LA CEDOLA FA RICCHE LE COOP – DEI 550 MILIONI DI DIVIDENDI DI UNIPOL-SAI 335 MILIONI VANNO A UNIPOL E 53 ALLE COOP

21 MAR 2014 11:55
LA CEDOLA FA RICCHE LE COOP – DEI 550 MILIONI DI DIVIDENDI DI UNIPOL-SAI 335 MILIONI VANNO A UNIPOL E 53 ALLE COOP. ECCO RIPAGATO LO SFORZO ECONOMICO FATTO PER AIUTARE MEDIOBANCA E UNICREDIT E CACCIARE I LIGRESTOS DA FONSAI
Dei 550 milioni che Unipolsai si appresta a distribuire come dividendo, poco più di 335 milioni finiranno nelle tasche del gruppo bolognese guidato da Cimbri. E dei 120 milioni di cedola del gruppo Unipol, 53 milioni andranno alle coop. Che si erano svenate con gli aumenti di capitale per comprare Fonsai…

1.CON I DIVIDENDI A UNIPOL UN ‘TESORETTO’ DA 335 MLN E ALLE COOP 53 MLN
Carlotta Scozzari per Dagospia

Se si sfogliano i giornali questa mattina, alle pagine economico-finanziarie, il verdetto è unanime: dopo i brillanti risultati del 2013, Unipolsai, quest’anno, ricompenserà i propri azionisti con un dividendo stellare.
Occorre perciò domandarsi chi siano i grandi azionisti del gruppo assicurativo nato l’anno scorso dalla fusione tra la Fondiaria-Sai, la Premafin e la Milano Assicurazioni della famiglia Ligresti e il braccio assicurativo del gruppo Unipol. La risposta è semplice: la stragrande maggioranza delle azioni Unipolsai è saldamente in mano al gruppo Unipol, che è quindi il soggetto che più beneficerà dello stacco della succulenta cedola. E che a sua volta è controllato dal mondo delle cooperative.

Il gruppo bolognese guidato da Carlo Cimbri ha, infatti, in portafoglio il 63% del capitale ordinario di Unipolsai, corrispondente a circa 1.417 milioni di singole azioni. Ora, se si considera che per ogni titolo ordinario il gruppo assicurativo ha appena annunciato un dividendo di 0,19559 euro, questo significa che nelle tasche della capogruppo Unipol stanno per entrare 277,25 milioni di euro freschi freschi.
Ma non è tutto, perché il gruppo di via Stalingrado è anche di gran lunga il primo detentore di titoli risparmio di tipo “B” di Unipol: ne possiede il 68% del totale, che equivale a circa 256 milioni di azioni sui 377 milioni totali. E siccome le risparmio di tipo B staccheranno pure loro una bella cedola da 0,22497 euro per azione, al gruppo Unipol andranno altri 58 milioni di euro.

In altri termini, dei 550 milioni che Unipolsai si appresta complessivamente a distribuire in forma di dividendo, poco più di 335 milioni finiranno nelle tasche del gruppo bolognese. Che viene così ricompensato della faticaccia fatta nel 2012, con la battaglia senza esclusioni di colpi ingaggiata contro la Sator di Matteo Arpe e la Palladio di Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago, per assicurarsi la ex Fonsai e la Milano assicurazioni.
A combattere al fianco di Cimbri erano state niente meno che la Mediobanca di Nego Nagel e l’Unicredit di Federico Ghizzoni, entrambe creditrici dei Ligrestos. Tra l’altro, proprio alla Sator di Arpe, cui è rimasto in pancia un 3% circa del capitale ordinario di Unipol un po’ come fosse una medaglia di guerra, andrà un premio di consolazione in forma di dividendo pari a poco più di 13 milioni.

Riassumendo, quindi, su un utile netto consolidato che nel 2013 si è attestato a 694 milioni (si sale a 996 milioni considerando il contributo singolo di Fonsai, Premafin, Unipol assicurazioni e Milano assicurazioni), Unipolsai ha deciso di distribuirne ai soci 550, 335 dei quali alla capogruppo Unipol. Una bella fetta, non c’è che dire.
Ma ieri, oltre alla controllata assicurativa, anche lo stesso gruppo Unipol ha annunciato lo stacco di un dividendo ai propri azionisti. In questo caso, su un utile netto consolidato di 188 milioni di euro, ben 120 milioni, oltre l’80% dei profitti, finirà nelle tasche degli azionisti.
E quindi in prima battuta del mondo delle cooperative, che blinda il 50,75% del capitale ordinario del gruppo bolognese attraverso la Finsoe guidata da Adriano Turrini e Milo Pacchioni, il cui azionariato, a sua volta, come si legge da sito web, “è composto in massima parte da imprese del movimento cooperativo aderenti a Legacoop” (l’associazione fino al mese scorso presieduta dall’attuale ministro del Lavoro, Giuliano Poletti). C’è poi un ulteriore 3,6% del capitale ordinario di Unipol che fa capo a Coop Adriatica.

