54 paesi coinvolti nelle extraordinary rendition della Cia

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Usa: 54 paesi coinvolti nelle extraordinary rendition della Cia

Usa: 54 paesi coinvolti nelle extraordinary rendition della Cia

WASHINGTON – Sono 54 i paesi, fra cui anche l’Italia, coinvolti in vario modo nel programma di “extraordinary rendition” della Cia, sia ospitando prigioni segrete che offrendo aiuto nella cattura, il trasporto o la tortura di sospetti terroristi.

Lo afferma un dettagliato rapporto diffuso oggi da un’associazione per i diritti umani di New York, la Open Society Justice Initiative, che cita i casi di 136 persone vittime del programma. “La responsabilita’ degli abusi ricade non solo sugli Stati Uniti, ma anche su decine di governi stranieri che ne sono stati complici”, si legge nel rapporto, intitolato: “Globalizing Torture: CIA Secret Detention and Extraordinary Rendition”.

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Governo chiede a S&P 5 mld dollari di danni

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Usa: governo chiede a S&P 5 mld dollari di danni

Usa: governo chiede a S&P 5 mld dollari di danni

NEW YORK – Il dipartimento di Giustizia Usa ha fatto causa per oltre 5 miliardi di dollari alla societa’ di rating Standard & Poor’s, accusandola di aver valutato in modo errato i mutui alla base dei derivati finanziari che fecero esplodere la crisi del 2007.

Lo rende noto MarketWatch secondo cui il procuratore generale di New York , Eric Holder ha avviato una causa civile contro l’agenzia e la sua controllata McGraw-Hill. Secondo Standard & Poor’s, il procedimento sarebbe “totalmente privo di base fattuale o legale”. Il Wall Street Journal fa sapere che nel mirino sara’, nel dettaglio, il modello di valutazione utilizzato dall’agenzia e che i procuratori generali di alcuni stati federali si uniranno alla causa .

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http://italian.irib.ir/featured/item/120766-usa-governo-chiede-a-s-p-5-mld-dollari-di-danni

 

Populismo:potere politico sottratto alle elites

L’antipopulismo come divorzio tra elite e cittadini – Novelli eunuchi evirati del potere politico – Partito Popolare e Partito socialista Europeo contro Venezuela e Argentina 

Tito Pulsinelli
La parola “populismo” abbonda sulle labbra di tutti coloro che hanno consumato il divorzio definitivo, tra cittadini e governanti, tra popolo ed elites.Sentendosi, ovviamente, parte di queste, vuoi per averne sposato gli arcani economicisti, la neolingua dei  bassifondi finanziari, vuoi per identificarsi in una “modernità” che mal nasconde il settecentesco neo-totalitarismo delle 

oligarchie. I gruppi dirigenti europei che aulicamente si autodefiniscono “la politica”, in realtà sono come dei novelli eunuchi evirati del potere politico. L’hanno affidato ai grandi gruppi economici transnazionali, che ora possono togliere e mettere governi ad Atene, Lisbona, Madrid e Roma, come ieri a Buenos Aires, Brasilia o Singapore. E si arrogano il potere di veto sull’operato degli altri governi che -quando pretendono di essere veramente nazionali- vengono demonizzati e tolti di mezzo. 

 Gli eunuchi, senza più una ragion d’essere, valletti della ragione economica elevata a ragion di Stato, tentano di camuffare il servilismo e il ruolo di sterilizzatori della residuale democrazia rappresentativa. Con l’esibizione d’uno sprezzante inganno o infamando i critici e chi resiste alla dogmatica oscurantista delle elites. “La politica” ingiuria quelli che non rappresenta più, che non si rassegnano al nuovo verbo della carestia e dell’ingrasso statale delle vacche già obese. Sembra che si dicano “non vale la pena governare questi “populisti” ingrati, che abboccano a demagogie non autorizzate o illegali”. Ossia non propinate dal FMI o BCE, dai santuari consacrati dai profeti globalisti di ieri, ora autopromossi a terapeuti del disastro di cui sono autori con copyright.

Oltre a gruppi e movimenti esistono anche pericolosi governi “populisti”, soprattutto in Sudamerica. Si caratterizzano per aver eretto barriere difensive contro le oligarchie nazionali, finanza internazionale e FMI. Per aver riscritto Costituzioni snaturate dai banchieri, impugnato e rinegoziato il debito estero, dilazionato il pagamento degli interessi, rinvigorito gli investimenti sociali e ridotto la disoccupazione. Hanno nazionalizzato -con indenizzazione- settori industriali strategici (petrolio, gas, alcune banche, telefonia, terre non coltivate ecc) garantendo così flussi costanti per il finanziamento delle politiche sociali (istruzione e salute). Sviluppo con redistribuzione è la formula seguita dal Brasile di Lula e Dilma Rousseff. Inclusione sociale e democrazia partecipativa, ripetono in Bolivia ed Ecuador.

Il bilancio d’un decennio di politiche eretiche -scomunicate dal FMI- è più che positivo, in termini di stabilità e coesione sociale raggiunte, come pure dei macro-indicatori economici tanto cari ai cattivi maestri dei nostri antipopulisti a scopppio ritardato, targati UE. Può  avere successo l’applicazione acritica e ritardataria dei dikat che hanno affossato i “piccoli dragoni” e l’America latina negli anni 70 e 80? E’ ovvio per tutti, ma non per i novelli eunuchi che -non conoscendo limiti alla vocazione al vassallaggio- agiscono come agenti destabilizzatori dei governi del Venezuela ed Argentina.

 Le due correnti del neoliberismo europeo -Partito Popolare e Partito Socialista- avversano con la stessa determinazione i governi di Chávez e di Cristina Fernandez, e sponsorizzano con molta generosità dirigenti e partiti ultraliberisti,  orientati alla restaurazione o al ritorno delle politiche fondomonetariste. PPE e PSE si riuniscono persino con politici che nel 2002 firmarono il decreto di scioglimento del parlamento, del potere giudiziario ed esecutivo del Venezuela. Nel caso dell’Argentina, spalleggiano oscenamente il FMI che emette mensilmente una bolla di scomunica urbi et orbi contro il governo legittimo. Madame Lagarde ricorre arbitrariamente ad argomentazioni nettamente politiche, con palese finalità di destabilizzazione economica. Castiga con un originale specie di spread per scongiurare che l’Argentina diventi un positivo punto di riferimento per i Paesi che cercano vie d’u scita dal neolibersimo. Terrorismo mediatico a sfondo economico.

