Napolitano: l’Italia farà ogni sforzo per portare l’Albania nella UE

mercoledì, 5, marzo, 2014
napolitano
5 mar – “Vogliamo continuare a fare l’avvocato dell’Albania, perciò per noi è importante non perdere la causa, ma siamo convinti che riusciremo a vincere quella dell’ingresso dell’Albania nella Ue dopo l’ingresso nella Nato“.
 
Lo ha ribadito Giorgio Napolitano, al termine dell’incontro con il presidente albanese, Bujar Nishani, che ha aperto la sua visita di stato a Tirana. Il presidente della Repubblica ha ricordato che ci sarà modo di sostenere questa causa “durante il semestre italiano di presidenza dell’Ue”.
 
Il capo dello Stato ha riconosciuto che l’Albania “ha fatto molta strada e intrapreso le riforme e un processo di trasformazione dell’economia, della società e dello stato di diritto. Siamo molto lieti dei traguardi raggiunti e orgogliosi di aver dato un contributo in termini di assistenza economica, tecnica e giuridica per sostenere l’ingresso dell’Albania nel quadro euro-atlantico”.
 
“L’Europa si articola in molti modi – ha detto ancora Napolitano – e l’Albania è coinvolta in alcune di queste progettazioni ancora prima di diventare Stato-membro a pieno titolo dell’Ue. Sono state non brevi che richiedono grande tenacia, implicano molti sforzi, ma sono certo che l’Albania troverà la costanza e la fiducia per percorrere questa strada”. tmnews

“In Ucraina colpo di stato preparato da USA e UE”

Gli USA e la UE avevano preparato una “Euromaidan” nella capitale dell’Ucraina da diversi anni, ha dichiarato in un’intervista al canale internazionale “Press TV” l’ex ufficiale dell’intelligence statunitense Scott Rickard.Secondo lui, il governo degli Stati Uniti ha speso per finanziare le proteste a Kiev oltre 5 miliardi di dollari. Tra i principali sponsor del colpo di stato in Ucraina, secondo l’ex funzionario della CIA, figurano il fondatore del sito di aste online eBay Pierre Omidyar e il finanziatore e speculatore americano George Soros.
Secondo Rickard, gli eventi ucraini hanno motivazioni economiche e geopolitiche. L’Occidente ha l’obbiettivo di far entrare l’Ucraina, così come le altre ex repubbliche sovietiche, nella NATO.

Ucraina: i falsi moralismi e le ipocrisie dell`Occidente

Sono gli Stati Uniti e l`Unione Europea a porsi “fuori dalla realtà” se continuano a perseverare nella loro illogica e anacronistica presunzione di superiorità morale.

Nicola Bizzi    

Riguardo alla situazione in Ukraina, a parte una lunga analisi che ho pubblicato la scorsa settimana sui motivi che si celano dietro alle recenti rivolte che hanno determinato la destituzione del Presidente Janukovich, che ho inquadrato in un’ottica di scontro fra potenti e ricchissimi oligarchi che, sin dal 1991, dominano la scena e detengono le redini della politica, ho fino ad oggi espressamente evitato ulteriori commenti. L’ho fatto perché, essendo note le mie nette posizioni filo-russe, molti lettori avrebbero potuto interpretare le mie eventuali osservazioni come ‘non obiettive’ o addirittura tacciarle di presunta mancanza di ‘imparzialità’. Ma chi ha detto che un’analisi dei fatti debba per forza essere ‘imparziale’ quando le verità sono talmente davanti agli occhi che è impossibile ignorarle? E non si sta forse dimostrando vergognosamente ‘di parte’, riguardo a questa crisi internazionale, l’intera stampa italiana di regime, sempre pronta ad accodarsi e ad omologarsi alle direttive di Washinghton e di Bruxelles?
Non posso quindi esimermi dal commentare alcune deliranti affermazioni che ho avuto modo di leggere negli ultimi giorni su tutti i giornali. Affermazioni, in particolare, di Barak Obama e di Angela Merkel, che hanno accusato Vladimir Putin di essere “fuori dalla realtà” o, addirittura, “dal lato sbagliato della Storia”.
Simili affermazioni, agli occhi di una persona intelligente, si commenterebbero da sole, ma riescono purtroppo a fare presa su un’opinione pubblica che spesso non ha un’opinione e che è ormai troppo abituata alle bugie dei mass media.
Il definire Putin “fuori dalla realtà” o “dal lato sbagliato della Storia” implica una intollerabile presunzione di superiorità morale da parte di un Occidente che dovrebbe solo tacere, in quanto di morale o di superiore ha ormai ben poco, e soprattutto ben poco da insegnare. Simili affermazioni implicano l’esistenza di un presunto “lato giusto della Storia”, come se la Storia avesse un lato.
Stavano “dentro la realtà” e dal “lato giusto della Storia” gli Stati Uniti quando hanno sganciato, nel 1945, due ordigni atomici sul Giappone, sapendo che avrebbero massacrato deliberatamente gli inermi abitanti di due intere città? Stavano “dentro la realtà” o dal “lato giusto della Storia” quando, dal 1945 ad oggi, hanno impunemente invaso, bombardato e occupato un numero impressionante di Stati sovrani ricorrendo nella maggior parte dei casi all’inganno, alle bugie, a “false flag” e all’addomesticazione forzata della stampa?

