Unione europea: la Nato bussa a quattrini

Ah ecco a che serve anche l’austerità europea. Per difendere gli interessi degli Usa. Se qualcuno avesse avuto dei dubbi sulla natura dell’europa dei popoli….a servizio yankee

 

Unione europea: la Nato bussa a quattrini

Il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Rasmussen, nonostante la crisi che attanaglia il Vecchio Continente, chiede altri danari all’Unione europea per sostenere i costi della difesa comune e potenziarla 

di Andrea Perrone 
Rinascita

L’Alleanza Atlantica pretende altri soldi dall’Ue per sostenere i costi della difesa. Il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen (nella foto) nella sua relazione annuale ha chiesto agli Stati membri Ue di spendere di più per la difesa nonostante la crisi economica e  non ha mancato di lancia re una chiara minaccia all’Unione europea sottolineando che altrimenti rischia di perdere la “solidarietà” degli Stati Uniti. “Se le attuali tendenze alla spesa per la difesa dovessero continuare, queste limiterebbero le capacità pratiche delle nazioni europee nella Nato di lavorare insieme con i loro alleati del Nord America. Ma si rischierebbe anche di indebolire il sostegno politico per la nostra alleanza con gli Stati Uniti”. Ma ha voluto precisare che nonostante tutto la Nato è ancora “la potenza militare più importante del mondo”. Tuttavia, ha proseguito Rasmussen, la situazione a livello mondiale desta preoccupazione. “Le sfide alla sicurezza del XXIesimo secolo – il terrorismo, la proliferazione, la pirateria, la guerra informatica, Paesi instabili – non se ne andrà come ci concentriamo, che fissa le nostre economie”, ha commentato il segretario.

A questo punto l’ex premier danese ha chiarito quali sono le vere pr eoccupazioni della Nato nei confronti dei suoi nemici. “L’ascesa delle potenze emergenti – ha chiosato il segretario generale – potrebbe creare un crescente divario tra la loro capacità di agire e di esercitare influenza sulla scena internazionale e la nostra capacità di farlo”. Sempre nel rapporto presentato da Rasmussen si afferma che gli Stati Uniti hanno contribuito nel 2012 con il 72 per cento della spesa per la difesa dei Paesi membri dell’Alleanza, rispetto al 68% del 2007. Francia, Germania, Italia e Regno Unito concorrevano per il resto della somma, ma di recente il contributo francese è sceso vertiginosamente.

“Tutto ciò ha il potenziale di minare la solidarietà dell’Alleanza e mette a rischio la capacità degli alleati europei di agire senza il coinvolgimento degli Stati Uniti”, è scritto nel rapporto. E aggiunge che il contributo della Nato, in proporzione alle spese militari mondiali sceso al 60 per cento nel 2011 dal 69 per cento del 2003, è quello di raggiungere il 56 per cento nel 2014.

La “preoccupazione” di potenziare le capacità di difesa dell’Unione europea non è nuova, ovvero per rassicurare l’impero a stelle e strisce che qualora vi sia una crisi in giro per il mondo l’Europa-colonia possa intervenire militarmente utilizzando le sue forze senza il bisogno di contare su quelle degli Usa, le cui casse sono ormai vuote per le spese sostenute nelle “guerre infinite” in ogni dove nel mondo. D’altronde già due anni fa, l’ex segretario alla Difesa Robert Gates in un discorso tenuto a Bruxelles aveva lanciato l’allarme sui conti della difesa Ue. La necessità di investire di più sulla creazione di un esercito comune europeo nasce dalla crisi economica che grava anche sugli Stati Uniti, ma in questo caso proprio sulla Nato, che possiede un debito di 400 miliardi di dollari. Gli Usa per questo stanno tentando di smarcarsi il più possibi le dalle imprese che può compiere autonomamente l’Unione europea con la creazione di un comando generale unificato e un esercito comune in ambito Ue.

“La realtà schietta è che vi sarà un venir meno della volontà e della pazienza da parte del Congresso degli Stati Uniti”, ha minacciato Rasmussen, nel voler “spendere fondi sempre più preziosi a favore di nazioni che sono solo apparentemente disposte a dedicare le risorse necessarie e in grado di apportare delle modifiche necessarie alla loro difesa”.