Eppure il FMI, Club di Parigi, Banca Mondiale hanno abbonato ben 13 miliardi di dollari a Myanmar (Birmania). Cancellare il debito estero e spalmare i rimanenti 3 miliardi in comode rate durante 15 anni, non è cosa di poco conto. E’ vera filantrapia e sincera esportazione della democrazia di mercato? Perchè Birmania si e Grecia no? E’ decisione politica inquadrata nella strategia di isolamento e blocco delle vie marittime della Cina. Finanziare un nodo scorsoio di basi ed istallazioni militari in grado di condizionare il flusso delle esportazioni e delle importazioni di materie prime. Le istituzioni finanziarie globali, sorte alla fine della seconda guerra mondiale, adottano decisioni squisitamente politiche per dare ossigeno alla libera impresa e banca occidentale. Per battere la concorrenza cinese, finanzia misure di forza con i capitali estorti alle altre nazioni e popoli. Dietro il paravento dell’ortodossia economia agisce da gover no mondiale. E gli “antipopulisti” ne fanno parte o sono succubi.

Nota: 
La lettura de”Il populismo russo” di Franco Venturi, Einaudi, è utile in questi tempi di inflazionata ignoranza storica globalizata, e dà la misura della latitudine antisociale abitata dall’attuale classe dirigente europea.

Cremaschi: addio diritti, i sindacati hanno scelto il potere

Scritto il 05/2/13 • nella Categoria: idee

Ci sono notizie che durano il tempo di una breve del telegiornale, e poi vengono inghiottite dal bidone aspiratutto degli scandali e della campagna elettorale, mescolati tra loro. L’Istat ci ha comunicato che la dinamica attuale dei salari è la peggiore degli ultimi trent’anni. Questo dato dovrebbe essere alla base di ogni proposta che si fa per affrontare la crisi. Ma non è così. La caduta dei salari è diventata un dato di colore, fa parte dello spettacolo del dolore mostrato in televisione, sul quale meditano e dissertano i candidati. Ma senza che si pronunci la frase semplice e brutale: aumentare la paga! Poco tempo fa il Cnel ha comunicato un altro dato su cui riflettere davvero. Negli anni ‘70 la produttività del lavoro in Italia è stata la più alta del mondo, poi è solo calata. Sì, proprio quando il lavoro aveva più salario e più diritti, “rendeva” di più!

Anche questa notizia è stata rapidamente metabolizzata e poi successivamente ignorata dal sistema politico informativo. Immaginiamo infatti come sia difficile collegarla a precedente. La produttività e i salari calano assieme da trenta anni, ma non ci sarà un rapporto tra i due dati? No, una seria analisi su tutto questo non la si può fare, altrimenti bisognerebbe concludere che sono fallimentari tutte, ma proprio tutte le politiche economiche e sociali tese ad agire sulla compressione del costo del lavoro. Insomma tutte le politiche del lavoro di tutti i governi degli ultimi trenta anni hanno concorso a determinare il disastro attuale. E tutte le ricette in continuità con esse, flessibilità competitività blablabla, cioè quelle delle principali coalizioni che si contendono il governo del paese, sono inutili, sbagliate, dannose. Ma tutto questo non avviene, anche perché mancano all’appello coloro che per funzione per primi dovrebbero sollevare scandalo ed indignazione per tutto questo.

Il grande comico Petrolini una volta si trovò in teatro uno spettatore che dalla galleria lo insultava… Ad un certo punto interruppe la recita e si rivolse al disturbatore dicendo: io non ce l’ho con te, ma con chi ti sta vicino e non ti butta di sotto! I grandi sindacati confederali hanno accompagnato con i loro accordi questi trenta anni di ritirata dei salari e del lavoro, a volte ottenendo come scambio vantaggi di ruolo e potere. I lavoratori andavano indietro, ma il sindacato confederale andava avanti sul piano istituzionale. Il disastro dei salari ed il declino economico sono dunque anche figli delle politiche di moderazione rivendicativa, di concertazione e complicità, che hanno prevalso in questi ultimi trent’anni nel movimento sindacale.

Grazie a queste politiche, per lungo tempo l’organizzazione del sindacato confederale non ha risentito del peggioramento delle condizioni del mondo del lavoro. Finché Monti ha ufficialmente affermato che si poteva fare a meno anche di quello scambio, il consenso sindacale non era più necessario, si potevano massacrare le pensioni senza accordo. Così dopo la ritirata del lavoro è cominciato il vero declino sindacale. Non è vero che i sindacati non servono, ma è vero che il sindacato che pensa di sopravvivere continuando ad accettare le compatibilità e i vincoli economici degli ultimi trenta anni non serve più a niente. Neanche a se stesso.

(Giorgio Cremaschi, “La disfatta dei salari, i sindacati e Petrolini”, da “Micromega” del 30 gennaio 2013).


http://www.libreidee.org/2013/02/cremaschi-addio-diritti-i-sindacati-hanno-scelto-il-potere/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=feed+%28LIBRE+-+associazione+di+idee%29

E l’Imu rischia di andare alle stelle

“E l’Imu rischia di andare alle stelle”, Corriere Economia, Gino Pagliuca 4 febbraio 2013

Ipotizzando l’adeguamento della base imponibile al 70% dei valori reali l’imposta comunale può anche raddoppiare. Trend Simulazione sugli effetti della sostituzione delle rendite con i valori di mercato

Cento metri quadrati di una casa anni Cinquanta in pieno centro a Milano; altrettanti per una casa degli anni Novanta in periferia. Sul mercato la prima si può vendere oggi tra i 550 e i 600 mila euro, la seconda tra 280 e 320mila. Per il Fisco però entrambe le case hanno una rendita catastale di mille euro e pagano la stessa Imu e le stessa imposta di registro in caso di acquisto.

E’ solo un esempio dell’assurdità del sistema attuale di imposizione immobiliare, una metodologia cervellotica che parte dall’attribuzione di una rendita presunta (il canone che si potrebbe ricavare locando l’immobile); su questa base poi mediante il ricorso a coefficienti diversi a seconda del tributo si determina l’imponibile: per le abitazioni la rendita si moltiplica per 160 ai fini dell’Imu, per 110 se bisogna acquistare una prima casa, per 120 se non è prima casa.

Paradosso
L’unico aspetto positivo del sistema è che le rendite in vigore, determinate a suo tempo per dare il via all’Ici e rivalutate solo una volta forfettariamente del 5%, riflettono la situazione di mercato degli anni Ottanta, con valori di vendita e soprattutto di locazione (allora era ancora in vigore l’equo canone) ben lontani da quelli attuali. Per restare alle due case del nostro esempio, per entrambe l’Imu è stata pagata su una base imponibile di 168mila euro, quella in centro per un quarto del suo valore, quella in periferia per la metà.

Il problema è che l’Agenzia delle Entrate è del tutto consapevole della differenza tra valori fiscali e valori di mercato e delle grandi sperequazioni presenti sul territorio nazionale. L’ultima edizione dello studio «Gli immobili in Italia» presenta un confronto molto dettagliato tra imponibile Imu e patrimonio abitativo. Se ne desume ad esempio che a Milano in media il valore reale delle case è circa il doppio (precisamente 1,97 volte) rispetto all’imponibile Imu mentre a Napoli il rapporto è di 3,17 a 1. Significa che se l’Imu si pagasse sulla base del valore reale ad aliquote invariate sarebbe più che tripla.