Certi personaggi (non mi riferisco solo a Obama e alla Merkel, ma a tanti altri leader occidentali) sono spesso pervasi da un delirio di onnipotenza che genera in loro una spesso reale convinzione di superiorità morale, una superiorità per certi versi “messianica” e “talmudica’, che inevitabilmente li trascina e li spinge ad azioni che niente hanno di moralmente accettabile.
Azioni che però commettono proprio alla luce di questa delirante presunzione di superiorità, in base alla quale tutto deve essere loro permesso e consentito. Destabilizzare nazioni sovrane e fomentare le guerre civili (Jugoslavija, Libia, Sudan, Siria), bombardare a tappeto la popolazione civile con armi all’uranio impoverito, utilizzare il clima come arma, alterando deliberatamente le condizioni atmosferiche e irrorando l’atmosfera di veleni e metalli pesanti, sembra ai loro occhi giusto e sacrosanto.
“Dio lo vuole!”, gridavano i crociati quando, nel Luglio del 1099, entrarono a Gerusalemme massacrandone allegramente tutta la popolazione, senza fare distinzioni fra uomini, donne, bambini, cristiani, ebrei o musulmani. Ai loro occhi era giusto, perché si sentivano moralmente superiori e “dalla parte giusta della Storia”.
Ecco perché dico che sono Barak Obama e Angela Merkel ad essere palesemente “fuori dalla realtà”.
Trovo in conflitto con qualsiasi diritto internazionale l’affrettato riconoscimento, da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, dello pseudo-governo auto-insediatosi a Kiev.
Un governo che non solo non ha alcuna legittimità, ma è frutto di rivolte pilotate ad arte da organizzazioni non governative gestite dalla rete di Soros. Organizzazioni, quindi, de facto americane, e che Putin ha avuto l’intelligenza di bandire dal suolo russo già tre anni fa.
Molte cose i giornali “occidentali” di regime, forti della loro presunzione di superiorità morale, non le hanno dette. Le ha denunciate solo Giulietto Chiesa, ma la nostra stampa addomesticata non ha dato alle sue denunzie il giusto spazio. E allora tenterò di farlo io.
Da quando a Kiev si è insediato il nuovo potere eversivo, che ha subito avuto il plauso ed il riconoscimento di quello stesso Occidente che lo ha strategicamente spinto a rovesciare le autorità legittime, sono state compiute due gravi mosse finalizzate esclusivamente a provocare la Russia e a generare il caos.
La prima di esse è stata l’abolizione del bilinguismo. Come ha giustamente osservato Giulietto Chiesa, chiunque può capire che si tratta di un fatto gravissimo, ingiustificabile, che non solo viola ogni principio di “democraticità”, ma che rappresenta un’inaudita provocazione per la numerosa popolazione russofona dell’Ucraina (che in alcune regioni del Paese rappresenta la maggioranza assoluta). E chiunque può quindi capire che un simile provvedimento rappresenta solo una provocazione nei confronti della Russia e una concreta minaccia nei confronti di tutti i cittadini russofoni dell’Ucraina. Un provvedimento che non promette niente di buono e che è stato studiato ad arte per generare caos, rivolte e insurrezioni, come infatti sta avvenendo in Crimea e nella regione del Donbass.
La seconda mossa, forse peggiore della prima, è stata l’arruolamento in massa, armi e bagagli, nelle forze di Polizia di Kiev, delle bande di teppisti e delle formazioni paramilitari finanziate dagli oligarchi che hanno rovesciato il Presidente Viktor Janukovich. Chiunque, dotato di un minimo di senno, può capire come, alla luce di questa notizia, le preoccupazioni dei Russi di Crimea, di Odessa e delle regioni orientali del Paese siano salite al massimo livello.
Si tratta di due mosse finalizzate a provocare rivolte, insurrezioni e a scatenare una guerra civile che spinga le popolazioni di queste regioni alla secessione. Secessione che poi le forze armate ucraine, con l’aiuto dei milioni di dollari che John Kerry ha già loro promesso, si apprestano a reprimere nel sangue.
Quello che è più intollerabile e inaccettabile, da parte dell’Europa e di Washinghton, è il fatto che stiano, da un lato, incoraggiando questi eversori a scatenare la guerra civile, e dall’altro stigmatizzando “moralmente” qualsiasi possibilità di intervento russo.
Del resto è impensabile che la Russia resti a guardare e continui ad assistere alla finestra a simili provocazioni inscenate nel suo “giardino di casa”, nel suo “spazio vitale” geostrategico di superpotenza.
Quando gli Stati Uniti hanno invaso Panama nel Dicembre 1989, destituendo il corrotto ma legittimo governo, e occupando per oltre dieci anni militarmente il canale, non mi risulta che l’Unione Sovietica li abbia accusati di essere “fuori dalla realtà” o “dal lato sbagliato della Storia”. Semplicente i sovietici presero atto che gli USA stavano difendendo i loro interessi geo-strategici nel proprio “giardino di casa”.
Vladimir Putin è ben consapevole di queste provocazioni, e soprattutto del fatto che le rivolte pilotate in Ucraina siano state scatenate ad arte proprio durante lo svolgimento dei giochi olimpici invernali di Sochi, proprio per evitare eventuali reazioni russe in mondovisione. E, da vecchio stratega della scuola del KGB, si è mantenuto fino ad oggi anche fin troppo calmo e prudente. Sa, del resto, di trovarsi di fronte un Occidente che, proprio perché affetto da un patologico ed ottenebrante senso di superiorità morale, adotta da sempre due pesi e due misure non solo per quanto riguarda gli scontati e banali concetti di “bene” e “male”, di “giusto” e “sbagliato”, ma anche per quanto riguarda i principi del diritto internazionale e dell’autodeterminazione dei popoli.
Un Occidente che ritiene “giusto” e “sacrosanto” che la Slovenia e la Croazia abbiano dichiarato la secessione dalla Jugoslavija innescando una guerra civile durata anni, o che la regione del Kosovo e Metohija sia stata strappata alla Serbia grazie alle armi e ai bombardamenti della NATO e sia divenuta uno stato fantoccio gestito da trafficanti di droga.
Lo stesso Occidente che nega però il diritto all’autodeterminazione dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud e il loro naturale desiderio di ricongiungersi alla Russia per difendersi dalla repressione georgiana. Un Occidente che permette che India, Pakistan e Israele si siano dotati di potentissimi arsenali nucleari, ma che non accetta che l’Iran utilizzi il nucleare per scopi pacifici ed energetici.
Fa bene quindi Putin a non fidarsi, perché è ben consapevole che, agli occhi dell’Occidente, il desiderio di autodeterminazione dei cittadini della Crimea, di Odessa e dell’oblast del Donbass valgono poco meno di zero di fronte agli enormi interessi geo-strategici che gli Stati Uniti stanno smuovendo in tutta la fascia che va dal Mar Baltico all’Oceano Indiano, nel tentativo di accerchiare e isolare la Russia.
Con queste premesse la mossa di Putin di rafforzare la guarnigione di Sebastopoli è un gesto non solo ragionevole, ma funzionale a impedire un assalto militare ucraino contro la Crimea e la sua popolazione. Ed ha ragione Putin a dichiarare che, con il precipitare degli eventi e in un Paese in preda al caos, un intervento militare russo avrebbe una funzione umanitaria e sarebbe quindi assolutamente legittimo.
Washington minaccia con un’impudenza che non ha precedenti e l’Europa persevera nella sua irresponsabilità. Concordo quindi con Giulietto Chiesa sul fatto che dobbiamo attenderci gravi sviluppi e che occorra premere in ogni modo sul governo italiano e sulle istituzioni europee affinché vengano prese le distanze, finché c’è ancora tempo, da questa pericolosissima avventura che è voluta dagli Stati Uniti e che è funzionale solo ed esclusivamente ai loro interessi, non certo a quelli dell’Europa.
05 Marzo 2014  http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23094

Kiev pronta a dire si a scudo missilistico USA(cambio aiuti)

L’ambasciatore dell’Ucraina in Bielorussia Mikhail Yezhel ha dichiarato che la possibilità di collocare nel Paese le installazioni dello scudo missilistico degli Stati Uniti è negoziabile in cambio di un piano di salvataggio a beneficio di Kiev.

