Archivio mensile:febbraio 2014
La Verkhovna Rada è pronta a tutte le condizioni dell’FMI per ottenere un prestito
Il parlamento dell’Ucraina sosterrà tutte le decisioni necessarie per ottenere il prestito dal Fondo M onetario I nternazionale, ha d ichiarato il P remier ad interim Arseniy Yatsenyuk. Inoltre ha riconosciuto che “il quadro dell’economia è molto triste”, e d ha esortato i cittadini a mantenere la calma .
Nel frattempo il capo della Banca Nazionale d ell’ Ucraina Stepan Kubiv ha d ichiarato che il P aese ha il denaro per pagare i creditori . Inoltre h a confermato che la settimana prossima la missione dell’FMI giungerà in Ucraina per esaminare la situazione nel P aese in relazione alla possibil e assegnazione del credito.
http://italian.ruvr.ru/news/2014_02_28/La-Verkhovna-Rada-e-pronta-a-tutte-le-condizioni-dell-FMI-per-ottenere-un-prestito-0681/
Banca Centrale Ucraina pone limite quotidiano a prelievi
RISVOLTI ECONOMICI – La banca centrale ucraina ha annunciato oggi di aver limitato a 15 mila grivnie (circa 1.095 euro) il massimale quotidiano dei soldi ritirabili nelle banche del Paese. Una misura presa sullo sfondo delle gravissime difficoltà finanziarie che espongono l’Ucraina al rischio di bancarotta. La divisa nazionale ha perso un quarto del suo valore dall’inizio dell’anno. E l’Austria ha bloccato i conti bancari di 18 ucraini su richiesta del nuovo governo di Kiev. La Svizzera ha già ieri annunciato il congelamento dei conti del presidente ucraino deposto Viktor Yanukovich, che si è rifugiato a Rostov, in Russia, dove è attesa per venerdì pomeriggio una sua conferenza stampa.
28 febbraio
Fonte www.Corriere.it
Nei giornali, almeno fino ad ieri, erano presenti numerosi accenni a possibili problemi immediati per l’ economia ucraina. Nel giro di una settimana sarebbero stati necessari almeno 2 mld di dollari.
Grossomodo i numeri che venivano dati erano questi.
Questa mattina non avevo ancora trovato niente riguardo a questa emergenza immediata da risolvere, solo gran confusione sui due aeroporti occupati da russi, (esercito russo, o russi senza altre indicazioni, o gruppi di civili russi) e la cifra ricorrente dei 35 mld di dollari per i prossimi due anni richiesta a Fmi, Ue e occidente in generale.
Ora ho trovato invece queste righe che informano che ai prelievi dalle banche è già stato messo un limite quotidiano di mille euro (naturalmente espresso nella moneta locale, la grivnia).
Tutto questo conferma che nel giro di poco tempo potrebbero uscire sviluppi clamorosi sullo stato delle finanze ucraine.
E le accuse al deposto presidente di aver fatto sparire cifre enormi sembrano preparare un capro espriatorio anche per questa difficoltà.
Naturalmente soldi pubblici possono essere anche spariti, io questo non lo so, ma in ogni caso potrebbero esserci a breve termine grossi problemi finanziari per l’ Ucraina.
marcopa
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=68397
La rete d’affari delle coop (Tav, Eataly…) è al Lavoro
Salvatore Cannavò e Stefano Feltri
C’erano molte ragioni per nominare Giuliano Poletti ministro del Lavoro. Ma ce n’erano anche tante per non farlo: come presidente dell’Alleanza della cooperative (Coop rosse più coop bianche) e storico presidente della Lega coop nazionale è il terminale di un intreccio imprenditoriale e politico che, a voler essere rigorosi sui potenziali conflitti di interesse, praticamente gli impedirebbe di toccare qualunque dossier.
Perché la rete delle Coop arriva ovunque: per esempio c’è Obiettivo Lavoro, un’agenzia di servizi per il lavoro creata nel 1997 dalle larghe intese tra Coop e Compagnia delle opere (Comunione e liberazione).Ma le cooperative di cui lui è stato per anni il più alto rappresentante con la Compagnia delle opere si dividono anche gli appalti per Expo 2015 a Milano e alcuni dei grandi colossi cooperativi delle costruzioni sono attivi in progetti ad alta sensibilità politica, come la Cmc di Ravenna che si occupa dei tunnel Tav Torino-Lione.