E qui possono nascere le preoccupazioni per i possessori di immobili. Passata l’ubriacatura di promesse elettorali il nuovo governo, di qualsiasi colore esso sia, con tutta probabilità porrà mano a una grande incompiuta del nostro ordinamento, la riforma del catasto. Tutti quelli che l’hanno annunciata nel passato si sono affrettati anche a far passare il messaggio che i cambiamenti non porteranno a incrementi di tasse parlando di invarianza di gettito, ma in realtà questo, ammesso che si possa davvero ottenere, non significa affatto che si pagherà quanto prima. Ci sarà chi paga di più di oggi e chi meno. Per restare all’esempio di apertura e ipotizzando che sia l’appartamento in centro sia quello in periferia siano abitazioni principali, nel 2012 hanno pagato ognuno 472 euro. Siccome la casa in centro vale grosso modo il doppio di quella periferica l’invarianza di gettito si otterrebbe facendo pagare 628,33 euro alla prima e 314,66 euro alla seconda. Su due case l’operazione è semplice, ridistribuire correttamente il carico tributario tra 60 milioni di immobili è però impossibile.

Prova
Nelle tabelle abbiamo provato a vedere che cosa succederebbe se le imposte immobiliari venissero applicate partendo dai valori reali e non da quelli delle rendite in vigore. Per la simulazione abbiano ipotizzato che gli imponibili vengano determinati sulla base dei valori di mercato dell’Agenzia del Territorio con un abbattimento forfettario del 30%, in linea ad esempio con quanto accade in Spagna, dove i valori fiscali sono il 70% rispetto a quelli reali. Ne emerge che a Milano l’Imu prima casa in centro ad aliquote invariate aumenterebbe, per un immobile con il valore medio di zona, di 283 euro, passando da 467 a 750 euro, ancora maggiore l’incremento dell’imposta di registro in caso di acquisto: quasi 4.000 euro in più. Ma il conto per chi compra sarebbe ancora più salato in centro a Roma (+5.092 euro) e soprattutto a Napoli (+5.534). Tra le sei città considerate solo a Bari ci sarebbe in media un piccolo vantaggio ai fini Imu ma solo in virtù dell’abbattimento del 30% da noi ipotizzato. E’ evidente che il passaggio ai valori effettivi presuppone un sostanzioso abbattimento delle aliquote se non si vuole uccidere il mercato. Ma qualsiasi sistema venga adottato per rimodularle finirà per scontentare molti.

La Peggiore Paura Dell’europa

  • “la Peggiore Paura Dell’europa”
  • di GZ
  • 05/02/13
  • JP Morgan diceva stamattina che la “peggiore paura dei “policymakers” dell’Europa”è una vittoria di Berlusconi che risulterebbe in una “pesante pressione del mercato sull’Italia” che la costringa a chiedere un pacchetto di salvataggio (“ESM-ECCL”, la nuova sigla) perchè poi la BCE possa attivare gli acquisti di BTP che aveva promesso in caso di bisogno il 2 agosto scorso (nome in codice di questo programma “OTM”).

    Con lo scandalo MontePaschi e poi anche l’IMU forse ora la differenza tra centro-sinistra e centro destra si è ridotta ad un 5%-6%, dice JP Morgan e dato che storicamente i sondaggi sottostimano Berlusconi di un 3% ora il vantaggio del centro-sinistra è probabilmente solo un 1-2%. In aggiunta c’è la paura (per ora ancora remota) che Draghi sia danneggiato dall’affare MontePaschi.

    Se quindi Berlusconi ora ha una chance di vincere questo implica un attacco del mercato ai BTP che forzerebbe poi la richiesta del pacchetto di salvataggio (“ESM-ECCL”) da parte dell’Italia, ma questo chiamerà il bluff di agosto di Draghi che dovrà attivare l’OTm e a sua volta questo farà perdere l’elezione alla Merkel!.

    Funziona così (nel ragionamento di JP Morgan e del mercato finanziario): quando la BCE di Draghi, superando la resistenza dei tedeschi, ad agosto ha promesso con l’OTM di comprare “tutti i BTP necessari”, non ne ha comprato in realtà poi neanche mezzo. Perchè “con Monti” che aumentava IMU e le tasse i mercati compravano i BTP loro, senza la BCE dietro fidandosi della promessa di Draghi e dell’austerità di Monti. E anche con le elezioni ora l’austerità rimaneva a strangolare l’Italia, grazie ad un nuovo governo Monti-Bersani e JP Morgan e il mercato era contento.

    Ma se ora vince chi parla di ridurre l’IMU e l’austerità, stampare moneta e anche se necessario uscire dall’Euro tutto questo salta per aria, i BTP crollano, a meno che Draghi effettivamente non si metta comprarli al ritmo ad esempio di 300 miliardi di BTP. Questo richiede però che il nuovo governo italiano firmi delle condizioni per attivare il fondo salva stati. Ma anche se lo facesse questo costringerebbee il parlamento e i partiti tedeschi a votare di stampare moneta per comprare miliardi di BTP. Se si fa questo l’opinione pubblica tedesca che si era calmata si torna ad agitare e la Merkel che sta già ora perdendo delle elezioni regionali rischia di perdere l’elezione tedesca di settembre, che è l’evento politico clou dell’Europa


    dal Financial Times

    …Before the Monte Paschi (MPS) scandal, Italy was set for a close election on Feb 24th/25th but there seemed to be little likelihood of Silvio Berlusconi closing the gap in the lower house, …. On that basis, we would estimate the centre-left to hold a real lead somewhere in the 1-3% range; well below the margin of comfort…
    ..The worst fear for regional policymakers is that a Berlusconi victory, if managed poorly, results in heavy market pressure on Italy – ultimately forcing it to seek an ESM-ECCL package as a precursor to activating the OMT. German MPs would then be forced to vote on a support package that opened the door to ECB intervention for Italy with all of their moral hazard questions remaining unanswered (and with a Berlusconi Government the recipient of any support). Voters in Germany would be left asking serious questions about the OMT (effectively being faced with the evidence of what the ECB commitment can mean) and punish the Chancellor accordingly. Add in the (currently rather remote) fear of Draghi being further damaged by the MPS scandal and there is a risk of a very damaging hit to sentiment and to the prospects of Chancellor Merkel’s reelection. We think this is unlikely to happen; but it is the scenario that policymakers are focused on avoiding…
 
 

Lo smemorato Bersani andava in Bankitalia per sponsorizzare Mps +Chi controlla i controllori? L’oscura gestione Tarantola-Grilli, il silenzio di Monti, il regalo di Fini

Posted By Redazione On 4 febbraio 2013

[1]

http://www.ilgiornale.it/news/interni/smemorato-bersani-andava-bankitalia-sponsorizzare-stampalibera.comps-881403.html [1]

Il mantra è del segretario democrat è: il Pd non si occupa di banche. Ma nel 2004 chiese a Fazio di favorire l’operazione con Unipol e Bnl. L’allora governatore fu interrogato a Milano su Ricucci e Fiorani: “Fassino e Bersani vennero da me per la fusione”

Stefano Zurlo [2] – Sab, 02/02/2013 – 08:07

È il peccato originale. Pier Luigi Bersani l’ha rimosso e ripete come un mantra che il Pd fa il Pd e le banche fanno le banche. Perfetto. Ma solo qualche anno fa il segretario del Pd la pensava diversamente e si dava da fare.

