E SE LE ARMI CHIMICHE SIRIANE FINISCONO ALLA ‘NDRANGHETA ?

Postato il Domenica, 23 febbraio
DI FELICITY ARBUTHOUT
Global Research
 
E’ possibile che la consegna delle armi chimiche della Siria da parte delle due società di smaltimento rifiuti selezionate, la finlandese Ekokem e la francese Veolia preveda una collaborazione ( o un “accordo” ) con la più potente organizzazione criminale italiana, fatta a nome dell’OPAC, l’ Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, che ha vinto il Premio Nobel per la pace?
 
Allora proviamo a capire com’è che questa storia arriva in Italia …
Il 12 settembre dello scorso anno, il Presidente siriano al-Assad si è impegnato a consegnare le armi chimiche siriane, con la promessa che gli Stati Uniti avrebbero smesso di minacciare il suo paese e di rifornire di armi i terroristi. Assad ha “ mantenuto l’accordo” come ha mantenuto la sua parola. Lo stesso non si può dire né degli USA né degli alleati, loro tirapiedi.
 
Tre giorni prima, il segretario di Stato USA John Kerry – uno di quelli che parteciparono all’assalto in Vietnam quando gli aerei americani “fecero piovere 388 mila tonnellate di armi chimiche sulla testa del popolo vietnamita” (i) – aveva minacciato la Siria di un attacco militare se, entro una settimana, non avesse consegnato le armi chimiche, dicendo alla stampa che il presidente Assad : “Non vuole e non può farlo “
Kerry, che è rimasto sempre un uomo dal grilletto facile, si era soffermato sul secondo punto, Assad non può farlo, per due motivi, spostare delle sostanze chimiche pericolose da una zona di guerra è, anche sottovalutando i rischi, un affare sconsiderato e pericoloso e secondo perché per questa sua richiesta era stato appoggiato dalla “comunità internazionale” e dalla OPAC, Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, Premio Nobel per la Pace, che non aveva, comunque, preparato nessun piano di smaltimento e non aveva idea di cos’altro dovesse fare se non insistere nello scaricare tutte le colpe sulla Siria.
 
Come sempre due pesi e due misure condite di ipocrisia. Ecco cosa scrive la CNN (10thOctober 2013) :
 
Gli Stati Uniti prevedono che ci vorranno almeno dieci anni prima che si completi la distruzione del restante 10 % delle armi chimiche, stimate in più di 3.100 tonnellate.”
 
E la Siria? “L’intelligence USA e altre fonti stimano che le riserve di armi chimiche ammontino a circa 1.000 tonnellate nascoste in decine di siti” – in queste circostanze insistere sul trasportarle sarebbe un incubo logistico ed un pericolo enorme sia per la popolazione che per chi dovrà rimuoverle.
La CNN ha intervistato Wade Mathews, che lavorò nel “progetto per distruggere l’arsenale chimico USA”, e questi ha dichiarato di dubitare che la Siria potesse rispettare le scadenze concordate. L’operazione che fecero gli USA “ebbe bisogno di miliardi di dollari, della collaborazione di tutta la burocrazia del governo – tra cui quella militare – e di un ambiente sicuro per assicurarsi che la distruzione fosse fatta in modo sicuro.”
 
“Abbiamo fatto uno sforzo coordinato con un governo che insisteva che le cose fossero fatte in modo sicuro e che la comunità fosse protetta … non credo che potranno fare lo stesso in Siria.”
 
Shopping per trovare un Paese dove Distruggere le Armi
 
Fatto l’accordo con la Siria, l’OPAC ha cominciato a fare shopping nei vari paesi – uno qualsiasi, sembra – dove poter distruggere le armi. La Norvegia, avvicinata dagli USA, era stata la prima nazione a rifiutare perché il paese non aveva nessuna esperienza nel trattare con armi chimiche, infatti il sito del Ministero degli Esteri scrisse : ” . … La Norvegia non è il luogo più adatto per questa distruzione “
 
La Norvegia dice di  No:  Proviamo con l’ Albania ?
 
Il secondo paese ad essere avvicinato fu l’Albania, una richiesta che, secondo il Primo Ministro Edi Rama, venne direttamente dagli Stati Uniti.
 
Secondo l’organizzazione Anti-Corruption Initiative con sede a Berlino, l’Albania è uno dei paesi più corrotti d’Europa e il più corrotto nei Balcani, classificato 95° su 176 paesi monitorati nel 2011 –  113° nel 2012 – 116° nel 2013 – come risulta dall’Indice di percezione della corruzione, da loro redatto.
 
Dalla relazione di fine anno, sulla Trasparenza Internazionale :
 
In Albania la corruzione sta registrando una nuova fisionomia in un ambiente politico favorevole, con caratteristiche come il sistemico riciclaggio di denaro sporco, il finanziamento dei partiti politici con fondi provenienti da attività illegali, il sequestro dello Stato con appalti pubblici e con privatizzazioni sotto il controllo dei trafficanti di stupefacenti e con l’impunità degli alti funzionari dello Stato di fronte al sistema giudiziario e alla legge.”(ii)
 
I manifestanti contro la distruzione delle armi nel loro paese sono scesi in piazza in migliaia, alcuni indossando maschere antigas e indumenti protettivi, le proteste hanno avuto luogo anche nella vicina Macedonia, con incursioni davanti all’Ambasciata albanese.
 