“E’ una questione di negoziati. Come si suol dire, mettiamoci nella mischia e schiariamoci le idee,” – ha detto ai giornalisti l’ambasciatore a Minsk rispondendo ad una domanda sulla possibile implementazione del sistema di difesa missilistico degli Stati Uniti nel territorio dell’Ucraina come condizione per lo stanziamento di aiuti.
http://italian.ruvr.ru/news/2014_03_05/Kiev-pronta-a-dire-si-allo-scudo-missilistico-USA-in-cambio-di-aiuti-1275/

ecco spiegati i 5mln di dollari USA per destabilizzare l’Ucraina
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adesso si capisce tutto

Sette osservazioni sulla crisi ucraina

finalmente un articolo che va oltre la favoletta dei quattro nazisti che fanno un colpo di stato. Il governo così instaurato, più che filo nazista, vista la pletora di banchieri reclutati sembra più  filo usa e filo banchiere allineando così l’Ucraina a tutti i paesi “democratici” e “civilizzati” europei. Alla quarta osservazione, saerebbe quasi retorico chiedersi con l’aiuto di chi poterono installare 113 basi nato in Italia.

La reazione russa era obbligata. Apre scenari da brivido, ma segue ferreamente e coerentemente la logica della III guerra mondiale in cui il mondo è immerso.
martedì 4 marzo 2014 01:20

di Piero Pagliani.

Prima osservazione.
La crisi in corso in Ucraina è l’ennesima riprova che le crisi sistemiche portano inesorabilmente a guerre mondiali. Per favore, basta stupirci delle guerre. La crisi sistemica del Seicento fu risolta dalle guerre anglo-olandesi che durarono più di vent’anni. La crisi sistemica scorsa fu risolta da una guerra mondiale di trent’anni che iniziò nel 1914 e terminò solo nel 1945. La guerra mondiale scatenata dall’odierna crisi sistemica è iniziata ufficialmente l’11 settembre del 2001, cioè tredici anni fa e oggi rischia di entrare in una fase nuova e più devastante.

Seconda osservazione.
L’odierna crisi sistemica, si è conclamata ufficialmente il 15 agosto del 1971 quando Nixon dichiarando che il Dollaro non era più convertibile in oro, dichiarò implicitamente che la moneta imperiale era garantita esclusivamente dalla potenza politica, militare, diplomatica, culturale e solo infine economica degli Stati Uniti. Gli stessi motivi per cui quella moneta aveva corso mondiale obbligatorio. Basta, per favore, ripetere che la crisi attuale è iniziata con lo scoppio della bolla dei subprime o, al più, con quella della “New Economy”. Sono due episodi della crisi sistemica principale.

Terza osservazione.
La crisi ucraina sembra confermare l’ipotesi che ho avanzato in “Al cuore della Terra e ritorno”: siamo entrati in una fase di deglobalizzazione, ovvero di suddivisione del sistema-mondo in compartimenti geo-economici separati e potenzialmente contrapposti. Un’altra conferma è il Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), cioè la cosiddetta “Nato economica”, in corso di negoziazione. Di conseguenza la finanziarizzazione come l’abbiamo sperimentata a partire dal Volcker shock del 1979 e poi diventata virulenta negli ultimi venti anni, subirà una radicale trasformazione, dato che era sostenuta dalla globalizzazione.

In relazione a questa accezione del concetto di “finanziarizzazione”, dobbiamo aspettarci una fase di definanziarizzazione che accompagnerà, anche se non in modo meccanico, quella di deglobalizzazione. Questa definanziarizzazione richiede di scambiare il più possibile valori finanziari con valori reali. Il che, in parole povere, vuol dire cercare di riempire un enorme sacco vuoto con ricchezza reale, cosa che non può non portare a disastri e scompensi per innanzitutto richiede un aumento del saggio di profitto (da cui le “riforme del lavoro”) e l’assalto all’arma bianca del dominio pubblico. Come placebo per l’ormai irrecuperabile “piena occupazione”, al fine del necessario controllo sociale verrà probabilmente introdotto un “reddito di sussistenza”, operando così una ghettizzazione istituzionalizzata di parti sempre più ampie delle crescenti “classi subalterne”, per più di una generazione. Uno scenario sociale, culturale e antropologico agghiacciante.

Quarta osservazione.

Con la crisi ucraina gli Stati Uniti e la Nato sono ritornati ai vecchi amori della Guerra Fredda: le forze politiche fasciste. L’accoglienza di Kerry al nazista Oleh Tjahnybok, leader di Svoboda, ne è l’emblema. Nel 2009 era stata la volta dell’Honduras a subire un golpe old fashion orchestrato dall’entourage della famiglia Clinton ed eseguito da gorilla fascistoidi addestrati nella “Scuola delle Americhe”. In Medio Oriente ormai non si nasconde più l’utilizzo imperiale di manovalanza fondamentalista antidemocratica.

Ad ogni modo, in Europa era dai tempi del colpo di stato dei colonnelli in Grecia che non si assisteva più a un uso aperto di personale fascista in Europa (utilizzo coperto c’è stato invece ad esempio durante le guerre che hanno distrutto la Jugoslavia. Anzi, possiamo considerare le guerre nei Balcani un punto di snodo, in cui forse per la prima volta cooperarono con le forze imperiali sia fascisti sia jihadisti. La differenza è che oggi, per l’appunto, il loro utilizzo è palese, aperto, quasi rivendicato.

Quinta osservazione.

Il ricorso da parte imperiale di forze che formalmente sono direttamente contrastanti coi valori professati dall’Impero, è un probabile sintomo dell’indebolimento delle sue capacità egemoniche, cioè delle sue capacità a far condividere come universali i propri interessi particolari. Da tempo, infatti, il “modello” occidentale ha dimostrato di non essere in grado di essere universalmente applicato e di creare più problemi di quanti ne riesca a risolvere, sia in termini di sviluppo, sia in termini di stabilità sociale e internazionale.

Sesta osservazione.

Il colpo di stato in Ucraina (ché tale è stato, indipendentemente dal fatto che il regolarmente eletto presidente Janukovic fosse corrotto e incapace), eseguito come avevo previsto assieme ad altri osservatori, pochi purtroppo, durante lo svolgimento dei giochi olimpici di Soci, è avvenuto grazie a finanziamenti statunitensi e tedeschi (non solo accertati, ma addirittura dichiarati), è stato politicamente sostenuto, a volte persino in loco, da pezzi grossi della politica e della diplomazia Atlantica (Kerry, McCain, Ashton) e infine è stato attuato utilizzando reparti paramilitari fascisti a volte addestrati direttamente in basi Nato.