Le preoccupazioni di Gates e di Rasmussen non sono confinate soltanto alla Nato. Parlando a Bruxelles al margine del vertice dei ministri degli Esteri Ue infatti il polacco Radek Sikorski, ha sottolineato che il blocco dei Ventisette ha bisogno di una difesa propria. “Ritengo – ha dichiarato il ministro di Varsavia alla stampa – che la crisi del Mali mostri quanto sia necessario perché la pross ima crisi potrebbe avvenire ancora più velocemente e abbiamo bisogno di essere in grado di reagire istantaneamente”. Un tema costante questo per la Polonia che si prodiga insieme ad altri Stati membri dell’Unione europea a creare una difesa comune europea che sia capace di intervenire tempestivamente in ogni angolo del mondo su mandato dell’Occidente euro-atlantico e seguendo le linee guida del think-tank denominato Weimar Plus che nel dicembre scorso ha tenuto un vertice dei Paesi Ue nella capitale francese. Un summit importante a cui hanno preso parte i ministri degli Esteri e della Difesa Ue per parlare del futuro dell’Unione europea sul piano militare e della sua stessa difesa da qualsiasi minaccia esterna con la volontà di migliorare l’industria bellica al fine di competere in modo equanime con gli Stati Uniti. Sono questi alcuni dei punti affrontati nella capitale francese dall’organizzazione politico-militare denominata Weimar plus, da alcuni definita un a vera e propria lobby, che non vede però la partecipazione del Regno Unito, e del quale i Paesi membri del Weimar plus hanno richiesto la presenza. L’accordo di Weimar, tenutosi per la prima volta nell’aprile 1992 a Bergerac, ha rappresentato un’intesa inizialmente a tre e comprendeva Francia, Germania e Polonia. Si è rafforzata solo di recente con l’ingresso di altri Stati dell’Unione come l’Italia e la Spagna: e per questo si è trasformata in Weimar plus.

Nel corso del summit i ministri di Francia, Germania, Italia, Polonia e Spagna hanno avanzato la richiesta della creazione di un esercito Ue per tenersi pronti a realizzare operazioni e missioni all’estero puntando ad un intervento comune. Alla fine del vertice il documento pubblicato ha sottolineato l’importanza dell’armamento o i settori sui quali è necessario mantenere gli occhi aperti, per cui non devono essere sottovalutati, ovvero “spazio, missili balistici di difesa, droni, rifornimento di aerei in volo, capacità di trasporto aereo, supporto medico alle operazioni e la cosiddetta Software Defined Radio”. Il quotidiano britannico Telegraph dopo il summit parlando della vicenda ha ricordato “una fonte di alto livello francese” che sostiene l’idea di creare un comando operativo, in grado di diventare un “frutto maturo” nel lungo termine, quando le operazioni militari e di peacekeeping dell’Unione europea si moltiplicheranno notevolmente. Il tutto naturalmente al servizio dell’Occidente euro-atlantico per esportare la “democrazia” e mantenere il controllo su popoli e risorse energetiche.

Fonte: Rinascita 1 Febbraio 2013



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Raid in Siria: Israele teme reazioni, ma prepara un secondo attacco

Ancora scontro all’interno delle opposizioni che chiedono le dimissioni di al Khatib per aver ipotizzato un dialogo con Damasco 

