Moneta unica: ora siamo tutti euroscettici. Ma ormai a Bruxelles valiamo zero

E’ scoppiata anche in Italia la moda anti-euro, è quanto si evince dal sondaggio di Demopolis per l’Espresso. Colpisce, in particolare, la composizione politica degli euroscettici: 41 per cento Forza Italia e 45 per cento Movimento 5 Stelle. I fedeli del Pd, invece, continuano a difendere a spada tratta la moneta comune. L’euroscetticismo è anche più diffuso del desiderio di tornare alla lira, solo un terzo degli italiani sarebbe favorevole a questo passo, il resto ha paura che l’uscita dall’Euro diminuisca l’importanza dell’Italia sulla scacchiera politico economica europea ed internazionale. Quindi più che di euroscetticismo si dovrebbe parlare di euroarrabbiatura, prodotta dal pessimo trattamento a noi riservato.

Bastano queste poche pennellate per dipingere una nazione che solo adesso si interroga sui pro ed i contro della moneta unica, un paese dove il dibattito su questi temi è stato volutamente oscurato da una coalizione di forze politiche, istituzioni e mezzi di informazione. I pochissimi che hanno tentato di avviarlo, come chi scrive, sono stati attaccati ed infangati da una banda di cattedratici e giornalisti di regime, e cioè ben poco democratici. Nel 2010 tutti in Italia cantavano all’unisono ed oggi la nazione paga le conseguenze della poca professionalità di chi ci governa e ci indottrina.

Matteo Renzi ha cambiato tono – anche se il suo partito continua ad essere il più importante sostenitore dell’Euro – tuttavia è tardi. Anche se grazie ad un miracolo fosse vero tutto quello che promette: meno austerità e più soldi dall’Europa, ormai il nostro potere contrattuale a Bruxelles vale zero.

Come ribadito nel 2010, nelle poche testate che me lo hanno permesso, l’Italia doveva allearsi con gli altri paesi della periferia, rifiutarsi di sottomettersi alle politiche scellerate di austerità e minacciare l’uscita dall’euro. Allora più del 60 per cento del debito dei paesi cosiddetti Piigs era detenuto da banche straniere, in particolare tedesche e francesi. Ciò significa che l’implosione dell’Euro avrebbe messo K.O. il sistema bancario europeo, ed anche quello mondiale dal momento che questo ne rappresenta più della metà. Bruxelles e la Germania non avrebbero rischiato tanto, e sicuramente il mondo non glielo avrebbe permesso, si sarebbe arrivati ad un accordo migliore di quello raggiunto.

I Piigs, non la Germania e la Troika, dovevano guidare le politiche anti crisi, ma non l’hanno fatto. Invece tutti hanno applaudito la manovra di Draghi del novembre del 2011 con la quale noi deficitari ci siamo ricomprati un debito che non riusciremo mai e poi mai a pagare e che ci rende sempre più poveri, salvando così le banche e gli investitori stranieri, i mercati e così via.

La responsabilità è anche dell’informazione che in queste nazioni è in mano alle élite al potere. Una politica diversa, infatti, di scontro con Bruxelles in difesa degli interessi della popolazione non avrebbe protetto quelli loro in casa ed all’estero. La minaccia del ritorno alle monete nazionali o la nascita di un euro di serie B avrebbe ne dimezzato la ricchezza monetaria.

Ironia della sorte vuole che la nazione che è andata più vicina all’implosione è l’Italia, nell’autunno del 2011. Quello è stato il momento di maggior debolezza o di massima forza, a secondo degli obiettivi che ci si prefiggeva: interessi nazionali o delle élite. Se avessimo voluto avremmo cambiato le sorti dell’Europa ed invece la classe politica ha firmato l’ennesima cambiale a nome dei cittadini intascandone i soldi. La nomina di Mario Monti e la seguente stabilità fittizia ha dato la possibilità all’élite italiana e del resto della periferia di mettere in salvo i propri capitali, ad esempio di convertirli in rendite immobiliari in Gran Bretagna e Germania, lontano dai pericoli monetari nazionali.

Oggi i giochi sono fatti: più del 60 per cento del debito italiano è detenuto dalle banche nazionali e dai cittadini, se implode chi ci rimette sono gli italiani. Le banche estere se ne sono sbarazzate grazie all’intermediazione della Bce. Se Renzi alza la voce e si rifiuta di obbedire alle politiche imposte da Bruxelles gli verrà mostrata la porta, un trattamento che ricorda molto quello riservato al leader greco quando propose il referendum sull’euro. Non sarà ne la prima ne l’ultima volta che Bruxelles sceglierà un nuovo viceré.

Le conseguenze più serie di questa crisi finanziaria sono ormai politiche, ma anche di questo non se ne può parlare in Italia, e possono essere riassunte in una sola parola: ingovernabilità. Chi ci ha venduto la favola a lieto fine dell’euro ed impedito un vero dibattito ha gravemente danneggiato la nostra democrazia al punto che si è arrivati a proporre una lista per le elezioni del Parlamento europeo capeggiata da un politico greco, che significa? Che dei nostri non ci fidiamo più?

Neppure in Portogallo o in Grecia abbiamo assistito ad uno sfacelo politico di questa portata, in fondo la difesa suicida e ad oltranza di una moneta che non solo non funziona, ma che non ha mai funzionato, nasconde il desiderio subconscio di appartenere ad un’altra entità politica reputata superiore, ad un’idea dell’Europa formulata dall’immaginario collettivo che altro non è che un’illusione, ma persino questo palliativo è preferibile al ritorno all’Italia della fine del secolo scorso. I portoghesi, gli spagnoli, i greci o gli irlandesi non condividono questo sentimento, che invece sembra serpeggiare in una buona fetta della popolazione dell’Ucraina, una nazione prossima alla bancarotta, alla quale l’Unione Europea ha promesso soldi ed un trattamento commerciale speciale, regali preziosi che però ha negato ai paesi della periferia nel momento del bisogno.

