Dove muoiono gli ideali – Claudio Mondino

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La Chiesa argentina riconosce l’autenticità di documenti esistenti nei suoi archivi che provano la connivenza con la dittatura militare. “La Chiesa ha compiuto il suo dovere; è stata prudente.

Ha detto ciò che doveva dire senza con questo crearci dei problemi inattesi. Più di una volta sono stati pubblicati documenti episcopali in cui, a giudizio della Chiesa, venivano condannati alcuni eccessi che si stavano commettendo nella guerra contro la sovversione, avvertendo che venissero corretti e che si mettesse fine a questi fatti. Non ha interrotto relazioni, ci ha invitato a metter fine a tali atti. La mia relazione con la Chiesa è stata eccellente, abbiamo mantenuto una relazione molto cordiale, sincera e aperta. Non va dimenticato inoltre che avevamo i cappellani militari che ci assistevano e non si è mai interrotta questa relazione di collaborazione e di amicizia. Il Presidente della Conferenza Episcopale, cardinal Primatesta, che avevo conosciuto anni addietro a Córdoba, aveva fama di progressista, ossia proclive alla sinistra di allora, ma da quando ha ricoperto il suo incarico ed io ero presidente del Paese abbiamo mantenuto una relazione impeccabile. Devo riconoscere che siamo arrivati ad essere amici e anche riguardo al problema del conflitto, della guerra, abbiamo coinciso in molti punti. La Chiesa argentina in generale, per fortuna, non si è lasciata trasportare da quella tendenza sinistroide e terzomondista, chiaramente politicizzata a favore di un settore, come hanno fatto altre chiese del continente, che sono cadute nel gioco. Qualche membro della Chiesa argentina è entrato in quel gioco, ma si è trattato di una minoranza non rappresentativa rispetto al resto”.

Parole forti, che suscitano stupore e sconcerto, in quanto si tratta di dichiarazioni rilasciate dal dittatore argentino Jorge Videla in una recente intervista a un settimanale spagnolo.

Condannato a due ergastoli per crimini di lesa umanità, Videla è attualmente sotto processo per furto e sottrazione sistematica di neonati alle loro madri, che venivano poi “eliminate”.

Videla non ha avuto remore nel dichiarare che il colpo di stato del 24 marzo 1976 è avvenuto con l’appoggio della società: il tacito avallo del partito radicale, l’appoggio esplicito del peronismo, degli impresari e della chiesa.

Per la prima volta il dittatore non solo accetta e utilizza la parola “desaparecidos”, ma addirittura parla di cifre: 7-8.000 desaparecidos in totale, rispetto ai 30.000 denunciati dalle associazioni argentine, prima fra tutte le Madres de la Plaza de Mayo.

Come se non fosse sufficiente l’intervista al settimanale spagnolo, il dittatore torna sulle sue provocazioni a tutto campo in un libro-intervista pubblicato da poco a Buenos Aires “Disposizione finale”, in cui ripete le sue affermazioni rincarando la dose. “Si doveva eliminare un numero grande di gente che non poteva essere portata davanti alla giustizia e tantomeno fucilata. Era necessario commettere i crimini in questa forma, per non lasciare traccia e fare in modo che la società non si rendesse conto, per non provocare proteste dentro e fuori del paese (…) Le sparizioni hanno inizio dopo i decreti del presidente interino Italo Luder (circa sei mesi prima del golpe), che ci danno licenza di uccidere. Il nostro obiettivo era disciplinare una società ridotta all’anarchia”.

La festa in Nunziatura

Nell’ottobre del 1991 il Nunzio Apostolico a Buenos Aires, Ubaldo Calabresi, compie un gesto clamoroso. In occasione della tradizionale commemorazione per l’anniversario del Papa, insieme a Vescovi, ambasciatori, ministri, personalità della società civile, impresari e al Presidente Menem, invita alla serata in Nunziatura tutti gli ex dittatori: Videla, Massera, Galtieri, Mignone.

Il gesto suscita scandalo sui giornali, non solo argentini. Il Nunzio si giustifica sostenendo che non aveva fatto altro che invitare al ricevimento “tutti gli ex presidenti”.

A coronare l’esito della festa ci pensa il Vaticano. Calabresi riceve, alcuni giorni dopo, una missiva del Segretario di Stato Sodano che si congratula per l’eccellente risultato della cerimonia in onore del Santo Padre; quello stesso Sodano che pochi anni prima, Nunzio in Cile, aveva fatto apparire sullo stesso balcone il Papa e Pinochet.

La Conferenza Episcopale argentina, sostenuta dalla Nunziatura, non ha mai voluto riconoscere i tragici errori e le scandalose omissioni di una chiesa che “sapeva e taceva”.

