2014, FUGA DALLE IMPRESE

Tutte le bugie delle banche sulla qualità dei crediti
Gli investitori non si fidano degli attivi e i grandi istituti quotano meno degli omologhi spagnoli
 
19/03/2014
Telecom Italia, Rcs, Tassara, Sorgenia. Non sono soltanto i creditori troppo grandi per fallire a deprezzare i titoli delle banche di sistema. Oltre al rischio Paese – elemento al di fuori del controllo degli istituti di credito – è il business tradizionale ciò che non convince gli investitori istituzionali. In altri termini, il valore degli attivi dichiarato in bilancio. La doppietta del colosso ameriano Blackrock – divenuto primo azionista di Unicredit al 5,24% dopo essere salito a fine febbraio al 5% di Intesa Sanpaolo – va letta in un’ottica da fondo di private equity, ovvero con un investimento cospicuo ma limitato nel tempo per scommettere sul rialzo dei corsi azionari che seguirà alla ripresa timidamente affacciatasi nel quarto trimestre del 2013.
Due sono gli indicatori per capire quanta polvere è stata nascosta sotto il tappeto sperando nel miglioramento del ciclo economico: l’avviamento e i crediti dubbi (non performing loans, Npl). Due macigni che influiscono sulla capacità di dare soddisfazioni agli azionisti ripagandoli della fiducia con il dividendo, argomento delicato da quando Banca d’Italia ha imposto l’aumento del tasso di copertura sugli Npl. Le regole di Basilea e gli accantonamenti assorbono capitale, e se il business non gira l’unica leva possibile è diminuire questi ultimi per non far arrabbiare i propri soci, che in tanti casi sono le medesime Fondazioni che poi erogano finanziamenti e prebende.
 
 
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L’emblema è Unicredit, a cui la pulizia di bilancio è costata 15 miliardi di perdite nel 2013 dopo i 10,6 miliardi di svalutazioni lorde del 2011. Nella presentazione del piano al 2017 c’è una slide (vedi sopra), riportata dal blog Linkerbiz, in cui Piazza Gae Aulenti evidenzia come il livello di accantonamenti abbia raggiunto nel 2013 la media europea. Non solo. Gli accantonamenti sui crediti performing sono saliti dallo 0,6% all’1,1 per cento: ciò significa che persino le esposizioni in bonis presentano un certo grado d’incertezza. Meglio dunque preparare il paracadute in vista del comprehensive assessment della Bce, appena cominiciato con l’asset quality review prodromica agli stress test. Stesso discorso per Intesa Sanpaolo: allo scorso settembre, ha alzato a 79 punti base – rispetto ai 77 di settembre 2012 – il tasso di copertura sui crediti in bonis, aumentando la riserva di 25 milioni nel terzo trimestre dell’anno scorso, a quota 2,4 miliardi.
 
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Basterà? Non c’è da stare tranquilli: i dati diffusi ieri dall’Abi, l’associazione bancaria italiana, evidenziano una crescita delle sofferenze a 160,5 miliardi, con un’incidenza sugli impieghi dell’8,4%, livello più alto da aprile 1999 e un vertiginoso aumento di 34,3 miliardi su gennaio 2013 (+27%), e di 60,2 miliardi su gennaio 2012. Sebbene le pulizie di primavera abbiano «migliorato la salute del sistema creditizio in un momento in cui il contesto operativo si sta stabilizzando», ha scritto l’agenzia di rating Fitch in una nota, «resta da vedere se saranno necessari altri sforzi». Gentilezze diplomatiche a parte, il repulisti potrebbe durare a lungo. A suggerirlo una spia che dovrebbe lampeggiare insistentemente nella sala macchine degli istituti: il 13% del flusso di nuove sofferenze (dati 2012) deriva da posizioni precedentemente classificate in bonis. Delle due l’una: o i banchieri hanno bisogno di un paio d’occhiali nuovi o hanno preferito non guardare fino a quando hanno potuto.
 
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Il risultato, come dimostra l’infografica qui sopra, è che un istituto iberico di medie dimensioni come Bankinter sul mercato viene scambiato a 1,5 volte il suo valore di libro, mentre i giganti Intesa e Unicredit solo a 0,7 volte. Dunque il mercato considera che la storia raccontata dagli istituti al mercato sulla qualità degli attivi sia per così dire romanzata. Proprio per questo, gli istituti costano poco e i fondi americani sarebbero pronti a entrare nel loro azionariato alla prima occasione buona. A cominciare da Pioneer e Fineco, papabili spin off di Unicredit in odor di quotazione.
 
 
Il tema vero però rimane la bad bank, impensabile senza una garanzia pubblica sulle sofferenze, magari tramite la Cassa depositi e prestiti. Come ripetono sottovoce da mesi advisor e banchieri d’investimento, che la cessione di crediti non performing si realizzi trasformandoli in equity o meno, tutto si gioca sul prezzo. Per questo l’interessamento del fondo KKR sui crediti dubbi di Intesa e Unicredit si è scontrato, a quanto si sussurra, con la ritrosia delle banche ad accettare scostamenti significativi dal valore nominale delle esposizioni, per non essere costrette ad aumentare gli accantonamenti che bruciano capitale prezioso da conteggiare ai fini di Basilea. «Se gli istituti dovessero iscrivere a bilancio le esposizioni asset based, come l’immobiliare, al valore di mercato il loro patrimonio netto diventerebbe immediatamente negativo», dice a Linkiesta un advisor specializzato in ristrutturazioni. La soluzione, per ora, è stata “fare come in Giappone”, ovvero aspettare che passi la buriana – mantenendo chiusi i rubinetti del credito – sperando che l’aumento dell’inflazione alleggerisca il peso dei debiti. Una scorciatoia possibile anche grazie alla mole di prestiti concessi a revoca, senza cioè covenant waiver (obiettivi per l’azienda in termini di performance, ndr) rinegoziabili trimestralmente – che fanno emergere le difficoltà – ma con la sola clausola di restituzione immediata. Crediti che saranno esaminati dagli ispettori della Bce – 26 per Intesa, 25 per Unicredit, 16 per Mps e Banco Popolare, 14 per Ubi e Mediobanca, 13 per Carige, 12 per la Popolare di Milano – sbarcati in Italia da qualche settimana.
 