Insomma, le banche facevano le banche e il Pd (e prima i Ds) faceva il Pd e pure le banche.

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Sembra una filastrocca ma è quel che affiora da un verbale firmato dall’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. È il 22 marzo 2006 e Fazio, travolto dalla tempesta dei furbetti del quartierino e delle scalate corsare, viene chiamato in procura a Milano dal pm Francesco Greco. E che cosa racconta? Parla di Ricucci, di Fiorani e di Antonveneta, ma poi si concentra su un dettaglio illuminante. «Le posso dire – spiega a Greco -, su Bnl, che sono venuti da me Fassino e altri a chiedere se si poteva fare una grande fusione Unipol-Bnl-Montepaschi. Io li ho ascoltati». Greco non molla, per cercare di collocare nel tempo l’episodio: «Questo quando?». «Primissimi mesi 2005 o fine 2004», è la replica. Pausa. Poi Fazio articola meglio i ricordi: «Erano Fassino e Bersani».


Ma sì, l’allora segretario dei Ds Piero Fassino, oggi sindaco di Torino, e l’allora responsabile economico del partito Pier Luigi Bersani, bussarono alla porta del governatore per proporre la creazione di un grande polo bancario in cui sarebbero confluiti Bnl, Unipol e Monte dei Paschi. Grandeur rossa. Non se ne fece nulla, anche perché Fazio rispose con un secco no. Almeno in quella circostanza, salvo poi ammorbidire la sua posizione.
Quel che conta però non è il risultato, ma il metodo. La nomenklatura del partito, più o meno la stessa di oggi anche se è cambiato il logo, coltivava i suoi disegni egemonici anche sulla finanza, vagheggiava vaste aggregazioni, sognava in grande. Come del resto traspare dalla famosissima intercettazione, pubblicata dal Giornale alla fine del 2005, in cui un elettrizzato Fassino chiede a Consorte: «Ma abbiamo una banca?».
Oggi Bersani ringhia: «Sbraneremo chi ci attacca sul Monte dei Paschi», e poi ripete che il Pd non accetterà lezioni da nessuno e poi ancora che bisogna cambiare, svecchiare, rinnovare. E il solito corteo di luoghi comuni ben confezionati. Fra 2004 e 2005 però giocava le sue carte sfruttando la contiguità, eufemismo, fra partito e banche di riferimento. Il Monte era, come oggi, nelle mani di tecnici e politici militanti o comunque di area. Con un guinzaglio, allora, davvero corto.
Poi le cose andarono come andarono. Consorte provò a scalare la Bnl. E chiamò in causa i «compagni» del Mps che avevano in cassaforte un 3 per cento, preziosissimo, della banca da conquistare. Cominciò una manovra azzardata da parte di Mps per recuperare quel pacchetto strategico – nel frattempo diventato un prestito obbligazionario – e metterlo a disposizione di Consorte. Risultato: le Fiamme gialle si insospettirono e accesero un faro. La scalata, come si sa, fallì e il Monte si trovò i finanzieri alle costole. Partì un accertamento fiscale che poi diventò penale e piano piano ha dato corpo all’indagine di oggi. In ogni caso, il partito continuò a interferire, come documenta persino un insospettabile Franco Bassanini che in un’intervista a Panorama ha alzato il velo dell’ipocrisia, sempre a proposito della tentata scalata della finanza rossa alla Bnl: «D’Alema e Consorte fecero pressing su Siena perché si alleasse con Unipol. Chi difese l’autonomia di Mps, come me e Amato, venne emarginato». La sinergia ci fu dunque, anche se in un quadro complesso di cordate e tradimenti, a due diversi livelli: politico-strategico e sul campo con il tentativo di girare quelle quote Bnl, il 3 per cento, da Siena a Bologna che ne aveva assoluto bisogno per vincere la partita.
Bersani rivendica correttezza, s’indigna e annuncia querele, ma la lezione del 2005 evidentemente non è servita. Perché la vicinanza, anzi la marcatura stretta del partito sulle banche amiche, è andata avanti. Finché il sistema è esploso. E oggi si dimentica il peccato originale. E la processione dal governatore. L’altra sera, a Servizio Pubblico, il responsabile economico del Pd Stefano Fassina, ha ascoltato con crescente imbarazzo il racconto di Marco Travaglio che pungeva Bersani proprio con lo spillo di quel verbale dell’ex governatore. Meglio girarsi dall’altra parte e ripetere, come un disco rotto: «Sbraneremo chi ci accusa».


http://www.stampalibera.com/?p=59525


Chi controlla i controllori? L’oscura gestione Tarantola-Grilli, il silenzio di Monti, il regalo di Fini

La vicenda Mps apre uno squarcio inquietante sul ruolo chiaroscurale di Bankitalia e sul silenzio di questi giorni riguardo le imbarazzanti falle dell’istituto di controllo. Tra atteggiamenti compiacenti, legami imbarazzanti, ispezioni incredibilmente non eseguite e occhi di riguardo verso gli amici di sempre (non solo con Mps, ma anche con Fiorani), ecco cos’è stata la gestione del duo Mario Draghi e Anna Maria Tarantola, prima della nomina di quest’ultima (per la quale, come vedremo, emergono pesanti ombre sul ruolo del ministro dell’Economia Vittorio Grilli), alla presidenza della Rai.

di Carmine Gazzanni

Ma chi controlla i controllori? Domanda legittima a cui, almeno al momento, è difficile dare una risposta. Lo scandalo Mps, sul quale stanno lavorando diverse procure, ha mostrato le falle di un sistema e di un’istituzione – Bankitalia – che, pur sapendo, non ha mosso un dito. E continua a non farlo dato che, ad oggi, non vi è alcuna traccia di sanzioni a Mps sul Bollettino di Vigilanza.

La questione è decisamente delicata e tocca tutte persone di area montiana (da Gianfranco Fini ad Anna Maria Tarantola, fino a Mario Draghi e Vittorio Grilli). Questo, probabilmente, spiegherebbe perché lo stesso Monti sia stato uno dei primi a gettare le responsabilità sul Partito Democratico, mentre non abbia mai speso una sola parola sulle (pesanti) responsabilità di Bankitalia. Ma partiamo da principio.

