A. Gruško, ambasciatore russo alla NATO: «La mentalità dei blocc hi è ancora viva»

15 febbraio, 2013 “Meždunarodnaja žizn’” Eurasia

Offriamo di seguito la traduzione dell’intervista realizzata da “Meždunarodnaja žizn’”, rivista del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa e partner dell’IsAG, a Aleksandr Gruško, ambasciatore russo presso la NATO ed ex vice-ministro degli Esteri, che in tale veste ha pubblicato un articolo nel primo numero di “Geopolitica”, Vent’anni di Russia.

 Meždunarodnaja žizn’: Come valuta l’evoluzione dei rapporti tra Russia e NATO? Cos’è importante per uno sviluppo fruttuoso di questi rapporti?

A. Gruško: Un’evoluzione c’è ma, purtroppo, i cambiamenti dello scenario politico-militare nell’area euro-atlantica, chiaramente, oggi non stanno al passo con i trend, in tutti i campi chiave dei rapporti interstatali ed economici, d’integrazione e d’interdipendenza. Parlando della Russia, tutti i vettori del suo sviluppo dipendono interamente dal rafforzamento dell’interazione con il mondo esterno e dal successivo incorporamento nel processo economico globale.

gInoltre, nella sfera politico-militare non è stata ancora sradicata completamente la mentalità basata sulla contrapposizione dei blocchi. Ci sono giunte esortazioni per “una frenata” della Russia. Continua il processo di espansione della NATO. Privo di significato nel contesto odierno, questo processo genera la ricerca dell’avversario e fomenta gli stereotipi nell’atteggiamento “degli Stati vicini al fronte”.

Di conseguenza particolare significato acquisisce la realizzazione dell’intesa raggiunta durante il summit del Consiglio NATO-Russia (CNR), tenutosi a Lisbona (novembre 2010), riguardante la costruzione di rapporti realmente strategici e modernizzati tra partner, basati sui principi di indivisibilità della sicurezza, di fiducia reciproca, trasparenza e prevedibilità. In quest’occasione è stato fissato un obiettivo, riuscire nella formazione di uno spazio unico, uno spazio unico di sicurezza e di stabilità, nell’area euro-atlantica. Tutti i membri del Consiglio NATO-Russia hanno riconosciuto che non si considerano l’un con l’altro una minaccia, che l’odierno invito alla sicurezza ha un carattere transnazionale e richiede una risposta collettiva. Solo insieme possiamo combattere efficacemente. E segnali politici di questo genere hanno un grande significato per l’opinione pubblica dei nostri Paesi, contribuiscono al rafforzamento della stabilità e del la prevedibilità negli affari politico-militari.

In linea di principio era importante la conferma, a Lisbona, della necessità di rafforzare il dialogo politico continuo all’interno del Consiglio NATO-Russia. Nel vocabolario NATO-Russia si è consolidata l’espressione speciale “per tutte le stagioni”. Questo significa che anche quando tra noi nascono delle divergenze, il dialogo non deve cessare, il meccanismo di consultazione deve continuare a lavorare “in qualsiasi circostanza e in merito a qualsiasi questione”. Il dialogo confidenziale dell’area CNR costituisce uno degli strumenti utilizzati per la ricerca di soluzioni costruttive in relazione a questioni problematiche e al consolidamento della fiducia reciproca. Motivo di consultazione diventeranno soprattutto i problemi attuali, che riguardano la sicurezza nella regione euro-atlantica.

Al contempo, un partenariato veramente strategico, annunciato durante il summit CNR a Lisbona nel novembre 2011, per ora non è stato realizzato. Alcuni nostri partner cercano a qualsiasi costo di mantenere la propria invulnerabilità, dimenticando che nelle condizioni attuali il rafforzamento della propria sicurezza a danno della sicurezza altrui genera solo nuovi rischi. Questi rischi sono legati innanzitutto alla realizzazione progressiva del progetto dello scudo antimissilistico USA/NATO in Europa. Ma come è già successo, i tentativi di creare un’“enclave di sicurezza” per Paesi selezionati in un contesto di globalizzazione non daranno il risultato sperato.

In generale siamo pronti ad aumentare la cooperazione con i Paesi della NATO in quei settori in cui abbiamo interessi comuni di sicurezza, nel sostegno della parità di diritti e nel rispetto dei principi del diritto internazionale.

Nell’agosto del 2011, durante una delle discussioni, Lei ha affermato che “per quanto riguarda il lavoro sulla sicurezza comune ci siamo indirizzati verso l’unione delle risorse. Riguardo le questioni principali, inerenti le minacce globali, le visioni di Russia e NATO convergono”. Qual è la ragione della decisione presa riguardante l’unione delle risorse? Quali risorse precisamente e quanto durerà questo processo? Concretamente, riguardo a quali questioni inerenti le minacce globali le posizioni di NATO e Russia convergono?

A Lisbona è stata concordata una Rassegna congiunta delle sfide alla sicurezza comune nel XXI secolo. Queste minacce sono il terrorismo internazionale, compresa la vulnerabilità dell’importante infrastruttura critica, la pirateria, la diffusione delle armi di distruzione di massa e dei mezzi per trasportarle, le catastrofi naturali e tecnologiche.

Per quanto riguarda l’unione delle risorse questo discorso interessa i progetti di cooperazione pratica all’interno del CNR. La lotta al terrorismo, compresa la creazione di strumenti per il rilevamento di ordigni esplosivi rudimentali, il perfezionamento dei meccanismi di coordinamento delle attività, includendo la lotta al terrorismo “dall’alto”, alla pirateria (le navi della Marina Militare russa e della Marina Militare dei Paesi NATO cooperano strettamente nel golfo di Aden), la compatibilità operativa dei contingenti di pace, la standardizzazione delle armi da guerra, la ricerca e il salvataggio marittimo, la logistica militare, la medicina militare e altri. In reazione alle catastrofi naturali e tecnologiche ci prestiamo aiuto l’un all’altro. Cooperiamo rispetto alla questione Afghanistan: è stata avviata una preparazione congiunta degli specialisti per la lotta alle droghe e dei tecnici terrestri per l’assistenza dell’elicottero di produzione russa . In conformità alla risoluzione 1386 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Russia assicura il transito attraverso il territorio russo del personale e di merci “non letali” per le necessità dei contingenti dell’International Security Assistance Force (Isaf).