In poche parole, è stato un assalto atlantico alle frontiere occidentali della Russia, con ciò stracciando in una volta i Trattati di Parigi ed Helsinki su cui si basava la sicurezza collettiva europea dopo la fine dell’Urss.
E’ stata quindi una mossa pericolosissima, cosa che testimonia delle gravi difficoltà che l’Occidente sta sperimentando a causa della crisi sistemica.

Settima osservazione.

La reazione della Russia era obbligata. Ciò non vuol dire che non apra scenari da brivido, ma solo che segue ferreamente e coerentemente la logica della terza guerra mondiale in cui siamo immersi. L’avventurismo occidentale, che è testimone di una preoccupante dose di arrogante disperazione, sta nel fatto che si è compiuta la mossa ucraina pur sapendo che al 90% Mosca avrebbe reagito in modo brutale e deciso. Do per scontato che le dinamiche concitate di questo scorcio di crisi sistemica possano indurre anche mosse particolarmente pericolose e imbecilli.

Ma qui mi sembra che siamo di fronte a una inquietante amnesia storica. Non ci si ricorda più che la Russia (e spero che si capisca perché non dico “Unione Sovietica” in questo contesto) al costo di centinaia di migliaia di morti sgominò la VI armata del generale Friedrich Paulus a Stalingrado, invertendo le sorti della II Guerra Mondiale? Non ci si ricorda più che la Russia al prezzo di venti milioni di morti ricacciò i nazisti fino a issare la bandiera rossa sul Reichstag? Si pensa che quelle cose siano successe perché c’era Stalin al Cremlino? Sbagliato. Stalin ebbe bisogno di evocare non una resistenza comunista, bensì la Grande Guerra Patriottica benedetta dai pope.

Una guerra le cui radici affondavano totalmente nella tradizione russa, dove i Tedeschi erano i Cavalieri Teutoni e l’Armata Rossa gli stormi di contadini-soldati guidati dal principe Aleksandr Nevskij.
Non dice niente il fatto che Putin abbia avuto per la Crimea anche l’appoggio delle opposizioni?

Cosa credete che pensino i Russi quando vedono i nazisti della Galizia prendere in ostaggio le piazze ucraine? Non si chiamava “Galizien” la prima unità non tedesca di SS?

Se i decisori occidentali non hanno più voglia di leggersi la Storia si vadano almeno a vedere il film di Eisenstein e quando i Cavalieri Teutoni caricano i Russi sul lago Peipus gelato si facciano venire anche loro un po’ di sano, istruttivo e saggio gelo alla fronte vedendo come è andata a finire:

Morale.

C’è necessità di Pace. C’è un’enorme necessità di Pace. C’è un’urgentissima necessità di Pace. Per il nostro Paese c’è bisogno di una politica di neutralità. Innanzitutto dovrebbe ritornare a svolgere quel ruolo di mediazione che lo ha contraddistinto a partire dalla fine della II Guerra Mondiale almeno fino all’inizio degli anni Novanta. Già questo sarebbe un notevole passo avanti. Alternativamente, il nostro Paese potrebbe essere tirato dentro una guerra devastante in men che non si dica, senza che nemmeno se ne accorga. C’è bisogno che si rilanci un movimento di pacifismo attivo. C’è bisogno di capire che guerra e crisi sono due facce della stessa medaglia. C’è bisogno di un rilancio dell’idea stessa di “democrazia”.

All’inizio della crisi, tra gli anni Sessanta e Settanta c’era coscienza di ciò. Oggi che questa coscienza è ancora più necessaria di allora siamo invece paralizzati in uno stato catatonico sia delle capacità di analisi e comprensione, sia di quelle di mobilitazione politica. Non abbiamo più la capacità di elaborare un’idea indipendente, che guardi al di là del nostro naso. Al massimo siamo al carro dei problemi suscitati dall’avversario e riusciamo – spesso malamente – solo a ragionare su quelli. Eppure siamo di fronte a un cambio di civiltà. Forse a un cambio dell’idea stessa di civiltà. Dovremmo con tutte le nostre forze evitare che ciò si trasformi in una catastrofe, perché la catastrofe non è assolutamente ineluttabile (la storia del mondo è piena di cambiamenti di civiltà), ma evitarla dipende da noi. Eppure non riusciamo a far niente e la catastrofe la rischiamo in continuazione.

www.megachip.info

Caselli il 6 marzo all’Anpi di Torino

si sa i notav son fascisti dicono i cacciatori dei fascisti sussidiati dal Pd dell’Anpi

giovedì 6 marzo qui locandina

http://www.anpitorino.it/sezioni/VI_circoscr/1Anpi_Martorelli.pdf

Tema:

Come riconoscere il terrorismo e la mafia, per arginarne la diffusione.
Come isolare le frange anarco insurrezionaliste in guerra contro lo
Stato e le sue istituzioni.
Come difendersi e attaccare mafia e terrorismo.
Il terrorismo può radicarsi nel movimento contro la Tav?
Esiste un pericolo terrorismo in questo momento?

Riassunto delle puntate precedenti

No tav, l’Anpi difende Caselli: “Contestazioni anticostituzionali”
Pubblicato il 22 febbraio 2012 19.07 | Ultimo aggiornamento: 22 febbraio 2012 19.21
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TORINO – ”Disapprovazione e condanna” degli episodi di ”intolleranza e violenza” contro il procuratore Gian Carlo Caselli vengono espresse dall’Anpi di Torino: si tratta di atti ”in aperta violazione della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza”.
”L’Anpi – si legge in un comunicato – sollecita un confronto al fine di evitare che i recenti accadimenti e le relative strumentalizzazioni danneggino il legittimo movimento espresso dalla Valle di Susa”.

al link i vari links per chi volesse ricostruire la cronologia degli eventi
http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/no-tav-lanpi-difende-caselli-contestazioni-anticostituzionali-1129479/

L’Europa aiuta l’Ucraina: 11 miliardi in due anni

aiuta….ma che gentile, un piano Marshall gratis….l’europa quella che taglieggia i popoli condannandoli a morte per fame. indigenza e assenza di cure mediche si fa crocerossina con l’Ucraina??? Certo, come no.

Il pacchetto di supporto dovrà essere votato dai 28 membri dell’Unione
BRUXELLES – La Commissione europea ha “messo a punto un pacchetto di supporto per l’Ucraina” che vale, sotto varie forme, “11 miliardi nei prossimi due anni”. Lo ha detto il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso.