Loretta Napoleoni
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
14.03.2014

Gli strateghi americani scaricano Obama sull’Ucraina

Il fronte americano è tutt’altro che compatto dietro alla non strategia mondiale del Presidente Obama. L’Affaire ucraino lo prova una volta di più. Gli esperti statunitensi iniziano a mugugnare sulle scelte del Capo che lasciano insolute ataviche e incancrenite questioni, per aprire nuove ferite.

Fomentare ed inseguire il caos simultaneamente su scenari multipli e differenziati presenta dei rischi che possono diventare incontrollabili per chiunque, anche per la prima potenza globale. La favola dell’esportazione della democrazia e delle primavere del popolo contro i satrapi e gli autocrati regge finché la piazza, o almeno la parte sincera di questa, non capisce l’imbroglio. Ciò avviene quasi subito, sin dall’ autoproclamazione dei governi di sedicente liberazione nazionale che si trasformano in macchine di riciclaggio politico di impresentabili gerarchi, miliziani, oligarchi e, persino, criminali. Al Cairo come a Kiev. Chi credeva nel cambiamento pacifico si ritira e sul campo, a contendersi le membra dello Stato, resta la peggiore marmaglia aizzata dai soldi e dall’appoggio militare di Washington che si disputa il comando con un’ulteriore guerra per bande. La successiva stabilizzazione dei contesti infiammati ad arte è resa impossibile da tali inevitabili risvolti ma, soprattutto, dai nuovi rapporti di forza mondiali che non sono più informati sull’unipolarismo a predominanza Occidentale. Non c’è più un solo Paese a decidere i destini di tutti. Prima la Siria e poi l’Ucraina hanno dimostrato che l’iniziativa unidirezionale sfocia nel bagno di sangue non risolutivo, aggravante il disordine e logorante le relazioni tra attori geopolitici. Nonostante queste evidenze le rappresentanze atlantiche hanno giocato un altro brutto tiro nel cuore dell’Europa, ai confini e nella sfera egemonica di un gigante regionale qual è la Russia. Quest’ultima ha reagito, non aggredito, per preservare il proprio spazio vitale.

Ed eccoci davanti al pericolo di un’altra balcanizzazione nel Vecchio Continente, per avventurismo e scarsa comprensione della fase. Come scrive John J. Mearsheimer, professore di scienze politiche dell’Università di Chicago, Obama ha commesso un grande errore. Anzi due. Il primo è stato quello di sostenere con mezzi leciti ed illeciti i settari di Maidan, il secondo è stato quello di essere passato a minacciare il Cremlino di sanzioni economiche e frapposizioni militari. Tutto questo esaspererà la controversia in corso laddove è tempo di correggersi e di mediare.

Afferma Mearsheimer: “Washington played a key role in precipitating this dangerous situation, and Mr. Putin’s behavior is motivated by the same geopolitical considerations that influence all great powers, including the United States”.

Questa non è propaganda russa, né disiformatia del FSB. Washington vuole inglobare Kiev nella Nato per spegnere le aspirazioni russe, ricacciandole indietro anche geograficamente. Se questo non è un buon motivo per comprendere le ragioni di Putin…Il Cremlino, continua il professore, ha già subito in passato pesanti umiliazioni dall’Alleanza Atlantica che ha fagocitato molti paesi della sua orbita, con il solo scopo di arginarne le aspettative di rinascita ed imporgli l’isolamento.

Dal 2008, anno della crisi georgiana, la situazione è cambiata. Mosca ha tracciato una linea che divide il resto dal mondo dal proprio raggio d’azione. Nessuno deve metterlo in discussione. Sostenendo il golpe Ucraino gli Usa hanno oltrepassato il limite. Sia in senso fisico che morale. Spiegato questo, chi può biasimare Putin? Se lo chiede anche Mearsheimer. Che rincara la dose: “After all, the United States, which has been unable to leave the Cold War behind, has treated Russia as a potential threat since the early 1990s and ignored its protests about NATO’s expansion and its objections to America’s plan to build missile defense systems in Eastern Europe. One might expect American policymakers to understand Russia’s concerns about Ukraine joining a hostile alliance. After all, the United States is deeply committed to the Monroe Doctrine, which warns other great powers to stay out of the Western Hemisphere”.

Parole che si devono sottoscrivere una per una se si vuole evitare di portare ogni difficoltà alle sue estreme conseguenze, con i drammi umanitari che sappiamo. Mearsheimer si aspetta che Obama inizi finalmente a pensare strategicamente per non finire ancora in altri cul de sac, ma non c’è da sperarci troppo.

Intanto, le armi a disposizione dell’Occidente per fare pressioni sulla Russia sono alquanto spuntate, mentre appaiono più efficaci quelle di Mosca contro l’Ovest: “The West has few options for inflicting pain on Russia, while Moscowhas many cards to play against Ukraine and the West. It could invade eastern Ukraine or annex Crimea, because Ukraine regrettably relinquished the nuclear arsenal it inherited when the Soviet-Union broke up and thus has no counter to Russia’s conventional superiority. Furthermore, Russia could stop cooperating with America over Iran and Syria; it could badly damage Ukraine’s struggling economy and even cause serious economic problems in the European-Union due to its role as a major gas supplier”.