Tutte le dichiarazioni da parte della leadership NATO riguardanti il rafforzamento della sicurezza paneuropea vanno parallele all’aumento della difesa missilistica in Europa, campo in cui non c’è una cooperazione con la Russia. La Russia è intervenuta con la proposta di istituire dei centri simili, intesi come un comune centro NATO-Russia per la fusione dei dati riguardanti la questione dei missili e anche come un Centro comune per la pianificazione e l’operazione. Da parte della Russia c’è l’offerta di istituire un nuovo regime di trasparenza fondato sullo scambio regolare di informazioni circa i mezzi di difesa anti-missile attualmente in dotazione alla NATO e alla Russia. Secondo Lei, quanto siamo vicini alla realizzazione di questi piani? Si pone come obiettivo il coinvolgimento della leadership NATO in azioni collettive riguardanti la sfera di difesa antimissile?

La difesa antimissile rimane una delle questioni chiave all’ordine del giorno nell’agenda di lavoro NATO-Russia. Sfortunatamente, per il momento persistono importanti divergenze riguardanti i metodi operativi. Continua la coerente realizzazione del graduale disegno volto allo spiegamento dei componenti di difesa antimissile globale USA in Europa, con il coinvolgimento attivo in questo progetto degli altri Stati della NATO.

Tuttavia non segnaliamo nessun tipo di cambiamento di principio nella decisione riguardante le questioni, per noi chiave, inerenti la difesa antimissile. Per noi è estremamente importante ottenere garanzie affidabili, fondate su precisi criteri tecnico-militari e geografici, relativamente al fatto che questo sistema non sia rivolto contro le forze di deterrenza nucleare russe e corrisponda allo scopo dichiarato di difendersi dalle minacce missilistiche che provengano da oltre i confini della regione euro-atlantica. Sicuramente, l’affidabilità di queste garanzie conferirebbe loro il carattere di impegni giuridicamente vincolanti. E quindi noi potremmo stabilire i limiti opportuni per la cooperazione nell’ambito della difesa antimissile, limiti che assicurerebbero che gli sforzi investiti nel lavoro comune non siano successivamente “resettatati” in seguito al cambiamento delle priorità degli Stati-membri che saranno coinvolti in questo progetto. Il livello di chiarez za o, al contrario, di reticenza riguardo questa questione chiave determinerà il carattere dei rapporti Russia-NATO in tutti gli ambiti. Si tratta di un test per verificare la disponibilità alla realizzazione pratica del principio di indivisibilità della sicurezza nello spazio euro-atlantico.

Noi siamo convinti che se vi fosse la volontà politica sarebbe assolutamente realistico elaborare una configurazione “assennata” del sistema di difesa antimissile, che proteggerebbe in modo affidabile l’Europa da eventuali minacce missilistiche senza compromettere al contempo la stabilità strategica. Per giunta durante le esercitazioni militari computerizzate del comando, realizzate in Germania, gli esperti russi e della NATO si sono potuti accertare che proprio il sistema di difesa antimissile costruito collettivamente è il più efficace per il respingimento delle minacce missilistiche. Seguendo questa strada si crea l’opportunità di aprire un nuovo capitolo riguardante i rapporti USA e NATO, ovvero la realizzazione pratica del principio di indivisibilità della sicurezza.

Noi siamo pronti a continuare il dialogo se basato sul sostegno reciproco e sul rispetto severo del diritto internazionale.

Il suo predecessore in questo ruolo, Dmitrij Rogozin, più di una volta si è espresso riguardo la crisi della filosofia Patto Atlantico. Lei cosa pensa in merito?

È evidente che all’interno della NATO si continua a discutere degli obiettivi e dei problemi dell’Organizzazione in condizioni di sicurezza mutate. Per i politici che pensano in maniera costruttiva, con la fine della guerra fredda, la missione storica dell’alleanza riguardante la difesa territoriale collettiva da qualche “minaccia dall’est” ha in realtà perso ogni significato. Tuttavia vediamo che si conducono studi, sul modello dei quali si aprono gli scenari dell’articolo 5 dell’accordo di Washington inerente la difesa collettiva. E questo non può non suscitare domande.

Da parte nostra osserviamo con attenzione i tentativi di trasformazione della NATO, con il consolidamento della sua componente civile e della politica di correzione dei suoi partner. Evidenziamo il fatto che, in condizioni di restrizione dei bilanci, si siano verificati dei ridimensionamenti delle Forze Armate nella maggior parte dei Paesi dell’alleanza. Al fine di limitare i costi si realizzano così i progetti detti di “difesa intelligente”.

E se la priorità sarà data non alla “mobilitazione” dell’unità dei Paesi NATO per cercare a tutti i costi un “avversario geopolitico”, ma ad affrontare le sfide reali del mondo contemporaneo sotto l’egida dell’ONU, allora questo aprirà ad ulteriori possibilità nell’ambito del rafforzamento del partenariato con i Paesi NATO.

Secondo Lei, i rapporti tra Russia e NATO dipendono dal livello del rapporto che c’è tra USA e Russia?

Certo che dipendono. Ma i nostri partner del Consiglio Russia-NATO amano ripetere che la NATO è un’unione di Stati sovrani, ognuno dei quali ha una sua voce indipendente, e le decisioni nell’ambito dell’alleanza si basano sul consenso. Non sempre, non a riguardo di tutte le questioni, comprese quelle riguardanti gli aspetti concreti dei rapporti con la Russia, la NATO esprime un parere unanime. Noi capiamo questo e cerchiamo di lavorare con i partner nel quadro di tutti i meccanismi bilaterali e multilaterali esistenti. Il nostro dialogo con gli USA è uno degli strumenti più importanti per il mantenimento della stabilità strategica e in questo contesto esso indubbiamente assume un importante significato in relazione ai nostri rapporti con la NATO. Un concreto esempio è la situazione inerente lo scudo antimissile.