“La questione non è quanto di questa nostra proposta è ‘denaro nuovo’, ma quanto saremo veloci a mobilitarlo”, ha sottolineato Barroso. Quella della Commissione sul pacchetto di aiuti all’Ucraina – ha aggiunto – è una proposta che deve essere adottata dai 28, che domani si riuniranno nel vertice straordinario.

http://www.tio.ch/News/Estero/780861/L-Europa-aiuta-l-Ucraina-11-miliardi-in-due-anni/

Che ci fa il miliardario Soros a braccetto con le coop rosse

ma guarda guarda, Gad Lerner pubblica niente popo di meno che su Repubblica un art su Soros e le coop rosse…..
Gatta ci cova, come mai questa “denuncia” sugli affari sempre protetti e coperti delle coop?

di GAD LERNER

FORSE non sarà necessario riscrivere l’articolo 45 della Costituzione (“La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”); però questo ingresso del finanziere statunitense George Soros nella Igd, fondo di gestione immobiliare controllato dalla Lega delle Cooperative, in altri tempi lo avremmo definito un matrimonio contronatura.
Ma come? Il re della speculazione internazionale diventa terzo azionista di un fondo delle Coop “rosse”? Va bene che Soros nel tempo libero si trasforma in filantropo liberal, ma qui ci sono di mezzo gli affari; nonché l’assetto futuro del nostro depresso sistema economico. Che frutti potrà mai generare un simile innesto?
Desiderosi come siamo di attrarre investimenti stranieri nel belpaese, non ci permetteremo certo di fare gli schizzinosi. Né indugeremo nella dietrologia sulla firma del contratto con Soros, giunta proprio sei giorni dopo che il presidente della Lega Coop, Giuliano Poletti, è entrato a far parte del governo Renzi in qualità di ministro del Lavoro. La nomina di Poletti appariva come segno culturale adeguato alla durezza dei tempi: far ricorso all’esperienza solidaristica su cui è fondato il movimento cooperativo per favorire la nascita di nuove imprese e di nuovi strumenti di assistenza sociale. Avevamo equivocato? Le Coop sono divenute semplicemente un nuovo “potere forte” che si cimenta in campo finanziario al pari degli altri? La domanda non è oziosa, e l’arrivo di Soros ce lo conferma.
Vivendo in un’epoca di scarsità permanente, dovendoci attrezzare per un futuro di penuria, la buona pratica del mettersi insieme, aiutarsi a vicenda, superare l’individualismo proprietario, è ritornata più che mai attuale. Là dove la politica si rivela inadeguata, sopperisce — dal basso — la virtù autogestita della condivisione. Basta guardarsi intorno per constatare che la sofferenza sociale non produce sempre solo lacerazione e solitudine. Parole antiche come mutuo soccorso, fratellanza, cooperazione, riacquistano qui e là un significato concreto. Affondano le loro radici nell’umanesimo cattolico e mazziniano da cui germogliarono le società operaie e artigiane del primo movimento socialista. Ma oggi di nuovo si avverte la necessità di un’economia capace di anteporre il benessere collettivo alla rendita speculativa. Sarebbe davvero un peccato dover constatare che nel frattempo gli eredi di quella storia, i colossi della cooperazione — non importa se “rossa” o “bianca” — sono diventati inservibili a tale scopo.
Al tempo in cui l’Unipol guidata da Giovanni Consorte si alleò con furbetti di ogni sorta nel tentativo di acquisire il controllo di una banca, molti dirigenti della sinistra reagivano con stizza alle critiche: perché mai la finanza “rossa” dovrebbe restare esclusa dalle partite che contano? Poi Consorte fu assolto. Tanto che ora dà vita a un’associazione finalizzata a modernizzare la cultura riformista, e nessuno gli chiede più conto delle decine di milioni incassati per consulenze estranee alla sua attività di manager della cooperazione. Difficile eludere la constatazione di Luigino Bruni, tra i massimi studiosi dell’economia sociale italiana: «Viene da domandarsi dove sia finito lo spirito cooperativo quando alcuni direttori e dirigenti di cooperative di notevoli dimensioni percepiscono stipendi di centinaia di migliaia di euro».
Qualche anno dopo Consorte, l’Unipol ha rilevato l’impresa assicurativa della famiglia Ligresti con tutte le partecipazioni societarie annesse nei “salotti buoni”. Niente da ridire, ma sarebbe questa la sinistra cooperativa e mutualistica che avanza?
Ora viene il turno di George Soros associato a un fondo immobiliare delle Coop specializzato in centri commerciali e ipermercati (1,9 miliardi di euro il patrimonio stimato). Va rilevato che il settore immobiliare italiano suscita un rinnovato interesse nei gruppi stranieri. Soros non è il solo a puntarci. Naturalmente ciò non ha nulla a che fare con la nostra emergenza abitativa: a fare gola sono i nuovi grattacieli per uffici direzionali, l’edilizia di lusso e, per l’appunto, i centri commerciali. È verosimile che tali investimenti speculativi funzionino da volano per uno sviluppo equilibrato? Piacerebbe sentire in merito l’opinione dei manager della cooperazione e dello stesso ministro Poletti. Anche perché la loro diversificazione finanziaria non ha evitato che la crisi sospinga varie cooperative in difficoltà a chiudere un occhio su materie delicate, come i subappalti precari e sottopagati.
Accolto con un doveroso benvenuto il compagno americano, ci chiediamo che strana razza di capitalismo verrà fuori dal suo incrocio con la finanza “rossa”. Le buone pratiche diffuse della cooperazione, che sia di produzione, distributiva o di cura alle persone, non attenderanno i dividendi di Borsa. La loro carica profetica e soccorrevole si esprime altrove.

http://www.repubblica.it/economia/2014/03/05/news/soros_coop_rosse-80237590/

Yatsenyuk, l’uomo di Washington, pianifica la rovina dell’Ucraina

curioso. In Occidente i “nazisti” vengono accusati di fare manifestazioni contro le banche e vengono contestati mentre in Ucraina hanno collaborato ad instaurare un governo per i banchieri e sono apprezzati (salvo alcune eccezioni per le quali il dramma non è che ci siano i banchieri al potere, ma che ci sono insieme ai nazisti). Si sà, se non regna la tecnocrazia, come profetizzato da Curzio Maltese, è un “male”.

di Kenneth Rapoza – 05/03/2014
 
Fonte: millennivm
 
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Il Primo Ministro ad interimUcraino, Arseniy “Yats” Yatsenyuk, potrebbe rivelarsi un veleno nei confronti della nazione assediata.
 