In ogni caso, a prescindere dalle sanzioni o interventi diretti che i partners occidentali intenderanno attuare, Putin non indietreggerà di un millimetro dalla sua posizione perché sono in ballo il futuro della sua leadership e quello dell’intera nazione, la quale si demoralizzerebbe fino a perire senza una proiezione destinale (qualcuno la definirebbe imperiale) oltrepassante i suoi immediati confini empirici.

Gli americani, almeno quelli più intelligenti, stanno arrivando ad una conclusione: o Obama cambia strada o presto cambieranno Obama (e la sua fallimentare strategia), anche nel senso che prossimamente si guarderanno bene dall’investire nuovamente della carica un personaggio simile a lui, espressione di interessi deleteri, data l’epoca storica, per gli Usa ed i loro obiettivi.

Gianni Petrosillo
Fonte: www.conflittiestrategie.it
Link: http://www.conflittiestrategie.it/gli-strateghi-americani-scaricano-obama-sullucraina
15.03.2014

TTIP: Gli americani e la lista della spesa

A Bruxelles è in corso il primo meeting di associazioni, sindacati e movimenti Usa e Ue per fermare il Trattato Transatlantico su commercio e investimenti (T-Tip). I negoziati ufficiali sono cominciati martedì e gli  Stati uniti hanno presentato una lista di settori chiave con relativi prodotti e servizi che dovrebbero esser parte dell’accordo di libero scambio per i mercati europei
 
BRUXELLES – Piccole presentazioni di pochi minuti, con i capo negoziatori di Usa e Ue competenti per i diversi gruppi in prima fila, a fare piccole domande ai rappresentanti dei più disparati gruppi di interesse – dai sindacati, alle imprese, dalle corporations agli esportatori agricoli, dagli ambientalisti alle organizzazioni professionali europee e statunitensi – studiate per ottenere piccole risposte, il meno approfondite possibili. Il “democratico” confronto inaugurato mercoledì 12 marzo a Bruxelles dalla Commissione europea a margine della settimana di trattative ufficiali del Trattato Transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) – fatto di gruppi di lavoro aperti e di interventi programmati dove dire la propria come in uno speaker corner – è il fiore all’occhiello della strategia dell’Unione europea per combattere le critiche contro la segretezza di un negoziato tanto importante per la credibiità politica dell’élite che l’ha lanciata, aprendo spazi di dialogo controllato.
 
Gli Stati Uniti, invece, con il solito approccio ruvido e diretto, hanno affidato a un comunicato stampa pubblico di ben nove pagine la “lista della spesa” dei nostri pezzi di mercato in cui vogliono entrare con i loro prodotti e servizi, articolata capitolo per capitolo e senza girarci tanto intorno. Scorrerla è istruttivo, soprattutto perché chiarisce i contorni concreti della questione, visto che si apre con la volontà dichiarata di “eliminare tutti i dazi e le tariffe sui prodotti agricoli, industriali e di consumo, una sostanziale parte dei quali da eliminare con l’entrata in vigore dell’accordo”.
 
A fronte degli oltre 730 milioni di dollari di prodotti che gli Stati Uniti esportano in Europa, e della ripresa della produzione manifatturiera negli Usa, l’obiettivo è quello di vendere sempre più pezzi e componenti a quell’Europa che non li produce più, e per farlo c’è un’unica condizione: abbattere anche gli standard di sicurezza, qualità e salute che al momento li mettono fuori legge da noi. Ogm, residui chimici, di pesticidi, di ormoni, sono considerate dagli Usa “restrizioni non basate sulla scienza, ingiustificate barriere tecniche al commercio, che limitano le opportunità degli esportatori Usa di competere”.
 
Da parte Usa si professa di voler “mantenere il livello di sicurezza, salute e sicurezza ambientale che la nostra gente si aspetta”, ma anche “di voler cercare una maggiore compatibilità tra livelli di regole e standard tra Usa e Ue” indicando nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, e non come un’istituzione di stato o delle Nazioni Unite, ma nemmeno in un’istituzione scientifica, il modello cui ci si vuole ispirare per liberare il commercio da queste fastidiose variabili come la salute di tutti noi e il futuro del nostro clima.
 
La qualità dei prodotti agricoli e del cibo in America – dove sono tuttora sul mercato sostanze e prodotti da noi vietati da anni perché provatamente tossici e cancerogeni – dovrebbero essere perfettamente legali anche da noi, secondo il comunicato del Ministero del commercio Usa, perché “si basano su evidenze scientifiche e non su ostacoli al commercio infondati”. Questo non renderebbe solo più competitive le imprese americane, assicurano, ma stabilirebbe un meccanismo permanente innovativo per risolvere questi problemi.
 
L’idea, dunque, è di introdurre un nuovo organismo congiunto di cooperazione sugli standard, che si porrebbe ad un livello superiore rispetto alle legislazioni nazionali e che, stando al numero di righe ad esso dedicate dal comunicato, è uno degli obiettivi più importanti da portare a casa per i negoziatori americani. Connesso a questo percorso, c’è anche quello di semplificare le regole d’origine, di prodotti e servizi per evitare che ad alcune merci vengano garantiti spazi provilegiati di mercato. Con buona pace del Made in Italy come del Borgogna questo è un altro obiettivo degli esportatori a stelle e strisce: impedire ai nostri produttori di opporsi alle loro copie a basso costo dei nostri prodotti tipici, e di abbattere le denominazioni d’origine e di qualità che sono tanto care ai consumatori attenti, ma tanto penalizzano i produttori intensivi delle due sponde dell’Oceano.
 