MPS: DRAGHI E LA TARANTOLA SAPEVANO – All’epoca dei fatti Mario Draghi era governatore della Banca d’Italia. Anna Maria Tarantola, attuale presidente della Rai, è stata invece funzionario generale dell’Area Vigilanza bancaria dal febbraio 2007 al 20 gennaio 2009. In tale data viene nominata vicedirettore generale ed entra quindi a fare parte del Direttorio dell’istituto, pur restando il punto di riferimento massimo della Vigilanza. È già da un anno, quindi, che Draghi e la Tarantola lavorano a braccetto ai piani alti di Palazzo Koch quando – precisamente il nove novembre 2010 – arriva un rapporto stilato dai competenti ispettori della Vigilanza al Direttorio. “L’accertamento, mirato a valutare i rischi finanziari e di liquidità, ha fatto emergere risultanze parzialmente sfavorevoli”. Comincia così il verbale dell’ispezione che prende in esame Mps da maggio 2010 ad agosto dello stesso anno. Nel rapporto i contabili scrivono: “i disallineamenti fra rilevazioni contabili e gestionali riducono la qualità dei dati esposti, in particolare l’indisponibilità di informazioni di dettaglio e l’utilizzo di basi dati non uniformi ha influito sulla tardiva riconciliazione fra modelli interni e segnalazioni in matrice sul rischio di tasso, che l’organo di Vigilanza aveva richiesto sin dal dicembre 2009”. Si parla addirittura anche (già allora) dei titoli tossici oggi al centro delle indagini. A pagina cinque del documento, infatti, si evidenzia come gli ispettori abbiano rilevato “profili di rischio non adeguatamente controllati” con riferimento alle operazioni in pronti contro termine e swap su Btp, per complessivi 5 miliardi di euro, stipulate con la Nomura e Deutsche Bank.

Insomma, la favola – raccontata con scadenza puntuale ora da Mario Monti, ora da Giorgio Napolitano, ora dallo stesso Draghi – non regge. L’istituto di controllo sapeva (c’è il documento che lo prova), ma nessuno dal Direttorio è intervenuto. Intanto, però, tanto Draghi quanto la Tarantola hanno fatto carriera: uno nella Bce, l’altra in Rai.

IL “TRIANGOLO OMERTOSO” E LA COMPIACENZA DELLA TARANTOLA – E non è nemmeno la prima volta che la Tarantola assume un atteggiamento compiacente nei confronti di Mps. Se infatti a Siena l’ex vicedirettore generale è stata sentita come persona informata dei fatti, discorso diverso si sta invece tenendo a Trani dove sono in corso indagini per insider trading che toccano diverse banche – tra cui lo stesso Monte dei Paschi, ma anche San Paolo Intesa ed altre – compresa Bankitalia. Al centro dell’inchiesta una storiaccia di derivati tossici di cui l’istituto di controllo – ancora una volta – sarebbe stato a conoscenza senza però mai muovere un dito. Nell’atto conclusivo delle indagini ci si rifà ad una vecchia nota del 2007 in cui la Tarantola scrive alla Consob sottolineando che non ci sarebbero state sanzioni “per l’inesistenza di presupposti per l’emissione di qualsiasi provvedimento a carico del controllato” che però – scrivono i magistrati di Trani – così “se ne avvantaggiava”. Non sappiamo se le indagini porteranno a condanne importanti. Fatto sta che è evidente come questo modus operandi sia abbastanza anomalo. Lo sottolinea, d’altronde, anche il senatore Idv Elio Lannutti il quale, in un’interrogazione parlamentare, parla di “un triangolo omertoso tra Abi, Bankitalia e Consob che ha determinato 15,4 miliardi di euro di buco del Monte dei Paschi”.

TARANTOLA, ANTONVENETA, FIORANI E I REGALI DI NATALE – Di amicizie poco raccomandabili Anna Maria Tarantola ne ha avute diverse. Pupilla di Antonio Fazio, è molto legata anche a Giampiero Fiorani, quello stesso Fiorani che, guarda caso, è stato il primo a tentare la scalata Antonveneta. Già allora, dunque, anche se indirettamente, la Tarantola ha avuto a che fare con la banca oggi al centro delle indagini su Mps. I rapporti con Fiorani cominciano a stringersi dal 1993 quando viene nominata a responsabile della Vigilanza. È da qui infatti che Fiorani deve passare, acquisizione dopo acquisizione, per far crescere la Popolare di Lodi. Nel 1995 la Tarantola viene trasferita a Varese, ma ormai Fiorani è lanciato. Nessuno della Vigilanza lo ferma più: né a Milano né a Roma. Saranno solo le inchieste giudiziarie, dieci anni dopo, a fermarlo definitivamente.

Eppure, ancora una volta, il ruolo della Tarantola sembra essere tra il chiaroscurale e il compiacente. Come ricostruito tempo fa da Linkiesta, “le acquisizioni della banca lodigiana si susseguono come pure i piani di apertura di nuovi sportelli. Con il placet della Vigilanza bancaria”. Basti pensare che nel 2000 va finalmente in porto l’acquisizione della Banca popolare di Crema, che più tardi Fiorani dirà essere stata “coperta e voluta da Bankitalia”. Secondo quanto riferito ancora da Linkiesta, uno che ha lavorato per anni fianco a fianco con Fiorani avrebbe detto che “la Bpl era di casa e Gianpiero era il pupillo della Tarantola”. Non sappiamo se questo sia vero. Il dubbio però viene se pensiamo che, secondo quanto ricostruito da Panorama nel 2005, a Natale di ogni anno Fiorani non dimenticava mai di mandare auguri e regalino alla sua amica di Bankitalia. Un vassoio risottiera in argento nel 1985, una ciotola ovale inglese in argento l’anno dopo, poi a seguire un vassoio in argento con manici, un servizio da tè, fino all’orologio Cartier (1995), un oggetto pomellato (1996) e a una sveglia in argento.

TARANTOLA, PONZELLINI E GRILLI: IL “RISARCIMENTO” DELLA NOMINA IN RAI – Certamente meno accondiscendente è stata la Tarantola nella sua ultima ispezione prima di essere trasferita in posizione di comando in Rai, quella alla Banca Popolare di Milano di Massimo Ponzellini. Il 2 ottobre 2012 ancora Lannutti presenta un’interrogazione nella quale si sottolinea come l’Ufficio di vigilanza di Banca d’Italia, allora diretto appunto da Anna Maria Tarantola, avesse inviato un’ispezione nella banca milanese per verificare l’operato della BPM, “la cui gestione opaca del credito e del risparmio nonché gli affidamenti a giudizio dell’interrogante disinvolti hanno prodotto l’indagine giudiziaria e gli arresti domiciliari con l’accusa di reati gravissimi tra i quali l’associazione a delinquere”. Dall’ispezione di Bankitalia non emergerà invece nulla.