Matteo Bernabei

Cresce in Israele il timore per le possibili reazioni, da parte di Damasco, al raid compiuto mercoledì scorso dalle forze armate di Tel Aviv in territorio siriano. Il governo israeliano ha infatti elevato lo stato di allerta nelle proprie ambasciate e schierato nelle aree di confine una nuova batteria di missili da difesa antiaerea Iron Dome (foto), gli stessi utilizzati per fermare i razzi Qassam provenienti dalla Striscia di Gaza, mentre nelle città di frontiera ha ordinato l’apertura dei rifugi pubblici. Azioni che rendono evidente come le autorità di Tel Aviv siano consce del fatto di essere andate a provocare un nemico pericoloso che, pur essendo alle prese con una difficile crisi interna, non resterà certamente immobile a subire l’ennesima violazione del proprio territorio nazionale. Ne sa qualcosa la Turchia che lo scorso anno si è vista abbattere un caccia mentre questo compiva una ricognizione illegale oltre confine. Anche allora della violazione dello spazio aereo siriano si parlò poco e nulla, la comunità internazionale occidentale ribaltò infatti l’accaduto, trasformando quanto avvenuto in un attacco ingiustificato dell’artiglieria antiaerea di Damasco a un velivolo turco.
Nonostante il timore di reazioni da parte delle forze armate del Paese arabo, tuttavia, l’opportunità di agire senza pagare le dovute conseguenze a livello internazionale potrebbe spingere Tel Aviv a colpire ancora. Secondo quanto riportato dalla stampa locale, infatti, il governo israeliano che questa volta ha agito ufficiosamente, senza cioè confermare l’attacco, potrebbe presto colpire anche ufficialmente. “Se il segnale inviato alla Siria e Hezbollah per dir loro di cessare il traffico incontrollato di armi dell’esercito siriano non sarà ricevuto, nella prossima operazione i responsabili dovranno agire apertamente”, scrive il quotidiano Yediot Aharonot, che poi sottolinea come Tel Aviv sia inoltre preoccupata dalla possibilità che le armi in questione possano finire nelle mani dei gruppi armati estremisti sempre più attivi nel vicino Paese arabo. “Hizbollah è un problema – si legge ancora sul quotidiano – ma i gruppi jihadisti che potrebbero prendere il controllo della zona di frontiera con il Golan non sono meno pericolosi: avranno le stesse armi ma minor senso di responsabilità”.
Eventualità che si è trasformata in realtà questo pomeriggio, quando un gruppo di ribelli siriani ha ingaggiato dei violenti scontri con alcuni militari libanesi nella valle della Beqaa, lungo il confine fra i due Paesi, impossessandosi delle armi e dei mezzi di questi ultimi. Secondo fonti militari citate dall’agenzia locale Dpa, il bilancio dell’assalto ai soldati di Beirut è di almeno dieci vittime, tra le quali tre militari e Khaled Hmeid, responsabile del rapimento di sette estoni in Libano nel 2011 e legato alle milizie del Les, braccio armato delle opposizioni estere al governo di Damasco.
Opposizioni sempre più caratterizzate da una forte componente islamista al loro interno, in particolare quella dei Fratelli musulmani, e che anche per questo si mostrano ogni giorno più divise agli occhi del mondo. Un esempio delle frizioni interne ai movimenti dissidenti lo si è potuto vedere di nuovo oggi, con il vespaio di polemiche suscitato dalla proposta avanzata nella riunione de Il Cairo da Ahmed Moaz al Khatib, leader della Coalizione di Doha. Quest’ultimo ha ipotizzato l’avvio di un dialogo con il regime di Bashar al Assad per giungere alla fine della crisi suscitando le proteste di alcuni suoi “colleghi”. “La prossima riunione sarà decisiva perché noi vogliamo le sue dimissioni – ha affermato Kamal al Labuani, dissidente presente al vertice egiziano – o chiede scusa e cambia idea oppure si deve dimettere. In realtà lui non rappresenta nessuno e per questo noi lo costringeremo alle dimissioni”. Un fulgido esempio della democrazia che regna all’interno del fronte delle opposizioni, le stesse che hanno rimandato a data destinarsi la formazione di un governo in esilio in attesa che i loro sponsor internazionali versino nelle loro casse la cifra promessa per questo golpe: tre miliardi di dollari.

01 Febbraio 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=18812

 

Lega Araba condanna attacco israeliano sulla Siria

Mediterraneo, Medio Oriente, “primavere arabe”. Interviste, approfondimenti e analisi News – 1/2/2013

Il Cairo-InfoPal. La Lega Araba ha condannato l’attacco israeliano contro l’area di Jamraiya a Damasco, dove l’aviazione israeliana ha colpito un centro di ricerche scientifiche, uccidendo e ferendo alcuni cittadini siriani, e provocando una vasta distruzione negli edifici del centro.

In un comunicato ufficiale diramato giovedì 31 gennaio, Nabil el-Araby, segretario della Lega araba, ha condannato la “chiara violazione del territorio e della sovranità di un Paese arabo”, considerando ciò “una evidente violazione della Carta dell’Onu, del diritto internazionale, degli accordi e le convenzioni internazionali e delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza.

El-Araby ha invitato la comunità araba ed internazionale ad assumersi le proprie responsabilità per porre fine ai continui attacchi di Israele contro gli stati arabi, sottolineando che “il silenzio della comunità internazionale sui bombardamenti avvenuti in passato contro i siti siriani, ha incentivato Israele a lanciare questa nuova aggressione, sfruttando il deterioramento della situazione politica e della sicurezza nel paese per commettere questo atto criminale”.

El-Araby ha sottolineato la necessità di ritenere Israele “pienamente responsabile per le conseguenze della sua aggressione”, ribadendo che “la Siria ha il diritto di difendere il proprio territorio e la propria sovranità, e di chiedere un risarcimento integrale per le perdite causate da questa aggressione, sia in termini di vite umane che materiali.

 

http://www.infopal.it/lega-araba-condanna-attacco-israeliano-sulla-siria/

 

Militarizzazione dell’Artico: “Dobbiamo ripensare al modo in cui si combatte la guerra”

di John Robles 
Global Research 
Voice of Russia and Stop NATO

Mentre il ghiaccio artico continua a sciogliersi e le risorse cominciano lentamente a diventare disponibili l’Occidente ha deciso di iniziare la militarizzazione della zona artica, nel tentativo di ottenere il controllo delle preziose risorse. In un’intervista con John Robles de La Voce della Russia, Agenta Nordberg, Vice Presidente del Consiglio di Pace Svedese (Swedish Peace Council) ha espresso il suo punto di vista sulla questione ed anche alcuni commenti sulla militarizzazione della Svezia, la Norvegia e il Nord e sull’espansione della NATO in aree “neutrali”.