Chiudiamo con un sorriso: dallo stesso comunicato stampa apprendiamo che gli Stati Uniti, che non hanno mai sottoscritto il Protocollo di Kyoto per l’abbattimento delle emissioni climanteranti, almeno quanto una montagna di altre convenzioni internazionali per la protezione dell’ambiente si ritengono “leader nella ricerca di misure di protezione ambientale d’alto livello e di un’efficace implementazione delle leggi a difesa dell’ambiente all’interno delle regole commerciali”. Per continuare ad essere tali, affermano, vogliono “abbattere tutte le barriere commerciali in atto rispetto ai prodotti, alle tecnologie e ai servizi ambientali come l’energia pulita”, tra cui essi, però, inseriscono il gas derivato da fracking e il nucleare. C’è da pensare che prima di venerdì, quando i negoziatori saliranno sui loro aerei per tornare tutti a casa, di risate come queste ce ne saremo fatte tante tante altre. E che la preoccupazione sul futuro che ci aspetta sarà cresciuta almeno altrettanto.
 
Monica Di Sisto
15.03.2014
 
Per sostenere la Campagna italiana per fermare il TTIP www.stop-ttip-italia.net (http://www.stop-ttip-italia.net/ )
 
 

Born to die: nuova investigazione Buav

Pubblicato sul web, l’ultimo video che mostra le immagini filmate durante un’indagine sotto copertura della Buav, ha scolvolto tanti. Mostra numerosi cuccioli di cane, ma anche di gatto, in preda al terrore più assoluto mentre attendono di essere prelevati per poi venir sezionati, in un laboratorio di sperimentazione animale di proprietà del colosso farmaceutico statunitense Merck Sharp & Dohme (MSD). Il filmato fa parte di un’indagine, effettuata sotto copertura, dell’Unione britannica per l’abolizione della vivisezione (BUAV) presso il centro di concessione governativa, nel Cambridgeshire.

Lamenti, gemiti di cuccioli piccolissimi, strappati alle loro madri a solo 4 settimane dalla nascita per poi essere uccisi, tagliati e gettati in bidoni ,come testimoniano le immagini e le parole registrate da un investigatore, conosciuta esclusivamente com Susie, la quale ha lavorato nel laboratorio per otto mesi. “Questo è fatto. Potete andare a getterlo nel bidone“. Una delle tante frasi agghiaccianti pronunciate dagli addetti.

Sequenze terribili segnate negli occhi spaventati dei cuccioli che, citando il titolo del documento, sono letteralmente “nati per morire“. Secondo la BUAV sarebbero stati almeno 92 i cuccioli di cane, 15 quelli di gatto e 10 adulti ad essere uccisi durante il periodo di inchiesta ed investigazione nel centro. Oltre a questo, negli ultimi periodi, i ricercatori avrebbero inoltre sezionato conigli e polli, sempre secondo l’Unione britannica per l’abolizione della vivisezione. Oggi, Michelle Thew , capo esecutivo di quest’ultima, ha riferito che il sindacato ha rilasciato il video nel tentativo di aggiungere trasparenza al dibattito pubblico sulla sperimentazione animale “Questo è un segreto dell’industria sulla ricerca che non dovrebbe essere reso di dominio pubblico. Milioni di famiglie, in tutti il Regno Unito, che condividono la loro vita con un animale saranno rimasti sconvolti da queste rivelazioni. Però bisogna porre l’accento su quello che accade, perchè è inaccettabile; non solo questi animali stanno soffrendo e morendo in modo terribile, ma a molti di loro poteva essere trovata una famiglia invece di essere scartati come oggetti e poi uccisi“. Migliaia di cani e centinaia di gatti vengono utilizzati nella ricerca , ogni anno nel Regno Unito , nonostante la diffusa preoccupazione circa il loro uso.

Intanto la direzione del laboratorio si difende dichiarando, al MailOnline, che la struttura aderisce a tutti gli standard normativi di test e sviluppo di vaccini e con un suo portavoce chiarisce “Il benessere degli animali è fondamentale per la nostra missione. Tutte le ricerche dentro il centro vengono fatte da personale qualificato e addestrato. Le nostre strutture sono in piena conformità a tutte le leggi e regolamenti, le procedure e le strutture sono regolarmente riviste e controllate dalle autorità di regolamentazione competenti“.

Questo come sempre non ci importa. Quando potete vederlo con i vostri occhi, pensate ancora che tutto questo possa essere regolamentato e reso “umano”?

Visitate il sito e la pagina relativa alle investigazioni sotto copertura ( http://www.buav.org/undercover-investigations/born-to-die ). L’impegno degli attivisti è ad oggi l’unico mezzo per svelare la verità sulla sperimentazione animale.

Fonte: www.veganzetta.org
Link: http://www.veganzetta.org/?p=4714
6.03.2014

No Muos: gli Americani regalano soggiorni alle Hawai

 http://www.tgvallesusa.it/?p=6622

Con l’obiettivo di mitigare le proteste in Sicilia vengono offerti soggiorni All Inclusive a giornalisti e studenti siciliani per mostrare loro quanto il Muos sia innocuo. Di diverso parere il prof. Zucchetti che evidenzia le differenze tra i tipi di installazione Muos.

Posted on 15 marzo 2014

di Daniela Giuffrida                                                                                 

Da pochissimi giorni sono rientrati dal “rassicurante” soggiorno alle Hawaii i giornalisti italiani invitati dalla Difesa degli Stati Uniti a visitare il siti in cui sorge la stazione hawaiana del M.U.O.S.