In altri termini, il mondo delle coop ha in mano 241,3 milioni di azioni ordinarie del gruppo Unipol. E se si considera che i titoli in questione staccheranno un dividendo da 0,1615 euro l’uno, si arriva a calcolare per Finsoe e Coop Adriatica un bel gruzzoletto da quasi 39 milioni di euro. Ma anche questa volta non è tutto, perché le coop guidano pure le fila dell’azionariato privilegiato di Unipol, con in mano il 28,8% del totale distribuito tra Coop Adriatica, Coop Estense e Nova Coop.

E dal momento che i titoli privilegiati Unipol si apprestano a staccare un dividendo di 0,1815 euro l’uno e le coop ne hanno in portafoglio circa 79 milioni di pezzi, ciò si traduce in una cedola da 14 milioni. Dunque le coop socie di via Stalingrado a breve riceveranno dividendi per un totale di 53 milioni sui 120 complessivamente distribuiti da Unipol. Del resto, con gli aumenti di capitale serviti all’ad Cimbri per comprare Fonsai si sono svenate. In qualche modo andranno pure ricompensate.

2.UNIPOLSAI, AI SOCI CEDOLA DA 550 MILIONI. IL GRUPPO VARA L’AUMENTO PER LA BANCA
Vittoria Puledda per ‘la Repubblica’

Ritorna il dividendo per gli ex soci Fonsai, dopo quattro anni: UnipolSai, al suo primo anno di attività pienamente integrata ha infatti chiuso il bilancio con un utile netto consolidato di 694 milioni di euro e un risultato ante imposte di 1.172 milioni di euro: il doppio di quanto era stato previsto nel piano industriale, ha sottolineato l’ad Carlo Cimbri. «Abbiamo mantenuto gli impegni», ha detto, lasciando comunque invariati gli obiettivi del piano al 2015.
Verranno distribuiti ai soci utili per 550 milioni, in parte anche con la distribuzione della riserva avanzo di fusione. Nel dettaglio, la raccolta assicurativa diretta è stata pari a 15,4 miliardi di euro, con la raccolta danni a 9,3 miliardi (-8,1%) e quella vita a 6,1 miliardi (+9,1%). Il combined ratio danni è pari al 93,3% (101,9% nel 2012) mentre il margine di solvibilità è pari a 1,5 volte i requisiti regolamentari.
Diverso il discorso per Unipol Gruppo Finanziario, che ha chiuso il 2013 con un utile di 188 milioni di euro rispetto ai 426 milioni del 2012 (esercizio considerato tuttavia dal gruppo non confrontabile, in cui la parte Fonsai era consolidata solo per il secondo semestre) e che a sua volta distribuirà il dividendo. Sui risultati della holding hanno avuto impatto divergente il buon andamento della parte assicurativa evidenziato da UnipolSai – e le difficoltà della banca, non a caso Cimbri ha confermato di sentirsi «sereno sull’assicurazionee vigile sulla banca».

Il comparto bancario ha chiuso con una perdita netta di 296 milioni di euro (21 milioni l’anno prima), dopo accantonamenti su crediti per 306 milioni; l’azzeramento di avviamenti e la svalutazione di altri attivi finanziari hanno pesato per 176 milioni. Ugf ha fatto a sua volta accantonamenti per 200 milioni a fronte di un impegno di indennizzo nei confronti di Unipol Banca sui crediti non performing; poi ci sono statii costi di integrazione per 206 milioni.
Commentando i dati con gli analisti, Cimbri ha annunciato che entro il 2014 verrà fatto un aumento di capitale da 100 milioni sulla banca, che a fine 2013 aveva un core tier 1 ratio del 7,7%; la ripartizione del costo dell’aumento (se solo Ugf o anche proquota UnipolSai), fanno sapere dal gruppo, «sarà oggetto di valutazione» . Per quanto riguarda la gestione del portafoglio strutturati,a fine 2013 Unipol aveva ceduto 1,15 miliardi di euro di titoli con una plusvalenza di circa 40 milioni e altri 300 milioni di strutturati sono stati ceduti nelle ultime settimane.
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/la-cedola-fa-ricche-le-coop-dei-550-milioni-di-dividendi-di-unipol-sai-74045.htm

Ucraina, prelievo forzoso in stile Cipro

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Ma in #Ucraina cosa pensavano di venire a fare in #Europa? In pratica un bel prelievo forzoso stile #Cipro. E come se non bastasse arriva un simpatico +40% sul #gas. Ah, quanto sono stati fessi quelli della #Crimea… Eh, già…
 
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Lo spettro del prelievo forzoso si aggira in Ucraina.
 