È noto che l’alleanza inizierà un riordino dei suoi problemi e obiettivi. Ci sono versioni diverse riguardanti questo processo: da una parte si pensa che esso avverrà attraverso l’annessione nell’alleanza di Australia e Giappone, dall’altra parte si prefigura l’attivismo geopolitico della NATO attraverso i contatti bilaterali con i Paesi-non membri della NATO considerati individualmente. Il riferimento è all’Iniziativa di Cooperazione di Istanbul (ICI). Il principio di trasparenza dell’ICI prevede la partecipazione a questa iniziativa di tutti i Paesi interessati della regione del Grande Medio Oriente. Abbiamo constatato i frutti di questa iniziativa nelle situazioni con la Libia e la Siria, quando molti Paesi del Medio Oriente si sono uniti contro gli Stati-bersaglio. Nello stesso tono si è conclusa l’iniziativa di Chicago: la NATO si assume la responsabilità mondiale della sicurezza. Come reagirà la Russia a questo processo? Su cosa si baserà?

Il pericolo della globalizzazione delle ambizioni NATO noi lo constatiamo innanzitutto nell’aspirazione di realizzare il potenziamento dell’alleanza violando le norme del diritto internazionale, di trasformare l’alleanza in uno strumento per realizzare pesanti ingerenze laddove si sviluppano difficili conflitti interni.

L’ultimo esempio è la Libia. L’operazione per garantire l’embargo delle armi e la zona d’interdizione al volo ha di gran lunga oltrepassato il limite della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e si è di fatto trasformata in una serie di azioni volte a rovesciare un regime che hanno avuto un finale scioccante e hanno mietuto vittime tra la popolazione civile a causa degli attacchi missilistici.

Tanto più noi ci poniamo delle domande quando cercano di proiettare “il modello libico” nelle altre situazioni della regione. Alcuni politici affermano che per le misure militari drastiche quasi non sarebbe necessario il mandato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’importante sarebbe invece ”stare dalla parte giusta della storia”. Ma è proprio la storia a confermare che l’intervento di forza esterno non può garantire una risoluzione a lungo termine ed affidabile dei conflitti nazionali. Sono necessarie, da parte degli attori esterni, riservatezza, lavoro meticoloso e coerente attraverso la promozione del dialogo con la partecipazione di tutte le forze politiche coinvolte.

(Traduzione dal russo di Francesca Chiarvesio)

FONTE:

Международная жизнь, 13 dicembre 2012.

 


 

http://www.geopolitica-rivista.org/20387/a-grusko-ambasciatore-russo-alla-nato-la-mentalita-dei-blocchi-e-ancora-viva/

 

Le Iene, annuncio choc: “Troppi debiti, mi uccido per mia figlia”

Giuseppe, in cassa integrazione da tre anni, ha pensato di suicidarsi per risparmiare a sua figlia piccola i debiti che lo ossessionano. Una storia choccante quella raccontata da Matteo Viviani nel servizio a Le Iene, che cerca di ridare speranza a una delle numerose vittime dei debiti e della mancanza di lavoro in questo periodo di crisi.

MILANO – Un’altra vittima dei debiti e della cassa integrazione. Una storia che lascia a bocca aperta quella di Giuseppe, un assemblatore di lavatrici in cassa integrazione da tre anni, oberato dai debiti ed incalzato quotidianamente dalle banche affinchè ripaghi i suoi debiti. L’ha incontrato per la seconda volta Matteo Viviani: la Iena aveva già incontrato il 45enne qualche mese fa quando si era fatto intervistare a volto nascosto dopo la sua decisione di mettere all’asta un rene. La sua situazione economica non è andata migliorando e, privo di prospettive future, l’uomo è arrivato addirittura a pensare di suicidarsi per liberare la figlia dai debiti: “Ho una figlia di 3 anni, voglio lasciarla a posto con i soldi. Suicidandomi, i miei debiti morirebbero con me”. Viviani si rende conto che i problemi economici dell’uomo sono diventati una vera e propria ossessione e non vede alcuna prospettiva. Trascorre con lui del tempo, cercando di farlo ragionare, cercando insieme tra le proposte di lavoro, suggerendogli di provare a vendere biscotti porta a porta: bisogna combattere per cambiare le cose, quello che conta è l’atteggiamento davanti ai problemi, davanti ai rifiuti. Giuseppe ha anche provato a cercare un nuovo impiego ma le condizioni della cassa integrazione non gli consentono di accettare un lavoro se ha orari coincidenti con quelli del suo vecchio posto di lavoro. Giuseppe aveva infatti trovato un modesto posto come centralinista in un call center, che gli permetterebbero di integrare con circa 400€ al mese i 500€ versati dalla cassa integrazione. Ma secondo un esperto del lavoro non può, la legge stessa gli impedisce di risollevarsi dalla condizione di debito in cui si trova. Giuseppe è però determinato, continuerà il suo lavoro nel call center, cercando di lavorare solamente negli orari consentiti dalla legge per non perdere la cassa integrazione, ovvero dopo le 17 o di sabato.

http://www.net1news.org/cronaca/crisi/iene-annuncio-choc-troppi-debiti-mi-uccido-per-mia-figlia.html

La denuncia di Confartigianato: “impossibile contattare Equitalia per telefono”

i taglieggiatori dei banchieri non si fanno nemmeno trovare


Cronaca

La denuncia di Confartigianato: “impossibile contattare Equitalia per telefono”

16/02/2013 

 

Confartigianato Imprese Lecce denuncia: “Equitalia è «irraggiungibile» dal telefono. Non è più possibile, infatti, contattare le sedi territoriali”

 

Impossibile contattare le sedi territoriali di Equitalia perché, tramite il call center, “fornisce all’utenza numeri inesistenti”. E’ quanto denunciato da Confartigianato Imprese Lecce e dal suo direttore Amedeo Giuri. 