Ai giornalisti sono state fornite una quantità di notizie sugli effetti benefici che il Muos distribuirà ai siciliani; le stesse propinateci durante il Media Day dello scorso 19 giugno  quindi non ci è sembrato per nulla strano apprendere come, già il 20 Febbraio scorso, gli americani avessero in programma un’altra partenza per il “nuovo mondo”.

Questa volta i destinatari del soggiorno “all inclusive” sono gli studenti dell’Istituto scolastico che a Niscemi si è sempre distinto per la propria partecipazione alla lotta No Muos.

Come si spiega questo invito al “Youht Leadership Program“, una sorta di scambio culturale fra giovani siciliani e americani che ha  tutto il sapore della “vacanza-premio”: una ricerca di distensione fra il governo americano e la gente di Sicilia? Perché, per la prima volta nella sua storia, l’istituto niscemese ha ricevuto questo invito e come mai ha accettato di aderire?

Enzo Traina

Abbiamo raggiunto telefonicamente (intervista completa su Linksiciali.it) il prof Enzo Traina, uno dei primi attivisti del Comitato storico No Muos di Niscemi, vittima anche lui dell’ondata di denunce seguite all’invasione della base di c.da Ulmo lo scorso 9 agosto. A lui abbiamo chiesto notizie di questo invito oltreoceano e della adesione dell’Istituto. Egli ci ha confermato il ricevimento in istituto dell’invito, promosso dal Consolato Generale degli Usa ma l’adesione da parte del Dirigente scolastico è avvenuta senza sentire il parere né del Consiglio di Istituto né quello del Collegio Docenti. Precisa il prof. Traina:

L’istituto è molto grande, comprende diversi indirizzi di studio, conta oltre 1000 studenti iscritti ed ha un corpo insegnante di 95 elementi, di questi solo in due hanno dato la propria disponibilità al progetto, mentre in tre siamo stati raggiunti da avvisi di garanzia per aver partecipato all’invasione della base americana dello scorso agosto.

Il nostro Istituto ha preso una posizione ufficiale, netta e precisa contro il Muos già il 14 dicembre 2012, quando durante un collegio riunitosi proprio per discutere la questione si è raggiunta l’unanimità delle volontà “contro”. In quella occasione il Collegio dei docenti dell’Istituto aveva resa nota la propria volontà chiedendo alle autorità preposte di revocare o, comunque, sospendere in autotutela  le autorizzazioni già concesse alla Marina militare statunitense per la realizzazione del Muos di Niscemi. 

Noi conosciamo bene gli studenti di Niscemi, sono gli stessi studenti che hanno sempre partecipato a tutte le manifestazioni “contro” il Muos e sono stati loro stessi autori e organizzatori di cortei di protesta. Ultimamente li abbiamo visti gremire in massa la grande aula del centro sociale di Niscemi e sono stati parte attiva nel corso di un incontro, organizzato dallo stesso Istituto, con il filosofo ed euro parlamentare Gianni Vattimo e con il prof. Massimo Zucchetti, in quella occasione non hanno mancato di far sentire la loro voce con domande ed interventi importanti e pertinenti.

Chiediamo ad L.C., studentessa di una terza liceo Scientifico, cosa pensi di quanto sta accadendo presso la sua scuola. Lei risponde serena e sicura di se:

secondo me non è giusto nei nostri confronti e nei confronti di chi ci vive intorno, partecipare alla “gita” che ci è stata offerta, è come se accettassimo di essere considerati da loro come stupidi e ignoranti. Loro hanno voluto approfittare della nostra poca coscienza e conoscenza dandoci la possibilità di andare a visitare il loro territorio. Questo però non può e non dev’essere accettato da noi, perché è come se noi accettassimo di andare in Africa a dare aiuto ai bambini poveri mentre in realtà andiamo a rubare loro il petrolio e a devastare il loro territorio. Eppure lo abbiamo dimostrato di non essere così “sprovveduti”in ogni classe hanno aderito non più di due, tre studenti 

E la tua classe ha aderito?

Nella mia classe siamo in 24, solo in tre hanno presentato la richiesta ed hanno mandato un video di presentazione e la documentazione necessaria per l’adesione. Ho chiesto come mai loro abbiano preso questo decisione essendo noi No Muos e avendo sempre lottato contro le istallazioni americane, loro mi hanno risposto che bisognava “approfittarne” perché… quando mai ricapiterà di poter andare negli Stati Uniti, per 20 giorni e tutto gratis? 

Ma tu cosa pensi di tutta questa cosa, del Muos, dei problemi che le antenne creano in tutta la zona?

La settimana scorsa abbiamo fatto un convegno sulla salute qui a scuola, erano presenti medici e chirurgi ecc.. niscemesi e non. Lo stesso convegno è stato fatto anche l’anno scorso, ma mentre l’anno scorso si è parlato a lungo del Muos, quest’anno nessun intervento in merito. Noi abbiamo chiesto ai medici cosa pensavano della possibile ricaduta sulla nostra salute e loro ci hanno risposto che abbiamo soltanto due alternative: o migriamo dal nostro territorio oppure dobbiamo seguire la giusta alimentazione e il giusto stile di vita, solo così possiamo evitare che arrivino malattie e simili…

Proprio le ricadute sulla salute dei cittadini siciliani è la questione su cui si alimenta la protesta No Muos.

zucchetti

Abbiamo chiesto un chiarimento al prof. Zucchetti su questa similitudine fatta dagli Americani tra l’installazione siciliana e quella delle isole oltreoceano  (intervista completa su Linksicilia.it):

la prima cosa da dire è che il Muos è in funzione da troppo poco tempo e quindi non fa testo. Mi spiego: le parabole hawaiane possono anche essere uguali a quelle niscemesi o anche alle altre americane o australiane, ma non può esserci alcun effetto visibile al momento, dato che è in funzione da pochissimo tempo e non sono riscontrabili gli effetti che ci preoccupano, quelli “a lungo termine” appunto.

