Posted on 26 marzo 2014
di Davide Amerio
Domenica scorsa una mamma ha partorito un bambino in auto, in una piazzola dell’autostrada A32, mentre il marito cercava di trasportarla all’ospedale cui era stata indirizzata (a 40 km da casa) dall’altro ospedale che invece presidia la città in cui la donna abita.
Il fatto è noto e non ha bisogno di altri dettagli. Ho voluto qui riportarlo in modo impersonale per catturare l’attenzione sull’immagine che l’accaduto può offrire a un qualunque osservatore. Egli si domanderà: ma non poteva partorire nell’ospedale cittadino? Perché è stata mandata a 40 km di distanza? Perché, se il travaglio era iniziato, non è stata trasportata con un’ambulanza e con l’assistenza di un medico?
Queste sono domande che hanno tutte una caratteristica fondamentale: sono logiche! Sono quelle che una qualsiasi mente razionale dotata di un poco di senso critico si porrebbe pur senza entrare nel merito delle questioni mediche e sanitarie.
L’evento, che per fortuna si è concluso senza conseguenze per mamma e bambino, era annunciato da qualsiasi ragionamento puramente statistico. Se costringo un numero sempre più grande di partorienti a viaggiare per 40 km (e potrebbero essere anche di più se la madre abita in alta valle) prima o poi, statisticamente, una “scodellata” lungo il tragitto succede.
L’accadere di eventi previsti o prevedibili, a rigore di logica, di buon senso, della statistica, è diventata da troppi decenni normale prassi nel nostro paese.
Si tratti di partorienti, fiumi che esondano, montagne che franano, dighe che trasbordano, treni che deragliano, edifici che crollano, funivie abbattute (da aerei che volano troppo bassi), fabbriche che inquinano (e uccidono le persone),l’Italia è il paese dei disastri annunciati.
L’annuncio è l’elemento comune a tutti questi eventi disastrosi e drammatici che provocano distruzione, danni, morti. Coloro che informano (e protestano), segnalano, prevedono, grazie a studi, ricerche o esperienza professionale diretta, gli eventi inevitabili o evitabili qualora si pongano i rimedi opportuni, sono messi ritualmente alla berlina: tacciati di allarmismo, incompetenza, esagerazione.
Poi, a disastro accaduto, assistiamo alla processione di atti di costernazione, solidarietà, stupore. Dopo un certo numero di anni è in genere la magistratura a decretare le (previste e prevedibili) responsabilità penali e politiche. Intanto però il fattaccio si è verificato e i danni (umani e finanziari) li pagano sempre i cittadini.
Dai tempi del Vajont la storia d’Italia è immensamente (e tragicamente) ricca di questi eventi. Ma si può vivere così ?
Davvero non pensiamo di meritarci qualcosa di meglio? Veramente siamo condannati a sperare di essere fortunati a non dover rientrare un giorno nell’asettico elenco dei deceduti o dei feriti a seguito di un qualche disastro?
A questo punto buttarla in politica è come sparare sulla Croce Rossa (come suol dirsi). E’ ovvio che esistono precise responsabilità della classe politica, dei politici, di singoli o di gruppi: interessi privati, clientele, collusioni, corruzione e via dicendo. Ovviamente questo campionario di malaffare ha bisogno del sostegno dell’incompetenza: non posso certo mettere un personaggio capace a gestire le cose se voglio corrompere il sistema; ho bisogno di un burattino o di una testa di legno.
Le cronache quotidiane, almeno quelle che un po’ di giornalismo indipendente riesce ancora a raccontarci, ci offrono un panorama desolante a paragone del quale il deserto arabo è un prato fiorito.
Ribaltare tutte le responsabilità sulla “politica” è però troppo comodo. Ci dobbiamo domandare quale ruolo hanno svolto e svolgono i cittadini in questo processo.
E’ l’insana convinzione che sia possibile accettare la corruzione come un principio tollerabile (anche se non desiderato) la fonte del vuoto etico che si è creato in Italia. Troppo spesso “siamo” stati accondiscendenti con un sistema corrotto e corruttore considerandolo un male inevitabile.
E’ un vuoto provocato che innesca un meccanismo perverso: sbigottimento e smarrimento prima, rassegnazione dopo. Un popolo convinto che non esistano alternative al sistema esistente al punto da essere tollerante ad ogni sfacciata malversazione garantisce una complice acquiescenza. E questa genera maggiore frustrazione cui segue innalzamento del senso di rassegnazione e poi infine disinteresse: così i ladri, i furbi, i disonesti di ogni grado e specie possono agire con impietosa disinvoltura e senza vergogna.
L’Etica delle responsabilità, ci raccontava (e ci raccomandava) Norberto Bobbio. Come si può farne a meno?Come si può vivere civilmente in una comunità priva di senso morale sulle conseguenze dei propri comportamenti? Com’è possibile che lo Stato funzioni se permettiamo che la corruzioni depredi risorse finanziarie ma anche energie e volontà delle persone?
Stiamo continuando a precipitare in questo buco nero e, immergendoci nel buio, guardiamo attoniti gli eventi “disastrosi” che si susseguono attorno a noi: “crediamo” (o cerchiamo di convincere la nostra coscienza) essi siano inevitabili e predestinati dal destino.
E’ davvero così? E’ una domanda che ciascuno dovrebbe incominciare a porsi seriamente sopratutto in vista della prossima tornata elettorale ricordando ciò che diceva il formidabile Paolo Borsellino: “Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara, e più affilata di un coltello“.