’edizione aprile 2014, targata Renzi-Padoan, sembrano davvero scritti sulla sabbia. Vediamo il perché, procedendo per punti.

1. La crescita
Nel comunicato diffuso dal governo si legge che: «Si proietta una crescita del PIL dello 0,8 per cento per l’anno in corso, con un graduale avvicinamento al 2,0 per cento nei prossimi anni».
A parte il fatto che un +0,8%, dopo una caduta del Pil di 9 punti dall’inizio della crisi, è solo un modesto rimbalzino fisiologico che nulla fa sperare per il futuro, è realistica la previsione del governo? Lo vedremo, ma intanto Fmi ed Ue prevedono un +0,6%. Siamo agli zerovirgola, d’accordo, ma visto che in ogni caso di zerovirgola si tratta anche questa differenza va segnalata.

Il comunicato parla poi, per gli anni a venire, di «avvicinamento al 2,0%», ma in realtà la tabella del DEF immagina la seguente progressione: +1,3% nel 2015, +1,6% nel 2016, +1,8% nel 2017, +1,9% nel 2018. Un’evoluzione lenta quanto inarrestabile. Già, ma quanto credibile? Se noi andiamo a leggere i DEF del passato scopriamo che il trucco è sempre il solito, e consiste nell’ammettere (ma mai fino in fondo) la defaillance del presente, abbellendo sistematicamente i dati attesi per gli anni futuri, in base alla nota legge che «prima o poi tutto finirà per il meglio». Giusto per fare un esempio, è in base a questo criterio che il DEF 2011 prevedeva un +1,3% per il 2012 ed un +1,5% per il 2013, anni poi rivelatisi invece di profonda recessione.

Al di là del fisiologico rimbalzino, cosa autorizza a pensare ad un’inversione di tendenza riguardo alla crescita? Niente. O, peggio, delle ipotesi meramente ideologiche, senza alcun riscontro scientifico. Che le cose stiano così ci viene confermato da alcune proiezioni contenute nel DEF e messe in evidenza dal Sole 24 Ore del 9 aprile. Secondo queste proiezioni, la «Riforma del mercato del lavoro» (alias precarizzazione estrema) varrebbe un incremento di Pil dello 0,8% al 2018; mentre un analogo incremento verrebbe determinato dalle «Liberalizzazioni e semplificazioni», e si potrebbe continuare con simili amenità. Qui, per brevità, mi sono limitato a citare il dato al 2018, ma valori in crescita progressiva sono indicati già a partire dal 2014.

Ora, è ormai un quarto di secolo che si liberalizza e si precarizza, ed in questo periodo la tendenza alla crisi non ha fatto altro che accentuarsi, fino ad esplodere violentemente nel 2008. Perché mai questa volta, invece, liberalizzazioni e precarizzazione – al di là della loro negatività sociale, che non ha bisogno di troppi commenti – dovrebbero compiere il miracolo?

Non solo, così come si sovrastimano gli effetti di queste misure, si sottostima invece l’effetto negativo della politica dei tagli alla spesa pubblica sul Pil. Un impatto che si vorrebbe contenuto tra -0,2 e -0,3%. E’ credibile tutto ciò quando si dichiara di voler arrivare a tagli di spesa di 32 miliardi di euro (pari al 2% del Pil) nel 2016? Ovviamente no, ma chissenefrega, che l’importante è portare a casa la pelle alle europee.

2. La piena accettazione dei vincoli europei
Com’era prevedibile, Padoan non ha fallito la sua missione, ed – almeno sulla carta – a Bruxelles arriveranno numeri perfettamente allineati con la tabella di marcia imposta dal Fiscal compact. Così, giusto per ribadire che da parte europea non c’è nessun allentamento dei vincoli, e che da parte italiana c’è il solito «obbedisco» di sempre.

Quanto sia credibile questo percorso di rientro del debito è un altro discorso, che vedremo più avanti. Sta di fatto, però, che il percorso rigorista viene accettato in pieno, come ci dicono i numeri che seguono. Il rapporto debito/Pil, al 132,6% nel 2013, viene previsto ancora in aumento (134,9%) nel 2014, ma dal prossimo anno dovrebbe iniziare a scendere con velocità supersonica fino al 120,5% annunciato per il 2018. Una picchiata in linea con la tempistica di rientro del Fiscal Compact.