“Richiami la conversazione telefonica avvenuta tra l’ambasciatore Ucraino e Victoria Nuland (Vice Segretaria di Stato per l’Europa), conversazione di cui è poi trapelata un’intercettazione dove ella dice essenzialmente ‘noi vogliamo che Yats si insedi là’. A loro piace perché è filo-Occidentale”, afferma Vladimir Signorelli, presidente della esclusiva società di ricerca e investimento Bretton Woods Research LLC nel New Jersey. “Yatsenyuk è quel genere di tecnocrate che cerchi se vuoi austerity, con la patina della professionalità”, continua Signorelli. “Lui è quel tipo di persona che può entrare in confidenza con l’elite Europea. Una specie di Mario Monti: non-eletto e volenteroso di acconsentire alle richieste del Fondo Monetario Internazionale”.
 
Mario Monti è stato un tecnocrate centrista Italiano, ha promosso un pacchetto di austerity che richiedeva l’aumento delle tasse, la riforma delle pensioni, insieme a misure per combattere l’evasione fiscale.
 
Durante le scorse settimane, in Ucraina si sono combattute lotte intestine tra Ucraini filo-Russi e filo-Europei. La scontro ha subito un drastico incremento lo scorso autunno, quando il Presidente Ucraino Viktor Yanukovych decise di orientare gli accordi commerciali verso Mosca anziché verso Bruxelles. La scorsa settimana, Yanukovych ha lasciato Kiev e si è diretto verso una località segreta, ora si ritiene che sia tenuto nascosto in una base navale Russa.
 
Dopo l’accordo tra Yanukovych e l’opposizione per una ordinata transizione verso nuove elezioni, l’opposizione ha rapidamente stracciato l’intesa ed ha assunto posizioni strategiche intorno a Kiev. Molte voci nella stampa occidentale riferiscono che il paese potrebbe andare in pezzi.
 
Nonostante questi infausti presagi, l’ambasciatore Ucraino Geoffrey Pyatt ha salutato la presente crisi come “una giornata da libro di storia”. La maggior parte dei mezzi di informazione è fermamente orientata verso la campagna anti-Yanukovych.
 
Il nuovo parlamento Ucraino a 450 scranni, ha approvato la nomina dell’ex-banchiere centrale Yatsenyuk lo scorso giovedì, con una votazione di 371 a 1.  È sorprendente che, precedentemente questo mese, il filo-occidentale Yats non riuscisse a stare al passo con l’opposizione, parliamo dell’ex pugile Viltali Klitschko e del leader del partito Svoboda, Oleh Tyahnybok. Tuttavia, Yats ha amicizie altolocate e, mentre non possiede un significativo sostegno da parte dell’elettorato e non avrebbe alcuna possibilità di vincere le elezioni, è invece a favore dell’austerity voluta dal FMI, e apparentemente pare esserlo anche il grosso del parlamento.
 
“Yatsenyuk ha affermato che, ciò che i Greci hanno fatto a se stessi, noi lo faremo a nostra volta” ha affermato Signorelli. “Lui vuole seguire il modello economico Greco. Chi diavolo vorrebbe mai seguire un tale modello?”
 
Anche oggi, Yatsenyuk ha promesso di rendere effettive “misure impopolari” per stabilizzare il bilancio finanziario del paese. Il Governo ha affermato che necessita di 35 miliardi di Dollari per sostenere il paese durante i prossimi 2 anni. Il linguaggio che ha usato in un servizio trasmesso oggi da Bloomberg suggerisce che egli si stia dirigendo verso una campagna di austerity potenzialmente destabilizzante:
 
“Il Tesoro è vuoto. Faremo il possibile per non andare in default. Se riceviamo supporto finanziario dal FMI e dagli Stati Uniti possiamo farcela. Sarò il Primo Ministro più impopolare nella storia del mio paese” ha affermato. “Tuttavia questa è l’unica soluzione. Non prometterei mai grossi risultati. La questione prioritaria è quella di stabilizzare la situazione”.
 
Ha affermato inoltre, “Vogliamo che la Russia abbia relazioni trasparenti ed imparziali con l’Ucraina. Noi vogliamo essere partner con la Russia… noi crediamo fermamente che non interverrà mai con l’esercito in Ucraina”.
 
Sotto la trama di una crisi politica – “divide et impera” – giacciono i problemi economici dell’Ucraina. La valuta Ucraina, la Grivnia, ha perso negli ultimi dodici mesi più del 16%, un declino record se confrontato con il Dollaro.
 
Non è chiaro quali misure tollererà Yatseniuk, ma sembra che l’austerity possa essere il sentiero percorribile. Questa include anche un regime di aumento delle imposte, tassi di interesse alle stelle e ulteriore svalutazione.
 
Yanukovych ha resistito alle richieste del FMI riguardo un incremento delle tasse e la svalutazione della moneta. Yatseniuk sembra indifferente. Per gli economisti che considerano l’austerity un disastro, l’Ucraina è sulla strada per il fallimento.
 
“Abbiamo visto negli anni 90 ciò che ha conseguito il FMI in Russia con Yeltsin. Lo faranno anche all’Ucraina” ha riferito Signorelli. “Ricordate Slobodan Milošević in Yugoslavia? Dopo che il FMI portò a termine il compito in Yugoslavia è stata solo questione di tempo prima che il movimento dei separatisti conseguisse adesioni” continua. “Credo che la situazione in Ucraina possa diventare davvero molto, molto negativa”.
 

Roma: tutte le strade portano al default

anche se sono profondamente contrario alla svendita di beni pubblici, è innegabile che le municipalizzate siano diventate un carrozzone per il clientelismo.
Privatizzare non le trasformerà in enti efficenti di pubblica utilità con costi e servizi decenti. Lo abbiamo già visto, ma come si fa ad esigere dai politici che usano questi carrozzoni ad invertire la rotta e farle funzionare in modo onesto e corretto nei confronti dell’utenza che paga le tasse e bollette?

  • by F. Simoncelli
March 3, 2014 | Last Update 3:13
 
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Le notizie rinfrancanti sull’economia italiana fanno il giro dei media. Tutti pronti a battere le mani davanti alle aste dei titoli di Stato, il quale piazza pattume su pattume obbligazionario nelle banche commerciali, che — sostenute dalla Banca Centrale Europea — rimangono a galla nonostante i colpi inferti dall’inclemenza del mercato. I crediti inesigibili in pancia a questi pachidermi finanziari rappresentano qualcosa d’abnorme, e continuano a crescere. (Ultima notizia su questo fronte: i crediti vantati da MPS nei confronti di Sorgenia saranno molto probabilmente trasformati in azioni.) La realtà economica e i fondamentali di mercato hanno abbandonato questa terra. La classe dirigente sta guidando una macchina a tutta velocità con una benda sugli occhi, e il contribuente siede dietro assistendo esterrefatto. Sussidiare degli zombi farà rallentare la macchina? Non credo proprio. Eppure, questa è la soluzione perseguita dalla classe dirigente ogniqualvolta le si para di fronte un problema.
 