L’Albania dice ci dispiace, Noi non possiamo farlo
Alla fine l’Albania ha respinto l’offerta ed ha mandato Rana, strisciando, a chiedere scusa a Washington : “Senza gli Stati Uniti, gli albanesi non sarebbe mai stati liberi e indipendenti, come sono oggi “ – ha detto riferendosi all’Albania e al Kosovo e all’assalto massiccio del MARZO-GIUGNO 1999 di NATO e USA contro l’ex Jugoslavia, facendo ampio  uso di armi all’uranio impoverito (ovviamente, entrambe armi chimiche e radioattive). Come spiega Science Applications International Report – parlando degli effetti prodotti da quelle armi :
 
“Le forme solubili presentano rischi chimici, soprattutto nelle reni, mentre le forme non-solubili presentano pericoli per i polmoni a causa delle radiazioni ionizzanti … gli effetti a breve termine per soggetti sottoposti a dosi elevate possono provocare la morte, mentre gli effetti a lungo termine per soggetti sottoposti a bassi dosaggi possono portare al cancro.”
 
Oltre alle preoccupazioni sulla corruzione in Albania – certamente ci sarebbero stati gruppi di terroristi pronti senza dubbio ad offrire ingenti somme per queste armi – sicuramente si è presa in considerazione anche la sicurezza. Nel 2008 un’esplosione in un deposito di munizioni nei pressi della capitale albanese Tirana, uccise ventisei persone, ci furono trecento feriti e furono danneggiate o distrutte 5.500 case. Gli investigatori dissero che il disastro fu causato da una sigaretta accesa – in un deposito che conteneva 1.400 tonnellate di esplosivo.
Peggio ancora, quando l’Albania era sotto pressione per distruggere le proprie scorte di armi chimiche, parecchie tonnellate residuo de dalla guerra fredda : “Gli Stati Uniti si offrirono di pagare le spese per la distruzione delle armi, poi assunsero alcune società private che distrussero le sostanze chimiche delle armi, ma per il resto lasciarono un caos orrendo.  e pericolosi  residui furono lasciati dentro ai containers, su piattaforme di cemento. E questi, inevitabilmente, cominciarono a fuoriuscire.
 
“Alla fine del 2007 – inizio 2008 – gli USA assunsero una ditta di bonifiche ambientali, la Savant Environmental, che stabilì che il problema era peggiore di quanto inizialmente ritenuto, infatti molti dei containers perdevano sali di metalli pesanti, soprattutto arsenico, piombo e mercurio .”
Per di più, i conexes – i grandi container in acciaio rinforzato – non erano impermeabili, quindi si creòo una condensa letale che si disciolse nell’acqua che contaminò il terreno con le sue infiltrazioni.
“La Savant Environmental re-impacchettò i residui e li lasciò dentro venti shipping containers.  E sono sempre li, visibile dallo spazio”, sul cemento – all’aperto.(iii)
 
Tutto sommato, ma perché si doveva pensare all’ Albania?
Sarà stato sicuramente un caso che il 3 ottobre dello scorso anno, Tony Blair, – quello delle falsificazioni del dossier Iraq – sostenitore entusiasta di Washington e della NATO durante i Blitz sui Balcani, è stato nominato consulente del governo albanese per spiegare, ad un paese tanto impoverito, come si entra nell’Unione europea. Fu solo il cielo a impedirgli di suggerite che farsi appioppare quel carico di armi letali – che nessun altro era disposto a toccare – avrebbe convinto qualcuno a fare una telefonata a Washington. Ma queste, naturalmente, sono solo speculazioni.
Tuttavia, come disse la Pravda TV, accettare le armi oltre a ricevere un aiuto finanziario assolutamente necessario : « Questo farà aumentare lo status e il prestigio di questo paese povero e potrà portare l’Albania, che è ancora in attesa nel cortile dell’Europa, ad una alta considerazione. »(iv)
 
Belgio e Francia Declinano:  “ Restano pochi altri Candidati, ma la Caccia Continua”
Il Belgio e la Francia hanno declinato l’invito a trattare le armi della Siria e Ralph Trapp, consulente sul disarmo di armi chimiche, ha commentato al The Telegraph (18 novembre 2013) che ” rimangono molto pochi altri candidati ma la caccia continua”.
Si potrebbe invecchiare a leggere l’elenco di quanti altri governi siano stati freneticamente pregati di accettare di bere quel calice avvelenato entro  il poco tempo che restava ancora agli USA,  poi l’Italia finalmente ha ceduto ed ha accettato che una sessantina di containers fossero trasferiti da una nave da carico danese ad una nave americana nel porto italiano di Gioia Tauro, in Calabria, con la promessa che poi sarebbero arrivate anche altre commesse.
Questa accettazione ha provocato manifestazioni diffuse nel Sud Italia, il governo è stato accusato di tenere nascosti i pericoli e un manifestante ha riassunto così lo stato d’animo della gente :
 
Ci dicono che il materiale trasportato non è pericoloso, ma non c’è nessuno che sa dirci che cosa c’è dentro quei containers.”
Nessun pericolo? Ma ci sarà almeno un governo, da qualche parte, che dice la verità?
L’Italia dice di sì. Mandate quelle Armi in Calabria. L’affare non è pericoloso e farà tanto bene all’economia, ma state attenti alla mafia calabrese.
 