Per passare dal macro al micro, tre grandi coop di consumo (Liguria, la piemontese Nova coop e Coop Adriatica) sono socie di Eataly distribuzione, una delle parti del gruppo alimentare di Oscar Farinetti, imprenditore molto vicino a Matteo Renzi. E con Eataly le coop collaborando in tante librerie, tra letteratura e gastronomia. Ma queste sono minuzie a fronte di altri intrecci: tutte le grandi coop hanno scommesso sulla finanza, alcune su Monte dei Paschi (con risultati disastrosi) altre su Unipol, il gruppo bolognese guidato da Carlo Cimbri che ora si è fuso con la Fonsai post-Ligresti creando il colosso del settore. La vigilanza sulle coop non è più del ministero del Lavoro, è passata allo Sviluppo, ma ci sono materie che saranno di diretta competenza di Poletti. Come le regole sui contenziosi di lavoro.
Negli anni della crisi si è moltiplicato il numero di cause di lavoro in un mondo, quello cooperativo, che si presenta come armonioso e immune dalle tensioni tipiche dell’impresa. A Bologna Poletti si era schierato con Granarolo contro la Clt, società che gestisce la piattaforma logistica dell’azienda alimentare e che aveva subappaltato i lavori a un’altra coop che aveva poi tagliato gli stipendi del 35 per cento. Dopo le proteste Clt ha assorbito 80 facchini della coop, ma non i 23 protagonisti della protesta. In questi giorni si discute del caso di Lucia Di Maio: lavorava per un supermercato di Unicoop vicino ad Avellino, quando il negozio è stato ceduto a un’altra azienda, lei è stata licenziata nel 2009. Nel 2013 il tribunale stabilisce il reintegro: Unicoop le restituisce il posto, ma a Orbetello, a 400 chilometri da casa.
A Poletti il Jobs Act di Matteo Renzi è piaciuto subito, e anche la riforma Fornero che ha indebolito l’articolo 18 non gli è dispiaciuta. “Ho iniziato a lavorare nei campi a sei anni, so cosa vuol dire il lavoro”, ha detto ieri.
Da Il Fatto Quotidiano del 23/02/2014.
Ucraina,Biden:Sostegno totale a Yatseniuk(eletto da chi?)
Il vicepresidente americano telefona al neo premier di Kiev.
Nell’intircata vicenda ucraina, all’indomani del blitz dei miliziani filo russi nei palazzi governativi della Crimea e contemporaneamente alla presa dell’aeroporto di Simferopol, gli Stati Uniti hanno alzato la voce.
Ci ha pensato il vicepresidente Joe Biden, che giovedì 27 febbraio ha telefonato al neo primo ministro ucraino Arseni Yatseniuk per promettere il «sostegno totale» degli Stati Uniti ai nuovi dirigenti del Paese.
«RIFORME E STABILITÀ». Biden, si legge in un comunicato della Casa Bianca, «ha assicurato il primo ministro che gli Stati Uniti offriranno il loro sostegno totale all’Ucraina quando questa intraprenderà le riforme necessarie per ritrovare la stabilità economica, perseguire la riconciliazione, rispettare gli obblighi internazionali e cercare relazioni aperte e costruttive con i suoi vicini».
Venerdì, 28 Febbraio 2014
http://www.lettera43.it/politica/ucraina-joe-biden-sostegno-totale-a-iatseniuk_43675123581.htm
Italia, paese alla deriva, dal quale per 7 su 10 è meglio scappare
Ilvo Diamanti deve essere uno che non sa cosa vuol dire essere tra quel 50% di disoccupati (aggiungere ai disoccupati anche gli inattivi) per il quale le persone terrorizzate dal non sapere come campare ci trascinano nel populismo. Ma quanto disprezzo per i poveri.
di GIANMARCO LUCCHI
Povera Italia, paese avviato al trapasso. E non è quanto pensano quegli sciagurati e disfattisti di “indipendentisti”, ma i cittadini comuni, tanto che sette italiani su dieci sono convinti che i giovani debbano scappare. L’insicurezza economica è l’emergenza principale per 7 italiani su 10 e una percentuale di poco inferiore guarda con inquietudine l’instabilità politica. È il Paese della Grande Incertezza quello che emerge dal ‘Rapporto sulla sicurezza e insicurezza sociale in Italia e in Europa’ realizzato da Demos & Pi e Osservatorio di Pavia per la Fondazione Unipolis.