Pare che la direzione generale Equitalia di Lecce, in via Dalmazio Birago, abbia cambiato il proprio gestore telefonico e non abbia aggiornato i propri contatti. “Sul sito – si legge in una nota di Confartigianato – si legge ancora il vecchio numero (0832.33.51.11) che risulta inesistente sia da telefonia fissa sia da telefonia mobile. Quando si ha la fortuna di prendere la linea e parlare con un operatore, dopo una lunga e paziente attesa, l’addetto fornisce, per poter comunicare con la direzione provinciale, lo stesso numero (0832.33.51.11) ormai inattivo. Per giunta, gli sportelli territoriali hanno disattivato i propri numeri”.

«Abbiamo ricevuto diverse segnalazioni da parte delle nostre aziende – spiega il direttore di Confartigianato Imprese Lecce,

Amedeo Giuri – I disservizi di Equitalia sono gravi ed ingiustificabili, soprattutto in questo difficile momento congiunturale. Le imprese e le famiglie – aggiunge – hanno la necessità di interloquire con chi pretende il pagamento di una cartella esattoriale. Equitalia, da parte sua, non può e non deve sottrarsi al confronto o, in taluni casi, al contraddittorio, ‘schermandosi’ dietro numeri inesistenti».

http://www.leccesette.it/dettaglio.asp?id_dett=11632&id_rub=58

 

Centrosinistra. Ipocrisia a go-go tra i puri della questione morale

Bersani, Monti e Vendola sempre più vicini dopo l’appoggio di Obama e di Schauble 

michele mendolicchio

Questo indignarsi a comando proprio non ci piace. Sa tanto di ipocrisia. Vedere solo quello che fa comodo non è un insegnamento da seguire. E quale sarebbe “l’Italia giusta”, forse quella di Bersani? O quella del suo ex braccio destro Penati che prendeva tangenti a sua insaputa? E’ facile fare i moralisti quando si tratta di dare addosso all’altro. Stiamo ancora aspettando di conoscere dove sono finite le tangenti che secondo i magistrati avrebbe preso l’ex presidente della Provincia di Milano. E non si tratta certo di pochi euro. I
l ripetersi della storiella che quando tocca al Pci-Pds-Ds-Pd è solo colpa personale di qualche sciaguratello non regge più. “La storia non si ripete mai negli stessi termini, non credo tecnicamente si possa definire una tangentopoli simile a quella di quegli anni”, questa la risposta di Bersani a quanto sostenuto invece da Monti. Purtroppo la storia si ripete, eccome. Allora il signor G, oggi il signor P. Se poi c’è qualcuno che pensa di avere le mani pulite lo pensi pure, noi non lo pensiamo. I fatti della Regione Lazio, della Lombardia, di Genova lasciano intendere che tutti banchettavano, con la sola eccezione dei radicali. Anche la Lega che agitava il cappio è scivolata sulla stessa buccia di banana. Purtroppo la corruzione è nel dna del genere umano, al di là del colore politico. Occorre combatterla ma senza ipocrisie. E invece di ipocrisia da tangentopoli in poi se n’è vista tanta. Meglio un Berlusca che ti spiattella in faccia la realtà piuttosto che coloro che fanno finta di indignarsi ma intanto le tangenti le prendono e le danno come gli altri. “Nel 1992 si pensava che il fenomeno delle tangenti era alla fine, invece siamo qui di nuovo”, a discuterne, -questo il commento dell’uomo delle banche. Eppure nel suo campo le tangenti sono una sorta di festival. Ma torniamo all’uomo che non deve chiedere mai. “La destra ci lascia catastrofe etica e morale” questo il convincimento dell’uomo tutto d’un pezzo. Come se quella lunga stagione di tangenti e di rifornimento per le casse dei partiti non avesse lasciato traccia. Troppo comodo scaricare sugli altri il malcostume delle mazzette. “L’Italia giusta” è quella di Penati? O quella di Lusi? Oppure quella di Maruccio? O forse quella di Mps? Naturalmente nell’altra sponda di esempi simili se ne possono fare a iosa. Però se tutto questo ci indigna e ci fa schifo non capiamo del perché il movimento dei puri non raccolga il massimo consenso. Ieri è stato rappresentato dall’IdV, oggi dal partito di Ingroia. Allora bisogna ritenere che la gente sulla questione morale non la pensi allo stesso modo del partito dei magistrati. Altrimenti Ingroia e Di Pietro starebbero a Palazzo Chigi. E se poi ci mettiamo pure il carico da 90 di Grillo ovvero il cosiddetto politometro le cose si mettono proprio male. Chi si salva? Paradossalmente forse il solo Berlusconi. Intanto, corruzione e propaganda vanno di pari passo. E va avanti anche il progetto della troika italiana. Bersani, Monti e Vendola sono sempre più uniti anche per le spinte esterne. Stiamo parlando non solo dell’Ue e soprattutto del governo tedesco ma anche dell’amministrazione americana. Il sostegno di Obama a Monti lascia intendere che il rapporto a tre è accettato anche nella bigotta terra yankee. Questo vuol dire una bella pioggia di tasse, di precarietà, di povertà e di pantagrueliche mangiate per banche e multinazionali. Che ci resta? L’illusione che tutto cambi per non cambiare nulla. “Io -spiega Bersani- ho fatto l’alleanza con Vendola non per scherzare, l’ho fatta con un governatore, con un europeista, certamente con un uomo di sinistra”. Insomma la classica foglia di fico. Non è che se uno si dichiari di sinistra o di destra o di centro sia migliore degli altri. Se non togli l’Imu, se non riduci le tasse, se non diminuisci la disoccupazione, se non ridai ossigeno alle imprese e alle famiglie diventa tutto inutile.
Ma se non si esce dall’euro sarà praticamente impossibile ridare fiducia e speranza agli italiani. E la stessa cosa vale per gli altri Paesi. La tanto decantata moneta che piace a Bersani, Vendola, Casini, Monti e tutta quella corte di camerieri sta portando al suicidio di lavoratori, di imprenditori e di coppie che si vedono sottrarre anche la casa. E’ successo in Spagna dove i pignoramenti delle abitazioni vanno a gonfie vele. E come via di fuga non resta che suicidarsi.
Non è forse il caso di affidarsi al condono in casi simili? A quanto sembra per i soliti moralisti da strapazzo no.
 