 
Dal canto loro, le società di consulenza che fino a una decina d’anni fa suggerivano di sfruttare la leva del commerciale ora consigliano il repricing dei crediti esistenti e lo sviluppo all’estero, leva evidente nel piano industriale di Mediobanca e, con ogni probabilità in quello di Intesa Sanpaolo, che sarà presentato tra una settimana. Il cambiamento del paradigma, evidenziato nel Financial Outlook 2012-2015 dell’Abi, prevede che «Nel medio periodo la crescita degli impieghi dovrà essere inferiore alla raccolta dei residenti». Si potrebbe titolare: 2014, fuga dalle imprese. Non a caso il governo ha proposto lo sblocco totale dei 68 miliardi di crediti delle imprese nei confronti della Pa entro giugno. Se i minibond sono ancora poco battuti tanto per il loro costo in termini di rendimento da garantire agli investitori quanto per la poca voglia degli imprenditori di certificare i loro libri contabili, l’unica via possibile rimane attingere alle tasche del solito Pantaolone.

Esodati e non solo: ma quanti sono?

 
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Quanti possano essere gli esodati in Italia non lo sa nessuno.
 
Incredibile, ma vero, nessuno lo sa e nessuno lo vuol sapere, dato che sarebbe uno scandalo degno dei peggiori disastri, quelli che segnano le nazioni per generazioni, come accadde per la Compagnie des chemins de fer o la Banca Romana.
 
Volendo fare il punto sulla situazione, ricordiamo che:
  1. dicembre 2011 – i ministri del Lavoro (Elsa Fornero) e dell’Economia (Mario Monti) individuano in 65.000 gli esodati da considerare ‘lavoratori salvaguardati’;
  2. aprile 2012 – l’INPS annuncia che gli esodati sono 120.000;
  3. giugno 2012 – l’INPS porta il numero degli esodati a 390.000;
  4. giugno 2013 – i dati Istat evidenziano l’esistenza di almeno un milione di disoccupati, cassaintegrati e precari di età superiore ai 54 anni.
  5. dicembre 2013 – i dati Istat evidenziano un 30% di lavoratori senior non in buone condizioni di salute, mentre i dati INPS denunciano un numero di falsi invalidi nell’ordine dello 0,04% del totale e i dati UE evidenziano che in Germania è riconosciuta (e sussidiata) l’invalidità al 10% della popolazione, mentre in Italia a stento si raggiunge il 6%
  6. fine 2013 /inizi 2014 – diverse fonti giornalistiche confermano un overflow di almeno 6 miliardi di euro per le pensioni apicali maturate antecedentemente all’introduzione del sistema contributivo. I soldi, dunque, ci sarebbero.
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In pratica, parliamo di quasi la metà dei nostri signori di mezza età che o non lavora o vive nell’incubo di perdere il lavoro o deve arrancare (ndr. senza darlo troppo a vedere, che i malati sono invisi nel nostro paese) fino ad una pensione sempre più lontana.
Il tutto, mentre scopriamo del saccheggio dell’Inpdap e mentre oscure cantilene convincono i giovani che la pensione è un’opzione e li rassicurano con polizze che non garantiranno neanche i soldi messi sotto il materasso.
 
In pratica, paghiamo le pensioni d’oro mai contribuite a pieno a spese delle pensioni (contributive da 20 anni) degli esodati e di chi verrà dopo. I padri che si nutrono dei propri figli. I sindacati? Il 65% degli iscritti sono già pensionati e, comunque, ci sono anche loro nei CdA di Inps, Enti, Espero e chissà cos’altro ancora.
 
E così, mentre i danni prodotti al tessuto sociale italiano (e all’economia) sono all’incasso da anni e, dunque, sotto gli occhi di chiunque vuol vedere, il neoministro Giovannini – che dovrebbe occuparsi del lavoro e delle pensioni, mica di finanza e titoli di Stato – se ne viene con “bisogna stare estremamente attenti a toccare una riforma che sta producendo effetti voluti perché l’instabilità delle norme non è amata dagli investitori”.
 
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Quali erano gli effetti ‘voluti’, visto che il discorso di insediamento di Mario Monti in Senato andava da tutt’altra parte?
E perchè nelle Spending Review il buco creato nell’ex Inpdap non viene notificato, mentre il Sole24ore ne racconta da tempo? Quanto devono lo Stato o il Servizio Sanitario, che ha fruito di tanti ‘anticipi’, ai lavoratori pubblici italiani  (ndr. sono 20 anni che il sistema è contributivo …) che hanno versato le loro quote?
Siamo sicuri che non avrebbero ‘di per se’ diritto a 800-1000 euro al mese un operaio, un infermiere, un’impiegata che hanno lavorato 30-35 anni versando contributi previdenziali e sanitari spesso superiori a quelli dei loro omologhi tedeschi o statunitensi?
 
E, ritornando al ministro Giovannini, quanto sarebbero ben rassicurati gli investitori, i lavoratori e gli elettori, se il governo Renzi si decidesse fare marcia indietro (dopo 20 o 30 anni) e riportasse l’INPS allo status di ‘previdenza sociale’ e le ‘casse’ dei singoli comparti a vere assicurazioni sotto controllo pubblico?
Proprio come era una volta, quando c’erano le mutue, ma con i sistemi di controllo moderni.
Se mancano i soldi delle pensioni (non quelle della Fornero, ma quelle di Damiano) e se la Sanità da Firenze a scendere è un disastro, è evidente che qualcuno ha fatto il furbo e qualcun altro era un incompetente.
Sono venti anni che i lavoratori italiani accantonano le proprie pensioni con un sistema conttributivo e che il costo individuale della sanità è ben superiore a quanto richiede una buona assicurazione nordamericana o tedesca.
 
E dovrebbero spiegarci perchè, mentre si costringe Roma Capitale a privatizzare le aziende e gli enti in perdita, nella stessa Roma non si inizi almeno a porre rimedio alla folle idea di creare un’ente di Stato monopolista nel settore assicurativo e allo stesso tempo dominus del Welfare, finito poi per farsi volano di spregiudicate (come stiamo scoprendo) operazioni di finanza pubblica.
 