Rimandare nel tempo le questioni irrisolte è la via maestra sulla quale s’ama «calciare il barattolo» dei debiti; finora abbiamo assistito solo a questa scena. Nient’altro. È per questo che Roma è di nuovo sull’onda delle notizie a causa della necessità di fondi per restare a galla. Alessandria è andata in defaultCaserta è andata in defaultNapoli s’avvicina inesorabilmente alla resa dei conti, e la capitale d’Italia è sotto i riflettori a causa dei buchi di bilancio. Dove sono finiti i soldi? A sussidio d’entità consumatrici di ricchezza, le quali l’hanno erosa a svantaggio del settore privato, che s’è visto tagliato fuori a causa della voracità del clientelismo politico. Il disavanzo di Roma ammonta a circa un miliardo d’euro, e i debiti che la manderebbero in default ammontano a circa 8,5 miliardi. Che cos’è successo? Quel che succede ogni volta che la pianificazione centrale ha carta bianca per agire: s’espande. Cosí è accaduto anche a Roma, dove il controllo pubblico ha raggiunto livelli incredibili.
 
 
Il «pasto gratis» è arrivato nel 2008. Quello è stato il punto di svolta con cui lo Stato ha fatto capire come saranno salvati quei pezzi fondamentali per il bacino di voti e per la fiducia nelle sue capacità curative dell’economia. È cosí che funziona: le persone non devono smettere di credere che lo Stato possa curare un’economia alla derivaLa classe dirigente sta disperatamente cercando di bendare il passeggero sul retro, dimodoché egli non veda chi farà schiantare la macchina. All’epoca, furono elargiti 12 miliardi d’euro affinché il Comune di Roma potesse rimanere in attività. Le cose sono andate avanti, il tempo è passato, e ora siamo tornati alla situazione di prima. I princípi apodittici dell’economia non possono esser cancellati per magia o con un tratto di penna. I pianificatori centrali pensano d’avere una simile onnipotenza e onniscienza, ma si sbagliano. Il fatto ch’essi siano di nuovo sull’orlo della bancarotta, e con una situazione peggiore di quella precedente, ne dimostra la fallibilità e cecità agli effetti del mercato. Ancor una volta, la «legge di Herbert Stein» si dimostrerà vera: «Quando qualcosa non può piú andare avanti, si fermerà». Rimane da vedere a che prezzo e a che intensità di dolore economico.
 
Ritardare la resa dei conti non farà che acuire queste due cose. Siamo delle Cassandre senza cuore? No: si tratta di fenomeni «auto-evidenti» che richiedono uno scotto da pagare in base agli errori commessi e che si continuano a commettere grazie a sussidi da parte del governo centrale. Si diceva che solo cosí i problemi che attanagliavano la città potevano essere risolti, e chiunque pronunciasse la parola che inizia per «D» era tacciato d’«allarmismo ingiustificato». Negare, negare, negare — finché l’evidenza dei fatti non mette in luce la completa ignoranza di dirigenti pubblici, giornalisti ed economisti mainstream. Quindi, ecco la soluzione: more of the same. Piú sussidi per sostenere un parco zombi affamato.
In questo parco, possiamo osservare una serie variegata di società inefficienti e drena-risorse. Le municipalizzate e le controllate del Comune di Roma, tra le quali la parte del leone la fanno tre società: ACEAATACAMA. La prima controlla il settore idrico ed elettrico; la seconda, quello dei trasporti; la terza, quello dei rifiuti. Tutt’e tre annoverano tra le proprie fila 31.338 dipendenti, ossia l’85% del personale di tutte le partecipate comunali (37.000 dipendenti circa). Non solo: a questi dobbiamo aggiungere i dipendenti dell’Amministrazione Pubblica, cioè altri 25.000 individui. Se sommati, sono piú del doppio di quelli totali degli stabilimenti FIAT in Italia. Infatti, è il personale il tasto dolente della voce «spese» di queste società; l’ATAC, ad esempio, conta 12.000 dipendenti. E gl’incassi da biglietti e abbonamenti finanziano solo il 45% di questa sovrabbondanza di capitale umano: la restante percentuale, la pagano i contribuenti attraverso il fisco. Negli ultimi quattr’anni, i finanziamenti ricevuti dal fisco sono stati di circa 3 miliardi d’euro — e, ciò nonostante, l’ATAC è riuscita a finire in rosso: meno 676 milioni negli ultimi quattro anni.
 
Il buco è stato ampliato dallo scandalo biglietti falsi — ma che cos’è accaduto in merito? Nulla. Tutti sono rimasti ai propri posti. Il paradosso? Gl’incriminati dovevano esser individuati da una commissione interna all’ATAC stessa e, anche se la procura ha rilasciato tre avvisi di garanzia per altrettante persone, non è accaduto nient’altro. Nel frattempo veniamo a sapere che circa il 10% del personale si dà malato ogni giorno; e nell’AMA (che conta circa 8.000 dipendenti) la percentuale è la stessa. Questa società, in un decennio, ha accumulato debiti per 1,6 miliardi, e il suo contratto costa al Comune di Roma circa 400 milioni l’anno. (E, quest’anno, dovrebbe esser aumentato a 500 milioni.) Il mercato non ha voce in capitolo, quindi le sanzioni negative imposte dalle decisioni dei consumatori vengono tolte dall’equazione, incentivando l’inefficienza e l’uso di tali società pubbliche come serbatoi di voti e parcheggi d’oro per trombati politici. I salvataggi servono proprio a finanziare questo stato di cose. Qual è stato l’obiettivo raggiunto negli anni dall’AMA? Creare una delle discariche piú inquinate e tossiche d’Italia: Malagrotta.
 
Poi c’è l’ACEA, coi suoi continui disservizi:
 
ACEA è sinonimo di problema? Se lo domandano Federconsumatori e ADUSBEF, che quotidianamente ricevono segnalazioni, reclami, richieste d’aiuto da parte di consumatori esasperati dalla Società d’Energia Elettrica che opera nel territorio laziale, nello specifico a Roma. Da qualche tempo, ai cittadini romani, ACEA, anziché fornire un servizio, offre continui disservizi. Lo confermano le migliaia di consumatori che ogni giorno si ritrovano allo Sportello per i reclami della Società.
Mancato invio delle fatture per anni, conguagli di migliaia d’euro, addebiti non dovuti, mancate letture sono solo una parte dei problemi cui la Società non è in grado di trovare una soluzione.
«La linea d’azione di quest’operatore del settore Elettrico s’avvicina ogni giorno di piú all’illegalità», scrivono le Associazioni dei consumatori, che non sono piú disposte ad accettare questa gravissima situazione e chiedono un intervento immediato e incisivo da parte dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, che metta fine a questo modo illegittimo e assurdo d’operare sul mercato, e che sia funzionale a una profonda tutela del consumatore. «L’Autorità dovrà intervenire non solo disponendo le necessarie sanzioni amministrative, ma anche ritirando la possibilità d’operare nel mercato a tutte le Aziende non in grado di svolgere correttamente questo delicato compito.»
 