16 Febbraio 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19063

Mali. Bamako e Mnla: dialogo tra sordi

Le autorità maliane chiedono il disarmo dei tuareg, i quali non sono intenzionati a deporre le armi. Ma riconoscono l’integrità territoriale del Mali 


Francesca Dessì

Un’altra guerra si profila in Mali, al termine dell’operazione francese Serval. Si tratta della battaglia delle negoziazioni tra il governo di Bamako e i ribelli del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla).
Per il momento è un dialogo tra sordi. Le autorità maliane continuano a ripetere che “non ci saranno negoziazioni fino a quando l’Mnla non deporrà le armi, altrimenti il movimento sarà considerato un nemico del Mali”. I ribelli tuareg, a loro volta, fanno orecchie da mercante e ripetono che “se si depongono le armi, non ci saranno più le condizioni per iniziare i colloqui”.
Allo stesso tempo, il Movimento per la liberazione dell’Azawad, consapevole dell’impossibilità di ottenere l’indipendenza e di fronte al muro internazionale, che ne riconosce solo l’autonomia, fa piccoli passi indietro. In un comunicato, pubblicato ieri nel loro sito internet, i tuareg del Mnla hanno rinunciato all’indipendenza dell’Azawad, chiedendo a Bamako l’avvio di una trattativa affidata ad un negoziatore neutrale. Nel documento firmato da Bilal Acherif, uno dei fondatori del movimento, l’Mnla dichiara di “non mettere in discussione le frontiere internazionalmente riconosciute del Mali ricordando però chiaramente l’esistenza dell’Azawad in quanto entità”. Ai negoziati con il governo maliano, i tuareg inoltre chiedono che partecipino “Francia, Stati Uniti, Nazioni Unite, Unione europea, Unione africana e Organizzazione della conferenza islamica”. L’Mnla chiede che vengano soddisfatte le esigenze delle popolazioni del nord in settori come la salute, l’accesso all’acqua e all’energia elettrica, al cibo, all’istruzione. Infine, nel documento, il movimento dei tuareg conferma il loro impegno “a lottare contro il terrorismo”, ma respingono la presenza dell’esercito maliano nelle zone oggi sotto il loro controllo.
Ora la palla passa al governo di Bamako, guidato dal presidente ad interim Dioncounda Traoré che fino ad oggi si è mostrato debole e in balia delle associazioni politiche e dell’esercito maliano. A dettare legge è infatti soprattutto il capitano Amadou Haya Sanogo, che negli ultimi tempi era stato offuscato dall’intervento francese, ma che mercoledì è ritornato alla ribalta. È stato infatti ufficialmente eletto alla guida del “Comitato militare di riforma delle forze di difesa e sicurezza”. L’uomo forte di Bamako, che lo scorso 22 marzo ha rovesciato il governo del presidente Amadou Toumani Touré, ha prestato giuramento mercoledì sera durante una cerimonia a Koulouba, vicino a Bamako, alla presenza del presidente ad interim Dioncounda Traoré, del premier Diango Cissoko e di numerosi capi militari maliani. Sanogo ha il compito di gestire le forze armate e di riformarle in modo tale che siano in grado di mantenere il controllo delle regioni settentrionali.
Nel suo discorso, parzialmente riportato dal Journal du Mali, il capitano maliano si è impegnato a costruire un esercito “degno”, al servizio dello Stato e agli ordini del presidente della Repubblica. L’esercito maliano, mal addestrato ed equipaggiato, è responsabile infatti dell’attuale situazione in Mali. In undici giorni, i tuareg del Mnla sono riusciti a conquistare il 60% del territorio, facendo scappare a gambe levate i soldati maliani.
La debolezza delle forze armate è uno dei problemi che accomuna gli Stati africani. In un’intervista alla Bbc, il presidente ugandese, Yoweri Museveni, ha definito “vergognosa” l’incapacità degli eserciti africani di “difendere il proprio territorio”.
Museveni ha inoltre fortemente criticato “l’attesa” dei Paesi africani che hanno tirato un sospiro di sollievo con l’arrivo delle truppe francesi in Mali, invece di mobilitare per primi le loro forze militari.
“È vergognoso che si debba ricorrere ai francesi o ad altri. A che servono gli eserciti africani? Il Mali è indipendente da 50 anni, e il Paese è guidato da uomini in uniforme. A che serve questo esercito, se non è in grado di difendere il Paese? “ ha tuonato Museveni, che ha comunque “ringraziato i francesi, perché almeno hanno impedito la caduta di Bamako”.
Sull’argomento è intervenuto anche il presidente del Ghana, John Dramani Mahama, che ha giustificato il ritardo del dispiegamento delle forze africane, la cosiddetta Misma, in Mali. Secondo Dramani Mahama, “questo è il risultato di diversi fattori. Per molti anni, i nostri Paesi hanno ridotto i loro bilanci della difesa, e quindi lo stato delle nostre forze armate ,in termini di attrezzature e di logistica, non è ottimale”. “Con i soldi che abbiamo”, ha proseguito il presidente ghanese, “dobbiamo concentrarci sulla spesa sociale, per dare alla nostra gente l’accesso alla sanità, all’istruzione e così via. Ma questo ci riporta alla realtà: senza sicurezza, i servizi sociali e i governi costituzionali servono a poco”.
Se fosse vero che i soldi finiscono nei servizi sociali, l’Africa sarebbe già un passo in avanti. Il più delle volte, i proventi delle ricchezze naturali, abbondanti nel continente nero, finiscono nelle tasche dei politici corrotti.
 