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Il porto di Gioia Tauro, che rappresenta metà dell’economia della regione Calabria è in crisi dal 2011 e su un organico totale di milletrecento persone, quattrocento lavoratori sono “temporaneamente” in cassa integrazione. Non sarà troppo difficile forzare la mano, avrà sicuramente pensato qualche (politico) cinico.
Ma questo porto è anche sotto accusa per essere un:
 
“Hub importante per lo smistamento della cocaina della Ndrangheta calabrese verso l’Europa”. Tuttavia , Domenico Bagala, capo del terminal Medcenter-Contship, dove è stata programmata l’operazione di scambio puntualizza: ” Dato che Gioia Tauro gestisce circa un terzo dei containers in arrivo in Italia , è normale che abbia un maggior numero di containers che vengono sequestrati ” e aggiunge : “Operiamo in un territorio difficile, ma disponiamo anche misure di sicurezza hi-tech”.
 
La Calabria è, infatti, un centro di corruzione e di criminalità organizzata. In un messaggio inviato da J. Patrick Truhn, Console Generale USA a Napoli (2 Feb 2008 ) filtrato da Wikileaks si legge:
Se non fosse parte dello stato italiano, la Calabria sarebbe uno Stato fallito. La ‘ndrangheta, il sindacato di criminalità organizzata, controlla vaste zone di territorio e di economia, con un fatturato di almeno il 3% del Pil italiano (forse molto di più) frutto del traffico di droga, di estorsioni e di usura”. Inolte ” Durante una visita fatta a novembre in tutte le cinque province, praticamente tutti hanno fatto il quadro di una regione … strozzata dalla morsa di ferro del più grande e potente sindacato di criminalità organizzata dell’Europa occidentale, la ‘ndrangheta”. (v )
 
E ancora: “La ‘ ndrangheta è la più potente organizzazione criminale del mondo, con un fatturato che si aggira intorno ai 53 miliardi di euro” come registra Wikipedia, ed opera in nove paesi, in quattro continenti. Sarebbe stato difficile trovare un punto di smistamento, per uno stock di armi chimiche, meno ideale della Calabria.
Di particolare interesse secondo Carmelo Cozza esponente del sindacato SUL è il villaggio di San Ferdinando vicino al porto, dove  ” Le scuole sono vicinissime ” ( vi)
Comunque, quando si tratta di ingannare la gente, anche la criminalità organizzata potrebbe imparare una cosa o due dalla UE . Ci sono delle grandi quantità di fondi finanziari siriani, congelati dall’Unione Europea, si sono semplicemente volatilizzati, in un modo che il ministero degli Esteri siriano condanna come: ” Flagrante violazione del diritto ” ( omissis)
 
La sottrazione dei fondi siriani è stata condannata come : “Una truffa-politica messa in atto da influenti paesi della UE, in un momento in cui si rifiutando lo scongelamento dei fondi necessari per finanziare l’acquisto di cibo e di medicine, attuale priorità assoluta dello Stato siriano … mentre la stessa UE sta autorizzando fondi per armare i gruppi terroristici, responsabili dello spargimento di sangue in Siria.” – ha aggiunto la fonte. ” ( vi) Difficile non essere d’accordo. (omissis)
 
Ma le cose potrebbero continuare ad andare peggio.
Le aziende selezionate per distruggere le sostanze chimiche sono la Finland’s Ekokem e la filiale USA del colosso francese Veolia
I materiali più pericolosi devono essere neutralizzati in mare dalla Cape Ray, una nave della marina americana appositamente attrezzata per tale scopo, che ha lasciato il porto di Norfolk, in Virginia, il 27 gennaio per il Mediterraneo. “ (New York Times-14-Feb.2014)
 
Un metodo che non è mai stato sperimentato prima, un esperimento che avverrà veramente nel Mediterraneo, non nelle acque territoriali USA. “Non è un lavoro è un’avventura”, questo è lo slogan usato dalla US Navy per reclutare i marinai. Dubitiamo che la popolazione dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, si senta tranquilla in Europa, in Anatolia, in Nord Africa o in Medio Oriente.
Inoltre, l’aver incluso Veolia come partner selezionato per questa dubbia avventura è tutta una storia a sé stante. VEOLIA è da tempo coinvolta nella gestione dei rifiuti e di grandi progetti di trasporto negli insediamenti illegali di Israele. ( omissis )
 
La Ndrangheta, la Mafia-Calabrese : Specializzata in Riciclaggio Rifiuti Tossici
 
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Quello che la stampa non scrive è che la mafia, la ‘Ndrangheta lavora proprio intorno al porto di Gioia Tauro ed è da diversi anni impegnata nel redditizio commercio dello smaltimento dei rifiuti tossici in Calabria. Si tratta di un business multimiliardario.
Giuseppe Baldessarro e Manuela Iati sono gli autori di un libro del 2010 intitolato  “Avvenelati” (“Poisoned”)  che documenta accuratamente il commercio e lo smaltimento dei rifiuti tossici, compreso quello dei prodotti chimici e dei materiali radioattivi da parte della Nndrangheta.
Secondo gli autori , la verità – sul ruolo insidioso svolto dalla Ndrangheta – “è stata avvelenata ” e lo Stato italiano protegge la ndrangheta :
 
“Ogni volta che c’è un indagine di polizia , accadono cose strane, gli investigatori improvvisamente si trovano morti … Arrivanoo i servizi segreti e succede sempre qualcosa di caotico. Ci sono un sacco di soldi in ballo.” ( vedere l’articolo di Delphine Saubaber  “Découvrir la vérité sur la ‘Ndrangheta provoquerait un séisme politique”, L’Express,  20 July 2010, tradotto dal francese )
 
Le morti per cancro in Calabria sono estremamente alte, secondo Baldessarro e Iati . “Ci sono posti in Calabria dove una persona su 10 ha il cancro e questo significa che i rifiuti tossici hanno già contaminato sia il suolo che l’acqua.”
Il Piano B dell’ ITALIA : Una domanda importante che non ha risposta
 
La presa in consegna delle armi chimiche siriane da parte delle due società di smaltimento rifiuti selezionate (Finland’s Ekokem e la francese Veolia) ha già messo in conto che servirà un contratto scritto (o una “intesa”) con la più potente organizzazione criminale italiana ? Ovviamente da stipulare a nome dell’ OPAC, l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, Premio Nobel per la pace.
 