A proposito. La Costituzione e/o i trattati UE consentono l’esistenza di un INPS come è l’INPS oggi?
 
originale postato su demata

Roberta Pinotti e i costi della sovranità ceduta

Il tira e molla sulla questione F-35 cui stiamo assistendo in questi ultimi giorni, a partire dalla sua apparizione nel salotto televisivo preferito dalla sinistra di governo, quello condotto dal conterraneo Fabio Fazio, ribadisce ciò che ai più avveduti era noto da tempo, e cioè l’improvvisazione che contraddistingue l’operato del neoministro della Difesa, la genovese Roberta Pinotti.
Il compianto Giancarlo Chetoni, in un suo articolo del Dicembre 2009 durante l’ultimo governo del Cavaliere di Arcore, parlando del generale Del Vecchio, sottolineava come la sua vasta esperienza militare nei ranghi della NATO gli avesse procurato l’elezione a senatore nelle file del PD, a scapito del collega Fabio Mini, voce eccessivamente critica nei confronti delle politiche militari degli esecutivi di centro-destra e centro-sinistra succedutisi nel corso degli anni.
E aggiungeva: “[Del Vecchio] Lavorerà in coppia con Roberta Pinotti, la parlamentare ligure responsabile del settore Difesa di Bersani, che durante il governo Prodi fu promossa per la sua totale e manifesta incompetenza a presidente della IV° Commissione della Camera nella XV° legislatura per lanciare un segnale di disponibilità e di collaborazione della maggioranza PD-Ulivo al PdL, dove si distinse per un rapporto di lavoro particolarmente intenso ed amichevole con il sulfureo presidente dell’ISTRID on. Giuseppe Cossiga di Forza Italia, figlio di Francesco, per poi passare nel corso della XVI° a fare altrettanto con La Russa, questa volta da rappresentante a Palazzo Madama. Sarà lo stesso Ministro della Difesa a dichiarare la sua riconoscenza alla Pinotti a Montecitorio ed a ribadirlo nel salotto di Bruno Vespa.
Ecco cosa ha scritto su ComedonChisciotte una sua ex collaboratrice: “La conobbi la prima volta nella sede della FLM di Largo della Zecca negli anni ’80 durante una riunione sindacale (io ero delegata della RSU dove lavoravo). Caspiterina! Da sostenitrice delle lavoratrici me la ritrovo guerrafondaia. Ripeto, se lo avessi saputo che ci saremmo ridotte così mi sarei iscritta ad un corso di cucina o di taglio e cucito.”
Il declino ormai inarrestabile, organizzativo, politico, etico del Partito Democratico nasce anche da queste prese d’atto.”
Non a caso.
Aprendo il nostro armadio, abbiamo ritrovato uno scheletro che vogliamo ora esporre ai lettori confidando nella comprensione postuma dell’amico Giancarlo, anch’egli ben consapevole che i veri costi che nessuno taglia (erano e) sono quelli della sovranità ceduta.
Poche settimane prima di scrivere quel pezzo, infatti, Chetoni aveva inviato una missiva all’attenzione della senatrice Pinotti, allora Responsabile nazionale Dipartimento Difesa del PD, in relazione a una notizia pubblicata sul sito di quest’ultima, opportunamente fatta scomparire.
Con la sua sagacia tutta labronica, e intitolando il proprio messaggio “ti serve un corso intensivo”, Chetoni le scriveva: “Mia cara e divertentissima Pinotti, dovevi continuare a fare l’insegnante invece che presiedere (si fa per dire) la Commissione Difesa della Camera, prima, ed occuparti, dopo, di difesa come ministra ombra del PD. Oltre che fare dichiarazioni francamente vergognose dimostri davvero sulla materia di non capirci una pippa. Ma chi te l’ha detto che con i Predator si riesce ad individuare gli ordigni esplosivi? La Russa, quello dell’auricchio “piccanto”? Roba da matti! Ti hanno scelto apposta perché serviva una “peones” ampiamente sprovveduta e facilmente lavorabile. Consiglio a te, Franceschini & soci del PD e del PdL l’uso, intensivo, di un bel cartone, pieno, di perette di glicerina, a settimana.”
La Pinotti, probabilmente per il tramite della propria segreteria personale, ebbe a rispondere con un laconico (e “imbarazzato”, notava Giancarlo nel girarci la corrispondenza) “Al mio simpaticissimo estimatore: il suggerimento non è di La Russa, infatti lui ci manda i Tornado”.
Da parte nostra, a quasi cinque anni di distanza e ora che ella riveste la massima carica ministeriale, non resta altro che rinnovare quell’invito.
Federico Roberti
http://byebyeunclesam.wordpress.com/2014/03/22/roberta-pinotti-e-i-costi-della-sovranita-ceduta/

All’asta cento auto blu. Ma lo Stato è pronto ad acquistarne 1.300 al concessionario

“Il rischio, se si prendono per buone le tabelle di Cottarelli sugli organici delle forze dell’ordine, è che ci arrivino le auto e nessuno le possa guidare”.
In Clarea ce ne sono tanti

Dopo l’exploit di #Renzi per la vendita su #eBay delle vetture usate anche il commissario Cottarelli (come #Monti e #Letta) infila il taglio delle auto pubbliche tra i 33 punti della sua #SpendingReview. Ma sono in corso convenzioni#Consip per oltre 70 milioni di euro da cui ancora le amministrazioni possono attingere. L’ultima gara si è appena chiusa: 210 vetture blindate per un valore di 25 milioni di euro. E nessuno l’ha revocata. I sindacati delle forze dell’ordine: “Con i tagli agli organici il rischio è che si comprino auto e non ci sia nessuno per guidarle”

 
Il venditore è un fenomeno oppure il mercato delle auto blu funziona al contrario, con cento vecchie ne compri mille nuove. Renzi ha annunciato così la dismissione delle prime 100 auto di servizio della pubblica amministrazione. Saranno su eBay dal 26 marzo al 16 aprile, con previsioni d’incasso alquanto incerte ma sicuri ritorni d’immagine. In ultimo è arrivato pure il commissario Cottarellicon le sue tabelle: “massimo 5 vetture e solo per i ministeri”. E’ la definitiva rottamazione del simbolo del potere? Non proprio. Nessuno, forse, ha informato premier e commissario che mentre loro rivendono le auto usate sul web lo Stato si prepara a comprarne di nuove nei concessionari: 210 vetture pubbliche, tutte blindate, con una possibilità di spesa fino 25 milioni di euro in due anni. Non è uno scherzo. E neppure una novità, visto che la gara Consip per l’acquisto è partita a dicembre e il termine per le offerte era il 27 febbraio scorso, giusto un paio di settimane prima della roboante serie d’annunci e cinque giorni dopo l’insediamento di Renzi. Non solo. E’ addirittura in corso, pienamente operativa da tempo, un’altra convenzione per l’acquisto centralizzato di 1100 tra berline e utilitarie. Valore della convenzione, 15 milioni di euro. E’ tutto? No, a ben vedere ce n’è anche un’altra per veicoli green, autovetture elettriche e ibride, valida fino al 2016. Ci sono infine i centri d’acquisto periferici che continuano le prenotazioni: a metà gennaio, in piena bufera per l’inchiesta delle Procura di Palermo sulle spese pazze dei gruppi, la Regione Sicilia pubblicava un bando per il noleggio di sette auto blu blindate. Già, perché c’è anche il noleggio, oggetto di una quarta convenzione Consip attiva da due anni e fino al 2015: 4.045 autoveicoli per tutti i gusti. Elettrico, benzina, metano e Gpl. Cinque lotti per un valore totale di 40 milioni di euro.
 