Il ministero delle Finanze del paese sta proponendo di adottare infatti nel paese un approccio molto simile a quello che venne imposto ai titolari dei conti correnti di Cipro.
 
Come? Imponendo una nuova tassa sui depositi che eccedono la soglia dei 100.000 hryvnja.
 
Di fatto, si legge che “il Parlamento ucraino è pronto a considerare alcune proposte di legge che vieterebbero depositi bancari in valuta estera e introdurrebbero una tassa del 25% sugli interessi sui depositi di banche e altre istituzioni finanziarie, laddove l’interesse ricevuto superi il tasso stabilito dalla National Bank of Ukraine di più del 5%”.
 
Tutto questo avviene dopo che il Fondo Monetario Internazionale ha discusso nei mesi precedenti l’ipotesi di una patrimoniale globale.
 
In un documento che è stato tenuto ben nascosto, spicca un paragrafo che recita: “”The sharp deterioration of the public finances in many countries has revived interest in a “capital levy”— a one-off tax on private wealth—as an exceptional measure to restore debt sustainability”.
 
Ovvero: “il forte deterioramento delle finanze pubbliche di diversi paesi ha rinnovato l’interesse nella tassazione sul capitale – una tassa strardinaria sul patrimonio – come misura eccezionale per ripristinare la sostenibilità del debito”.
 

Unione bancaria, un compromesso che sa di vittoria: ecco come cambierà il futuro delle banche

ora vediamo di metterci altri 20 anni prima di capire che è una truffa e ripetere fin da ora il ritornello…..”è la Germania che ci guadagna”.
Tra l’altro i colloqui fiume, come scrive il FT, sono andati avanti proprio per la CONTRARIETA’ della Germania ma ad ogni modo…

Siccome sono 20 anni prima dell’entrata in vigore dell’euro e per altri 20  dopo è stato tutto uno squillo di trombe e fanfare sui meravigliosi traguardi che i popoli (senza certo chiederlo a loro) stavano conseguendo salvo poi lagnarsi quando è troppo tardi e attaccarsi alle funi del cielo, vediamo qua di scorgere lo stesso percorso. Basti pensare che se un Dijsselbloem sostiene che in questo modo pagano i responsabili mi vien da ridere. Ah ma quanti ci crederanno, mi ricorda la musica europeide inculcatami da decenni di propaganda.
Di Alessandro Proietti | 21.03.2014 10:52 CET
Alla fine ci sono riusciti. Quando tutto sembrava volgere per il peggio, Consiglio, Commissione e Parlamento UE hanno raggiunto quell’accordo che sembrava ormai una chimera: l’Europa è riuscita a dar vita al secondo, fondamentale, pilastro dell’Unione bancaria. Uno happy ending che, in caso contrario, avrebbe portato a scenari nefasti. Il fallimento delle trattative, sottolineava poche settimane addietro Yves Mersch – membro del comitato esecutivo della BCE, sarebbe stato qualcosa “molto vicino al suicidio”. L’ipotetico scenario di una BCE che porta avanti il suo nuovo compito di vigilanza unica (con annessi stress test e AQR) senza avere, alle spalle, quel secondo pilastro di cui sopra – quindi – avrebbe potuto condurre all’ennesima fonte di complicati problemi per l’Eurozona.

“L’accordo risponde a tutti i dubbi del Parlamento – spiega Elisa Ferreira, relatrice del Parlamento UE – il processo decisionale per chiudere una banca è ora più rapido e si riuscirà a prendere una decisione in un weekend, l’influenza degli Stati in tutto il processo è stata ridimensionata, nascerà fin da subito una linea di credito a cui potrà accedere il fondo salva-banche e la mutualizzazione dei compartimenti nazionali del fondo sarà più rapida”. Poche parole, moltissimi concetti chiave ai quali si è giunti dopo estenuanti tira-e-molla diplomatici.