Un Successo Collaterale . Il Monopolio di Israele su un’altra arma di distruzione di massa: le armi chimiche
Per quanto riguarda la geopolitica del Medio Oriente, c’è un’altra anomalia – come spiega Bob Rigg – ex ispettore delle Nazioni Unite in Iraq, ex redattore senior per l’ OPAC, ex presidente del Comitato consultivo nazionale in Nuova Zelanda il disarmo –
 
“Allo stato attuale in Medio Oriente, Israele ha il monopolio sulle armi nucleari e quando la distruzione delle armi chimiche siriane sarà completata, potrà godere del monopolio anche su una seconda arma di distruzione di massa, le armi chimiche. Oltre a Israele, l’Egitto è l’unica altra potenza nella regione che disponga di armi chimiche.” A tutti i livelli , chi viola la legge governa meglio sugli altri.
 
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Felicity Arbuthnot
 
 
 
18.02.2014
 
Il testo italiano di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte ComeDonChisciotte.org  e l’autore della traduzione Bosque.Primario

La Verkhovna Rada è pronta a tutte le condizioni dell’FMI per ottenere un prestito

Il parlamento dell’Ucraina sosterrà tutte le decisioni necessarie per ottenere il prestito dal Fondo M onetario I nternazionale, ha d ichiarato il P remier ad interim Arseniy Yatsenyuk. Inoltre ha riconosciuto che “il quadro dell’economia è molto triste”, e d ha esortato i cittadini a mantenere la calma .
Nel frattempo il capo della Banca Nazionale d ell’ Ucraina Stepan Kubiv ha d ichiarato che il P aese ha il denaro per pagare i creditori . Inoltre h a confermato che la settimana prossima la missione dell’FMI giungerà in Ucraina per esaminare la situazione nel P aese in relazione alla possibil e assegnazione del credito.
http://italian.ruvr.ru/news/2014_02_28/La-Verkhovna-Rada-e-pronta-a-tutte-le-condizioni-dell-FMI-per-ottenere-un-prestito-0681/

Banca Centrale Ucraina pone limite quotidiano a prelievi

RISVOLTI ECONOMICI – La banca centrale ucraina ha annunciato oggi di aver limitato a 15 mila grivnie (circa 1.095 euro) il massimale quotidiano dei soldi ritirabili nelle banche del Paese. Una misura presa sullo sfondo delle gravissime difficoltà finanziarie che espongono l’Ucraina al rischio di bancarotta. La divisa nazionale ha perso un quarto del suo valore dall’inizio dell’anno. E l’Austria ha bloccato i conti bancari di 18 ucraini su richiesta del nuovo governo di Kiev. La Svizzera ha già ieri annunciato il congelamento dei conti del presidente ucraino deposto Viktor Yanukovich, che si è rifugiato a Rostov, in Russia, dove è attesa per venerdì pomeriggio una sua conferenza stampa.
28 febbraio
Fonte www.Corriere.it

Nei giornali, almeno fino ad ieri, erano presenti numerosi accenni a possibili problemi immediati per l’ economia ucraina. Nel giro di una settimana sarebbero stati necessari almeno 2 mld di dollari.
Grossomodo i numeri che venivano dati erano questi.
Questa mattina non avevo ancora trovato niente riguardo a questa emergenza immediata da risolvere, solo gran confusione sui due aeroporti occupati da russi, (esercito russo, o russi senza altre indicazioni, o gruppi di civili russi) e la cifra ricorrente dei 35 mld di dollari per i prossimi due anni richiesta a Fmi, Ue e occidente in generale.
Ora ho trovato invece queste righe che informano che ai prelievi dalle banche è già stato messo un limite quotidiano di mille euro (naturalmente espresso nella moneta locale, la grivnia).
Tutto questo conferma che nel giro di poco tempo potrebbero uscire sviluppi clamorosi sullo stato delle finanze ucraine.
E le accuse al deposto presidente di aver fatto sparire cifre enormi sembrano preparare un capro espriatorio anche per questa difficoltà.

Naturalmente soldi pubblici possono essere anche spariti, io questo non lo so, ma in ogni caso potrebbero esserci a breve termine grossi problemi finanziari per l’ Ucraina.

marcopa
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=68397

La rete d’affari delle coop (Tav, Eataly…) è al Lavoro

Salvatore Cannavò e Stefano Feltri

C’erano molte ragioni per nominare Giuliano Poletti ministro del Lavoro. Ma ce n’erano anche tante per non farlo: come presidente dell’Alleanza della cooperative (Coop rosse più coop bianche) e storico presidente della Lega coop nazionale è il terminale di un intreccio imprenditoriale e politico che, a voler essere rigorosi sui potenziali conflitti di interesse, praticamente gli impedirebbe di toccare qualunque dossier.