Idem per quel che concerne il famoso 3% nel rapporto deficit/Pil. Era questo il vincolo che Renzi faceva intendere di voler sfidare, ma le visite a Bruxelles, Berlino, e perfino nella Parigi dell’inadempiente ma politicamente decotto Hollande, hanno vivamente sconsigliato al berluschino fiorentino di insistere su quel tasto. Evidentemente, l’annuncio di quello strappo altro non era che una delle tante sparate del bomba, ma di questo eravamo già certi. Ecco allora il suo piano, che anziché essere di sfondamento è invece di mesto rientro. Secondo il DEF al -3,0% del 2013, dovrebbe seguire un – 2,6% nel 2014, fino ad arrivare progressivamente addirittura al segno più (+0,3%) nel 2018.

3. Come verrà rispettato il Fiscal compact?
Eccoci allora arrivati al punto più interessante. Tanto più che il bomba ha già dichiarato che non vi saranno altre manovre. Ah no? E come li fa tornare i conti, con la bacchetta magica? In realtà Renzi, probabilmente per la fretta che lo contraddistingue, non ha avuto modo di completare la frase, perché altrimenti avrebbe certamente detto che non vi saranno altre manovre… fino al 25 maggio, naturalmente.

Tra tutte le leggende, quella sul “Fiscal compact? No problem” è una delle più assurde. A rilanciarla ci ha pensato Padoan, che ha affermato che basterà «ottenere una crescita nominale del 3%, di cui un 1% di aumento del Pil e un 2% di aumento dell’inflazione, e la ghigliottina ci sarebbe risparmiata, perché il debito si ridurrebbe in automatico per il solo effetto della crescita del Prodotto lordo». (M. Giannini, La Repubblica del 9 aprile)

Semplice no? Peccato che la crescita sia sotto l’1% e l’inflazione vada dirigendosi verso lo zero. E già solo per questo i conti non tornano. Ma non è questo il peggio. Il peggio, che è anche naturalmente il non detto, è che questo simpatico meccanismo di «rientro automatico» (a proposito, ma come mai il fior fiore dei bocconiani al governo non ci ha mai pensato prima?) si basa su un altro punto fermo, un numerino apparentemente innocente quanto foriero di nuovi pesantissimi sacrifici.

Abbiamo già visto il “virtuoso” rientro (sulla carta, beninteso) del deficit dal -3,0% del 2013 al +0,3% del Pil nel 2018. Si tratta di un recupero di 3,3 punti percentuali di Pil, pari all’incirca a 54 miliardi. Una massa di denaro che, se calcolata sull’avanzo primario, si ridurrebbe a circa 45 miliardi, in virtù della minor spesa prevista per gli interessi.

E qui dobbiamo aprire una parentesi. Siccome – soprattutto per gli effetti del Quantitative easing americano – il peso degli interessi è diminuito negli ultimi tempi, il governo si spinge a prevederne un ulteriore calo nei prossimi anni (dal 5,3% sul Pil del 2013 al 4,7% nel 2018). Calcolo abbastanza azzardato, non solo perché nuove crisi finanziarie sono assai probabili, non solo perché il Quantitative easing europeo (ammesso che si faccia) andrà probabilmente a dirigersi verso titoli del sistema bancario piuttosto che verso i bond del debito pubblico, ma soprattutto perché se si auspica una ripresa dell’inflazione essa andrà sì ad incrementare il Pil nominale, ma giocoforza aumenterà nella stessa misura i tassi sui titoli pubblici di nuova emissione.

Dunque, abbiamo visto che anche nella migliore delle ipotesi serviranno almeno 45 miliardi all’anno di tagli e/o nuove tasse. Ne serviranno certamente di più, perché la crescita sarà più bassa ed i tassi di interesse prevedibilmente più alti, ma anche volendo accettare la stima dei 45 miliardi – ovviamente non esplicitata nel DEF, ma facilmente ricavabile dai numeri lì esposti -, la domanda è: dove li prenderanno?