Robles: Mi chiedevo se lei potesse parlarmi un po’ della NATO, nella regione artica, in particolare, può parlare ai nostri ascoltatori delle installazioni radar e satellitari, apparecchiature di comunicazione che hanno allestito in Norvegia e in Scandinavia?

Norberg: Beh, io non sono un tecnico, ma vi posso dire che di recente è stato pubblicato un libro: La guerra dei Satelliti di Bård Wormdal – un giornalista della radio norvegese. Ed è un libro molto importante, è stato pubblicato nel 2011.

L’ho invitato a Stoccolma nel mese di ottobre, quando ab biamo trascorso un giorno a parlare dell’Artico e della situazione nell’Artico e quello che egli dice è che bisogna cambiare idea su come viene condotta la guerra. La guerra viene condotta via satellite e installazioni radar.

Ad esempio, per essere chiari, per capire quello che c’è da capire: la guerra in Libia, l’anno scorso, è stata condotta via satellite da Svalbard. Questo è molto pericoloso perché questa isola, le isole Svalbard sono una zona di pace sottoscritta da 14 nazioni diverse, ma la Norvegia ha consentito agli Stati Uniti d’America Il dispiegamento di impianti radar, in connessione con il satellite che gestisce la guerra. Si tratta di una comprensione del tutto nuova del modo in cui la guerra viene condotta.

Robles: la NATO e gli Stati Uniti, sostengono che i loro missili, che ora circondano la Russia, e le loro installazioni radar in tutto il mondo, costituiscono in qualche modo uno scud o difensivo.

Norberg: E’ necessario fare delle distinzioni tra tutte queste cose: difesa missilistica nazionale, così la chiamano. Il radar Vardo vicino al confine con la Russia è una delle installazioni, e ci sono anche quelle in Polonia e in Turchia, e anche in Romania sarà  allestito uno scudo anti-missili. Questa è una cosa.

L’altra cosa sono tutti gli altri radar e satelliti che trasmettono informazioni ai  piloti e agli aerei da guerra su come e dove bombardare. Ho un globo qui davanti a me ed è quasi tutto coperto da impianti radar degli Stati Uniti per scopi diversi. Dunque, abbiamo questo scudo missilistico nazionale, che a loro parere è per la difesa, ed è anche un’arma offensiva. Può essere utilizzato come difesa ma può anche essere utilizzato come arma offensiva. E uno di questi radar è stato installato appena fuori dal confine con la Russia a Vardo.

Sono rimasto un po’ sorpreso quando ho incontrato scienziati russi e visitatori a Stoccolma, lo scorso anno nel mese di ottobre, ho organizzato un seminario sull’Artico, come ho accennato, e il rappresentante russo non era d’accordo con me sul fatto che questa fosse una situazione di pericolo. L’unico ad essere d’accordo con me era Bård Wormdal, il giornalista che aveva scritto il libro La Guerra dei Satelliti.

Sembra che ci sia mancanza di comprensione sulle installazioni che circondano il confine con la Russia, secondo la mia opinione. E penso che sia piuttosto pericoloso.

Robles: Perché l’esperto russo non era d’accordo con lei?

Norberg: Perché diceva che il radar Vardo non è pericoloso, e non ero d’accordo con lui. E anche Bård Wormdal era in disaccordo con lui.

Questo radar Vardo, a pochi chilometri dal confine con la Russia, è piuttosto pericoloso perché è inserito nel sistema di difesa missilistica, il cosiddetto sistema di difesa missilistica. Dunque, penso che lui non fosse a conoscenza di questo. Dissentivamo piuttosto fortemente sull’argomento e per questo sono molto contento che lei mi abbia invitato, così posso dirlo.

Robles: Non ci sono state molte notizie al riguardo. Ora, per quanto riguarda la NATO e l’Artico a nord e in Scandinavia e in Canada, può darci qualche dettaglio sui piani della NATO e sulle loro attività  in corso, in particolare nella regione artica, visto che si sta aprendo, e stanno diventando disponibili delle risorse che prima non erano disponibili?

Norberg: Devo tornare alla Svezia, perché durante gli ultimi anni, a partire dal 2007, ci sono stati grandi manovre di guerra sul suolo svedese e norvegese, con tutta la NATO, e in particolare lo Stato americano che ha partecipano alle grandi manovre nel nord.

Per citare qualche esempio: Il Nordic Air Mee t nel 2007 al quale molti paesi hanno preso parte, e poi nel 2009, c’è stata la Loyal Arrow: la manovra aerea più grande della storia nella parte settentrionale della Svezia e della Norvegia, e anche la Finlandia era in campo. E poi ha continuato con il Cold Response №1, una manovra d’inverno nella parte settentrionale di Svezia e Norvegia. E a marzo 2012 con la Cold Response №2 con 16.500 soldati provenienti da 15 paesi diversi. E poi, dopo questo lo scorso autunno c’è stata una grande manovra nel nord chiamata Nordic Air Meet №2.