Perché la rete delle Coop arriva ovunque: per esempio c’è Obiettivo Lavoro, un’agenzia di servizi per il lavoro creata nel 1997 dalle larghe intese tra Coop e Compagnia delle opere (Comunione e liberazione).Ma le cooperative di cui lui è stato per anni il più alto rappresentante con la Compagnia delle opere si dividono anche gli appalti per Expo 2015 a Milano e alcuni dei grandi colossi cooperativi delle costruzioni sono attivi in progetti ad alta sensibilità politica, come la Cmc di Ravenna che si occupa dei tunnel Tav Torino-Lione.

Per passare dal macro al micro, tre grandi coop di consumo (Liguria, la piemontese Nova coop e Coop Adriatica) sono socie di Eataly distribuzione, una delle parti del gruppo alimentare di Oscar Farinetti, imprenditore molto vicino a Matteo Renzi. E con Eataly le coop collaborando in tante librerie, tra letteratura e gastronomia. Ma queste sono minuzie a fronte di altri intrecci: tutte le grandi coop hanno scommesso sulla finanza, alcune su Monte dei Paschi (con risultati disastrosi) altre su Unipol, il gruppo bolognese guidato da Carlo Cimbri che ora si è fuso con la Fonsai post-Ligresti creando il colosso del settore. La vigilanza sulle coop non è più del ministero del Lavoro, è passata allo Sviluppo, ma ci sono materie che saranno di diretta competenza di Poletti. Come le regole sui contenziosi di lavoro.

Negli anni della crisi si è moltiplicato il numero di cause di lavoro in un mondo, quello cooperativo, che si presenta come armonioso e immune dalle tensioni tipiche dell’impresa. A Bologna Poletti si era schierato con Granarolo contro la Clt, società che gestisce la piattaforma logistica dell’azienda alimentare e che aveva subappaltato i lavori a un’altra coop che aveva poi tagliato gli stipendi del 35 per cento. Dopo le proteste Clt ha assorbito 80 facchini della coop, ma non i 23 protagonisti della protesta. In questi giorni si discute del caso di Lucia Di Maio: lavorava per un supermercato di Unicoop vicino ad Avellino, quando il negozio è stato ceduto a un’altra azienda, lei è stata licenziata nel 2009. Nel 2013 il tribunale stabilisce il reintegro: Unicoop le restituisce il posto, ma a Orbetello, a 400 chilometri da casa.

A Poletti il Jobs Act di Matteo Renzi è piaciuto subito, e anche la riforma Fornero che ha indebolito l’articolo 18 non gli è dispiaciuta. “Ho iniziato a lavorare nei campi a sei anni, so cosa vuol dire il lavoro”, ha detto ieri.

Da Il Fatto Quotidiano del 23/02/2014.

Ucraina,Biden:Sostegno totale a Yatseniuk(eletto da chi?)

ma non era la Germania che impone riforme e stabilità? Immagino che tra quei vicini non ci sia la Russia

Ucraina, Joe Biden: «Sostegno totale a Yatseniuk»
Il vicepresidente americano telefona al neo premier di Kiev.

Nell’intircata vicenda ucraina, all’indomani del blitz dei miliziani filo russi nei palazzi governativi della Crimea e contemporaneamente alla presa dell’aeroporto di Simferopol, gli Stati Uniti hanno alzato la voce.
Ci ha pensato il vicepresidente Joe Biden, che giovedì 27 febbraio ha telefonato al neo primo ministro ucraino Arseni Yatseniuk per promettere il «sostegno totale» degli Stati Uniti ai nuovi dirigenti del Paese.
«RIFORME E STABILITÀ». Biden, si legge in un comunicato della Casa Bianca, «ha assicurato il primo ministro che gli Stati Uniti offriranno il loro sostegno totale all’Ucraina quando questa intraprenderà le riforme necessarie per ritrovare la stabilità economica, perseguire la riconciliazione, rispettare gli obblighi internazionali e cercare relazioni aperte e costruttive con i suoi vicini».
Venerdì, 28 Febbraio 2014
http://www.lettera43.it/politica/ucraina-joe-biden-sostegno-totale-a-iatseniuk_43675123581.htm

Italia, paese alla deriva, dal quale per 7 su 10 è meglio scappare

Ilvo Diamanti deve essere uno che non sa cosa vuol dire essere tra quel 50% di disoccupati (aggiungere ai disoccupati anche gli inattivi) per il quale le persone terrorizzate dal non sapere come campare ci trascinano nel populismo. Ma quanto disprezzo per i poveri.