4. Da dove verrà questa montagna di denaro?
Come ognuno avrà ben capito entrano qui in gioco i tagli di spesa: addirittura 32 miliardi al 2016. Ma i tagli alla spesa non sono affatto una piacevolezza come si vorrebbe far credere mettendo all’asta le auto blu su e-bay. Essi andranno a colpire in primo luogo la sanità (comparto dove si concentra il grosso dell’acquisto di beni), il welfare (pensioni di invalidità), nonché il pubblico impiego, non solo tagliando i salari, ma diminuendo drasticamente il numero degli occupati. Che è poi un modo assai singolare di ridurre la disoccupazione sotto il 10%, come da un’altra recente sparata del bomba.

Ma anche prescindendo da queste considerazioni sociali – per noi ovviamente del tutto imprescindibili – resta il fatto che non solo l’obiettivo di 32 miliardi è assolutamente irrealistico, ma che il governo (sempre nel DEF) dichiara di volerlo destinare alla riduzione del «cuneo fiscale», dunque con un effetto sui conti pubblici pari a zero. Naturalmente, solo il tempo ci dirà come andranno le cose, ma se i tagli verranno destinati all’aggiustamento dei conti salterebbe quella riduzione fiscale che, nelle dichiarazioni del duo Renzi-Padoan, dovrebbe essere uno dei fattori della mitica crescita. Dunque, ancora una volta, i conti non tornano.

Conclusioni (quando i nodi verranno al pettine)

La conclusione di questa breve disamina del DEF è assai semplice: il bomba mente sapendo di mentire. I suoi sono numeri scritti sulla sabbia. Ma questa, ammettiamolo, non è una notizia. La notizia è che i suoi spazi di manovra sono gli stessi di chi l’ha preceduto. Lui è solo un venditore più bravo. Qualità non secondaria, come riconosce Fabrizio Forquet nel suo editoriale di commento sul Sole 24 Ore, laddove dice assai esplicitamente che Renzi è sì un populista alla ricerca di un facile consenso, ma che il blocco dominante non può farne a meno, perché senza consenso (vedi Monti e Letta) non sarebbe possibile portare in porto le (contro)riforme che interessano a lorsignori.

I quali gridano evviva per un DEF truffaldino, che mette i numeri che piacciono all’Europa, senza dire con quali misure raggiungerli per non dispiacere gli elettori. Un trucco che verrà ben presto svelato.

E quando, tra qualche mese, i nodi verranno al pettine, quando insomma si dovrà discutere della prossima Legge di stabilità, il renzismo mostrerà appieno il suo straordinario vuoto strategico. Nel frattempo però, con uno straordinario sostegno mediatico, il bomba proverà ad incassare un buon risultato alle europee.
Che il boccone elettorale gli vada di traverso!

PS – A proposito di populismo (quello vero). L’organo degli “anti-populisti”, cioè La Repubblica, così titolava ieri a proposito del DEF: «Stangata su banche e manager». Attendiamo un’ondata di suicidi di banchieri e manager di Stato, in caso opposto le scuse del direttore del giornale Ezio Mauro o, meglio ancora, del sig. De Benedetti, tessera n° 1 del Pd. I disoccupati, che stanno veramente pagando la crisi, anche per le politiche sostenute da quel giornale e da quel partito, gradirebbero almeno di non essere presi in giro.
http://sollevazione.blogspot.it/2014/04/ecco-svelato-limbroglio-del-def-di.html

Argentina. Andalgalá. Vent’anni di lotte contro lo sfruttamento minerario su vasta scala

 http://www.tgvallesusa.it/?p=6986
TG Valle Susa

Lo sfruttamento di giacimenti non si ferma. Non si ferma di fronte al drammatico impatto ambientale. Le imprese si dicono disposte al dialogo, ma la risposta alla popolazione è una sola: “Andatevene”.

Posted on 6 aprile 2014

di Massimo Bonato

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Argentina nordorientale. Andalgalá è una città situata a 245 km a nord della capitale della provincia di Catamarca; a sud nella valle meridionale delle Sierras del Aconquija, sulle Ande. Andalgalá in quechua significa “Signore della lepre” o anche “Signore dell’alta montagna” ed è la terza città più importante della provincia. Un centro urbano con i suoi supermercati, negozi, farmacie, un ospedale, scuole, la sua chiesa, il municipio, il commissariato di polizia. Ma ci sono pochi giovani, perlopiù si incontrano bambini o anziani, poiché la generazione tra i 20 e i 30 anni sembra essere fuggita altrove, alla ricerca di quel lavoro che qui scarseggia.