Quindi, sono in corso esercitazioni di guerra militari e alcuni militari russi hanno protestato, in particolare contro Cold Response №2.

Nessuno in Svezia l’avrebbe saputo se 5 addetti norvegesi non si fossero schiantati sulla Kebnekaise, una montagna nel nord della Svezia, non avremmo mai saputo di questa manovra con 16.500 militari.

Quindi, sta accadendo, e non su base giornaliera, ma di certo ogni anno ci sono circa due grandi manovre nel nord, e anche nel sud, nel Baltico. E credo che questo debba essere evidenziato.

Robles: Ora … da quello che ho capito la Svezia è un paese neutrale, una sola cosa: come fa la Svezia a spiegare ufficialmente che ha permesso questi impianti? E pensa che tutte queste manovre abbiano lo scopo di intimidire la Russia o di cercare di esercitare la sovranità  sull’Artico? E a questo proposito, quello che accade l’hanno fatto per cercare di stabilire la propria sovranità  su aree artiche che erano in discussione?

Norberg: Beh, tornando all’Artico penso che ci sono due cose che stanno accadendo. Quando vengono intervistati, gli addetti a queste manovre,  rispondono sempre che questo è per l’Artico. Lo esprimono apertamente. Queste manovre sono per l’Artico e per le risorse che saranno disponibili quando il ghiaccio si scioglierà.

Agneta Nordberg è Vice Presidente dello Swedish Peace Council, Membro del Comitato Direttivo dell’International Peace Bureau (IPB) e del consiglio di amministrazione del Global Network Against Weapons and Nuclear Power in Space.

Fonte: Global Research 31 Gennaio 2013 
Traduzione: Anna Moffa per ilupidieinstein.blogspot.it



http://ilupidieinstein.blogspot.it/2013/01/militarizzazione-dell-ripensare-al-modo.html

 

Aiutiamolo per favore!

Ho avuto troppa fretta

La mia vita è piena di casini. Non bastano gli attacchi d’ira che mi prendono sempre più spesso, in cui mi metto a spaccare le cose. Non bastano le censure che le amiche animaliste mi elargiscono per aver parlato di loro senza autorizzazione. Non bastano le diffide della cooperativa per cui lavoro ad utilizzare foto ritraentiattrezzature della Provincia. Non basta la minaccia di Equitalia di pignorarmi i mobili per multe non pagate. Ora devo sentirle anche dall’avvocatessa Francesca Maurig, per averla ricusata. Non dico che mi venga voglia di farla finita, ma mi piacerebbe trovare un modo per ridurre al minimo o eliminare del tutto i contatti con la gente, fonte dei miei dispiaceri. Potrei diventare eremita, ma non sono del tutto sicuro che questo mi salverebbe dai casini. Forse verrebbero le guardie forestali, nella grotta in mezzo al bosco eletta a domicilio, a rompere le palle. O qualche escursionista impiccione.

Se poi aggiungiamo i miei due matrimoni falliti, una figlia quasi diciottenne che non ho visto crescere, il lavoro da statale che avevo, da cui mi sono licenziato, e la mia vita sentimentale paragonabile a un deserto della Tebaide (dove dovrei andare io), abbiamo un quadro generale in cui si deve ammettere: “Sì, la vita di quest’uomo è veramente incasinata!”.

Eppure non sono cattivo. Non credo, almeno.

 

E non dimentichiamo i processi che ho ancora in piedi, come spade di Damocle, uno dei quali mi vedeva difeso dall’avvocatessa Francesca Maurig, che mercoledì sera mi ha fatto una sfuriata al telefono. Il motivo è che volevo sapere cosa avevano deciso i giudici triestini del processo di secondo grado, in merito a una condanna a un mese per porto abusivo di strumenti atti ad offendere. L’udienza si è tenuta il 15 gennaio e a partire dal 17 avevo cominciato a telefonarle per avere qualche ragguaglio, ma non si faceva trovare. A volte il telefono squillava a vuoto. A volte scattava una voce registrata che diceva: “In questo momento la persona da lei chiamata non può rispondere. Si prega di provare più tardi”.

Io avevo provato ogni sera dal 18 al 25 (o il 26) gennaio, fino a quando ne ho avuto abbastanza della situazione d’incertezza e dell’impossibilità di comunicare con l’avvocatessa. Mai avrei immaginato che fosse fuori città.

Durante la sfuriata telefonica, infatti, quando non allontanavo il cellulare dall’orecchio, riuscivo a sentire le urla di Francesca Maurig che diceva di essere stata a Roma. C’era musica nel bar in quel momento e non sentivo bene. Però sapere che era fuori ufficio, andata magari a Roma per me, in Cassazione, mi ha fatto sentire una m.