Sarà semplicemente un caso, ma il ministro dell’Economia Vittorio Grilli – come emerso anche in alcune intercettazioni al centro di un’indagine giudiziaria – è molto legato proprio a Ponzellini e avrebbe sfruttato le sue reti di conoscenze per avere l’appoggio politico quando, più di un anno fa, aveva cercato di diventare governatore di Bankitalia (Grilli nelle conversazioni chiama Ponzellini semplicemente “Max” o “Massi” e chiede conto delle riunioni governative per la scelta del vertice di Via Nazionale). Ebbene, essendo il Tesoro azionista di maggioranza della Rai, sarà proprio il ministro dell’Economia Vittorio Grilli, amico di Ponzellini, a designare Anna Maria Tarantola alla Presidenza dell’azienda pubblica, “con un’iniziativa criticabile – denuncia Lannutti – che getta il legittimo sospetto sulla volontà di favorire un’informazione reticente rispetto a tale gravissimo scandalo”. Si chiede, insomma, Lannutti: che sia stato un modo per ringraziare del silenzio?

SE ANCHE UN’AUDIZIONE PUÒ ESSERE PERICOLOSA. IL REGALO DI FINI (E PD) – Silenzi su Mps, silenzi sulla vicenda dei rifiuti tossici, ruolo chiaroscurale nella scalata Antonveneta di Fiorani e nei suoi legami con Ponzellini (ancora agli arresti domiciliari, peraltro). Tanto basta, secondo Francesco Barbato, per chiedere un’audizione dei vertici di Bankitalia in Commissione Finanze appena dopo la nomina della Tarantola in Rai.

Richiesta fatta (audizione della stessa Tarantola, di Grilli, ma anche di Ignazio Visco e del suo predecessore Draghi). Ma invano. Di traverso, secondo quanto denunciato dallo stesso Barbato, si sarebbero messi il Pd – forse timoroso di scoprire altro sulla vicenda Mps – e i finiani, nella persona di Benedetto Della Vedova. Un niet, quello del finiano candidato con Monti, decisivo dato che per chiedere audizioni è necessaria l’unanimità. Il motivo del rifiuto ad oggi non è chiaro (che male può fare un’audizione?). Eppure così sono andate le cose. Un grosso aiuto dai montiani finiani ai montiani tecnici (Tarantola, Grilli e Draghi). Tra montiani, insomma, non ci si tocca.

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5/2 Notizie in breve

Posted By Redazione On 5 febbraio 2013

Fonte: IRIB http://italian.irib.ir

La Russia blocca le importazioni di carne dagli Usa e dalla Germania

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MOSCA – Dal prossimo 4 febbraio la Russia ha vietato le importazioni di carni congelate provenienti dagli Stati Uniti e dalla Germania.

Tale misura nei confronti degli Stati Uniti è stata presa a causa del fatto che, nonostante le ripetute richieste da parte delle autorità russe, Washington non ha fornito informazioni sulle misure per impedire l’ingresso in Russia dei prodotti realizzati con l’utilizzo di ractopamina, riferisce ruvr. Il blocco delle forniture dalla Germania di pollame e di carni rosse è invece motivato dalla diffusione in questo Paese del virus Schmallenberg e dall’inaffidabilità delle garanzie presentate dei servizi veterinari tedeschi.

Usa: FBI arresta nipote di Malcolm X perchè voleva recarsi in Iran

WASHINGTON (IRIB) – Il nipote dello storico leader afro-americano Malcolm X è stato arrestato negli Stati Uniti dagli agenti dell’Fbi perchè aveva l’intenzione di visitare l’Iran. Lo ha riferito pochi istanti fa la rete PRESS TV.

Inghilterra, gli agenti sotto copertura usavano le identità di bambini morti

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La squadra speciale della polizia inglese Sds (Special Demonstration Squad), che lavorava sotto copertura e si infiltrava nelle manifestazioni di protesta negli anni 70 e 80 avrebbe usato le identità di circa ottanta bambini morti.

A rivelarlo è il quotidiano Guardian che ha condotto un’indagine giornalistica sull’accaduto. In particolare secondo il giornale britannico la maggioranza delle operazioni svolte da agenti utilizzando nomi di bambini morti è avvenuta durante gli anni ottanta, anche se operazioni del genere sono state realizzate fin dal 1968 e fino al 1994. Sul fatto sta indagando ora la Metropolitan Police, che ha tenuto a precisare che quella attuata dalla squadra speciale non è una pratica attualmente autorizzata da Scotland Yard. La polizia chiarisce anche che l’indagine è partita dopo una denuncia formale che ha sollevato molta preoccupazione sul problema. Come rivela sempre il Guardian, l’uso dell’identità di bambini morti da parte degli agenti inoltre avveniva senza l’autorizzazione dei genitori dei piccoli defunti che rimanevano all’oscuro di tutto. Secondo il racconto di due ex ufficiali della squadra speciale i nomi venivano utilizzati soprattutto per ottenere p atenti e documenti vari. La squadra speciale era composta da agenti che venivano infiltrati soprattutto nelle manifestazioni di protesta e nel 2008 è stata sciolta.

India accusa Regno Unito di ingerenze

4]
NUOVA DELHI – Sarà la Gran Bretagna che è nostalgica dell’era coloniale o sono gli indiani che sono eccitati nei giorni dell’anniversario dell’indipendenza dal Regno Unito?
Ad ogni modo il governo indiano ha formalmente accusato l’Inghilterra per ingerenze nei suoi affari interni. Secondo l’IRIB, a mandare su tutte le furie gli indiani, il fatto che la Camera dei Comuni inglese abbia ospitato nel 2006 la Justice Foundation, uno dei tre think-thank pakistani che si dice favoriscano azioni anti-indiano nel Kashmir. L’India accusa pure il fatto che nella Camera dei Comuni esista un gruppo sul Kashmir alla quale prendono parti politici di tutti gli schieramenti.

Black Hornet: ecco il nuovo minuscolo e pericoloso drone spia della Gran Bretagna

LONDRA (IRIB) – L’esercito britannico ha presentato un nuovo minuscolo drone spia spiegando che sarà impiegato per le operazioni di guerra in Afghanistan ai danni delle forze che si oppongono alle forze straniere.

A mostrare al mondo per la prima volta il drone spia, coniato Black Hornet (Calabrone Nero) i soldati britannici della brigata di riconognizione di stanza a Camp Bastion, in Afghanistan. Il drone di 8 inch (poco più di 20 cm) pesa solo 15 grammi ed ha tre telecamere nella sua minuscola fusoliera; ha due eliche che ruotano in direzioni contrarie, come avviene negli elicotteri, e funziona grazie ad una batteria di bordo. Secondo il Daily Mail l’esercito britannico sostiene che l’utilizzo di questo nuovo strumento militare sarà un punto di svolta nella guerra contro i talebani. I britannici contano infatti di individuare il luogo dove le forze talebane si trovano con il drone e poi attaccare. Negli ultimi cinque anni la Gran Bretagna ha speso qualcosa come 2 miliardi di sterline per lo sviluppo di droni militari.


 

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BANKSTER/ Tutti i contributi (bipartisan) dei banchieri alla politica. E quella legge mai applicata.

Solo una precisazione, o se volete, spunto per approfondimento.