Le parabole hawaiane – spiega il Prof Zucchetti – hanno il vantaggio enorme di essere inserite in una nazione che ha dei limiti di legge, per quanto riguarda le onde elettromagnetiche, che sono cento volte più permissivi di quelli italiani e questo perché la legge americana non tutela la popolazione proprio da questi effetti a lungo termine ritardati. Quindi sebbene non conosca i dati può anche essere che le parabole hawaiane, dal punto di vista del rispetto dei limiti relativi alle onde elettromagnetiche, possano restare entro i limiti della legislazione americana. Inoltre le parabole hawaiane sono state sicuramente ottenute e sono state altrettanto sicuramente installate con una procedura che ha seguito quelle che sono le restrizioni della legge americana, cosa che nel nostro caso non è avvenuta.

Suppongo – aggiunge – che gli Stati Uniti abbiano fatto, in questo caso, tutte le cose regolari, ovverosia una valutazione di impatto ambientale, un modello di previsione, quello che manca e che ancora oggi rimarco in una mia intervista a Repubblica che è appena stata pubblicata. Quel modello previsionale che ci permetta di sapere qual è l’impatto ambientale a livello di onde elettromagnetiche del MUOS, nella zona di campo vicino che vuol dire 67 chilometri dalle parabole, così come previsto dalle norme CEI

Per quanto riguarda i dettagli tecnici – sottolinea l’esperto – sappiamo che le parabole hawaiane puntano verso l’alto, mentre le nostre no, hanno un alzo molto basso ed altre cose. Tra l’altro, le parabole hawaiane, nel progetto che è stato depositato, hanno una potenza di 1600 watt ed hanno un alzo rivolto a 180° verso l’alto e non verso il basso come le nostre”.

Certamente anche questi dati devono essere tenuti in considerazione – conclude Zucchetti– e, comunque, sicuramente le stazioni Muos possono essere costruite al di la delle obiezioni che si possono avere in campo militare etico e pacifista: possono essere costruite nel rispetto dei vincoli ambientali, cosa che può essere stata fatta nelle Hawaii, in Virginia e in Australia, ma che, di sicuro, non è stato fatta in Sicilia”.

Chiamparino: “Non sono malato di TAV”

 http://www.tgvallesusa.it/?p=6604

Sergio Chiamparino, candidato PD alle prossime elezioni regionali del Piemonte, in un incontro tenutosi ieri sera a Bardonecchia oltre agli argomenti di diretta attinenza del comparto turistico invernale dell’alta valle Susa ha toccato anche il problema Torino-Lione.

Posted on 15 marzo 2014

Sergio Chiamparino

di Leonardo Capella

Già da tempo esponenti del PD dell’alta valle si interrogano sul rischio  concreto, già evidenziato nel presente, di essere emarginati dai flussi turistici. La stazione internazionale di Susa viene vista come un elemento di estrema criticità alla luce di un costante disimpegno sul fronte della mobilità ferroviaria locale. Anche nello schieramento efferente al centrosinistra, SEL e CGIL ed esponenti del PD, indirizzano pesanti critiche alla realizzazione della Torino-Lione. Il TAV, a sinistra, pare non essere più un baluardo della lotta alla disoccupazione. Probabilmente anche per questo Chiamparino si è spinto ad un affermazione fino a poco tempo addietro impensabile: “Non sono malato di TAV”. Lanciandosi anche in quella che potremmo leggere come apertura all’analisi critica del progetto TAV ovvero “ma perché da Bari a Napoli si può fare e qui no?”. Evidentemente potrebbe essere proprio l’analisi delle motivazioni del “perché qui no?” la chiave che permetterebbe una ritirata onorevole della Regione da questo progetto che vede sempre meno consensi e sempre più tagli, non ultima la sostituzione del direttore generale di L.T.F. Rettighieri. La presenza dell’Onorevole Esposito a questo convegno, noto estremista SiTav, ha forse consigliato slanci meno impetuosi. Chiamparino pur riaffermando la possibilità di critica all’interno del suo schieramento è però assolutista quando afferma “nel momento in cui si é deciso che l’opera si fa, non posso accettare nel mio schieramento persone che boicottino il progetto”.

 LC(12-3-2014)

La sentenza dei petardi

 http://www.tgvallesusa.it/?p=6587

Davide Forgione, 21 anni di Torino, e Paolo Rossi, 26 anni, entrambi residenti a Torino, alla guida di un’auto erano stati fermati e poi arrestati per detenzione e trasporto di materiale esplodente.

Posted on 14 marzo 2014

Di Valsusa Report

I due, studenti universitari, dal 30 agosto 2013 sono agli arresti domiciliari dopo un periodo di ventun giorni di detenzione cautelare.

La loro Toyota Yaris, insieme ad altre quattro vetture, si stava muovendo lungo la provinciale. I carabinieri sono intervenuti a colpo sicuro: “La Digos, con la quale c’è ottima collaborazione – aveva detto il capitano Stefano Mazzanti – aveva segnalato che al campeggio di Venaus erano state notate delle persone impegnate a caricare pneumatici su quell’auto”.

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Sul materiale sequestrato venne disposta una consulenza tecnica per accertarne l’efficacia. Si capì poi dalla prima udienza che la CTU doveva stabilire “non la pericolosità, ma la micidialità dei fuochi d’artifizio” come richiesto dai Pm Padalino e Rinaudo.