Insomma, gli annunci sulle auto blu sono definitivamente entrati in cortocircuito con la realtà. Ma la domanda dalle cento pistole è: si possono interrompere gli acquisti? La risposta è si, le convenzioni sono revocabili, a condizione di sapere che ci sono. E nessuno, per ora, le ha revocate. A spiegare il meccanismo è il responsabile del procedimento dell’ultima gara chiusa, quella da 210 vetture ora all’esame della commissione che selezionerà il vincitore. Consip stipula contratti quadro dopo aver rilevato il fabbisogno delle amministrazioni. Quando la convenzione è attiva quelle che hanno titolo possono usufruirne per rinnovare il proprio parco veicoli all’interno del massimale e dei prezzi unitari indicati nella convenzione. Ma il governo può interrompere gli acquisti? “Come per tutte le convenzioni non è un’acquisto diretto”, spiega il responsabile Maurizio Ferrante. “Se subentra una norma che inibisce l’acquisto per ragioni di contenimento della spesa non c’è alcuna penalizzazione, le gare non prevedono un impegno all’acquisto, neppure per un veicolo”. Ma la norma non è subentrata, nessun decreto a firma di Renzi che blocchi o restringa la possibilità delle amministrazioni di ordinare veicoli nuovi nei prossimi 2 anni.
E qui sta il rischio, il trucco, la breccia che fa rientrare l’auto blu dalla finestra. La spending review di Monti e la legge di Stabilità di Letta avevano inibito fino al 31 dicembre 2014 l’acquisto di autovetture a tutte le amministrazioni dello Stato, periferiche e centrali, ad eccezione di tre categorie: Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, servizi istituzionali di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, servizi sociali e sanitari volti a garantire i livelli essenziali di assistenza. La seconda categoria, a ben vedere, è ampiamente compatibile coi servizi scorta e col tradizionale scarrozzamento in auto blu. Benché il bando non sia una gara su delega per gli Interni e la Giustizia, c’è da ritenere che vetture blindate sotto il profilo balistico siano rivolte essenzialmente ai due ministeri. Del resto chi controlla la destinazione finale dell’acquisto? Consip mette a disposizione il servizio e fa esperire la gara pubblica abilitando le stazioni appaltanti che (a qualsiasi titolo) possono accreditarsi. Le verifiche sulla reale destinazione d’uso spettano poi alla Corte dei Conti e alla Guardia di Finanza. Che come si muovono riscontrano illeciti a dimostrazione che la galleria per far passare le auto pubbliche, volendo, si trova. Così succede, del resto, per l’uso improprio che è l’altro male duro a morire. Lo conferma la quantità di consiglieri regionali recentemente indagati per le spese pazze e i rimborsi gonfiati sotto la voce “spese di trasporto”. Eccoli i due binari che hanno creato negli anni il parco di auto pubbliche più grande d’Europa (52mila secondo l’Espresso). La scoperta che mentre si vende in realtà si compra lascia interdetti per primi i potenziali beneficiari, quei sindacati delle Forze dell’Ordine che per anni hanno chiesto uomini e mezzi. E ora arrivano i mezzi e tagliano gli uomini. Massimo Blasi, segretario confederale della Cisal, prova a usare l’ironia: “Il rischio, se si prendono per buone le tabelle di Cottarelli sugli organici delle forze dell’ordine, è che ci arrivino le auto e nessuno le possa guidare”. Da qui, l’informativa urgente a Renzi: “Attenzione Matteo, dici che le vendi ma guarda che le stai comprando”. E con 100 usate sarà poi difficile prenderne 1000 nuove, anche per il più micidiale dei venditori.
 

GRILLO IN TV: “VOLEVANO MANDARE BERSANI AL MACELLO. LETTA ERA GIA’ PRONTO: HO LE PROVE. EUROPA ? POTREMMO ALLEARCI CON ALTRI GRUPPI”

Le espulsiono SONO UN VANTO. Il Movimento 5 Stelle in questo modo ha provato che la COERENZA ha un senso e che non si può NEGOZIARE. E’ la prima volta che accade, CHE IL RISPETTO DELLA COERENZA SIA VERAMENTE FATTO VALERE

Strappiamo il fiscal compact. Io sono per fare il referendum e lasciare scegliere i cittadini -aggiunge poi- ma per me è giusto uscire se non accettano le nostre condizioni”
Magnifico, questo è colpire nel segno, non posizioni cerchiobottiste tipo “vorrei rinegoziare MA L’EURO NON LO METTO IN DISCUSSIONE“. Non è certo un approccio che spaventa i banchieri

Postato il Sabato, 22 marzo

 Fonte: Il Fatto Quotidiano
 
Il leader del Movimento 5 stelle, intervistato da Enrico Mentana per la trasmissione “Bersaglio Mobile”, racconta il suo retroscena sulla decisione di formare il governo Letta ed escludere Pier Luigi Bersani. Poi parla di Europee: “Non escludo alleanze con altri gruppi. Sceglieremo i nostri candidati online con il doppio turno”. E sull’Ucraina dice: “In piazza a Kiev non sparavano i russi, erano gli Stati Uniti”.
 
C’era un piano per rovesciare Pier Luigi Bersani. Beppe Grillo torna in televisione e spiega “il suo retroscena”. La campagna elettorale per le elezioni Europee è partita e, in una lunga intervista a Enrico Mentana per il programma “Bersaglio mobile” racconta quello che, secondo la sua ricostruzione, sarebbe successo nei giorni prima della nascita del governo di Enrico Letta. “Bersani”, rivela, “è stato mandato al massacro dai suoi. L’hanno mandato al macello perché dietro c’era già un piano. L’ambasciatore inglese ci invita a pranzo, a me e Casaleggio. Arrivo e scopro che al piano di sopra c’era Letta che mi aspettava. Questo un mese prima di Gargamella”, il nomignolo che Grillo ha dato a Bersani. “Quindi i giochi erano già fatti, era tutto già deciso. E anche il bamboccio che è lì”, dice riferendosi a Matteo Renzi, “continua a fare il gioco delle banche e della Bce”.
 