Non mi risulta (ma potrei sbagliarmi) che Credit euronord fu salvata con soldi dei contribuenti.
Inoltre andrebbe ricordata la Banca 121 del baffino. I truffati attendono ancora rimborso.

BANKSTER/ Tutti i contributi (bipartisan) dei banchieri alla politica. E quella legge mai applicata.

Il Monte dei Paschi è la banca del Pd? Sebbene sia probabilmente una tesi troppo semplicistica, non si può negare ci sia una commistione tra la banca e il partito. Così come, però, non si può negare ci sia stata tra Pdl e Mediolanum e Credito Cooperativo Fiorentino, o tra la Lega Nord e Credieuronord. E poi tutta la serie di banchieri-politici che hanno distinto la politica italiana degli ultimi anni: da Verdini allo stesso Berlusconi fino agli uomini di Umberto Bossi. La vera patologia di quanto sta affiorando oggi è il legame banche-partiti e i grossi finanziamenti che gli istituti hanno confezionato ora per i partiti “amici”, ora per i partiti in cui essi stessi militavano. Sebbene ci sia una legge del 1953 che lo vieti. Ma nessuno lo sa.

di Carmine Gazzanni

La responsabilità è dell’azionista politico che ha gestito la fondazione che controlla il Monte dei Paschi”. A parlare è Benedetto Della Vedova, candidato in Lombardia con la lista Monti. Ovvio: è nei suoi interessi elettorali attaccare il partito che, oggi, è il nemico da sconfiggere per tutti. Ma anche mettendo da parte gli opportunismi delle tante dichiarazioni (alcune strumentali, appunto), è indubbio che il Partito Democratico abbia le sue responsabilità. Quello tra Pds-Ds-Pd con la Fondazione e con la banca, è un legame storico, tanto che per anni i sindaci della città toscana sono arrivati dall’istituto di credito.

Il rapporto, però, è sicuramente stato biunivoco, un do ut des che si è dimostrato assolutamente proficuo. Chi comanda, infatti, nella Fondazione Monte dei Paschi? Sostanzialmente, i politici. Due sono gli organi all’interno della Fondazione: una specie di governo, chiamato Deputazione Amministrativa – che ha il compito di decidere cosa fare nella Banca Monte dei Paschi – e un parlamento – chiamato Deputazione Generale – che elegge il governo. Chi compone questo parlamentino? Sedici membri di cui otto eletti dal comune di Siena, cinque dalla provincia di Siena, uno dalla regione Toscana, uno dall’università e uno dall’arcidiocesi. In altre parole su 16 membri, 14 sono diretta espressione della politica. E quale politica regna incontrastata da anni nel comune senese, nella provincia senese e nella regione toscana? La risposta è ovvia.< /span>

MUSSARI, IL BENEFATTORE DEMOCRATICOÈ dunque evidente che la politica abbia le sue responsabilità morali. Perlomeno quella locale. Anche se, a conti fatti, a beneficiare di questa commistione è stato poi il partito a livello nazionale. Secondo i dati ufficiali della Camera, infatti, dal 27 febbraio 2002, data del suo primo assegno al partito, Giuseppe Mussari ha versato ben 683.500 euro al Pd (o alla sua versione precedente dei Ds). Non si può certo dire che l’ex numero uno di Mps non sia stato generoso con i democratici, insomma. Finanziamenti ovviamente tutti leciti e dichiarati. Ma che danno comunque il senso della stretta vicinanza tra il manager e il partito. Non solo. Non contento Mussari ha versato soldi al partito anche quando era già presidente dell’ABI. Una sorta di ringraziamento – forse – da 99 mila euro.

I 23 MANAGER DAL CUORE PD – Mussari, però, non è stato l’unico che si è sentito in dovere di versare qualche migliaio di euro al Pd. Secondo quanto ricostruito da Sergio Rizzo sul Corriere, “sono almeno una ventina i dirigenti e i manager del Monte che per anni, regolarmente, hanno finanziato la politica. Soprattutto il Pd e i Ds di Siena, che hanno incassato in una decina d’anni un milione e mezzo di euro grazie ai contributi liberali di costoro”. Nell’elenco ci sono, praticamente, tutti. Stima Libero siano addirittura 23 tra manager ed ex manager passati per Mps ad aver finanziato il partito: c’è Saverio Carpinelli, presidente di Mps capital service, ha donato alle federazioni di Siena del partito 176.063 euro; Alessandro Piazzi, deputato della Fondazione Mps, si è fermato a 162 mila euro; Riccardo Margheriti, presidente di Mps banca verde, ha sfiorato i 133 mila euro; Silvano Andriani, presidente di Mps Axa, di euro ne ha versati più di 123 mila; sopra i 100 mila euro di versamenti anche Marco Spinelli, consigliere di amministrazione di Mps leasing & factoring.

E poi ancora Ernesto Rabizzi, presidente della stessa banca oggi al centro delle indagini, l’Antonveneta, con 125 mila euro versati tra il 2010 e il 2011; Fabio Borghi, già presidente di Mps gestione crediti, con 71 mila euro; Moreno Periccioli, attuale consigliere di Banca Antonveneta di nomina Mps (69.400 euro); Luca Bonechi, presidente dell’immobiliare della Fondazione, la Sansedoni spa; Paolo Fabbrini, consigliere della stessa Fondazione; i revisori Giovacchino Rossi e Marcello Venturini; l’ex vicepresidente di Mps Aldighiero Fini.

PECUNIA NON OLET. SOLDI PER TUTTI – Nel cuore del Monte dei Paschi, però, non c’è spazio solo per il Partito Democratico. Pecunia non olet mai, d’altronde. Ed ecco allora che, spesso, i finanziamenti hanno intrapreso anche strade diverse. È il caso, ad esempio, dei 10 mila euro versati nel 2004 dal presidente della Fondazione Gabriello Mancini alla Margherita. C’è spazio, però, anche per l’altra sponda. Ecco allora i 25 mila euro con cui nel 2005 Lorenzo Gorgoni, membro allora del consiglio di Mps, finanziò la campagna elettorale di Raffaele Fitto, storico nome di Forza Italia allora e del Pdl oggi.

I BANCHIERI-POLITICI: LEGA NORD, VERDINI, BERLUSCONI – Quella tra banche e politica, però, è una commistione che travalica i confini senesi. Va oltre. È una vera e propria patologia che tocca tutti. Indistintamente. Non potrebbe essere altrimenti se si arriva alla paradossale situazione per cui banchieri ricoprono, al tempo stesso, anche incarichi politici. Basti pensare al clamoroso caso della banca leghista, la Credieuronord, finita in bancarotta: prima che facesse crac, era amministrata da un consiglio in cui gli onorevoli abbondavano. Dall’onorevole Stefano Stefani al presidente della commissione Bilancio Giancarlo Giorgetti, fino addirittura al sottosegretario all’Interno Maurizio Balocchi.