La perdita del posto di lavoro è ritenuta un rischio per quasi il 50% degli intervistati, con un aumento di 12 punti rispetto al 2009. In Francia la percentuale si ferma al 37%, in Germania non arriva al 12% e pure in Spagna è inferiore (47%). Quasi un italiano su 3, in effetti, afferma che qualcuno in famiglia nell’ultimo anno ha perso il lavoro e il 43% indica che un famigliare ha cercato inutilmente un’occupazione. La perdita della pensione è invece temuta dal 44% degli intervistati, con un aumento di 16 punti percentuali rispetto al 2009. La crisi internazionale di banche e borse è fonte di inquietudine per il 43% degli interpellati e una pari percentuale si preoccupa – più direttamente – di non avere abbastanza soldi per vivere. Non sorprende se la sensazione sempre è più diffusa è quella di una società che scivola verso il basso. Mentre nel 2006 quasi il 60% degli italiani si autocollocava tra i ceti medi, ora solo il 41% si definisce tale, mentre è salita al 51,5% la porzione che si ‘ritrovà nella fascia medio-bassa ed è quasi dimezzata (al 5,9% dall’11,7%) la quota di chi si vede nella fascia alta.
Negli anni della crisi è salita all’85% la percentuale che ritiene che le disuguaglianze sociali si siano ampliate, con un incremento di 9 punti rispetto a due anni fa. Sull’immigrazione l’atteggiamento è ambivalente: se da un lato il 56% degli intervistati ritiene che contribuisca all’apertura del Paese e l’80% è favorevole allo ius soli, dall’altro un italiano su tre continua a percepire gli immigrati come un pericolo per l’ordine pubblico o come una minaccia per l’occupazione, con un aumento rispettivamente di 5 e 7 punti. L’84% pensa poi che la criminalità sia aumentata rispetto a 5 anni fa.
Ma è la politica ad essere diventata un ingrediente centrale del clima di precarietà. L’instabilità politica, come singola voce, è il timore maggiore per il 68,4% degli italiani, davanti alla distruzione dell’ambiente (60,2%) e ai timori per il futuro dei figli (58%). La fiducia verso lo Stato non arriva al 13%, la metà rispetto alla Francia e anni luce dal 74% tedesco, ma anche al di sotto della Spagna (22%). Non va troppo bene neppure la Ue: ne ha fiducia solo il 27% degli italiani, la metà rispetto ai tedeschi.
«Le preoccupazioni economiche hanno cambiato a fondo la percezione delle persone. L’insicurezza è diventata un rumore di fondo e al tempo stesso una prospettiva, una chiave di lettura», commenta Ilvo Diamanti nella presentazione del rapporto. L’Italia – non è più un Paese del ceto medio. È un Paese popolare, in preda ai populismi«. Un paese da cui – nell’opinione di 7 italiani su 10 – per i giovani è meglio fuggire.
http://www.lindipendenza.com/italia-paese-alla-deriva-dal-quale-per-7-su-10-e-meglio-scappare/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=italia-paese-alla-deriva-dal-quale-per-7-su-10-e-meglio-scappare&utm_medium=referral&utm_source=pulsenews
Come Andreatta creò il meccanismo inarrestabile del debito
Dal 1981 la Banca d’Italia, per decisione di Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi, ha smesso di monetizzare il debito pubblico che è schizzato alle stelle. Una storia che si è ripetuta, amplificata, con l’Euro e la BCE.
di Domenico Moro
A partire dal 1981 la Banca d’Italia ha “divorziato” dal Tesoro e non è più intervenuta nell’acquisto di titoli di Stato. Ciò che non viene detto, però, è che quella lontana decisione contribuì a produrre non solo l’enorme debito pubblico ma anche il primo attacco ai salari. L’attuale debito pubblico italiano si formò tra gli anni ’80 e ’90, passando dal 57,7% sul Pil nel 1980 al 124,3% nel 1994. Tale crescita, molto più consistente di quella degli altri Paesi europei, non fu dovuta ad una impennata della spesa dello Stato, che rimase sempre al di sotto della media della Ue e dell’eurozona e, tra 1991 e 2005, sempre al di sotto di quella tedesca.