Parla di tutto Grillo, per la prima volta dopo tanto tempo (quasi un anno) in televisione e a tu per tu con un giornalista. Parla di Europa, ma anche dell’Italia che lo ha spinto a fare politica, rovinata da Napolitano e ora da Matteo Renzi. “Uno stupido, che ormai non so più come prendere in giro”. L’obiettivo sono le prossime elezioni Europee. Si dice pronto a valutare l’alleanza con altri gruppi, una decisione da considerare però una volta arrivati a Bruxelles. La scelta dei candidati, questa volta con il doppio turno per rappresentare tutti, dovrà essere online. Dai palchi d’Italia invoca la vittoria ad ogni costo, ma parlando con Mentana abbassa il tiro: “Ora siamo nella forbice tra il 20 e il 25 per cento. Ma anche fossimo sotto il venti, sarebbe comunque un buon risultato. Noi abbiamo già vinto”. Risponde a tutto Grillo, perfino alle domande sul Movimento e allo stato di salute del gruppo: “Casaleggio è l’organizzatore. E nessuno di noi due guadagna dal blog”. Sono loro, dice Grillo, gli autori del post. E il tour nei palazzetti per gli spettacoli servirà per rientrare dalle perdite. “Espulsioni? Siamo gli unici che offriamo tre gradi di giudizio”.
 
La strategia in Europa: “Alleanze possibili e candidati scelti online”
E il centro della discussione i elezioni Europee e nuove strategie politiche. “In Europa”, dice, “non escludo alleanze. Vedremo se ci saranno gruppi di altri Paesi che vogliono le nostre stesse cose. Potremmo anche fare alleanze, ma se mettiamo 25 dei nostri nel Parlamento cambia l’Europa. Andiamo là per cambiare le leggi qua”. Tra le proposte, c’è quella del vincolo di mandato e lo strumento del “recall”, cioè la possibilità per i cittadini di revocare una carica a un eletto nel caso in cui ritengano che il mandato non venga svolto correttamente. Per i candidati alle Europee, Grillo ha in mente un vincolo, da far sottoscrivere “privatamente, davanti a un notaio”, ai candidati M5s. “Se non rispetteranno il vincolo -tuona – dovranno pagare una multa di 250mila euro“. Le prossime elezioni di maggio restano un banco di prova importante per il Movimento 5 stelle. Obiettivo per Grillo è la vittoria e soprattutto la crisi del governo Renzi: “Se vinciamo le elezioni come primo partito, come si comporta la sinistra? Abbiamo una forbice da 20% a 25%. Sotto il 20%? Sarebbe una buona cosa comunque. Noi abbiamo già vinto. Abbiamo messo una opposizione che non hanno mai visto là dentro. Io candidato? Non faccio parte di quel mondo lì, non ho quella cultura né la passione di vivere lì”.
 
Il programma per Bruxelles: “Stracciare il fiscal compact e rinegoziare i trattati”
Programma elettorale per l’Europa? Grillo ribadisce la volontà di fare un referendum sull’euro e soprattutto, “stracciare il fiscal compact”. “Cari signori, una parte di questo debito è immorale. Facciamo quel che ha fatto la Germania nel 1953, che ha pagato la metà dei debiti di guerra e poi con l’unificazione con Kohl ha pagato pochissimo. Strappiamo il fiscal compact. Io sono per fare il referendum e lasciare scegliere i cittadini -aggiunge poi- ma per me è giusto uscire se non accettano le nostre condizioni”. I candidati per Bruxelles invece, il Movimento 5 stelle li sceglierà online: “Alle europee si ragiona per 5 macroregioni. Le piccole regioni però rischiano di non essere rappresentate e non è giusto. Noi perciò faremo due tipi di elezioni online: si parte dalle regionali, chi prende più voti va in lista per le macroregioni e poi si vota. Sono 110mila gli aventi diritto a scegliere i candidati”.
 
Blog, Movimento e guadagni: “Casaleggio? Senza di lui non c’era niente di tutto questo”
Casaleggio, ribadisce Grillo, è il braccio destro fondamentale per un’avventura che comincia ad avere i suoi costi: “Il ruolo di Casaleggio nel M5S? “Senza di lui non c’era il Movimento, è un organizzatore straordinario”. Si occupa, tra le altre cose, “della gestione della comunicazione”. Su presunti guadagni della Casaleggio associati rispetto al blog di Grillo e al M5S, “l’anno scorso – chiarisce il leader M5S – Casaleggio è andato in rosso, mentre il mio 740 è a zero perché da 3,5 anni non faccio spettacoli”. Il tour di Grillo partirà a breve e “ora voglio vedere se la gente è disposta a pagare il mio biglietto”. Quanto al blog, “io la pubblicità non l’ho mai voluta”, assicura, spiegando però che gestire un server con un tale numero di accessi è oneroso, dunque il blog “a un certo punto era sotto. Il blog di Grillo è di Grillo, gestito da una società per l’alto numero accessi) – puntualizza poi – i post li scriviamo in due, io e Casaleggio. Adesso non posso reggere un movimento da solo, senza soldi”, aggiunge poi. Ma niente soldi pubblici, ribadisce. “Per finanziare la campagna elettorale – chiarisce – apriamo una sottoscrizione”. Grillo non accetta nemmeno la provocazione sui dissidenti espulsi nelle scorse settimane dal Movimento 5 stelle: “E’ la prima volta in Italia e in Europa che, da una forza politica, vengono mandate via delle persone con tre gradi di giudizio: sfiducia del meetup, assemblea dei parlamentari e rete. Io nemmeno li conosco questi qua, non mi permetto di mandar via nessuno”.
 
Gli attacchi a Napolitano e Renzi
Tra i responsabili della difficile situazione italiana, Grillo individua il Presidente della Repubblica Napolitano: “Napolitano si è raddoppiato la carriera. Lui è il responsabile dello sfracello politico e dei partiti, delle larghe intese”. “L’impeachment non l’hanno neanche letto. E’ durato 20 minuti. Continueremo su quella linea perché – ha aggiunto Grillo – lui ha distrutto le intercettazioni. Quando c’è stato il movimento M5S che ha fatto il 25% ha detto che non c’è stato nessun boom”. Ma il leader del Movimento 5 stelle attacca anche il Presidente del consiglio: “Non riesco neanche più a prenderlo in giro. E’ spietato è cattivo, mente sapendo di mentire. Sono andato all’incontro con Renzi non per non farlo parlare, ma un attimo prima di sedermi mi dice: ‘non voglio nulla da te, solo che mi ascolti’ e questo suo snobismo mi ha dato fastidio. Io rappresentavo 9 milioni di persone, lui nessuno. Io non sono voluto rimanere a sentire il compitino di questo bambinone. Se la gente voterà Renzi vuol dire che questo Paese è da recuperare. Letta lo ha pugnalato alle spalle: dice un miliardo di risparmio poi non hanno trovato 90 milioni per i sardi alluvionati“.
 