L’accusa ha tentato di ricostruire la propria versione dei fatti, insistendo sulla “micidialità” del materiale trovato a bordo dell’auto, facendo espliciti rimandi ad altri momenti di dimostrazione del dissenso al cantiere della Maddalena.

La difesa, rifacendosi alla perizia di un esperto chiamato a testimoniare nell’udienza, ha dimostrato come il materiale trovato sull’auto non fosse altro che un insieme di “botti di capodanno” e comunque di pari intensità, anche per le fantasiose molotov con bottiglie di plastica l’innocuità è risultata certa: si trattava di bottiglie di plastica con materiale non infiammante, in altre acqua e malox.

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I giudici hanno accolto l’impostazione della Procura ma rispetto ai 6 anni chiesti dai Pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, hanno ridotto la pena applicando il meccanismo giuridico della “continuazione interna”. A pesare molto nel giudizio anche la requisitoria del Gip che la scorsa estate aveva convalidato il fermo dei due imputati, con cui aveva rimarcato un preoccupante “salto di qualità criminale”, e ancora “Non appare in dubbio la finalità di attentare alla pubblica incolumità con il notevole materiale infiammabile da loro detenuto senza altra ragione plausibile” – “tutta la strumentazione necessaria per confezionare materiale esplosivo e congegni micidiali”.

La pena è di due anni due mesi e 5000 euro di multa, seguirà la richiesta di appello da parte degli avvocati della difesa. Per ora, entrambi i giovani No Tav restano agli arresti domiciliari.

VR  (14/03/14)

Vietnam: i figli dell’”Agente arancio”

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Hanoi, 14 mar- A distanza di 50 anni le conseguenze della guerra in Vietnam continuano ad affliggere la popolazione, specie nella sue fasce più deboli. A farne ancor oggi le conseguenze sono infatti perlopiù i bambini, vittime dei danni provocati dal famigerato “Agente arancio” usato in dosi massicce dalle forze di invasione statunitensi fra il 1962 e il 1971. L’operazione di defoliazione era chiamata in codice “Ranch hand”.
 
L’”Agente arancio” era allora un espediente utilizzato per disboscare rapidamente le zone di giungla in cui si nascondevano i guerriglieri comunisti, spesso inafferrabili per i Marines americani. Tale composto è stato rilasciato in forma liquida da centinaia di aerei in vastissime zone del sud del paese.
 
Miscuglio 1:1 di 2,4-D (acido-2,4-diclorofenossiacetico) e 2,4,5-T (acido-2,4,5-triclorofenossiacetico), si calcola che oltre un milione di persone, fra cui 150,000 bambini, sia o sia stato affetto da problematiche legate alla esposizione a questo allucinante cocktail. Compresi molti soldati americani in zona d’operazione.
 
Le patologie derivanti sono tante e tutte agghiaccianti. Cecità, mutismo, sordità, cancro, mancanza di arti, deformazioni, disturbi della psiche. Gli Stati Uniti si sono sempre trincerati dietro l’assunto per cui all’epoca non si prevedevano le conseguenze sul piano medico-sanitario, l’intento sarebbe stato solo quello di disboscare per individuare il nemico. Anche se già alla fine dell’intervento in Vietnam, tra i G.I. iniziavano a girare voci sugli effetti del defoliante.
 
Sarebbe però allora onesto, oggi, ammettere che l’”Agente arancio” di problematiche mediche ne ha comportate, e ne comporta, eccome. Eppure non una parola di rammarico, di scuse, o di solidarietà arriva da Washington per i tanti bambini malati o deformi che tutt’oggi nascono nelle zone il cui terreno è impregnato di questo letale veleno. Segnati dalla nascita, il loro destino è vivere per strada, o al meglio in un orfanotrofio, in una Nazione che è ancora ben lungi dal poter dirsi economicamente sviluppata.
 
Eppure il dottor James R. Clary, che ha lavorato in quegli anni per la Chemical Weapons Branch, non esita ad affermare che quando noi (gli scienziati militari) cominciammo il programma erbicida negli anni ’60, sapevamo del danno potenziale dovuto dalla contaminazione di diossina. Sapevamo anche che la formulazione “militare” aveva una concentrazione di diossina superiore a quella “civile”, a causa dei costi inferiori e della maggiore velocità di produzione. Tuttavia, visto che il materiale doveva essere usato sul “nemico”, nessuno di noi era troppo preoccupato. La diossina che l’”Agente arancio” poteva produrre a certe temperature era la TCDD. La stessa di Seveso. Moltiplicata per milioni di litri. Molte fra le aziende produttrici del diserbante (fra cui, inutile dirlo, spiccava la Monsanto), inviarono dei memoranda al governo americano per avvertirlo dei potenziali rischi per la salute. Invano.
 
Oggi gli Stati Uniti tentano di recuperare i rapporti con il Vietnam in funzione di contenimento della Cina. Sarebbe un gesto umile, e umano, ammettere i propri errori, se non le proprie colpe.
 
Valentino Tocci

DRAGHI E LA DISTRUZIONE CREATRICE

Scritto il 14 marzo 2014 alle 08:00 da icebergfinanza
 
Ieri mentre in giro per il mondo qualcuno incominciava ad agitarsi per un cambio troppo forte, per un euro su di giri, visto la cocaina che circola nelle sale operative, Draghi dopo aver consultato Machiavelli a Vienna durante la consegna del premio Schumpeter, Draghi è intervenuto sulla questione con due semplici parole…
 
«Dopo 5 anni di crisi e di incertezza, il 2012 e il 2013 sono stati anni di stabilizzazione per l’area euro, con un ritorno della fiducia sulle prospettive dell’Unione. Il 2014 e il 2015 saranno anni di ripresa», afferma Mario Draghi durante la cerimonia di consegna del «Premio Schumpeter», alla Banca centrale austriaca. E però, per la prima volta, il presidente della Bce manifesta preoccupazione per il supereuro, riconoscendo che nell’ultimo anno e mezzo il rafforzamento della moneta comune ha «certamente avuto un impatto significativo» sulla bassa inflazione europea. Per questo la Bce «sta preparando ulteriori misure non convenzionali», per contrastare il rischio di deflazione. Ed è pronta a nuove azioni decisive, se necessario».
 