15 Febbraio 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19016

Sfratti, povertà e disoccupazione dilagano in Europa

Spagna, Grecia, Portogallo, Italia e Irlanda sono alla mercé della troika dell’usura. E la Francia sembra avvicinarsi sempre più verso il baratro della disoccupazione e della crisi industriale 


Andrea Perrone

Le politiche di austerità imposte ai Paesi dell’Eurozona dalla troika dell’usura per affrontare la crisi del debito sovrano, come Grecia e Portogallo, stanno strozzando gli strati sociali meno abbienti e più vulnerabili della società europea. A denunciarlo uno studio pubblicato ieri dalla Caritas cattolica presente nei vari Stati membri della zona euro. Sulla base del lavoro sul campo compiuto nei Paesi dell’Eurozona colpiti dalle misure di austerità imposte dalla troika (Commissione Ue-Bce-Fmi) a cui vanno aggiunti oltre a Grecia e Portogallo anche Spagna, Italia e Irlanda, la cui situazione sociale sta diventando veramente esplosiva, La Caritas ha osservato che tagliando gli aiuti del welfare agli indigenti e aumentando le tasse alle persone a basso reddito, la “coesione dell’Europa e la legittimità politica dell’Unione europea vengono messe a rischio”. Il rapporto contraddice le recenti dichiarazioni dei leader europei e dei governi nazionali che sostengono come il momento peggiore della crisi dell’euro sia stato superato e che la ripresa economica sia ormai in arrivo.
I grandi debiti accumulati dalle banche e scaricati poi sui debiti pubblici, come è accaduto in Irlanda e in Spagna, sottolinea il rapporto delle Caritas, “devono essere riconosciuti come ingiusti e insostenibili”, perché il prezzo di questi misfatti di banche e politicanti da strapazzo è in gran parte pagato da madri single, disoccupati, pensionati, alcuni dei quali non possono più permettersi neanche le cure mediche e i giovani si trovano di fronte ad anni di disoccupazione prima di trovare a malapena un lavoro sottopagato e a tempo determinato e interinale. Il caso della Grecia è emblematico, dove la Caritas ha recentemente ampliato il proprio aiuto ai profughi e ai nativi del Paese ellenico, laddove i numeri evidenziano chiaramente che i drastici tagli voluti dall’Unione europea sulla spesa pubblica hanno minato l’idea stessa di un’Europa fondata sulla giustizia sociale. Alcuni documenti messi a disposizione dall’organismo dei vescovi sottolineano come la crisi colpisca duramente anche i pensionati che, a causa della loro magra retribuzione, vanno alla ricerca di cibo e di un riparo nel tentativo di sopravvivere alla crisi. E ancora, dal rapporto si evince le difficoltà che vivono le madri single e disoccupate con le pensioni dei loro genitori e che finiscono senza alcun reddito quando i genitori muoiono, fino ai bambini affetti da autismo che vengono respinti ogni giorno dai centri di assistenza pubblica. Anche in Portogallo la situazione non è molto diversa da quella di altri Stati membri dell’Eurozona e le statistiche ufficiali mostrano tassi crescenti di povertà, in particolare tra gli anziani e i bambini, La Caritas ha rilevato che i tagli alla spesa pubblica danneggiano in particolare i ceti più vulnerabili, ovvero gli strati sociali meno abbienti. Alcuni casi analizzati nelle rilevazioni sono quelli di bambini – sfrattati insieme ai loro parenti dalle loro abitazioni quando i genitori non sono più in grado di pagare il mutuo – che abbandonano la scuola per cercare un posto di lavoro sul mercato nero o nel settore agricolo. La crisi colpisce anche le persone anziane che vedono le loro pensioni congelate o tagliate dalle misure draconiane volute dagli esecutivi, mentre salgono i costi per l’assistenza sanitaria, l’energia elettrica, il gas e il cibo, il che rende particolarmente difficile la vita per coloro che vivono in aree lontane dai centri urbani. In più dai dati elaborati dalle missioni cattoliche emerge anche una nuova ondata di discriminazione nei confronti dei rom un problema che affligge in particolare il Portogallo, quando si tratta di trovare un alloggio, usufruire dell’istruzione pubblica o cercare un lavoro. “La crisi non è ben compresa dalla maggioranza delle persone, che lasciano coloro i quali ne se subiscono le conseguenze senza alcuna speranza. Per molte persone, che la Caritas portoghese aiuta, è la prima volta che hanno la necessità di cercare aiuto al di fuori della famiglia”, hanno sottolineato settori della Caritas. In Spagna, il Paese con il più alto tasso di disoccupazione dell’Unione europea, i meno abbienti e i senza lavoro che chiedono la carità sono aumentati del 170 per cento dall’inizio della crisi. Le persone sono sempre in cerca di un sussidio e non hanno soldi per pagare le bollette, acquistare alimenti e beni di