E poi lo stesso Silvio Berlusconi. Probabilmente sfugge ai più, ma anche il Cavaliere si ritrova ad essere un banchiere prestato alla politica o, se si vuole, un politico prestato alle banche, dato che oltre il 35 per cento di Medioalnum è in mano alla Fininvest, il cui azionista di maggioranza è appunto Silvio Berlusconi. Sarà un caso, ma nel 2005 la banca di Ennio Doris ha finanziato Forza Italia per dieci mila euro. Briciole, ovvio. Ma intanto l’aiutino c’è stato.

Che dire, infine, di Denis Verdini, il vero braccio destro di Berlusconi, colui che ha stilato, sotto direttive del Cav, le liste per le politiche, colui al centro di numerosi scandali, a cominciare da quello della P3 (l’associazione segreta che lavorava per risolvere i problemi giudiziari del Cav, pardon di “Cesare”). Il coordinatore nazionale del Pdl è stato per anni contemporaneamente deputato e presidente del Credito cooperativo fiorentino. Anche questo sarà un semplice caso, ma il CCF ha destinato al Pdl ben 74 mila euro in due anni.

LA LEGGE SULL’INCOMPATIBILITÀ: È DEL 1953! – Da quanto detto appare evidente: i politici fanno i banchieri, i banchieri fanno i politici; i partiti decidono chi sistemare nei cda della banche e questi ringraziano a suon di bigliettoni. La commistione tra banche e politica, dunque, è più che evidente.

Eppure, contrariamente a quanto si possa pensare, una legge sull’incompatibilità della carica parlamentare esiste. Il punto è che, come spesso accade, rimane lettera morta. Inapplicata. Se fosse seguita (e forse, prima ancora, conosciuta), si eviterebbe questa miscellanea perversa. “I membri del Parlamento – si legge nel testo – non possono ricoprire le cariche, né esercitare le funzioni in istituti bancari o in società per azioni che abbiano, come scopo prevalente, l’esercizio di attività finanziarie”. L’articolo è di una legge risalente addirittura al 1953. È stata concepita ben sessant’anni fa quando, forse, c’era più sale in zucca di quanto ce ne sia oggi. È impolverata, ma è ancora in vigore. Bisognerebbe dirlo ai vari Verdini, Berlusconi e i leghisti della Credieuronord, i quali invece si proteggono tutti dietro la deroga presente nel testo legislativo secondo cui tale incompatibilità non varrebbe per gli “gli istituti di credito a carattere cooperativo”.

Peccato, però, che non ci sia nulla di cooperativo nel finanziare lo stesso partito in cui poi si milita.

http://www.infiltrato.it/inchieste/italia/bankster-tutti-i-contributi-bipartisan-dei-banchieri-alla-politica-e-quella-legge-mai-applicata

L’ENI, Lucia Annunziata e l’Huffington Post

 Posted By Maria Rita D’Orsogna On 5 febbraio 2013 

Da: http://dorsogna.blogspot.com/2013/02/leni-lucia-annunziata-e-lhuffington-post.htm

 In generale io credo che piu’ informazione ci sia, meglio e’ di modo che ciascuno possa leggere notizie da piu’ fonti – presumibilmente con spirito di critica – e farsi una idea il piu’ possibile libera.

Pero’ e’ importante sapere chi c’e’ dietro cosa – giusto per capire se quello che leggiamo e’ di parte o no.

E allora ecco che compare sulla scena l’Huffington Post Italia, una “joint venture” con l’Espresso.

Diretto da Lucia Annunziata.

E cosa c’e’ dietro l’Huffington Post?

Beh, intanto iniziamo dalla Annunziata ha scritto per la rivista OIL dell’ENI in passato.  La sua parcella nell’annata 2008 era di 150,000 [3] – centocinquantamila euro, si – per ben quattro articoli l’anno e per essere il presidente del comitato editoriale di OIL. La Annunziata ha anche  rappresentato l’ENI al congresso mondiale dell’energia del 2010 a Montreal. [4]

 [5]

Da Report si apprende che da Maggio 2012 non e’ piu’ “coordinatrice” della stessa rivista [6]. Questo vuol dire, in conclusione, che e’ stata giornalista e/o coordinatrice per l’ENI per circa 4 anni. Avra’ creato amicizie e legami con quelli dell’ENI, no?

Adesso la stessa Annunziata e’ a capo di questa Huffington Post Italia che – come dice il New York Times  [7]

.. lined up four prominent introductory advertisers: the leather goods company Tod’s, the carmaker Citroën, the energy company Eni and the telecommunications provider Wind. Each of the partners has invested 1 million euros, or about $1.3 million. 

cioe’ i primi 4 sponsor sono le scarpe Tods, la macchina Citroen, il petrolio ENI e i telefonini Wind.

Ciascuno ha investito 1 milione di euro.  Massimo Ghedini, responsabile pubblicitario per l’Espresso, sempre secondo il New York Times dice che ci si aspetta di generare 5 milioni di euro di pubblicita’ entro il terzo anno di attivita’ e che 

“Italian advertisers are always looking for two things: results, in terms of a return on their investment, and positioning. The Huffington Post gives them both. It brings readers into the conversation, and the Italian edition will spread knowledge of Italian style around the world.” 

Tutto e’ possibile, ma io non credo che l’ENI abbia dato un milione di euro perche’ gli sta simpatica Arianna Huffington.Credo di piu’ invece a quel “return on their investment” e a quel “positioning” del New York Times – che altro non sono che buona visibilita’ e buona immagine per l’ENI, operazione che secondo me include l’avere l’Annunziata come direttrice e giornalista per quattro anni su OIL.L’Huffington Post e’ online da qualche tempo.

Voglio vedere quando e se avranno il coraggio di fare una storia, una qualsiasi, sull’ENI e l’inquinamento che ha portato dovunque si sia insediata in Italia – Viggiano, Pertusillo, Manfredonia, Gela, Marghera, Praia a Mare, Livorno, Pieve Vergonte, Porto Torres, Priolo, Trecate, Paguro.

Possono scegliere, una storia a caso, da nord a sud.


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[3] parcella nell’annata 2008 era di 150,000: http://www.ilgiornale.it/news/l-annunziata-prende-150mila-euro-dall-eni.html

[4] rappresentato l’ENI al congresso mondiale dell’energia del 2010 a Montreal.: http://dorsogna.blogspot.com/2011/01/lucia-annunziata-eni-al-congresso.html

[5] Image: http://2.bp.blogspot.com/-s8JdI9srli4/UQ1d_g4M4UI/AAAAAAAAI2M/ntUIovzruxg/s1600/Screen+Shot+2013-02-02+at+10.41.40+AM.png

[6] Da Report si apprende che da Maggio 2012 non e’ piu’ “coordinatrice” della stessa rivista: http://www.report.rai.it/ dl/Report/puntata/ContentItem-559554ac-2703-4fa1-b41d-e3a6fb6a01a0.html

[7] – come dice il New York Times : http://www.nytimes.com/2012/09/27/business/media/italy-becomes-latest-jewel-in-huffington-posts-crown.html?_r=0

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