Ucraina, “Non erano i russi a sparare a Kiev”
Nella lunga intervista, Grillo ha commentato anche quello che succede oltre il confine italiano. E ha posto alcune questioni sulla crisi Ucraina: “Un governo è stato cacciato dalla piazza. Vorrei capire perché un governo che vince le elezioni viene mandato a casa. Chi c’è nella piazza? Chi sparava sulla folla in piazza a Kiev non erano i russi. Lì ci sono forze statunitensi. E’ una situazione complessa”.  In Crimea “c’è stato un referendum con 150 ispettori dell’Onu che hanno visionato, vi ha partecipato l’85% degli aventi diritto e il 95% ha detto sì. Io lo rispetto”.
 
 
22.03.2014

Il Suicidio della Finanza Americana è in Atto: Visa e Mastercard Boicottano Alcune Banche Russe

21 marzo 2014
 
Siate Consapevoli, Siate Preparati.
E farebbero bene ad esserlo anche i Russi (e non dubitiamo che lo stanno facendo)
Visa e Masterard ieri si sono permesse di inibire i pagamenti da e per i loro circuiti di alcune banche Russe, colpite da sanzioni americane. Dal mio punto di vista non solo si tratta di un autentico atto di guerra ma da OGGI mezzo mondo non allineato si sta chiedendo come fare a meno dei due celebri marchi per il pagamento elettronico.
Dieri che stiamo assistendo ad un suicidio, scommetto i miei due cent che le due società lentamente verranno boicottate finoa sparire in certi paesi, sostituite da qualcosa d’altro.
A proposito vi piace il mondo senza contanti? Eh?
Vi sentite sicuri? protetti? Tantononavetenulladatemere?
 
Tenetevelo quel mondo.
Dalle mie parti i contanti si usano eccome proprio a protezione della privacy e da abusi e guai a chi li tocca.
 
 
MOSCOW, March 21 (RIA Novosti) – US-based Visa Inc. and MasterCard Inc. have stopped processing payments by cardholders at Russian banks targeted by the United States for financial sanctions on Thursday, a number of Russian banks said Friday.
The news signaled the first impact on ordinary Russian citizens by a series of Western sanctions against Russia over the ongoing situation in Ukraine, the greatest geopolitical showdown between Russia and the West since the end of the Cold War.
Earlier sanctions had been restricted to targeting high-level officials.
Several banks reported that customer cards were being declined for payment and that they had received no advance notification of the changes. Customer deposits remained unaffected.
Visa confirmed Friday that it had blocked cards issued by four Russian banks for use on its payment network for online or retail purchases.
Visa said the list of the banks facing sanctions announced by the US Treasury on Thursday includes Rossiya Bank, SMP Bank, Sobinbank and Investcapitalbank, the latter two being part of Rossiya Bank.
“The management of Rossiya Bank understands the difficulties experienced by clients in this situation, and assures them that everything possible is being done to help,” Rossiya Bank said in a statement on its website.
The bank added that customers could still withdraw cash from the bank’s ATMs without difficulties, as well as those owned by partner banks.
Sobinbank said that its call centers had been swamped by customers who were abroad and suddenly found their cards were not working.
SMP Bank is majority owned by brothers Arkady and Boris Rotenberg, who were both named on the US sanctions list.
“All other operations, including the issuance of deposits and making payments remain unaffected and without any restrictions,” SMP Bank said in a statement, adding that it has no assets in the United States.
The US and EU announced asset freezes and travel bans targeting a number of Russian officials close to Putin on Monday, following a referendum in Crimea that saw voters overwhelmingly support reunification with Russia after 60 years as part of Ukraine.
Those lists were expanded – including the addition of Rossiya Bank to the US list – following the ratification of the reunification treaty by Russia’s lower house of parliament Thursday.
Russian President Vladimir Putin warned earlier this month that sanctions against Russia threatened to cause mutual damage in the modern, integrated global economy.
Leaders in Crimea refused to recognize the legitimacy of the government in Kiev that came to power amid often violent protests last month, instead seeking reunification with Russia.
 

Lasciare l’Italia

No, uno come Moretti la spending review ai danni del suo stipendio non la può accettare.
Ma dove lo trovano uno così? Se Renzi gli taglia lo stipendio ( http://www.repubblica.it/economia/2014/03/21/news/moretti_fs_se_tagliano_gli_stipendi_i_manager_pubblici_andranno_all_estero-81519706/?rss ), se ne va all’estero.
“Una cosa è stare sul mercato, una cosa è una scelta politica. Lo Stato può fare quello che desidera, sconterà che una buona parte di manager vada via. Questo lo deve mettere in conto”.

Moretti, quello dei pendolari che si devono portare la coperta se stanno al freddo.
Quello della strage di Viareggio per cui andrà a processo.

Quello da uno stipendio da 850000 euro l’anno.

In un paese dove ci sono lavoratori delle coperative rosse pagati 3 euro l’ora.
E che non si lamentino, perché il mondo è pieno di gente che lavorerebbe per meno.

I cinesi bruciati nel rogo della loro azienda a Prato, per esempio, erano pagati 2 euro all’ora.
Gli italiani un euro in più.
E mica tutti se ne possono andare all’estero a trovare di meglio.

Da unoenessuno.blogspot.it
21.03.2014

UNIONE BANCARIA: accordo raggiunto, ma per le banche piccole la competenza è di ogni stato membro

Scritto il 21 marzo 2014 alle 09:30 da Danilo DT
  
E’ fatta. Dopo un negoziato durato circa 10 ore, il Parlamento Europeo, la Commissione Europea e il Consiglio dell’UE hanno raggiunto un accordo sul meccanismo unico di risoluzione bancaria, conosciuto anche come Unione Bancaria, dando una svolta ad una tematica che stava tanto a cuore a Mario Draghi ed era una delle condizioni necessarie per una continuazione costruttiva di quel progetto che fa acqua da tutte le parti, chiamato “Unione Europea”. Ecco in sintesi in cosa consiste il piano “Unione Bancaria” approvato nelle ultime ore, come scritto da Milano Finanza:
 
I) Il piano riguarda tutte le banche vigilate dal sistema di supervisione unica sotto l’egida della Bce e sarà il comitato esecutivo (board) di risoluzione a preparare i piani di fallimento di una banca, gestendo direttamente la risoluzione delle banche vigilate dall’Eurotower e di quelle transfrontaliere.
 