Non solo taceva. Benediva e sosteneva spiritualmente i criminali che avevano sulla coscienza 30.000 desaparecidos.

Si è limitata a pubblicare, anni fa, un documento dal titolo “Luci e ombre”. Un pamphlet nel quale la maggioranza delle riflessioni e delle considerazioni è dedicato alla società argentina e al suo faticoso cammino verso la democrazia, dove la Chiesa non si assume le responsabilità che le spettano rispetto agli anni della dittatura: le storie dei cappellani militari, del loro sostegno e conforto ai militari che torturavano e gettavano a mare migliaia di persone sui voli della morte; le storie di delazione di vescovi e superiori religiosi nei confronti di loro preti, suore e laici che lavoravano nei quartieri poveri della città.

Anche su Bergoglio, attuale Cardinale di Buenos Aires, pende una denuncia per aver “favorito” l’arresto di due suoi confratelli gesuiti, quando al tempo della dittatura era loro Superiore. Uno di questi, quando Bergoglio viene nominato Cardinale, lascia l’Argentina. Il colpo per lui sarà talmente forte da portarlo alla morte pochi anni dopo. Era stato “denunciato” da Bergoglio, arrestato dai militari e torturato.

Un dialogo “tra amici”

Ad inizio maggio, un quotidiano di Buenos Aires, Página 12, ha pubblicato un documento di straordinario valore.

Horacio Verbitsky, giornalista e scrittore che in questi anni ha pubblicato articoli e libri sulla questione della relazione della chiesa con la dittatura, è riuscito ad avere fra le mani una relazione -una “minuta” come viene chiamata in gergo ecclesiastico- che tre Vescovi avevano redatto per la Segreteria di Stato del Vaticano e che ha per titolo: “Relazione sull’incontro della Commissione Esecutiva della C.E.A. [Conferenza Episcopale Argentina] con il Presidente della Repubblica [Videla] del 10 aprile 1978”.

Per decenni la Chiesa argentina e il Vaticano hanno continuato a negare l’esistenza di un archivio riguardante gli anni della dittatura, i rapporti con i dittatori e con i famigliari dei desaparecidos.

Il 26 maggio 2012, dopo la pubblicazione del documento N° 10.949 (numero considerevole, indice di una vera e propria miniera di documentazione segreta attualmente nell’archivio della Chiesa in Argentina e in Vaticano), la Conferenza Episcopale è stata costretta a confermarne la sua autenticità. La minuta dà relazione del dialogo fra la cupola della Chiesa e Videla circa la questione dell’assassinio dei detenuti desaparecidos. Con tale riconoscimento i Vescovi ammettono perciò che erano a conoscenza del fatto che la dittatura militare assassinava i detenuti desaparecidos.

Pur trattandosi di uno scandalo di notevoli dimensioni, con conseguenze di enorme rilievo, il silenzio dei Vescovi argentini, del Vaticano e della grande stampa è davvero assordante!

La cupola della Conferenza Episcopale di quegli anni -i cardinali Primatesta e Aramburu e il vescovo Zazpe- discutevano, durante un pranzo, con il capo supremo della dittatura su come gestire l’informazione relativa ai crimini dei desaparecidos.

L’apparizione di tale documento s’intreccia, in un’impensabile simbiosi, con le recenti interviste di Videla. Senza eufemismi, il dittatore racconta al giornalista -come lo aveva raccontato all’epoca ai Vescovi- che i detenuti desaparecidos venivano “condannati” ed “eliminati”, e che tale metodo veniva adottato per questione di “comodità, in quanto non provocava l’impatto di una pubblica fucilazione”. Dice ancora che “era difficile pensare che una tale quantità di persone potesse essere sottomessa a giudizio”.

Nell’incontro con i Vescovi, Videla è ancora più diretto e afferma chiaramente che “il governo non può rispondere sinceramente, per la conseguenza sulle persone”, un eufemismo per riferirsi a tutti quelli che dovevano svolgere il “compito sporco” di sequestrare, torturare, uccidere e far sparire i resti delle persone implicate. Videla quindi rivela ai Vescovi che “tutti i desaparecidos sono stati assassinati”.

Il governo di fatto negava l’esistenza di prigionieri politici, in quanto tutti i detenuti venivano considerati come “delinquenti sovversivi”, compresi i sacerdoti e le suore. La sparizione di persone -spiega Videla ai Vescovi- era un’opera montata ad arte dal terrorismo per togliere prestigio al governo, che da parte sua condivideva le “inquietudini” dei vescovi. I tre prelati “ringraziano” Videla per quanto affermato e ammesso. Videla, con tono “triste”, ribadisce come non sia facile ammettere che i desaparecidos sono morti, in quanto questo innescherebbe una serie di domande su dove si trovano i corpi e su chi li ha uccisi, dove sono sepolti; se in una fossa comune, su chi li avrebbe sepolti…

Primatesta insiste con Videla quanto alla necessità di trovare una soluzione al problema, prevedendo, a lungo andare, “brutti effetti” per “l’amarezza che tutto questo produce in molte famiglie”. Videla si dice d’accordo. Ma non riesce a trovare una soluzione alla questione.