No sai perchè ieri in serata gli ha telefonato Machiavelli suggerendo gli ultimi sondaggi in Italia sulla deflazione…
 
 
A se vedete Renzi ditegli che per reperire risorse può provare anche ad aumentare l’IVA dal 22 % al 26 % cosi facciamo tutto uguale e forse l’inflazione si stabilizza, prima di scendere sotto lo ZERO!
 
Sui tassi Draghi ribadisce che resteranno «ai livelli correnti o più bassi per un periodo prolungato di tempo a lungo». La politica monetaria della Bce crea di fatto una posizione tale che i tassi di interesse sono destinati, spiega. Allo stesso tempo, lo spread tra i tassi di interesse nell’area euro e il resto del mondo probabilmente scenderà, abbassando la pressione sul cambio, restando ferma ogni altra. Una buona notizia, perché «il rafforzamento dell’euro nell’ultimo anno a mezzo ha certamente ad avere un impatto significativo sul basso tasso di inflazione europea». Ma, rassicura Draghi, il rischio di deflazione è piuttosto limitato. Avvertendo, però, che «più a lungo l’inflazione resta bassa, più aumentano i rischi». E’ il motivo per cui «la Bce sta preparando ulteriori misure di politica monetaria non convenzionali». Ed è «pronta a intraprendere nuove azioni, se necessarie».«Pulizia nelle banche per la ripresa»
 
Una buona notizia, perché «il rafforzamento dell’euro nell’ultimo anno a mezzo ha certamente ad avere un impatto significativo sul basso tasso di inflazione europea».???????
 
Si potrebbe essere, ma in fondo non è, ci sembra che sia bassa, ma potrebbe aumentare se si alza, sai noi abbiamo la pistola ad acqua in una trappola della liquidità, se serve spariamo se poi non funziona pazienza useremo un palloncino pieno d’acqua, una vera e propria bomba d’acqua.
 
Nel frattempo si è svegliato anche il fantasma di Weidmann, appena arrivato da una seduta spiritica in quel di Weimar…
 
Ultimo, oggi, perfino l’arcifalco Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, che facendo eco ad alcuni suoi colleghi aveva affermato che ulteriori apprezzamenti dell’euro potrebbero spingere la Bce ad ammorbidire la sua linea. Il tutto mentre la valuta condivisa è risalita sopra la soglia di 1,39 dollari, come venerdì scorso, sui massimi dall’ottobre 2011 e con un picco di seduta a 1,3965. La forza dell’euro rischia di frenare la ripresa economica, rendendo meno competitivo l’export verso i paesi extra Unione, e di deprimere ulteriormente una inflazione ritenuta già troppo bassa dalla Bce.(Sole24Ore)
 
Relax ragazzi il limite è stato raggiunto, oltre sarà la fine dell’euro!
 
Ah …dimenticavo in America dove tutto va a meraviglia le revisioni sui consumi passati sono state sensibili con tutto sto freddo si son venduti meno cibi surgelati e gelati al punto tale che Goldman Sachs ha rivisto le sue previsioni di crescita per il primo trimestre dal 3 % al 1,5 % una meravigliosa primavera attende gli Stati Uniti …d’Europa!
 
Per tutti coloro che hanno liberamente sostenuto il nostro viaggio o vorranno semplicemente farlo è in arrivo l’ultima analisi dal titolo…” Machiavelli un uomo tutto d’oro.”

La bolla del debito gonfia la capitalizzazione dei mercati

Scritto il 14 marzo 2014 alle 11:11 da Danilo DT
 
Il grafico del “Margin Debt” ormai credo sia noto a tutti i lettori. Il grafico che vi ho proposto in questo post,  ovviamente, ve lo confermo in toto.
Mette a nudo uno degli aspetti più “pericolosi” della bolla speculativa generata dalla liquidità con cui le banche centrali hanno inondato il mercato.
Sempre in relazione al rapporto tra borse e debiti, ho trovato molto interessante questo ragionamento.
Mettiamo a confronto al capitalizzazione delle borse USA con il totale dell’espansione del credito USA.
Si ottiene un “ratio” che ci illustra praticamente in modo più efficace il rapporto tra debiti e capitalizzazione di borsa.
Il risultato ottenuto è interessante.
Ci stiamo avvicinando a quei valori che in passato hanno rappresentato un livello “invalicabile”. Ovvio, è statistica e tutto può succedere, ma incuriosisce il fatto che ormai siamo in prossimità dei picchi del 2007-2004.
 
US market capitalisation vs US total credit growth
 
USCAPCRE-U-Index-US-mrk-cap-vs-2014-03-12-09-34-33
Bene, sommatelo al grafico del Margin Debt di cui sopra.
 
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Il mercato è colmo. Ma come detto potrebbe non essere sufficiente per far partire “copiose” correzioni, finchè il giochetto montato dalle banche centrali regge. Certo è che questo lievitare del credito in USA come in Cina (vedi il post prima pubblicato) non può lasciarci tranquilli.
 
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STAY TUNED!