Mi ha fatto venire in mente quel cinico proverbio che dice: “Non fare il male che è peccato; non fare il bene che è sprecato”. Lei ha fatto del bene a me e io l’ho ripagata in modo indegno, da ingrato.

Perché non ho avuto un po’ più di pazienza? In fondo non cambiava poi tanto se anche restavo senza notizie per qualche giorno in più. Forse ho avuto troppa fretta a ricusarla. Forse un’avvocatessa giovane che vede recapitare una ricusazione alla cancelleria del tribunale – e a lei per conoscenza – non è una buona pubblicità. Forse anche tra avvocati hanno le loro fisime e paranoie per cui se si sparge la voce che uno di essi viene ricusato, ne va della loro onorabilità. Alla fine magari perdono anche clienti, a forza di dai e dai.

Non so. Gli avvocati sono persone che mi mettono in difficoltà e in soggezione, specie il buon Lucio Calligaris che mi difende nell’altro processo, quello più serio e impegnativo in cui sono stato condannato a tre anni per danneggiamento seguito da incendio. Anche perché sono anni che mi difende a gratis e che non riceve una lira da me. A volte siamo riusciti ad ottenere il gratuito patrocinio, in virtù del fatto che sono disoccupato, ma non sempre la commissione che esamina la domanda rilascia parere favorevole.

Con la Maurig sarebbe successa la stessa cosa, cioè avrebbe dovuto essere pagata dallo Stato, in quanto io non ho soldi per pagarla. Non ho capito tutto ciò che mi urlava al telefono, ma temo che avendola ricusata a questo punto delle cose, non potrà godere della mercede statale prevista per legge e ciò spiega perché fosse furibonda con me: perché praticamente mi ha difeso gratis, finora.

 

Tutto ciò non sarebbe successo se quello animalista fosse un movimento con le palle e avesse una squadra d’avvocati che si prendano la briga di difendere i suoi membri. Ma il movimento animalista, essendo composto principalmente da donne, le palle non può averle di sicuro. E’ ovvio! Quando manca il testosterone…

Come mai ad occuparsi dei diritti civili degli animali ci sono principalmente donne? All’inizio pensavo che dipendesse dall’istinto materno, ma ora penso che si tratti di una categoria d’oppressi che solidarizza con un’altra categoria d’oppressi, contro il maschio tiranno.

Ne consegue che due gruppi di vittime non potranno mai spuntarla contro il comune oppressore.

Io, benché appartenente al sesso maschile, e quindi anomalo rispetto alla norma, sono un membro di vecchia data di questo sciagurato gruppo d’idealisti. Ho dato la mia vita per gli animali ed è chiaro che gli animali non possono né difendermi in tribunale, né trovare avvocati umani che lo possano fare, ma gli animalisti sì che potrebbero.

Non lo fanno perché sono codardi, perché sono vigliacchi e non hanno il coraggio delle proprie idee. Sono buoni solo a chiacchiere, a camminare in corteo con i lumini in mano e a litigare su Facebook. Queste sono le animaliste nell’anno di grazia 2013. Ma non si deve credere che nel 1981, anno in cui organizzai la mia prima manifestazione, o nel 1982, anno in cui fui arrestato la prima volta, le cose fossero migliori.

Siamo sempre stati un esercito delle dodici scimmie e, di tutte e dodici, quattro tengono le mani sugli occhi, quattro sugli orecchi e quattro sulla bocca. Il risultato è che gli animali continuano a morire in gran numero, il consumo di carne aumenta, le pellicce in circolazione pure, i circhi registrano grandi afflussi di spettatori, la caccia non è stata ancora abolita e gli aguzzini d’animali ridono di noi, delle nostre sceneggiate ingenue e delle nostre noiose, irose e sterili manifestazioni.

 

Quando c’è da dare una mano a chi veramente combatte questo marcio sistema, tutti si tirano indietro e sono i non animalisti, come l’avvocato Calligaris, a fare il lavoro che dovrebbe essere fatto da altri. A parte la povera Maurig, che non solo non è animalista, ma non avrebbe mai immaginato d’incontrare sulla sua strada un losco figuro incasinato come il sottoscritto.

Mi sento in colpa, ma ormai la lettera alla cancelleria è stata mandata. Che figura ci farei se chiedessi al tribunale di non tenerne conto? Non mi sarei aspettato che la mia ricusazione “per non sentirmi adeguatamente difeso”, l’avrebbe mandata fuori dai gangheri. In fondo, anche gli avvocati hanno un’anima. Anche gli avvocati hanno dei sentimenti. Ma perché non mi ha avvisato che stava fuori città per una settimana? Mannaggia!