prima necessità. I tagli ai finanziamenti per i pasti scolastici i loro timori circa la malnutrizione e tagli generali in materia di istruzione aumentare il tasso di abbandono scolastico – già il doppio della media Ue (26,5% rispetto al 13,5%). Il clima di tensione all’interno delle famiglie sono in aumento e i componenti “devono fare affidamento sui membri della famiglia per i bisogni essenziali, come mai prima d’ora”. La relazione è stata redatta tuttavia sulla base dei dati disponibili l’anno scorso. Ma ora le ulteriori misure di austerità adottate in Spagna e altrove aggravando ulteriormente la situazione anche in altri Paesi dell’Eurozona. Per il caso spagnolo che comprende ulteriori riduzioni in termini di benessere e dell’aumento dell’Iva. “L’impatto di queste misure sui gruppi più vulnerabili è probabile che sia grave, visti gli elevati livelli di disoccupazione e di povertà già sperimentati in Spagna, e la constatazione che l’aumento dell’Iva che ha già colpito in modo sproporzionato le persone più povere”, ha sottolineato la Caritas. Negli ultimi giorni sono almeno quattro i morti di quello che ormai in molti chiamano il “terrorismo immobiliare” spagnolo. Una coppia di pensionati si è suicidata all’interno della sua abitazione nel comune di Calvià, nell’isola di Maiorca, dopo aver ricevuto un avviso di sfratto. La coppia – 68 anni lui, 67 lei – ha lasciato un biglietto spiegando le ragioni del gesto. Un uomo di 56 anni si è invece tolto la vita nel comune basco di Basauri, a pochi chilometri da Bilbao, anche in questo caso perché non riusciva a pagare le rate del mutuo. E ieri l’altro a suicidarsi è stato, nella sua casa di Alicante, il proprietario di 55 anni, portando a cinque il numero delle persone che si sono tolte la vita a causa dei ricatti delle banche negli ultimi 6 giorni.
Nel frattempo, però la povertà sta dilagando anche in Italia. Adulti tra i 40 ei 50 anni si ritrovano improvvisamente senza un impiego dopo una vita di attività lavorativa regolare, i giovani hanno contratti temporanei e sono costantemente alla ricerca di un nuovo lavoro, gli imprenditori si danno fuoco, gli stessi immigrati vengono improvvisamente tagliati fuori dagli aiuti sociali, mentre gli anziani si trovano a dover aiutare i loro figli e nipoti senza uno straccio di lavoro.
Per quanto riguarda l’Irlanda, la Caritas osserva che “i tagli successivi dei tassi di maggior benessere una volta che la crisi è iniziata significa che la maggior parte pagamenti per il benessere sociale in Irlanda sono al di sotto della soglia di povertà”. Il problema è aggravato dal fatto che l’Irlanda è fortemente dipendente dalle prestazioni sociali per tenere lontano gli strati popolari dalla povertà. Con il 51 per cento, l’Irlanda, insieme all’Ungheria, posseggono il più alto tasso di povertà in Europa poiché sono contati sostegni sul piano sociale e pensioni. La Caritas ha esortato le organizzazioni come l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale, a prendere in considerazione le sue conclusioni prima di chiedere ulteriori tagli alla spesa. Ma è come chiedere aiuto ad una volpe per fare la guardia al pollaio. La Caritas ha chiesto inoltre un maggiore “controllo sociale” sui Paesi della moneta unica che hanno chiesto un prestito alla troika dell’usura internazionale, affinché venga valutato anche l’impatto sociale provocato dagli obiettivi di bilancio fissati dai tecnocrati dell’Unione europea. Non è tutto. La situazione evidenziata dal rapporto della Caritas non rappresenta che una parte limitata del quadro che in Europa si sta aggravando ovunque. È di ieri la notizia che un disoccupato francese si è dato fuoco nel Paese transalpino perché aveva finito il sussidio di disoccupazione e non sapendo come sbarcare il lunario ha deciso di porre fine alla sua esistenza così sofferta. Un dato da non sottovalutare perché questo accade anche nei Paesi considerati lontani dal pericolo della crisi del debito sovrano. Ma così non sembra più essere. Negli ultimi giorni i segnali provenienti da Parigi iniziano a preoccupare l’Eliseo e i ministri del governo francese che temono un euro troppo forte impedisca alla Francia di vendere i suoi prodotti sul mercato internazionale e allo stesso tempo emerge l’ennesimo dato preoccupante per il Paese transalpino riguardante la produzione industriale, crollata del 2,2 per cento. Insomma l’Unione europea dei tecnocrati di Bruxelles e dei banchieri dell’Eurotower sembra ormai arrivata al capolinea, ma a pagarne il conto sono i popoli europei che hanno una sola possibilità quella di unirsi per capovolgere la situazione, mandare a casa eurocrati e politicanti da quattro soldi per costruire l’Europa vera quella delle patrie e della giustizia sociale.