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Le auto con il finestrino abbassato e l’autoradio in bella mostra non han nulla da temere; di grate alle finestre se ne vedono poche; case con allarme nessuna. Andalgalá è una cittadina di 12.000 abitanti, contadini, professori, impiegati statali, piccoli commercianti e indigeni, che storicamente han sempre vissuto di molteplici fattori produttivi in armonia ed equilibrio con la natura, fino al 30 ottobre del 1997.

A quella data, oro, rame, argento, uranio, molibdeno e gli impianti di estrazione tra i più grandi del mondo finiscono sulla bocca di tutti, e per tutti diventano uno dei temi quotidiani di cui parlare, discutere, infervorarsi, e combattere.

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Nel 1997 ha inizio lo sfruttamento del giacimento Bajo La Alumbrera, una miniera a cielo aperto sfruttata dall’impresa che fa capo alla società Minera La Alumbrera. La società viene creata dall’unione di aziende diverse: la UTE (Xstrata Cooper, svizzera; Yamana Gold, multinazionale argentina a capitale misto; Gold Corp, canadese; a queste si aggregano successivamente la gigante Glencord, l’Università Nazionale di Tucumán, l’Estado de la Provincia de Catamarca y Nacional, dando vita alla società statale YMAD, necessaria per potersi associare alle società multinazionali su citate).

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Il giacimento La Alumbrera si presenta sin da subito come la miniera di oro e rame più grande dell’Argentina e una tra le più importanti del mondo.

Quando la miniera dell’Alumbrera aprì i battenti, si credette che portasse lavoro, progresso nella cittadina e nella regione, ma non fu così. Di lavoro se ne vide poco e mal pagato, tanto che ora gli abitanti sarcasticamente di sé dicono che “si misero in coda per divenire schiavi”, sperando appunto in un lavoro, in una delle regioni più povere del Paese.

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In compenso cominciarono i problemi di contaminazione che si fecero sempre più preoccupanti. Le malattie respiratorie sono aumentate negli ultimi sette anni del 300%, senza contare che l’arsenico liberato nel sistema idrico produrrà tumori e leucemia, sia attraverso il diretto consumo d’acqua sia più subdolamente attraverso la catena alimentare.

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Dalla miniera Bajo La Alumbrera intanto, vengono estratti 190mila tonnellate di rame, 18mila tonnellate di oro all’anno tra gli altri minerali. Ma produce un gran spostamento di rocce, circa 340 tonnellate al giorno, lasciando nella sola Andalgalá un residuo di 1900 milioni di tonnellate di roccia contaminata. Si tratta di un immenso pozzo, di 2 km di diametro e profondo 600 metri, nel quale le attività estrattive generano acque acide, che producono un impatto altamente tossico sia sulle acque superficiali sia su quelle sotterranee che durerà per almeno 500 anni.

Ma dal 2000 i cittadini di Andalgalá cominciano a sentir parlare dell’apertura del giacimento di Agua Rica a opera dell’impresa North Orain, poi venduto all’impresa transnazionale Yaman Gold, perché lo sfruttamento minerario avvenga attraverso la sua succursale argentina, ovvero la società Minera Agua Rica controllata dalla stessa società Minera La Alumbrera.

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Così, i cittadini di Andalgalá cominciano a informarsi sulla metodologia mineraria a cielo aperto più approfonditamente. Prendono a riunirsi e a organizzarsi, per opporsi al saccheggio e alla contaminazione che si va producendo, e di conseguenza iniziano le manifestazioni per far sapere alle autorità locali, ma anche a quelle provinciali e nazionali che non sono disposti a cedere il territorio, le risorse idriche, la salute ambientale. Per far fronte alla situazione i cittadini si costituiscono in un’assemblea popolare che chiamano “Asamblea El Algarrobo”, sorta spontaneamente con la decisione di impedire gli investimenti necessari al preteso progetto minerario di Agua Rica. Miniera tre volte più grande di quella già esistente, più vicina al centro abitato e allo spartiacque che approvigiona di acqua tutta la regione, miniera cioè, che darà il colpo di grazia alla città e a tutta l’area già duramente messa alla prova.