Le ho mandato una mail di scuse, ma temo che sia come mettere sale su una ferita. Siamo sicuri che non la prenderebbe come una presa in giro? Oltre al danno, la beffa.

Quando le ho farfugliato che non sapevo che, ricusandola, non sarebbe stata pagata, mi ha replicato che queste cose le so benissimo, invece, mentre io giuro che non le sapevo. Non l’ho fatto apposta.

L’unica sarebbe di pagarla per il disturbo della difesa di primo grado, ma o pago lei o pago l’affitto. O pago lei o pago le bollette della luce. Che schifo di mondo, però. Amarezze una via l’altra. Discordia in tutti gli angoli. Frustrazioni a go go.

Ma la voglia di farla finita ancora no. Come diceva quel grande uomo di Ceronetti, siamo su questa terra per fare il male o patirlo.

Una volta corre il cane, una volta la lepre e stavolta è toccato a me far star male una brava persona, donna in carriera, avvocato non più di fiducia, per me.

Le animaliste dormono il sonno dei giusti: le belle addormentate.

Il loro sedicente movimento, in coma profondo.

Sob!

http://freeanimals-freeanimals.blogspot.it/2013/02/ho-avuto-troppa-fretta.html

 

La Cia ci spia a nostra insaputa

31 GENNAIO 2013 DI DONATo

 

di Andrea Perrone

L’impero a stelle e strisce spia in gran segreto i cittadini europei che usano i motori di ricerca della rete informatica, ovvero i cosiddetti servizi “cloud computing”. A sottolineare la minaccia è uno studio commissionato dall’Europarlamento in cui si mette in  luce un problema di sicurezza per gli utenti europei che hanno profili “cloud” su server statunitensi. Le autorità americane sono autorizzate a chiedere informazioni ai server statunitensi e questi ultimi a fornire tutti i dati richiesti. Gli Usa compiono così attività di spionaggio ai danni dei cittadini europei e a loro completa insaputa.  E questo avviene grazie ad una legge statunitense sullo spionaggio, modificata lo scorso anno, che autorizza il controllo dei dati sensibili di stranieri se questi sono immagazzinati usando i cosiddetti servizi cloud statunitensi forniti da provider come Google, Microsoft, Amazon, Dropbox e Facebook. A conferma di quanto denunciato all’Assemblea di Strasburgo le norme sono elencate in una relazione pubblicata di recente dal titolo Fighting Cyber Crime and Protecting Privacy in the Cloud, prodotto dal Centre for the Study of Conflicts, Liberty and Security. La legge promulgata dagli Usa è nota con la denominazione Foreign Intelligence and Surveillance Amendments Act (FISAA) ed evidenzia molti rischi nei confronti della sovranità dell’Unione europea sui dati dei suoi cittadini. In sintesi è bene ricordare che la legge promulgata dagli Usa autorizza la sorveglianza di massa di tutti i non-americani che utilizzano internet per scopi politici. Ma in realtà sono i cittadini che vivono sotto giurisdizioni straniere a dover essere ancora più preoccupati, ha sottolineato Caspar Bowden, co-autore della relazione ed ex consulente capo per la privacy per Microsoft Europa. A suo dire, l’emendamento FISAA del 2008 ha creato un potere di sorveglianza di massa mirato specificamente a dati di persone non-statunitensi, residenti fuori dall’America ed applicabile al sistema di “cloud computing”. La legge concede infatti carta bianca al monitoraggio di giornalisti, attivisti e politici europei che si occupano di argomenti concernenti la sfera di interessi degli Stati Uniti. “Si rivolge intenzionalmente solo alle persone non statunitensi che si trovano al di fuori degli Stati Uniti e prevede una autorizzazione un anno alla volta. Non vi è alcuna garanzia individuale”, ha osservato Bowden, che attualmente svolge l’attività di avvocato indipendente per i diritti dell’informazione. La FISAA prevede espressamente che il Procuratore generale e il direttore della National Intelligence Security possono autorizzare congiuntamente, per un periodo massimo di un anno, l’acquisizione di informazioni di intelligence su persone straniere. L’emendamento cita una serie di limitazioni, ma Bowden, che è anche co-autore della relazione per l’Europarlamento, ha messo in guardia che la legge permette agli Stati Uniti di condurre attività di controllo su stranieri attraverso i dati resi accessibili dai server statunitensi. “Non deve essere per forza un partito politico, ma possono essere un gruppo di attivisti o chiunque sia coinvolto in attività politiche o anche solo dati provenienti da un territorio straniero che si riferiscono alla condotta degli Affari esteri degli Stati Uniti”, ha commentato Bowden. Il FISAA, ha sottolineato il co-autore della relazione, rende legale per Washington, esercitare una sorveglianza di massa continua sulle comuni attività politiche democratiche e legali, e potrebbe spingersi fino ad obbligare i fornitori Usa di servizi cloud come ad esempio Google a fornire un’intercettazione in diretta dei dati degli utenti europei. Il tentativo dell’Ue di utilizzare delle società di revisione private per fermare le indebite intercettazioni è comunque destinato a fallire. È lo stesso Bowden a sottolineare che queste società non sono in grado di scoprire le attività di intelligence avviate dalla legge Usa sulla sicurezza nazionale di un altro Paese. Insomma verrebbe di dire come in passato: “la Cia ci spia” a nostra insaputa. Sì proprio così, l’impero a stelle e strisce teme per la sua “salute” e per quella dell’Europa-colonia. D’altronde sono molti i segnali di crisi non solo economica ma sociale, che preoccupano i solerti funzionari dell’intelligence e che per questo ritengono sia necessario prepararsi ad ogni evenienza.