di GIANMARCO LUCCHI
Povera Italia, paese avviato al trapasso. E non è quanto pensano quegli sciagurati e disfattisti di “indipendentisti”, ma i cittadini comuni, tanto che sette italiani su dieci sono convinti che i giovani debbano scappare. L’insicurezza economica è l’emergenza principale per 7 italiani su 10 e una percentuale di poco inferiore guarda con inquietudine l’instabilità politica. È il Paese della Grande Incertezza quello che emerge dal ‘Rapporto sulla sicurezza e insicurezza sociale in Italia e in Europa’ realizzato da Demos & Pi e Osservatorio di Pavia per la Fondazione Unipolis.
La perdita del posto di lavoro è ritenuta un rischio per quasi il 50% degli intervistati, con un aumento di 12 punti rispetto al 2009. In Francia la percentuale si ferma al 37%, in Germania non arriva al 12% e pure in Spagna è inferiore (47%). Quasi un italiano su 3, in effetti, afferma che qualcuno in famiglia nell’ultimo anno ha perso il lavoro e il 43% indica che un famigliare ha cercato inutilmente un’occupazione. La perdita della pensione è invece temuta dal 44% degli intervistati, con un aumento di 16 punti percentuali rispetto al 2009. La crisi internazionale di banche e borse è fonte di inquietudine per il 43% degli interpellati e una pari percentuale si preoccupa – più direttamente – di non avere abbastanza soldi per vivere. Non sorprende se la sensazione sempre è più diffusa è quella di una società che scivola verso il basso. Mentre nel 2006 quasi il 60% degli italiani si autocollocava tra i ceti medi, ora solo il 41% si definisce tale, mentre è salita al 51,5% la porzione che si ‘ritrovà nella fascia medio-bassa ed è quasi dimezzata (al 5,9% dall’11,7%) la quota di chi si vede nella fascia alta.
Negli anni della crisi è salita all’85% la percentuale che ritiene che le disuguaglianze sociali si siano ampliate, con un incremento di 9 punti rispetto a due anni fa. Sull’immigrazione l’atteggiamento è ambivalente: se da un lato il 56% degli intervistati ritiene che contribuisca all’apertura del Paese e l’80% è favorevole allo ius soli, dall’altro un italiano su tre continua a percepire gli immigrati come un pericolo per l’ordine pubblico o come una minaccia per l’occupazione, con un aumento rispettivamente di 5 e 7 punti. L’84% pensa poi che la criminalità sia aumentata rispetto a 5 anni fa.
Ma è la politica ad essere diventata un ingrediente centrale del clima di precarietà. L’instabilità politica, come singola voce, è il timore maggiore per il 68,4% degli italiani, davanti alla distruzione dell’ambiente (60,2%) e ai timori per il futuro dei figli (58%). La fiducia verso lo Stato non arriva al 13%, la metà rispetto alla Francia e anni luce dal 74% tedesco, ma anche al di sotto della Spagna (22%). Non va troppo bene neppure la Ue: ne ha fiducia solo il 27% degli italiani, la metà rispetto ai tedeschi.
«Le preoccupazioni economiche hanno cambiato a fondo la percezione delle persone. L’insicurezza è diventata un rumore di fondo e al tempo stesso una prospettiva, una chiave di lettura», commenta Ilvo Diamanti nella presentazione del rapporto. L’Italia – non è più un Paese del ceto medio. È un Paese popolare, in preda ai populismi«. Un paese da cui – nell’opinione di 7 italiani su 10 – per i giovani è meglio fuggire.
http://www.lindipendenza.com/italia-paese-alla-deriva-dal-quale-per-7-su-10-e-meglio-scappare/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=italia-paese-alla-deriva-dal-quale-per-7-su-10-e-meglio-scappare&utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Come Andreatta creò il meccanismo inarrestabile del debito

Dal 1981 la Banca d’Italia, per decisione di Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi, ha smesso di monetizzare il debito pubblico che è schizzato alle stelle. Una storia che si è ripetuta, amplificata, con l’Euro e la BCE.
di Domenico Moro
A partire dal 1981 la Banca d’Italia ha “divorziato” dal Tesoro e non è più intervenuta nell’acquisto di titoli di Stato. Ciò che non viene detto, però, è che quella lontana decisione contribuì a produrre non solo l’enorme debito pubblico ma anche il primo attacco ai salari. L’attuale debito pubblico italiano si formò tra gli anni ’80 e ’90, passando dal 57,7% sul Pil nel 1980 al 124,3% nel 1994. Tale crescita, molto più consistente di quella degli altri Paesi europei, non fu dovuta ad una impennata della spesa dello Stato, che rimase sempre al di sotto della media della Ue e dell’eurozona e, tra 1991 e 2005, sempre al di sotto di quella tedesca.
Nel 1984 l’Italia spendeva – al netto degli interessi sul debito – il 42,1% del Pil, che nel 1994 era aumentato appena al 42,9%. Nello stesso periodo la media Ue (esclusa l’Italia) passò dal 45,5% al 46,6% e quella dell’eurozona passò dal 46,7% al 47,7%. Da dove derivava allora la maggiore crescita del debito italiano? Dalla spesa per interessi sul debito pubblico, che fu sempre molto più alta di quella degli altri Paesi. La spesa per interessi crebbe in Italia dall’8% del Pil nel 1984 all’11,4%, livello di gran lunga maggiore del resto d’Europa. Sempre nello stesso periodo la media Ue passò dal 4,1% al 4,4% e quella dell’eurozona dal 3,5% al 4,4%.
Nel 1993 il divario tra i tassi d’interesse fu addirittura triplo, il 13% in Italia contro il 4,4% della zona euro e il 4,3% della Ue. La crescita dei debiti pubblici dipende da molte cause, soprattutto dalla necessità di sostenere le crisi e la caduta dei profitti privati che, dal ’74-75, caratterizzano ciclicamente i Paesi più avanzati. Tuttavia, è evidente che politiche sbagliate di finanza pubblica possono rendere ingestibile la situazione del debito, come è avvenuto in Italia. Visto che l’entità dei tassi d’interesse sui titoli di stato, ovvero quanto lo Stato paga per avere un prestito, dipende dalla domanda dei titoli stessi, l’eliminazione di una componente importante della domanda, quale è la Banca centrale, ha avuto l’effetto di far schizzare verso l’alto gli interessi e, quindi, di far esplodere il debito totale.
Inoltre, la mancanza del cordone protettivo della Banca d’Italia espose il nostro debito alle manovre speculative degli investitori internazionali. Fu quanto accadde nel 1992, quando gli attacchi speculativi alla lira costrinsero l’Italia ad uscire dal Sistema monetario europeo e a svalutare. Insomma, non solo Steltzner ha torto riguardo alla Banca d’Italia, ma è il principio stesso dell’“autonomia” della Banca centrale, da lui tanto tenacemente difeso, ad aver dato per trent’anni in Italia gli stessi risultati negativi che ora sta producendo nell’eurozona.
Ci si potrebbe chiedere a questo punto quale fu la ragione del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Ce lo spiega il suo autore, l’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta. Uno degli obiettivi era quello di abbattere i salari, imponendo una deflazione che desse la possibilità di annullare “il demenziale rafforzamento della scala mobile, prodotto dall’accordo tra Confindustria e sindacati”. Infatti, nel 1984 con gli accordi di San Valentino la scala mobile fu indebolita e nel 1992 definitivamente eliminata. Anche oggi, come allora, le presunte “necessità” di bilancio pubblico sono la leva attraverso cui ridurre il salario, in Italia e in Europa. Con la differenza che oggi l’attacco si estende al salario indiretto, cioè al welfare.
 