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Nel frattempo, la canadese North Orain ha cominciato a lavorare alle opere infrastrutturali per sfruttare il nuovo giacimento a soli 17 km dal centro abitato, in cima alle montagne di fronte alla città di Andalgalá, con la prospettiva di estrarre oro, argento, rame e molibdeno. Come recita il documento presentato dalla società medesima: “Lo sviluppo di Agua Rica è tecnicamente fattibile e potrebbe svilupparsi come giacimento a basso costo e di lunga durata”. L’obiettivo è di arrivare a trattare 70mila tonnellate di roccia al giorno per 30 anni.

Ma è l’acqua l’oro del futuro. E sarà l’acqua la causa dei futuri conflitti.

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In Catamarca l’acqua non manca, ma la miniera La Alumbrera ne utilizza nei suoi sei pozzi 1100 litri al secondo (ovvero 66mila litri al minuto, ovvero quasi 4 milioni di litri l’ora). “Lo sfruttamento delle acque non gravano per nulla sulla loro disponibilità in uso alle località limitrofe” dichiara l’impresa mineraria. La contraddizione è che per impiantare la nuova miniera, mentre si rassicura da un lato la popolazione sull’approvigionamento idrico, si comincia a parlare di sgombero della città, di indennizzi per chi verrà trasferito altrove, di “compensazioni”… per andarsene e lasciare che la nuova miniera Agua Rica faccia il suo corso, inquinando acqua e terra, sollevando polveri che a loro volta contaminano i coltivi, risorsa primaria dei mercati regionali. L’impresa si mostra disposta al dialogo, perché, tanto, il problema non è “miniera sì, miniera no”, dal momento che è “necessaria”. Come altre attività umane produce un impatto, e allora il problema si sposta piuttosto su quanto meno si possa produrre questo impatto sull’ambiente. Senza che naturalmente la presenza stessa della miniera venga messa in discussione.

L’unica soluzione per gli abitanti di Andalgalá è opporsi.

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Dal 2009 le azioni promosse dall’“Asamblea El Algarrobo” si intensificano. L’intera popolazione della città viene coinvolta e viene dato vita alle Caminatas por la Vida nel centro cittadino ripetute ogni sabato sera, sino a concentrare per le strade della città oltre 5000 manifestanti, in lotta contro i megaprogetti minerari (siamo ora quasi alla 230° Caminata). Allo stesso tempo, sempre durante il 2009, i cittadini si rivolgono alle autorità con sollecitazioni inviate alla Secretaría de Estado de Minería de la Provincia de Catamarca con informative di impatto ambientale dei giacimenti mega minerari di Bajo La Alumbrera e Agua Rica, ma vengono però a sapere che dal 19 marzo 2009 è stato emanato l’atto amministrativo che autorizza lo sfruttamento del giacimento di Agua Rica, per il quale era stato presentato ricorso alla Segreteria per l’annullamento della Risoluzione 035/09, senza ottenere risposta.

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L’alta partecipazione cittadina all’assemblea e alle manifestazioni conduce l’Estado Provincial a tentare in tutti i modi di disarticolare la partecipazione popolare. Intanto con la militarizzazione del territorio: costante presenza della polizia all’”Asamblea El Algarrobo”, e sul comune tragitto percorso dai mezzi della impresa mineraria. Tuttavia i cittadini continuano a riunirsi quotidianamente, anche se spesso tra cittadini e potere politico locale, che ha i suoi interessi nelle imprese minerarie, la tensione sale. Fino a che, il 15 febbraio 2010 viene deciso lo sgombero dell’”Asamblea El Algarrobo” con una feroce repressione poliziesca, che coinvolge addirittura le forze speciali di polizia Grupo Kuntur (operative nella provincia di Catamarca, create nel 2002), fanteria dell’esercito, la polizia cinofila fatta pervenire dai vicini dipartimenti. Il risultato è una rivolta popolare vera e propria che conduce il Giudice per gli affari minerari della Provincia di Catamarca a erogare una misura cautelativa di sospensione di ogni tipo di attività nella miniera Agua Rica fino a che non venga ristabilita la “pace sociale”. Ma la repressione del 15 febbraio 2010 non è l’unico fatto di violenza, rimasto senza alcuna risposta da parte delle autorità giudiziarie, nonostante le denunce prodotte dai cittadini.