http://freeyourmindfym.wordpress.com/2013/01/31/la-cia-ci-spia-a-nostra-insaputa/

 

Germania rimpatria oro. Motivo? Rischio di una grande crisi globale

di: WSI Pubblicato il 01 febbraio 2013

Crisi valutaria, implosione dell’euro, o fallimento Usa: Berlino agisce prima che sia troppo tardi. Rumor: anche l’Olanda si prepara. D’altronde i lingotti non sono solo commodity e strumenti di trading. Sono moneta: che può essere utilizzata quando tutto il resto fallisce.

 Nella foto lingotti d’oro. La Germania rimpatrierà quasi tutto il suo oro fisico all’estero

ROMA (WSI) – La Germania riporterà in patria circa 36 miliardi di dollari in oro dai depositi negli Stati Uniti e in Francia. Ha affidato a una nota il suo messaggio la Bundesbank: lì in poche righe, la Banca centrale del paese ha comunicato il rientro entro il 2020 nelle casse tedesche di 374 tonnellate d’oro immagazzinate a Parigi. Mentre ulteriori 300 tonnellate faranno ritorno in Germania da New York. Calcolatrice alla mano, entro il 2020 la Germania distribuirà l’oro in modo da avere la metà delle sue 3.400 tonnellate a Berlino, mantenendo il 37% delle riserve a New York e il 13% a Londra.

 Secondo gli esperti dietro queste manovre di rientro del metallo prezioso c’è una strategia chiara che a qualcuno sfugge, dal momento che la Germania possiede già parecchio oro in casa, le riserve complessive della Banca centrale tedesca che ammontano a 183 miliardi di dollari in oro rappresentano circa il 10% di tutto l’oro mondiale e un simile trasloco ha costi notevoli. 

 Cosa sta succedendo? Gli economisti sono convinti che la Bundesbank ritenga plausibile una crisi anche di grande proporzione. I media, infatti, spesso non pongono l’accento sul fatto che, in caso di eventuale fallimento degli Stati Uniti, implosione dell’euro o di una catastrofe finanziaria di grande portata, l’accesso all’oro sarebbe quasi certamente limitato. 

Insomma, se la Germania volesse rientrare in possesso del suo oro in tempi di crisi conclamata, qualsiasi richiesta di trasferimento sarebbe difficile da concretizzarsi e, come minimo, ci sarebbero ritardi.

 Nel peggiore dei casi tali richieste potrebbero essere negate, a seconda della circostanza del momento. Ecco spiegato dunque perché Berlino ha deciso di non aspettare più tempo. Si sta probabilmente preparando a fronteggiare un evento di grande portata: che forse non è probabile che accada nel breve termine, ma che è sicuramente possibile. L’atteggiamento della Germania conferma e anzi rafforza il fatto che l’oro, alla fine, è sinonimo di moneta. Il lingotto fisico, in definitiva, non è solo una commodity, o un veicolo per fare trading giornaliero, o anche un investimento. E’ una protezione, un hedge che protegge contro determinati eventi: e, in casi estremi, diventa qualcosa che può essere utilizzato per pagare beni o servizi, quando tutti gli altri mezzi di pagamento falliscono. 

 E visto che ormai si parla di crisi valutaria, visto che la stessa Bundesbank è consapevole di questo rischio, si decide di rimpatriare, a maggior ragione, le quantità dell’oro. Purtroppo c’è da ricordare un particolare che viene spesso dimenticato: nessuna valuta dura per sempre. E a questo punto una crisi valutaria è inevitabile visto che niente è mutato nei livelli dei debiti dei paesi mondiale, dei deficit, nella stampa di moneta: a parte il fatto che tali fenomeni continuano a crescere.

 E ora ci sono rumor secondo cui anche l’Olanda e l’Azerbaijan sono pronti a rimpatriare parte dell’oro dislocato all’estero. Corsa all’oro come corsa agli sportelli?