II) Alle autorità nazionali di risoluzione, invece, spetterà il compito di preparare il piano di fallimento e agire concretamente solo per gli istituti di credito che operano entro i confini nazionali e che non sono vigilati direttamente dalla Bce
 
III) Il processo decisionale ruoterà attorno al board della risoluzione unica, coinvolgendo i membri permanenti: Commissione, Consiglio, Bce e autorità di risoluzione nazionali. In linea generale sarà la Bce a notificare al board, alla Commissione e alle autorità nazionali interessate che una banca sta fallendo, e il board valuterà l’esistenza di un rischio sistemico, verificando le soluzioni finanziarie che coinvolgono il settore privato secondo procedure, modalità e ordine previsti dalle regole del bail-in. Il fondo di risoluzione entrerà in gioco solo a condizione che si sia seguito questo processo.
 
IV) Il board adotterà, inoltre, un piano di risoluzione che include il ricorso al fondo e qui emergerà il ruolo della Commissione europea, responsabile della valutazione degli aspetti discrezionali della decisione del board. L’esecutivo Ue potrà ratificare o obiettare e la sua decisione sarà sottoposta all’approvazione o all’obiezione dell’Ecofin (procedura di approvazione tacita).
 
V) Il fondo di risoluzione bancaria entrerà a regime in otto anni anziché nei dieci originariamente prospettati. Anche i fondi nazionali verranno mutualizzati più rapidamente con il 40% delle quote durante il primo anno e un ulteriore 20% nel secondo anno, mentre il restante 40% sarà spalmato sugli ultimi sei anni.
 
VI) Resta fuori dall’intesa il cosiddetto backstop, ovvero la rete di sicurezza, di cui si era invece parlato in precedenza e che avrebbe dovuto essere operativo per far fronte a imprevisti nel corso degli otto anni di transizione, mentre è stato confermato il conferimento alla Bce di un ruolo primario nelle decisioni sulla chiusura di una banca.
 
VII) L’iter che porterà all’adozione formale delle nuove regole prevedrà i seguenti step: dopo l’accordo raggiunto tra Parlamento e Consiglio Ue, si dovrà passare al voto formale e il Consiglio deciderà a maggioranza qualificata, mentre il Parlamento Ue voterà in seduta plenaria nell’ultima riunione di fine legislatura ad aprile.
 
Verrà quindi istituito uno fondo speciale assistenziale di circa 55 miliardi di euro, per aiutare i contribuenti a liberarsi dal carico delle banche problematiche. Questo fondo sarà formato da capitale che le stesse banche partecipanti al meccanismo avranno creato, ma non in 10 anni come previsto ma in 8. Inoltre il 40% del fondo sarà condiviso tra i paesi sin dall’inizio fino a raggiungere il 70% dopo tre anni. Quindi maggiore “mutualizzazione” del rischio bancario. Non è però previsto il backstop, il paracadute finanziario che avrebbe chiamato in causa anche il fondo salva-Stati Esm.
 
Inoltre si doveva paralre di un sistema di “protezione ” dei depositi bancari. Ma di questo non se n’è parlato proprio.
 
Resta di certo un meccanismo abbastanza complesso e problematico, caricando al sistema bancario stesso l’onere di finanziare eventuali situazioni critiche.  Le banche dovranno quindi salvare le banche e la logica, se ci pensate, ci sta, visto che sono gli stessi istituti di credito che hanno generato vari dissesti finanziari. Il sistema rappresenta però, secondo me, una buona base di inizio. Crea da subito una discreta struttura protettiva che il mercato potrà solo vedere positivamente, anche se dimensionalmente il fondo resta ovviamente discutibile, visto che troppe banche sono “too big to bail in / bail out”.
 
MA attenzione, viene fatta distinzione sulle dimensioni delle banche. Per quelle più grandi sarà competenza BCE, per quelle più piccole sarà competenza nazionale. Peccato che, guardando per esempio all’Italia, sono proprio gli istituti di credito di dimensioni medio –piccole che sono peggio messi, oggi. Ovviamente il board accoglie con entusiasmo l’accordo raggiunto. Io mi riservo la facoltà di analizzare meglio la situazione prima di giudicare.
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STAY TUNED!

Come mai queste società fanno incetta di azioni a Piazza Affari? E le banche italiane sono così appetibili?

Domanda: sono diventate appetibili DOPO o immediatamente poco prima dell’accordo sull’Unione Bancaria?

BlackRock inarrestabile: Unicredit, Intesa SanPaolo e ora MPS. Ma non finisce qui!

Scritto il 22 marzo 2014 alle 00:32 da Danilo DT
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Italia.
Terra di poeti santi e navigatori.
Terra anche di indici azionari che ancora sono molto lontani dai massimi storici.
Terra carente di investitori con tante società che oggi quotano abbondantemente sotto il valore di libro.
Terra dove chi ha i soldi, viene volentieri e compra a man bassa. Ma non solo per investire a lungo termine.
Terra dove la volatilità potrebbe anche tornare regina e quindi un investimento “mordi e fuggi” ci può stare bene.
Terra che qualche mese fa, prima del mitico “whatever it takes” di Mario Draghi era vicina al default e che oggi ha uno spread sul Bund 10yr a 170bp.
Terra dove però ancor oggi i debiti ed i problemi strutturali dominano.
 
E quindi…per che diavolo una banca d’affari come BlackRock deve venire proprio qui a comprare azioni?
 
La motivazione è molto semplice. Innanzitutto un ragionamento sui fondamentali. La maggior parte delle banche italiane ( che pesano enormemente sul FTSEMIB) sono molto lontane dai masimi storici. Inoltre come detto il price/book value è ancora interessante.
Certo, non sono banche con una redditività importante ma, pian pianino stanno recuperando. Ma ci sono sempre e comunque numeri che inquietano. Tanto per cominciare la quantità di titoli di stato che hanno in pancia. E poi i prossimi aumenti di capitalenecessari per poter avere i requisiti necessari per superare gli stress test.
Inoltre la situazione delle sofferenze:
 
Continuano a crescere le sofferenze delle banche italiane, anche se a febbraio frena la caduta dei prestiti. (…) L’incidenza delle sofferenze sul totale dei prestiti cresce fino al 14,2% se si considerano solo i piccoli operatori economici e al 13,4% per le imprese; più basso il dato delle famiglie (6,5% contro il 5,7% di gennaio 2013). Le sofferenze al netto delle svalutazioni a gennaio – prosegue il bollettino Abi – erano pari a 80,53 miliardi di euro, vale a dire circa 555 milioni in più rispetto al mese precedente e oltre 16 miliardi oltre il dato di gennaio 2013; il rapporto tra sofferenze nette e impieghi totali si è collocato al 4,38%. (LaStampa)
 