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I lavori però non si fermano. Sempre nel febbraio del 2010 viene presentata una richiesta firmata dai cittadini di 18 paesi della regione di Andalgalá perché vengano sospese le attività di Agua Rica, ma il Giudice di Garanzia la rigetta in prima istanza con una serie di motivazioni tecniche. La richiesta comincia così un lungo iter burocratico: Camera civile, commerciale e mineraria, Corte di giustizia provinciale di Catamarca, Cassazione, Corte federale, Corte suprema di giustizia nazionale, Tribunale nazionale dove dal 2012 si studia il caso di rigetto dell’istanza senza approdare a nulla di concreto.

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Ancora nel 2010 è lo stesso Consiglio deliberativo di Andalgalá, istituzione municipale, a farsi carico di un progetto di ordinanza di proibizione delle attività estrattive che comporta la convocazione di un referendum popolare perché la popolazione stessa possa esprimersi sia sulla ordinanza sia di conseguenza sull’attività dell’impresa; ma la Corte provinciale non accoglie l’istanza del referendum negando di fatto il diritto all’autodeterminazione.

Andalgalà. Polizia speciale, Grupo Kuntur

In una giornata di mobilitazione alla quale aderiscono le assemblee dei cittadini autoconvocati di diversi Dipartimenti della provincia, la repressione riprende vigore, arrivando a bloccare gli ingressi della città di Andalgalá per una settimana intera tra il 10 e il 15 febbraio del 2012, quando le trattative per i finanziatori della miniera Agua Rica volgono a termine e si rende necessario far affluire finanziatori, collaboratori, impiegati dell’impresa scortati dalla polizia. Neanche a dirlo, nessuna denuncia prodotta dai cittadini per questa circostanza vede l’inizio di indagini che accertino le responsabilità dell’assedio. Le violenze si intensificano. Il 29 dicembre 2012 per esempio, durante la Caminata por la Vida quando, intendendo attraversare i cancelli dell’impresa mineraria Agua Rica, per protestare contro l’attività estrattiva, prima ancora di raggiungere i capannoni dell’impresa, bastano le rimostranze della cittadinanza alle forze di Polizia che bloccano loro il passaggio, perché queste carichino alla cieca.

Tra il 2010 e il 2012 le iniziative politiche si moltiplicano, vengono presentate numerose petizioni, non ultima la richiesta del settembre 2012 con la quale si richiede la sospensione di tutte le attività estrattive lungo la catena montuosa Sierras del Aconquija fino a quando l’Instituto de Nivologia y Glaciología (IANIGLA) non abbia realizzato l’inventario dei ghiacciai. Nonostante il Giudice per le attività minerarie non decida nulla in proposito, nel settembre del 2013 finalmente lo IANIGLA raggiunge con i suoi tecnici le Sierras del Aconquija procedendo a rilievi di ghiacciai e ambiente periglaciale. Una missione durata quattro giorni in totale, che dire insoddisfacenti è dire poco. Cosicché gli abitanti di Andalgalá si risolvono a contattare tecnici indipendenti che rendano conto dell’esistenza di aree glaciali e periglaciali nella zona dove Agua Rica deve operare.

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Del resto, le preoccupazioni degli abitanti di Andalgalá e dei dintorni non finiscono con lo sfruttamento di Agua Rica, non solo perché, come detto, si presenta come tre volte più grande della esistente miniera Bajo La Alumbrera, ma anche perché darebbe il via allo sfruttamento di un successivo giacimento, il Filo Colorado. Megagiacimenti che colpiscono le sorgenti del Río Andalgalá proprio nella conca da dove origina dal Río Minas (dove peraltro è ubicata la miniera di Agua Rica) e il Río El Candado (dove si trova il giacimento di uranio di Filo Colorado), che insieme si immettono a valle nel Río Blanco, ovvero proprio nelle acque che rappresentano la risorsa naturale che soddisfa il fabbisogno idrico della città di Andalgalá e la regione stessa.

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M.B. 06.04.14