Fonte: Pubblico
http://informare.over-blog.it/article-come-andreatta-creo-il-meccanismo-inarrestabile-del-debito-122712215.html?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Sfide impossibili: il debito pubblico

di Luciano Fuschini – 25/02/2014

Fonte: giornaledelribelle
 
 Confindustria e Finanza ora puntano su Renzi e i suoi giovanottini e giovanottine ben pettinati, ben sbarbati, bellini, pulitini, con la cravattina d’ordinanza o la gonna da figliola di buona  famiglia.
Fra i tanti problemacci che dovranno affrontare, basta enunciarne due, i maggiori: il debito pubblico e la disoccupazione. Oggi ci occuperemo del primo.
Il debito pubblico mostruoso è maturato in almeno 50 anni di tenore di vita medio superiore alle nostre possibilità, di ricorso a prestiti dall’estero usurai, di sprechi generalizzati e di ruberìe della casta. I soli interessi che lo Stato deve pagare per il debito accumulato impediscono qualunque prospettiva di crescita forte.
Chi predica che si possa uscire dal debito pubblico con atti unilaterali, fosse pure soltanto una ristrutturazione del debito, diffonde illusioni. A ogni debito corrisponde un credito. Per ogni debitore c’è un creditore. I creditori hanno sempre strumenti di ritorsione che impediscono al debitore di uscire dal debito con decisioni unilaterali. Tanto più nei rapporti con grandi banche e con Stati.
C’è un solo modo per non curarsi troppo del debito pubblico: incrementare il PIL più del tasso di interesse da pagare per il debito.
Con un tasso di interesse del 5%, un incremento del PIL del 6 o 7% renderebbe il debito sopportabilissimo. Ma un simile incremento del PIL, che si verificava negli anni del boom economico, in condizioni assolutamente non riproducibili oggi, è irrealistico, né è auspicabile perchè la pressione sull’ambiente, già duramente provato, diventerebbe insopportabile.
Allora bisognerebbe abbassare il tasso di interesse a livelli minimi, ma nemmeno questo è fattibile perché solo alti tassi di interesse possono attrarre capitali in un Paese a rischio come il nostro. Perciò l’unica via indolore per affrontare il problema del debito pubblico, ci è preclusa.
 Restano quattro soluzioni per abbattere significativamente il debito pubblico. Soltanto quattro.
La prima è una patrimoniale durissima, che colpisca i beni immobili e anche tutti i prodotti finanziari, compresi depositi e conti correnti che non danno più rendita da quando l’interesse che viene corrisposto si avvicina allo zero o è pari allo zero. Questa via comporta gravi tensioni sociali e la certezza di perdere le elezioni da parte del governo che la tentasse. Non saranno certo i fighetti di Renzi  ad avventurarsi su questo terreno.
La seconda consiste nella vendita del patrimonio pubblico, compresa una parte delle riserve auree. Quando il venditore è disperato, come nel nostro caso, l’acquirente può dettare le condizioni. In definitiva, la vendita sarebbe una svendita, oltre che un’ulteriore penosa perdita di sovranità.
 Le altre due sono tanto dolorose da risultare impensabili.
Una sarebbe l’inflazione a doppia cifra. Un’inflazione dal 10% in su abbatterebbe il debito pubblico in pochi anni, ma contemporaneamente ridurrebbe alla miseria nera tutti i percettori di redditi fissi e annienterebbe i risparmi, quei risparmi grazie ai quali sopravviviamo anche in questi anni di crisi. Sarebbe il classico rimedio che uccide il malato.
L’altra è la guerra. Una guerra vincente contro i creditori.
Questa soluzione è stata largamente praticata nella storia. Oggi è la risorsa che permette agli Usa di continuare a dominare il mondo. Gli USA sarebbero ridotti come noi o peggio. Non si preoccupano tanto del loro debito pubblico perché possono contare sul fatto che il dollaro resta la moneta delle transazioni commerciali internazionali, per cui tutte le potenze, avendo dollari nelle loro riserve, sono interessate a impedire il crollo della divisa americana; ma non se ne preoccupano tanto soprattutto perché hanno le portaerei e i droni. Sanno che nessun creditore può alzare troppo la voce nei loro confronti, perché sarebbe militarmente sconfitto.
Sono calcoli che evidentemente l’Italietta non può fare.
In conclusione, non esiste una via d’uscita indolore.
Dobbiamo rassegnarci a convivere con un debito pubblico gigantesco che impedisce grandi investimenti statali e depotenzia il welfare. Rende impossibile una significativa diminuzione del peso fiscale e di conseguenza disincentiva anche gli investimenti privati.
In definitiva, dobbiamo accettare l’idea che siamo destinati a un progressivo e rapido impoverimento. L’unico modo per far sì che l’inevitabile impoverimento non diventi la miseria nera, è riattivare la forza solidale delle comunità locali.
I giovanottini e le giovanottine di Renzi sono antropologicamente estranei a questa logica. Purtroppo lo è anche il popolo italiano nel suo complesso, deteriorato moralmente non dalla durezza della crisi ma dai decenni di prosperità economica, più devastanti di un bombardamento nucleare.
Questo per dire le cose come stanno e farla finita con le balle.
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Bosch paga 320 mln di euro per un’evasione inesistente. La beffa: il Fisco italiano non li restituirà