Il Single Resolution Mechanism (SRM) ed il c.d. fondo salva-banche (il Single Resolution Fund – SRF) sono gli indiscussi protagonisti delle lunghe trattative da poco concluse. Rispondono a semplici domande quali: come gestire la ‘crisi’ di una banca? Chi deve decidere? Come fermare, prontamente, i ‘bacilli’ dell’effetto contagio? Quali e quanti fondi (mutualizzati?) usare? Molte domande, che si basano su scenari affatto lontani dalla realtà, alle quali il secondo pilastro dell’Unione bancaria ora potrà dare risposta. “Avevamo promesso di farlo in tempo per questo Parlamento e l’abbiamo fatto”, commenta un radioso Barroso, presidente della Commissione UE. Ora, quindi, il tutto potrà essere votato in tempo per l’ultima plenaria di aprile del Parlamento UE (oltre alla ratifica del Consiglio che deciderà a maggioranza qualificata). Si voterà per quel ‘braccio armato’ del secondo pilastro dell’Unione bancaria, l’SRF che ha subìto un ‘restyling’ post-contrattazioni. Il fondo in questione arriverà, come preannunciato in passato, a quota 55 miliardi di euro. Fondi che, ovviamente, saranno raccolti tramite i ‘contributi’ delle banche. Cambia invece, e non poco, il timing della raccolta ed il percorso di mutualizzazione. Agli originari dieci anni previsti per ultimare il fondo, infatti, fa ora largo un lasso di tempo decisamente più ristretto: i €55 miliardi versati dalle banche dovranno ora arrivare in ‘soli’ otto anni. Ma non solo. Le trattative tra le parti, infatti, si sono più di una volta incagliate sullo scoglio del processo di mutualizzazione. La promessa strappata nell’ultimo – decisivo – round, quindi, ha sancito che sin dall’inizio ben il 40% dell’intero fondo sarà condiviso tra i Paesi. Quota che, poi, salirà al 70% dopo tre anni (al 60% dopo due): la mutualizzazione dei rischi, insomma, ha subìto una positiva accelerata. Attenzione: all’accordo raggiunto sul processo di condivisione di cui sopra, tuttavia, c’è da evidenziare la mancanza su quello del meccanismo di backstop (il ‘paracadute finanziario’ che avrebbe dovuto funzionare da ‘tappabuchi’ per i primi tempi del lento avvio dell’SRF).

Ma dal prossimo primo gennaio non entrerà, ovviamente, in vigore solo il fondo salva-banche: farà infatti la sua entrata in scena anche il meccanismo unico di risoluzione che sancirà la ‘vita o la morte’ delle 130 principali banche europee (oltre agli ulteriori 200 istituti transnazionali). Il comitato esecutivo di risoluzione, a livello europeo, sarà il responsabile dei così detti “piani di fallimento” della banca e agirà in prima linea per la risoluzione del caso. Solamente gli istituti che non rientrano in quella ‘short’-list sotto il diretto controllo della BCE, invece, saranno puramente materia di interesse delle autorità nazionali: solo nel caso in cui, in sostanza, si parlerà di una banca che opera entro i confini nazionali (ed il cui salvataggio non implichi il ricorso al fondo europeo), sarà possibile attuare quell’antica ‘disciplina’ del “lavare i panni sporchi in famiglia” (a patto che non siano le stesse autorità nazionali a chiedere l’intervento del board europeo, ovviamente).

Il board della risoluzione unica, in sostanza, sarà il soggetto che condurrà i giochi (normalmente in sessione esecutiva, in quella plenaria qualora risultasse necessario usare più di €5 miliardi dell’SRF) affiancato dalla presenza della Commissione, della BCE, del Consiglio e dalle autorità nazionali tirate in ballo dal singolo caso di interesse. Il ruolo di supervisore assunto dalla BCE, in definitiva, porterà la stessa a segnalare i casi critici per poi procedere sul da farsi (che, e qui il sostanziale miglioramento, potrà essere fatto “nel giro di un fine settimana” – come spiegava la Ferreira).

“Con l’Unione bancaria i rischi saranno rimandati a quelli a che ne sono responsabili, a quelli che assumono i rischi e ne beneficiano, il settore finanziario, e non al contribuente” è stato il commento di Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo.

La fine “[dell’]era dei salvataggi massicci” è il titolo che il commissario al mercato interno, Michel Barnier, ha dato all’importante giornata europea. Una quiete dopo l’ultima, estenuante, nottata di contrattazioni pervade l’intera Eurozona. I protagonisti non nascondono l’entusiasmo pur rimanendo ancorati alla realtà dei fatti. E’ lo stesso Barnier a mostrare questa lucida visione della realtà: l’SRM “non sarà una costruzione perfetta ma consentirà di trovare una soluzione in tempo ed efficace per le banche in difficoltà, e questo era il suo obiettivo principale”. In Europa vedono la costruzione di questo secondo (fondamentale) pilastro dell’Unione bancaria come la decisiva mossa verso una rinnovata “stabilità finanziaria” che condurrà, giocoforza, alle “condizioni giuste per il sistema finanziario” che gli permettano di tornare a dare il giusto contributo all’economia reale. Innescare un positivo circolo vizioso che sosterrà la ripresa, che aiuterà l’occupazione. Prospettive concrete e speranze, forse, si mescolano un po’ in questa visione. E’ però giusto, almeno per oggi, gustarsi quel piccolo grande traguardo raggiunto e guardare – con un pizzico di speranza in più – al futuro che ci attende.