La Chiesa “misura ogni parola”

Dialogo terribile, surreale, kafkiano.

Prima di tutto per l’assoluta franchezza di chi interviene.

In secondo luogo per la chiarezza con cui viene in evidenza la conoscenza assoluta dei fatti da parte degli interlocutori.

Ed infine per la fiducia reciproca nell’analisi quanto alle possibili “tattiche” di risposta alle denunce che entrambe le parti percepiscono come una minaccia.

Primatesta interviene per sottolineare come “la Chiesa vuole capire, cooperare, è cosciente della situazione caotica in cui si trova il paese, e misura ogni parola in quanto conosce perfettamente il danno che può arrecare al governo rispetto al bene comune se non mantiene la debita altezza”.

Zazpe è morto nel 1984, Aramburu nel 2004, Primatesta nel 2006.

Nella segreteria della Conferenza Episcopale -situata in un palazzo del centro di Buenos Aires donato ai Vescovi dallo stesso Videla alcuni mesi prima di lasciare il potere nel 1981- e in Vaticano giace una miniera di documentazione che sarebbe di fondamentale importanza per far luce sulle migliaia di desaparecidos e di neonati rubati alle loro legittime madri e “regalati” a famiglie di militari.

La Chiesa continua -da sempre- a sentirsi in diritto di mentire, per “il bene” dell’istituzione.

Pochi giorni dopo l’ammissione dell’autenticità del documento, si è riunita a Buenos Aires la Commissione Permanente dei Vescovi argentini. Il documento pubblicato a fine sessione denuncia la legge approvata due mesi fa dal Parlamento argentino e che riguarda la questione della “morte degna”.

Neppure un accenno alla documentazione apparsa sulla stampa e alla conseguente palese connivenza dei Vescovi con la dittatura militare.

In cosa consisterebbe, secondo i vescovi argentini, la “morte degna” di 30.000 desaparecidos?

Dove si trovano i corpi della maggior parte di questi giovani?

Qualche anno fa un ufficiale delle Forze Armate, Adolfo Scilingo, ha ammesso la sua partecipazione nell’assassinio dei prigionieri che dopo le torture venivano drogati e scaricati vivi nel Rio La Plata da aerei militari.

Rifacendosi a norme di cultura umanitaria che risalgono all’Età della Pietra, molti familiari di desaparecidos hanno chiesto alla Giustizia di far valere il diritto alla verità e al lutto, insieme all’obbligo per il rispetto dei corpi. Si tratta di parte del patrimonio culturale dell’umanità: il culto per i morti, presente in tutte le culture e le tradizioni della storia dell’umanità. I militari delle dittature latinoamericane hanno negato ai familiari anche il diritto a seppellire e a piangere i loro morti, in quanto desaparecidos: inesistenti.

La giustizia argentina ha riconosciuto tale diritto, obbligando lo Stato ad aprire un processo di ricostruzione della memoria e di quanto sia successo con ogni desaparecido.

Oltre ai militari della dittatura implicati nei processi, l’unica istituzione che non accetta di avviare un processo di autocritica e di ammissione delle proprie colpe e connivenze è la Chiesa.

Da dieci anni a questa parte l’Argentina è cambiata parecchio.

È stato finalmente tagliato quel cordone ombelicale che legava indissolubilmente la Chiesa cattolica alle vicende e alle scelte del Paese.

L’Argentina ha avuto il coraggio di dichiararsi Stato laico. Il che non è poco in America Latina.

E di conseguenza ha legiferato su temi che riguardano i suoi cittadini di qualsiasi estrazione sociale, politica, orientamento sessuale e credo. Nel giro di pochi anni ha messo in atto una serie di leggi che la collocano a livello dei paesi del nord Europa, quanto alla sessualità, al matrimonio egualitario, alla riproduzione, alla morte.

Segno chiaro di quanto la Chiesa argentina, che ancora negli anni ’80 portava in processione per le strade di Buenos Aires la statua della Madonna protettrice della Nazione per esorcizzare chi si permetteva di chiedere una legge sul divorzio, ha ormai ben poco da dire.

Tanto meno oggi, dopo la pubblicazione di questo documento triste e tragico, che conferma ciò che si sospettava da anni: la connivenza della chiesa ufficiale con la dittatura.

Dove muoiono gli ideali – Claudio Mondinoultima modifica: 2013-03-17T04:40:00+01:00da davi-luciano
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