Nel 1984 l’Italia spendeva – al netto degli interessi sul debito – il 42,1% del Pil, che nel 1994 era aumentato appena al 42,9%. Nello stesso periodo la media Ue (esclusa l’Italia) passò dal 45,5% al 46,6% e quella dell’eurozona passò dal 46,7% al 47,7%. Da dove derivava allora la maggiore crescita del debito italiano? Dalla spesa per interessi sul debito pubblico, che fu sempre molto più alta di quella degli altri Paesi. La spesa per interessi crebbe in Italia dall’8% del Pil nel 1984 all’11,4%, livello di gran lunga maggiore del resto d’Europa. Sempre nello stesso periodo la media Ue passò dal 4,1% al 4,4% e quella dell’eurozona dal 3,5% al 4,4%.
Nel 1993 il divario tra i tassi d’interesse fu addirittura triplo, il 13% in Italia contro il 4,4% della zona euro e il 4,3% della Ue. La crescita dei debiti pubblici dipende da molte cause, soprattutto dalla necessità di sostenere le crisi e la caduta dei profitti privati che, dal ’74-75, caratterizzano ciclicamente i Paesi più avanzati. Tuttavia, è evidente che politiche sbagliate di finanza pubblica possono rendere ingestibile la situazione del debito, come è avvenuto in Italia. Visto che l’entità dei tassi d’interesse sui titoli di stato, ovvero quanto lo Stato paga per avere un prestito, dipende dalla domanda dei titoli stessi, l’eliminazione di una componente importante della domanda, quale è la Banca centrale, ha avuto l’effetto di far schizzare verso l’alto gli interessi e, quindi, di far esplodere il debito totale.
Inoltre, la mancanza del cordone protettivo della Banca d’Italia espose il nostro debito alle manovre speculative degli investitori internazionali. Fu quanto accadde nel 1992, quando gli attacchi speculativi alla lira costrinsero l’Italia ad uscire dal Sistema monetario europeo e a svalutare. Insomma, non solo Steltzner ha torto riguardo alla Banca d’Italia, ma è il principio stesso dell’“autonomia” della Banca centrale, da lui tanto tenacemente difeso, ad aver dato per trent’anni in Italia gli stessi risultati negativi che ora sta producendo nell’eurozona.
Ci si potrebbe chiedere a questo punto quale fu la ragione del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Ce lo spiega il suo autore, l’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta. Uno degli obiettivi era quello di abbattere i salari, imponendo una deflazione che desse la possibilità di annullare “il demenziale rafforzamento della scala mobile, prodotto dall’accordo tra Confindustria e sindacati”. Infatti, nel 1984 con gli accordi di San Valentino la scala mobile fu indebolita e nel 1992 definitivamente eliminata. Anche oggi, come allora, le presunte “necessità” di bilancio pubblico sono la leva attraverso cui ridurre il salario, in Italia e in Europa. Con la differenza che oggi l’attacco si estende al salario indiretto, cioè al welfare.
Fonte: Pubblico
http://informare.over-blog.it/article-come-andreatta-creo-il-meccanismo-inarrestabile-del-debito-122712215.html?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews
Sfide impossibili: il debito pubblico
di Luciano Fuschini – 25/02/2014
Fonte: giornaledelribelle
Confindustria e Finanza ora puntano su Renzi e i suoi giovanottini e giovanottine ben pettinati, ben sbarbati, bellini, pulitini, con la cravattina d’ordinanza o la gonna da figliola di buona famiglia.
Fra i tanti problemacci che dovranno affrontare, basta enunciarne due, i maggiori: il debito pubblico e la disoccupazione. Oggi ci occuperemo del primo.
Il debito pubblico mostruoso è maturato in almeno 50 anni di tenore di vita medio superiore alle nostre possibilità, di ricorso a prestiti dall’estero usurai, di sprechi generalizzati e di ruberìe della casta. I soli interessi che lo Stato deve pagare per il debito accumulato impediscono qualunque prospettiva di crescita forte.
Chi predica che si possa uscire dal debito pubblico con atti unilaterali, fosse pure soltanto una ristrutturazione del debito, diffonde illusioni. A ogni debito corrisponde un credito. Per ogni debitore c’è un creditore. I creditori hanno sempre strumenti di ritorsione che impediscono al debitore di uscire dal debito con decisioni unilaterali. Tanto più nei rapporti con grandi banche e con Stati.
C’è un solo modo per non curarsi troppo del debito pubblico: incrementare il PIL più del tasso di interesse da pagare per il debito.