Read more: http://it.ibtimes.com/articles/64096/20140321/europa-unione-bancaria-secondo-pilastro-bce-vigilanza-srm-srf-mutualizzazione-fondo.htm#ixzz2wdzFQdh4

LA MODESTA PROPOSTA DI SOROS PER PUNIRE LA RUSSIA

ma tu guarda il caso, pure Soros, uno speculatore ricercato e condannato in Indonesia se la prende con la Germania….mainstream e presunta controinformazione entrambe unite su questo punto…..ma che coincidenza….c’è da prenderla per vera allora…

di ernesto il Venerdì, 21 marzo

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Dopo aver dato l’allarme per le trame oscure di Putin (e la prevedibile egemonia della Merkel in Europa) nella debacle Europa-USA-Russia, il magnatemiliardario George Soros rivela le sue ( modeste) idee su come punire la Russia (e dà qualche avvertimento sulle possibili conseguenze).
  • SOROS DICE che « PUTIN agisce senza debolezze»
  • SOROS DICE che « la crisi dell’ UCRAINA è una opportunità per la LEADERSHIP DELLA MERKEL»
  • SOROS DICE che « la leadership della Merkel si è rafforzara con la CRISI UCRAINA»
  • SOROS DICE che « la vendita delle riserve petrolifere USA DISTURBEREBBE LA RUSSIA »
  • SOROS DICE che « gli USA hanno nelle riserve petrolifere LA SANZIONE PIU’POTENTE
Via Bloomberg,
 
«Il presidente russo Putin ha cercato di sistemare il palo della bandiera in modo che sventolando da una parte si veda l’uomo “avventuroso dall’estero” e dall’altra quello ” repressivo in casa”»  –  ha detto ieri GeorgeSoros, il magnate miliardario, Presidente dell’Open Society Institute, nel corso di una tavola rotonda a Berlino, .
 
Putin “agisce senza nessuna debolezza” come conseguenza del suo calo di popolarità interna, che è cominciata con il suo secondo mandato da Presidente.
 
Sulla Merkel: La crisi Ucraina è “una opportunità per la Cancelliera per emergere come leader dell’Europa unita, non solo come un Cancelliere preoccupato per gli interessi tedeschi.”
 
Ed ha aggiunto che gli USA non hanno ancora usato il loro bazooka più potente …
 
“Le sanzioni più forti ” contro la Russia “le hanno in mano gli USA” perché potrebbero vendere il  loro greggio delle Riserve Strategiche di Petrolio per far crollare il prezzo  – ha detto ancora George Soros durante un panel della tavola rotonda di Berlino.
 
Il fatto è che La Russia ha bisogno che il petrolio sia US$100/al barile  “per quadrare i conti”
 
Il problema, continua Soros ..
 
“Quello che dobbiamo fare è aiutare l’Ucraina piuttosto che punire la Russia, perché se puniamo solo la Russia,spingeremo Putin ancora di più all’angolo e lui, come un animale ferito, reagirebbe e questa sarebbe una strategia “lose-lose”, dove perderebbero tutti.”
 
E allora Obama dovrebbe darsi la zappa sui piedi da solo?
 
 
 
20.03.2014
 
Il testo italiano di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte ComeDonChisciotte.org  e l’autore della traduzione Bosque.Primario

RISOLTO IL MISTERO DELL’AEREO SCOMPARSO IN MALASYA

il fenomeno de La stampa

Postato il Venerdì, 21 marzo 
FONTE: MAZZETTA (BLOG)
 
Maurizio Molinari è un esperto di politica estera che scrive per La Stampa e da poco è diventato anche corrispondente da Gerusalemme.Lui sa che fine ha fatto l’aereo scomparso e ha cercato si spiegarlo nei tre messaggi che ha dedicato alla vicenda.
 
Sfortunatamente le autorità continuano a cercarlo nel posto sbagliato, scandagliando l’oceano invece di torturare qualche talebano per farsi dire dove l’han messo.
 