Negli ultimi cinque anni, i suoi debiti sono arrivati a circa 2,5 miliardi; ma potete stare tranquilli: i vertici dell’ACEA sono stati bloccati dalla precedente amministrazione con clausole per una rescissione anzitempo fuori dal mondo.
 
Ma la storia non finisce qui: in un dossier sulle farmacie municipali romane, apprendiamo che anch’esse fanno parte del calderone in cui sono finiti soldi pubblici per tamponare falle di bilancio. Sono stati necessari 15 milioni d’euro per ripianare i debiti passati, e ce ne vogliono altri 20 per sistemare del tutto la situazione. Piú scaviamo, piú scopriamo quant’è profonda la tana del Coniglio Bianco. Soprattutto se pensiamo a una delle opere che si diceva avrebbero rivoluzionato la vita sociale e sportiva della capitale: la «Città dello sport» di Tor Vergata. Progetto partito da «soli» 120 milioni nel 2005, nel corso degli anni esso ha visto lievitare le spese, che hanno raggiunto, a oggi, i 400 milioni. L’ambizione di potervi costruire qualcosa s’è schiantata a terra dopo un susseguirsi di rinvii e stop ai lavori; ora l’opera pubblica è abbandonata a sé stessa e in pesante degrado.
 
L’elenco di sprechi e inefficienze non si fermerebbe di certo qui (all’elenco potremmo aggiungere traffico, sicurezza, abusi edilizi), ma credo che il lettore abbia un quadro completo per comprendere come Roma sia finita nella situazione finanziaria in cui langue oggi. La risposta del neonato governo Renzi non s’è fatta attendere:  al salvataggioCon quali coperture? Quelle dei contribuenti del resto d’Italia, ovviamente, concedendo ai Comuni d’alzare l’aliquota massima sulla TASI fino allo 0,8‰ (dal 2,5‰ fino al 3,3‰). Ah, certo: non dimentichiamoci dei consueti aumenti sul prezzo della benzina. Ma perché Roma è presumibilmente piú importante delle altre città d’Italia? Ce lo dice il presidente dell’Assemblea capitolina Mirko Coratti: «Un default della Capitale rischierebbe d’innescare una reazione a catena che potrebbe coinvolgere l’intera economia nazionale». E questo è uno di quegli eventi che, dal punto di vista della pianificazione centrale, devono esser evitati come la peste, perché forieri di situazioni imprevedibili (soprattutto se si considerano tutti i trucchi contabili adottati per mantenere in piedi la baracca).
 
Come s’è visto, i politici sono ancora in grado di calciare il barattolo, e continueranno a farlo finché ci riusciranno. Ciò permetterà un ulteriore accumulo d’errori e distorsioni, nonché di sprechi e clientelismo sfrenato — finché, un giorno, il barattolo diventerà troppo pesante per essere calciato. Quello sarà il giorno del default. L’effetto contagio si diffonderà a tutte le entità connesse — e oggi il sistema finanziario è interconnesso a livelli inestricabili. Basterà un piccolo evento, come il fallimento d’una città come Roma o d’una banca come MPS (a livello europeo, tenete d’occhio Barclays e Deutsche Bank), a innescare un domino di proporzioni globali nonché devastanti. A quel punto, non ci saranno trattati che fermeranno lo zio Mario dallo stampare tanti foglietti di carta colorata per mantenere disperatamente una parvenza di solvibilità.
 
Questo è l’inevitabile risultato della politica del debito. Fin dagli anni Ottanta, sono state fatte promesse che non potevano esser mantenute. Per mantenere in piedi l’illusione, sono state assunte persone (burocrati, impiegati pubblici, &c) con salari e indennità al di sopra dei livelli di mercato. La Grande Recessione ha rappresentato il punto di saturazione, oltre il quale la situazione non potrà che peggiorare. E sta accadendo proprio questo. Siamo di fronte a un periodo storico importante: il fallimento del keynesismo e delle sue politiche di spesa in disavanzo. Certo, le banche centrali possono ritardare quest’evento — ma per quanto? Prima o poi dovranno smettere d’inflazionare, altrimenti uccideranno le valute; e, se smetteranno, ci sarà una depressione. In un modo o nell’altro, il default è assicurato.
 
Ma davvero bisogna temerlo? Pensateci. Pensate a tutti quei dirigenti che hanno trovato un posto grazie ai propri agganci e non grazie alle proprie competenze. Credete che, in un libero mercato, essi avrebbero vita facile, se dovessero sottostare a ferree regole sull’efficienza? Sarebbero tollerate le loro richieste folli in cambio di prestazioni scadenti? Se il loro curriculum rappresenta il loro biglietto da visita, quanto credibili credete che possano rimanere in caso di fallimento? Gli errori si pagano, in mancanza di reti di protezione.
 
Pensate ora a tutti quegl’impiegati che per anni hanno svolto il proprio lavoro in modo onesto e caparbio. Non credete che sarebbero ricompensati, in un mondo privo di vincoli artificiali? Il loro lavoro farebbe prosperare l’azienda che li assumesse, e le loro competenze presenti nei curriculum sarebbero confermate. Chi davvero ci perde da un default? Pensateci.
 
Roma, prima o poi, si ritroverà a non poter piú pagare i conti, e s’avvicinerà a passi svelti alla bancarotta (ufficiale). Quest’evento farà sapere a tutti gli attori di mercato una cosa: «Non fidatevi delle promesse del governo». Una volta fallita, Roma potrà riprendersi? Sí. Questo significherà un’ondata di licenziamenti? Sfortunatamente, sí. Nonostante un panorama grigio, c’è speranza? Per coloro che si sono sempre dati da fare nella vita, sicuramente sí.
 
Togliete sussidi, finanziamenti e protezione agli zombi, e assisterete a una ripresa in accordo coi desiderî del mercato. È questo il modo per «creare posti di lavoro» — non attraverso fantasiose riforme partorite dalla mente contorta dei pianificatori centrali. È questo il modo per attirare risorse e permettere a una città al collasso di tornare a vivere. Prima accadrà, meglio sarà.

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