Con un tasso di interesse del 5%, un incremento del PIL del 6 o 7% renderebbe il debito sopportabilissimo. Ma un simile incremento del PIL, che si verificava negli anni del boom economico, in condizioni assolutamente non riproducibili oggi, è irrealistico, né è auspicabile perchè la pressione sull’ambiente, già duramente provato, diventerebbe insopportabile.
Allora bisognerebbe abbassare il tasso di interesse a livelli minimi, ma nemmeno questo è fattibile perché solo alti tassi di interesse possono attrarre capitali in un Paese a rischio come il nostro. Perciò l’unica via indolore per affrontare il problema del debito pubblico, ci è preclusa.
Restano quattro soluzioni per abbattere significativamente il debito pubblico. Soltanto quattro.
La prima è una patrimoniale durissima, che colpisca i beni immobili e anche tutti i prodotti finanziari, compresi depositi e conti correnti che non danno più rendita da quando l’interesse che viene corrisposto si avvicina allo zero o è pari allo zero. Questa via comporta gravi tensioni sociali e la certezza di perdere le elezioni da parte del governo che la tentasse. Non saranno certo i fighetti di Renzi ad avventurarsi su questo terreno.
La seconda consiste nella vendita del patrimonio pubblico, compresa una parte delle riserve auree. Quando il venditore è disperato, come nel nostro caso, l’acquirente può dettare le condizioni. In definitiva, la vendita sarebbe una svendita, oltre che un’ulteriore penosa perdita di sovranità.
Le altre due sono tanto dolorose da risultare impensabili.
Una sarebbe l’inflazione a doppia cifra. Un’inflazione dal 10% in su abbatterebbe il debito pubblico in pochi anni, ma contemporaneamente ridurrebbe alla miseria nera tutti i percettori di redditi fissi e annienterebbe i risparmi, quei risparmi grazie ai quali sopravviviamo anche in questi anni di crisi. Sarebbe il classico rimedio che uccide il malato.
L’altra è la guerra. Una guerra vincente contro i creditori.
Questa soluzione è stata largamente praticata nella storia. Oggi è la risorsa che permette agli Usa di continuare a dominare il mondo. Gli USA sarebbero ridotti come noi o peggio. Non si preoccupano tanto del loro debito pubblico perché possono contare sul fatto che il dollaro resta la moneta delle transazioni commerciali internazionali, per cui tutte le potenze, avendo dollari nelle loro riserve, sono interessate a impedire il crollo della divisa americana; ma non se ne preoccupano tanto soprattutto perché hanno le portaerei e i droni. Sanno che nessun creditore può alzare troppo la voce nei loro confronti, perché sarebbe militarmente sconfitto.
Sono calcoli che evidentemente l’Italietta non può fare.
In conclusione, non esiste una via d’uscita indolore.
Dobbiamo rassegnarci a convivere con un debito pubblico gigantesco che impedisce grandi investimenti statali e depotenzia il welfare. Rende impossibile una significativa diminuzione del peso fiscale e di conseguenza disincentiva anche gli investimenti privati.
In definitiva, dobbiamo accettare l’idea che siamo destinati a un progressivo e rapido impoverimento. L’unico modo per far sì che l’inevitabile impoverimento non diventi la miseria nera, è riattivare la forza solidale delle comunità locali.
I giovanottini e le giovanottine di Renzi sono antropologicamente estranei a questa logica. Purtroppo lo è anche il popolo italiano nel suo complesso, deteriorato moralmente non dalla durezza della crisi ma dai decenni di prosperità economica, più devastanti di un bombardamento nucleare.
Questo per dire le cose come stanno e farla finita con le balle.
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=47602&utm_medium=referral&utm_source=pulsenews
Bosch paga 320 mln di euro per un’evasione inesistente. La beffa: il Fisco italiano non li restituirà
Le banche salvano De Benedetti che ha un debito di 1,9 mld di euro
Il dossier sulla ristrutturazione del debito Sorgenia entra nella stretta finale, con i primi segnali di avvicinamento tra le posizioni delle banche creditrici e quelle dell’azionista di riferimento Cir, a fronte della forte crisi di liquidita’ del gruppo energetico. Al momento non c’e’ ancora un accordo, ma nell’incontro tenutosi ieri, i principali istituti avrebbero abbassato dagli iniziali 300 milioni a 150 milioni le pretese sul contributo di equity richiesto a Cir nell’ambito dello stralcio da 600 milioni (su 1,8 miliardi) del debito Sorgenia.