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Non trovo neanche un titolo per questo album!

ridotto male
Ultimo aggiornamento: circa una settimana fa
Qui è un inferno, mi stò ammalando veramente di depressione per loro!
Per settimane ho provato a catturarlo, senza mai riuscirci, si aggirava nei pressi del rifugio, scheletrico, pieno zeppo di rogna, non vedeva neanche bene, se avvicinato ringhiava, mostrava i denti, ma bisognava fare qualcosa per lui, bisognava intervenire al più presto!
Tutti i volontari del posto erano stati allertati, per fortuna grazie a delle trappole e alla circoscrizione con delle reti della zona dove era solito stare, si è riusciti! Adesso è al rifugio, la proprietaria è una persona eccezionale!
Gli ho portato dei wurstel, alcuni li ha mangiati, altri neanche li vedeva…, non si lascia avvicinare, fa una pena nell’anima!
E’ stato già sverminato, spulciato e avuto la prima iniezione di Ivomec per la rogna, speriamo c’è la faccia, lo vedo troppo messo male, ma almeno adesso avrà una possibilità!
Urge Baytril 150 compresse – vitamine Benexol B12 – cibo buono e nutriente per farlo rimettere in forze…! Il rifugio è al collasso, ha già tanti cani in terapia!
Info: 3491840478 – annalisa.spinosa@virgilio.it

Adozione del cuore

Annalisa Spinosa – pagina facebook
20 marzo 

celeste
Tutti ricorderete Celeste, la compagna di vita del povero Spino volato sul ponte dopo mille sofferenze…
Furono recuperati insieme per strada, legati dallo stesso destino…
Celeste è una cagnolina terrorizzata, non sappiamo cosa abbia vissuto nella sua vita passata, se solo entri nel suo box inizia a tremare, a tremare come una foglia…
Le uniche volte che l’ho vista felice, scodinzolare, saltare dalla gioia, era quando gli riportavamo Spino nel box, era commovente vederla come cercava di scuoterlo, di farlo reagire, mentre lui purtroppo non aveva neanche più la forza di stare in piedi…
L’ha vegliato fino alla fine, fino al suo attimo di respiro…
Da una settimana Spino è volato sul ponte, lei è abbattuta, triste, le abbiamo affiancato un nuovo compagno Leo, ma nulla sembra farla felice… lei aspetta il suo Spino!
Amici qui serve un cuore enorme, che dia a questa cagnolina tutto il tempo che le occorre affinchè capisca che nessuno le farà del male…, serve un’adozione del cuore!!!
Fate girare, facciamolo in memoria di Spino, che sarebbe felice di vedere la sua compagna amata e felice in una famiglia, una famiglia che lui non ha mai avuto e conosciuto, sono sicura che dal ponte ci guiderà verso la strada giusta…
Spino confido in Te…
Celeste si trova a Napoli, ma la portiamo ovunque! previo controlli pre e post affido, solo a persone iper responsabili e disponibili a mantenere rapporti nel tempo con noi volontari
Info: Annalisa 3491840478 – annalisa.spinosa@virgilio.it

in questo video potrete vedere Spino che purtroppo non c’è più e la sua inseparabile Celeste…. https://www.facebook.com/photo.php?v=738801959493246&set=vb.100000903458096&type=2&theater — con Arianna V Lolly e Elena Buridan

Gravemente ammalata la talpa Gea?

http://www.tgvallesusa.it/?p=6718

Posted on 22 marzo 2014

di Gabriella Tittonel

Da  una settimana la grande talpa Gea, nascosta nel tunnel che ha iniziato a scavare nella montagna della Clarea, pare sia ammalata. Gravemente. Infatti non lavora. I trenini coi carrellini al seguito sono fermi nella piana del cantiere, fermi sui binari, accanto alle draghe, e alla grande gru che fino a pochi giorni fa li sollevava in alto per svuotarli della roccia finissima e dell’acqua.

Corre voce che Gea sia stata colpita  da un grave ictus in testa… Dal buio sono usciti motori in riparazione e medici, pare di fama e di provenienza del nord Europa, sarebbero al suo capezzale, onde tentare di rianimarla.

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Questo mentre altrove si sta discutendo degli ultimi dati resi pubblici da Ltf circa la polveri presenti nell’aria di fuori e dentro il cantiere, dati peraltro fermi al 31 settembre dello scorso anno, preoccupanti Pm10, capaci di suscitare, tra l’altro, problemi cardiovascolari…. Dati naturalmente giudicati inattendibili, da elaborare, innocui dagli “esperti” di turno, ma che intanto stanno inquietando le centinaia di lavoratori che qui ogni giorno si ritrovano: maestranze, Forze dell’Ordine, militari… E inquietano giustamente molti valsusini…

Ma intanto la Gea sta male e molte sono le ipotesi che si stanno facendo circa i suoi malanni… Intanto il primo segnale che qualcosa non funzionava per il verso giusto era stata la sparizione della statua di Santa Barbara, Santa Protettrice, dal colmo dell’entrata della galleria… Spaventata anch’essa dalla presenza delle polveri? Sarebbe stato opportuno porre un po’ di attenzione a questo avvenimento perlomeno singolare… Poi c’erano state anche tutta una serie di importanti visite… Chissà, qualche strano virus avrebbe potuto entrare al seguito delle osannanti visite, virus resistente e così tanto affettuoso da farla emozionare troppo e poi stramazzare… Oppure la Gea in questo periodo, in cui le talpe, si sa, stanno appena appena ridestandosi dal letargo, ha lavorato troppo… Ci vorrebbe un po’ più di attenzione, è una signora…