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Chart by RIschio Calcolato
 
E queste sofferenze, secondo i calcoli di Unicredit (basandosi sulle sue coperture) non verranno restituite per oltre la metà.
Malgrado questo…
 
Al Fondo Blackrock piace l’Italia. Piacciono le banche italiane, ma non solo; è uno dei maggiori azionisti stranieri di Piazza Affari.
Blackrock adotta la strategia del 5%. A tanto ammonta la partecipazione in tre pezzi di sistema bancario italiano: Intesa Sanpaolo (5,0%), Unicredit (5,24%) e, da ultimo, Monte dei Paschi di Siena (5,74%). Ha raggiunto fino al 10%, per poi scendere al 4,81%, la quota acquistata in Telecom Italia, nel pieno della disputa fra la holding Telco e gli azionisti di minoranza, guidati da Findim. Nel tempo ha rilevato quote di minore entità in diverse aziende.
Una recente ondata di investimenti ha portato Blackrock a superare, a volte solo per breve tempo, la soglia del 5% in diversi gruppi: in Azimut il gestore di fondi Usa si è portato sopra al 5% il 28 ottobre 2013; a maggio scorso aveva in portafoglio il 5,02% di Atlantia ma è poi sceso al 4,95% il 24 gennaio; solo un’apparizione quella poco sopra la soglia del 5% in Prysmian, durata lo spazio di tre giorni (dal 21 al 24 maggio scorsi). Ai fondi di Blackrock risultava poi fare capo, secondo quanto emerso nella primavera del 2013 con la stagione delle assemblee annuali degli azionisti, il 2,84% di Generali, il 4,03% di Fiat Industrial e poco più del 2% di Mediaset; sulle quote, non si conoscono gli aggiornamenti successivi. (HP)
 
Ah, dimenticavo un motivo importante per cui BlackRock ed altri istituti sono venuti in Italia ad investire.
Grazie alla bolla di liquidità, gli investitori sono alla disperata ricerca di qualsiasi cosa che possa ancora esprimere un po’ di valore, che sia salito meno rispetto ad altro. Non si guarda molto alla sostanza. Occorre salire sui treni che non sono ancora partiti. Ovviamente sono poi ben pronti a scendere rapidamente dal treno in corsa se qualcosa inizia a girare male.
 
Ok, chi è più navigato ricorderà questo scenario come un “deja vu”. Anno 2000. Bolla internet. Erano altri tempi, ma alla fine la storia si ripete, no?
Qualcuno si ricorda come andò a finire?
 
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STAY TUNED!

Tav in Mugello, condannati i vertici del consorzio Cavet

http://firenze.repubblica.it/cronaca/2014/03/21/news/tav_in_mugello_condannati_i_vertici_del_consorzio_cavet-81572734/

Per i danni provocati per i lavori della linea ferroviaria tra Firenze e Bologna. Disposto obbligo di bonifica e il ripristino dei luoghi

Tav in Mugello, condannati i vertici del consorzio Cavet

I vertici del Consorzio Cavet, controllato da Impregilo, sono stati condannati a Firenze nell’appello bis per i danni provocati nel Mugello per i lavori della linea ferroviaria Tav fra Firenze e Bologna. Gli imputati erano 30, 19 le persone condannate. I vertici Cavet Carlo Silva, Pierpaolo Marcheselli e Franco Castellani sono stati condannati a 4 anni e mezzo per traffico illecito di rifiuti. Due anni e un mese di arresto per Alberto Rubegni e Giovanni Guagnozzi per omessa bonifica. Cavet è responsabile civile.
I reati contestati riguardano la destinazione delle terre di scavo che, per l’accusa, sono state smaltite in cave o in siti per i quali ci sarebbero state delle certificazioni illegittime. Questo avrebbe provocato l’ inquinamento di diverse aree. Fra gli imputati, dirigenti e tecnici Cavet, direttori di cantiere, titolari di ditte di betonaggio e responsabili di cave o siti per lo smaltimento delle terre.
Sempre per Cavet, i giudici hanno stabilito un anno e 11 mesi di arresto per Valerio Piscitelli, Roberto Miccoli e Giulio Frulloni.
I giudici hanno poi stabilito per alcuni dei condannati (anche di Cavet) l’interdizione dai pubblici uffici e l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. I lavori per la realizzazione della linea ferroviaria, realizzata da Consorzio Cavet, iniziarono nel ’96 e sono finiti nel 2009: la tratta e’ di 78,5 km, di cui 73,3 in galleria.

La corte d’appello di Firenze ha disposto l’obbligo di bonifica e il ripristino dei luoghi per i vertici del Consorzio Cavet condannati al processo sui danni provocati nel Mugello per i lavori di costruzione della Tav fra Firenze e Bologna.
I giudici hanno poi stabilito risarcimenti danni (che saranno quantificati in sede civile) per lo Stato, il ministero, Regione, Comuni e Province del Mugello. Fra i danni che dovranno essere risarciti il giudici ha inserito anche quelli per omessa bonifica  di alcuni dei 24 corsi d’acqua che, secondo l’accusa, sono stati inquinati dai lavori per la Tav. Il processo di oggi è un appello bis, i reati legati ai corsi di fiumi sono stati comunque considerati prescritti.
Riguardo le bonifiche “i vertici Cavet – ha spiegato uno dei legali del Consorzio, Giuseppe Zanalla – sono stati assolti per la gestione dei siti di proprietà o gestiti dal Consorzio. Le bonifiche, riguardano quindi siti esterni. Resta poi da capire – ha aggiunto – perchè il traffico illecito di rifiuti è stato ritenuto prescritto in alcuni casi e non in altri”.

“Una condanna severa”. Così il pm di Firenze Giulio Monferini ha commentato le condanne al processo d’appello bis per i danni provocati dai lavori per la Tav fra Firenze e Bologna. Il pm ha parlato di “un’affermazione precisa e puntuale delle responsabilità” aggiungendo che: “I giudici hanno recepito la ricostruzione dell’accusa”.
In primo grado, nel 2009, vennero condannate 27 persone a pene fino a 5 anni di reclusione per reati ambientali.

In appello, nel 2011, gli imputati vennero assolti. La Cassazione ha poi annullato nel marzo 2013 quella sentenza ordinando un appello bis, che si è concluso oggi pomeriggio con la condanna di 19 imputati, su 30, fra i quali i vertici del Consorzio Cavet che ha costruito l’opera.