venerdì, 28, febbraio, 2014
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Bosch non ha frodato il fisco italiano. Eppure l’azienda tedesca ha dovuto versare all’Agenzia delle Entrate 320 milioni di euro che non gli saranno restituiti. A stabilire che la Bosch non avesse mai tentato di evadere le tasse italiane è stato ieri il gup di Milano, Giuseppe Gennari, che ha assolto con formula piena i vertici dell’azienda dall’accusa di “dichiarazione infedele”.
 
IL DANNO E LA BEFFA. Oltre al danno la beffa: il cospicuo gruzzolo incassato dal fisco italiano non tornerà all’azienda. Infatti l’iter amministrativo e il processo penale sono paralleli e possono arrivare a due esiti diversi. La multinazionale ha dimostrato nel processo penale di non aver mai tentato di evadere le tasse. Non solo: ha dimostrato che, pagandole in Germania, doveva spendere addirittura uno 0,5 per cento in più. Tuttavia, nell’iter amministrativo, si è vista costretta a pagare subito per ottenere uno sconto sulla cifra di 1 miliardo e 400 milioni di euro chiesti dal fisco italiano. Nel frattempo la causa penale è stata portata avanti, su iniziativa del pm Francesco Greco e poi di Carlo Nocerino, fino alla richiesta di rinvio a giudizio che il gup ha rigettato assolvendo, «perché il fatto non sussiste», i vertici di Bosch di Italia e Germania, difesi dagli avvocati Giuseppe Bana, Domenico Aiello e Francesco Centonze.
 
LE ACCUSE DEL FISCO TEDESCO. L’accusa di aver eluso il fisco per una cifra vicina al miliardo di euro su quattro annualità di dichiarazioni si fondava sul distacco di 15 tecnici della Bosch presso alcune aziende italiane. Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’azienda avrebbe dovuto pagare le tasse in Italia e non l’avrebbe fatto. Anche se l’accusa non ha retto a livello penale, il contenzioso fra erario italiano e Bosch, iniziato nel 2010, a seguito di un accertamento della Agenzia delle entrate, è culminato con un accordo che impegnava l’azienda a versare subito 320 milioni di euro all’erario.
La multinazionale tedesca punterebbe a farsi rimborsare in Germania le tasse lì pagate. Per ora, l’unico commento de fisco tedesco è stato che le richieste del dell’Agenzia delle Entrate sono «illegittime» e «contrastanti con gli standard europei».
 

Le banche salvano De Benedetti che ha un debito di 1,9 mld di euro

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giovedì, 27, febbraio, 2014

Il dossier sulla ristrutturazione del debito Sorgenia entra nella stretta finale, con i primi segnali di avvicinamento tra le posizioni delle banche creditrici e quelle dell’azionista di riferimento Cir, a fronte della forte crisi di liquidita’ del gruppo energetico. Al momento non c’e’ ancora un accordo, ma nell’incontro tenutosi ieri, i principali istituti avrebbero abbassato dagli iniziali 300 milioni a 150 milioni le pretese sul contributo di equity richiesto a Cir nell’ambito dello stralcio da 600 milioni (su 1,8 miliardi) del debito Sorgenia.

Al tempo stesso, gli istituti sarebbero pronti a convertire in azioni (ma non sarebbe esclusa la strada degli strumenti partecipativi) altri 300 milioni di debito, mentre per i restanti 150 milioni si penserebbe a un convertendo.
Il quadro resta provvisorio e non ci sarebbe neppure identita’ di vedute tra le 21 banche creditrici, ma si tratta comunque di un avvicinamento alle posizioni di Cir, che dal ca nto suo ‘ stante l’indisponibilita’ dell’altro socio forte Verbund a partecipare alla ristrutturazione ‘ non intende andare oltre un’iniezione di capitale di 100 milioni.
E’ plausibile che da qui a lunedi’, quando e’ previsto un incontro tra Sorgenia e le banche, si cercheranno di effettuare nuovi passi avanti: in quella sede gli istituti dovrebbero formalizzare la loro posizione e il gruppo energetico la propria manovra finanziaria, comprensiva delle dismissioni previste e probabilmente dell’impegno in equity di Cir nell’ambito di una ricapitalizzazione forse piu’ corposa.
Poi, in caso di accordo o quanto meno di concessione di uno stand still, andra’ definitiva anche la cornice normativa, che dipendera’ dai termini dell’intesa. Al proposito, ma si tratta al momento di una mera ipotesi di scuola, gli esperti del settore indicano come possibile strada praticabile in bonis quella prevista dall’accordo di ristrutturazione del debito ex articolo 182-bis della legge fallimentare .
da radiocor – dagospia