Che ora sicuramente sta prendendo medicine, viene auscultata da ogni parte e certamente, dopo un periodo di riposo, dovrà procedere con gli esercizi di rieducazione…

G. T. 21 marzo 2014

Tagli alla sicurezza. Torino? Tutto a posto

 http://www.tgvallesusa.it/?p=6680

Azzerata la polizia postale e informatica in tutta il Piemonte. Saltano la sottosezione di Polizia ferroviaria a Orbassano, l’ufficio interregionale della 1a zona di Polizia di frontiera di Piemonte-Liguria-Valle d’Aosta.

Posted on 21 marzo 2014

di Valsusa Report

Walter Gorrieri, segretario piemontese del Sap, Sindacato autonomo di Polizia dichiara che sta per entrare in vigore un decreto emanato dal governo Letta uscente. Prevede la chiusura di oltre 250 presidi di Polizia in tutta Italia, 16 solo in Piemonte.

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Parole al vento quelle del neo-segretario nazionale Gianni Tonelli che pochi giorni fa si rivolgeva così al ministro Alfano: “Siccome non siamo degli sprovveduti in materia di sicurezza. Alfano dovrebbe ascoltarci ed esaminare i nostri interventi, così come le interpellanze parlamentari che stanno fioccando a proposito del piano di revisione dei presidi delle forze dell’ordine. Il problema va affrontato e non fuggito”.

In soldoni, verrebbe azzerata la polizia postale e informatica in tutta la regione piemontese, con l’esclusione di Torino. Molti posti Polfer sono a rischio chiusura. Il danno maggiore arriva per le indagini legate ai numerosi reati commessi tramite internet. Saltano la sottosezione di Polizia ferroviaria a Orbassano, l’ufficio interregionale della 1a zona di Polizia di frontiera del Piemonte-Liguria-Valle d’Aosta e la squadra di Polizia a cavallo, quindi la caserma nel parco del Valentino che ha all’attivo decine di interventi contro la microcriminalità. Il declassamento della sottosezione di Polizia ferroviaria di Porta Susa, che diventa un posto di Polizia, da affiancare alla sezione di Polizia ferroviaria di Torino e il posto di Polizia di Stura. Da un esercito di 90 mila uomini a 20 mila unità in meno, distribuiti in nove brigate. Meno uomini, meno ufficiali, più tecnologia.

polcom

 

Verranno ridotti i reggimenti di combattimento, snellite le catene di comando, cancellate le duplicazioni. Sparirà il reparto elicotteri di Venaria dell’Aviazione Leggera dell’Esercito, chiuderà la direzione di medicina legale militare in Torino.

L’intoccabile, oggi sembra, sempre più toccabile. La crisi arriva dappertutto. Facciamo i conti, senza la Polfer i primi a pagarne il prezzo sono i pendolari e le donne, ed è di oggi la notizia che sui tram di Torino, una banda di ragazzi era dedita allo scippo dei telefonini, che strappavano di mano ai passeggeri all’apertura delle porte. Cosa che diventerebbe prassi quotidiana.

Continua il Segretario: “Non possiamo tollerarlo, anche come Polizia abbiamo già un sotto organico del venti per cento e un età media di 49 anni a causa delle mancate assunzioni”.

Già in altro articolo avevamo evidenziato come i tagli e la mancanza di risorse mettano in ginocchio chi denuncia la malavita, i testimoni di giustizia (clicca qui): semplici cittadini che non si sono piegati o non hanno girato la faccia dall’altra parte, oggi saranno sempre di meno a svantaggio del lecito e civile impegno nel combattere la delinquenza.

sapsciop

Insomma un settore, la giustizia, che inizia a scricchiolare sotto la spending review, facile diventa il paragone con le lotte sociali all’interno delle fabbriche dove pareggiando il padrone ai governi, si potrebbe dire che inutile diventa la famosa ruffianatura. Quando non ce n’è, non ce n’è per nessuno, e in quel settore non ci sono nemmeno gli ammortizzatori sociali. Come chiameremo questa nuova piaga sociale. Esodati?, emarginati?, disoccupati?, o continueremo a chiamarli servitori dello stato?

VR (20/03/14)

Messico. L’impoverimento istituzionalizzato dei popoli indigeni

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Dighe, miniere, strade , parchi eolici e complessi immobiliari spogliano i popoli originari delle loro terre, depredano territori e risorse naturali con le Grandi opere, protette da una cornice di legalità che favorisce la libera circolazione di capitali e di investitori privati, sottoposti a controlli di poco conto.

Posted on 14 marzo 2014

di Edmundo del Pozo*

Il Messico vanta agli occhi del mondo la ricchezza e la diversità culturale dei suoi popoli originari. Il turista non può mancare di visitare il Museo di Antropología , le Piramidi di Teotihuacan, Chichen Itzá o la moltitudine di villaggi suggestivi di cui è costellato questo vasto territorio. Però, nessuno spiega al turista che dietro a tutta la facciata folclorica le culture indigene subiscono discriminazione e violazioni dei loro diritti fondamentali.

Le Grandi opere sono la più evidente e crudele causa della espropriazione delle terre e della progressiva spogliazione delle risorse naturali. Dighe, miniere, strade, parchi eolici, complessi immobiliari si sviluppano con la complicità di attori pubblici e privati​​, protetti da un quadro giuridico che favorisce la libera circolazione di capitali e investimenti privati attraverso la rarefazione del controllo, della trasparenza e con coinvolgimento delle popolazioni interessate scarso o preferibilmente nullo.

Alcuni casi concreti possono meglio illustrare questo stato di cose.

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A Sonora, nella parte nord-occidentale del Paese, le autorità federali hanno imposto la realizzazione dell’acquedotto Independencia senza alcuna preliminare consultazione. Una aperta violazione dei diritti all’acqua riconosciuti al popolo Yaqui dalla Corte Suprema di Giustizia, la quale aveva disposto con una risoluzione giurisdizionale (613/2012) che la Semarnat (Secretaría de medio ambiente y recursos naturales) procedesse a consultazioni presso i popoli indigeni, regolate da normative internazionali. A oggi, per il governo messicano la cosultazione è rimasta soltanto sulla carta, mentre la realizzazione dell’acquedotto procede indisturbata, sottraendo quotidianamente significativi volumi di acqua che mettono a repentaglio gli stessi mezzi di sussistenza del popolo Yaqui. Il tutto è stato documentato dalla Misión civil de Observación della consulta della tribù Yaqui, un osservatorio costituito per tentare di riportare alla consultazione popolare lo Stato, al quale hanno aderito numerose organizzazioni ambientaliste, in difesa dei diritti civili, dei diritti umani, di promozione sociale ecc.

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Un altro conflitto che dovrebbe salire all’onore delle cronache si sta svolgendo a Oaxaca, uno degli Stati più poveri del Messico. Qui, l’Assemblea dei Popoli Indigeni dell’Istmo di Tehuantepec si sta opponendo all’installazione dei parchi eolici che interessa la località di San Dionisio del Mar e le comunità circostanti. Un mega progetto guidato, tra gli altri, dalla compagnia Mareña Renovables, e che sta costando alle comunità che lo contestano continue prevaricazioni, minacce, aggressioni vere e proprie e denunce da parte delle autorità comunali di Juchitan. L’Assemblea ha denunciato, con tanti comunicati, la violazione del loro diritto all’autonomia, alla terra e al territorio. Non è allo sfruttamento di energie rinnovabili e alternative che si oppongono, appellandosi ai diversi fori di competenza, ma certo al modo in cui le opere vengono imposte senza rispetto per i diritti fondamentali delle comunità. Ciononostante, le vessazioni non accennano a diminuire.

Non sono casi isolati, ma rappresenta invece un modello generalizzato di sfruttamento delle risorse che legalizza il saccheggio e consente la criminalizzazione dei movimenti sociali che resistono in tutto il Paese. Allo stesso modo, è sempre più lampante che la implementazione dei piani di “sviluppo” si configura unicamente come possibilità di profitto per imprese e governanti anziché essere volta a promuovere il benessere delle popolazioni e delle comunità. Nell’ambito di questa logica perversa, Stato e imprenditoria non si soffermano a considerare le violazioni dei diritti umani stabiliti dalla Costituzione. E come se non bastasse, le autorità semplicemente non applicano le risoluzioni imposte dal massimo Tribunale di giustizia. Per contro, le persone vengono accusate, tacciate di delinquenza quando esercitano il loro diritto alla resistenza pacifica.

Ci troviamo di fronte a una situazione deplorevole, nella quale sono proprio gli enti governativi a calpestare lo stato di diritto anziché garantirlo.

La sfiducia delle popolazioni indigene nelle istituzioni pubbliche e nelle leggi che vengono emanate appositamente per spogliarle dei loro diritti collettivi è ben più che fondata.

* Edmundo del Pozo è ricercatore di Diritti umani e sicurezza urbana presso il Centro de Análisis e Investigación di Fundar.

da Animalpolitico

[Traduzione di Massimo Bonato]