15 Febbraio 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19018

Tensioni, attentati e arresti in tutto il Nord Irlanda

L’insulto di Londra alle vittime del Bloody Sunday

Il ministero della Difesa britannico risarcisce i caduti della “domenica di sangue”, del 30 gennaio 1972, con una misera somma 

Andrea Perrone

Un compenso di 50mila sterline e niente più. Così a distanza di 41 anni da quella “domenica di sangue” (Bloody Sunday) del 30 gennaio 1972, il governo britannico ha risarcito con una modica cifra le famiglie delle vittime di quel giorno terribile in cui i soldati di Sua Maestà fecero fuoco contro degli inermi manifestanti irlandesi. La sorella di un adolescente ucciso a Derry, quella terribile domenica, ha definito la misera somma un risarcimento per “distrazione”. “È un insulto. Mio fratello non può essere rimpiazzato, tutto il denaro del mondo non lo riporterà indietro”, ha dichiarato reagendo con impeto e dolore Kate Nash all’offerta di 50.000 sterline ad ognuna delle famiglie delle vittime e ai “feriti gravi” da parte del ministero della Difesa. Un misero ed esiguo “compenso” per la strage della “domenica di sangue”. Il ministero britannico ha tuttavia sottolineato che le somme non sono una soluzione definitiva. E a queste ha incluso anche un indennizzo per chi rimase gravemente ferito durante l’attacco dell’esercito. Ma questo non giustifica lo stesso il meschino gesto del governo inglese. L’offerta ha offeso infatti le famiglie delle vittime, che considerano la cifra irrisoria e un insulto alle vittime di quel vergognoso atto criminale, commesso senza alcuna giustificazione plausibile.
Quel terribile giorno furono i soldati britannici del Primo Battaglione Reggimento Paracadutisti ad attaccare deliberatamente una manifestazione per i diritti civili che si stava tenendo a Derry, uccidendo 14 manifestanti inermi, tra cui sette adolescenti. L’esercito britannico ha sempre sostenuto – dichiarando il falso – che i manifestanti per i diritti civili erano armati, provocando per questo lo scontro a fuoco. Due manifestanti rimasero feriti dopo esser stati investiti dai veicoli militari. Molti testimoni, compresi alcuni giornalisti tra i quali l’italiano Fulvio Grimaldi, affermarono che i manifestanti colpiti erano disarmati. Cinque vittime inoltre furono colpite alle spalle. La marcia di protesta era stata indetta contro la decisione del governo britannico di mettere in prigione chiunque senza processo. Londra richiese al premier nordirlandese, il protestante unionista B. Faulkner, i poteri in materia di ordine pubblico e giustizia, ma al rifiuto di questi emanò una norma (la cosiddetta “Direct Rule”) con la quale scioglieva il governo e il parlamento locali ed agiva direttamente, accrescendo ulteriormente da un lato la tensione e dall’altro i poteri dell’esercito e della polizia. Ma l’esito di un’inchiesta pubblica, presentata nel giugno 2010, ha provocato l’intervento diretto del premier britannico David Cameron che per questo ha chiesto scusa alle famiglie delle vittime, dichiarando che da parte dell’esercito c’è stato un attacco premeditato assolutamente “ingiustificato e ingiustificabile” sui manifestanti disarmati.
Per redigere il rapporto di 5.000 pagine vennero ascoltati 2.500 testimoni, con 922 deposizioni e 195 milioni di sterline di spesa. Presentando il documento redatto dalla Commissione d’inchiesta voluta nel 1998 dall’allora primo ministro Tony Blair, il premier Cameron tre anni fa aveva precisato che l’indagine metteva in evidenza in modo “molto chiaro” le colpe dei militari. “Alcuni membri delle nostre forze armate hanno agito in modo sbagliato”, chiosava Cameron nel suo discorso alla Camera dei Comuni. “Il governo – proseguiva il premier – è responsabile della condotta delle Forze armate. E per questo, a nome del governo e del nostro Paese, chiedo profondamente scusa”. L’inchiesta aveva stabilito che i militari inviati in Irlanda del Nord aprirono il fuoco per primi, senza alcuna forma di avvertimento. Nessuna esplosione, nessun sasso, nessuna bottiglia molotov a giustificare i colpi di arma da fuoco e le violenze dei paracadutisti britannici. Molti di quegli nordirlandesi che furono colpiti stavano semplicemente fuggendo o cercando di aiutare altri feriti. Nessuna delle vittime rappresentava un problema alla sicurezza dei militari. L’inchiesta era stata condotta con estrema cura e in modo dettagliato, non lasciando dubbi a riguardo su chi fossero i colpevoli dell’orrenda strage. Ma ora con questo piccolo risarcimento alle vittime, tutte le parole pronunciate dal premier Cameron rappresentano soltanto una presa in giro, un falso pentimento da parte dei britannici per i crimini commessi contro degli irlandesi assolutamente innocenti, colpevoli soltanto di essere considerati da Londra dei cittadini di serie B. In più le scuse del governo e un piccolo compenso in denaro “non riportano indietro le vittime”, ha detto infuriata e delusa Kate Nash, che anche quest’anno si è prodigata insieme ad altri ad organizzare la March for Justice per chiedere un processo degno di questo nome. E poi sempre seguendo la stessa linea ha proseguito: “Come si riconoscono i ‘feriti gravi’? Mio padre è stato colpito a un braccio e al fianco, e si è salvato. Ma era in un bunker a guardare suo figlio morire. Che compenso si potrà mai stabilire per questo?”. Parole che pesano come macigni sulle coscienze di coloro che quella domenica, senza alcuna pietà, fecero fuoco distruggendo la vita di giovani e meno giovani, e quello delle loro famiglie che ancora si battono per avere giustizia.


16 Febbraio 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19051

 

CHIEDONO SCUSA MA INSISTONO

 

Tensioni, attentati e arresti in tutto il Nord Irlanda

Si susseguono da settimane una serie di attacchi che vogliono invertire il processo di pace. Da Dublino a Belfast intanto la Real Ira non cede il passo 

Andrea Perrone

Sono ancora critiche le condizioni del diciottenne ferito martedì scorso da alcuni colpi di arma da fuoco nel Nord di Belfast. La polizia nordirlandese (Police Service of Northern Ireland – Psni) ha iniziato le indagini per trovare il colpevole della sparatoria avvenuta l’altra sera attorno alle 20.30 in Ardoyne Avenue nella capitale del Nord Irlanda. “La polizia si appella a chi ha visto o sentito qualcosa di sospetto, con particolare riferimento a movimenti di veicoli nei pressi del Flax Centre in Ardoyne Avenue tra le 20 e le 21 della scorsa notte”, ha dichiarato un portavoce del Psni. Un ragazzo di 18 anni ha riportato ferite ad una coscia e ad un gluteo. Per il tentato omicidio è stato arrestato mercoledì scorso il 39enne Sean Kelly per la sparatoria avvenuta nel Nord di Belfast. Ma subito dopo è stato rilasciato dalla polizia dopo essere stato interrogato per l’attentato al giovane di cui era uno dei principali sospettati. In precedenza, il primo ministro Peter Robinson aveva sottolineato che l’arresto di un uomo condannato per gli attentati dell’Ira a Shankill potrebbe avere “gravi conseguenze” sul processo politico. Le indagini hanno finora escluso l’ipotesi dell’attacco paramilitare, ma la teppa lealista del Democratic Unionist Party (Dup) non è della stessa opinione, tanto che ha avuto il coraggio di definire l’attacco una “sparatoria punitiva”. Mentre la polizia ha prima accusato i greppi paramilitari di aver messo in opera l’attentato, per poi ritirare l’affermazione e da lì a breve riproporla di nuovo. “La famiglia del ragazzo ha parlato di coinvolgimento di associati allo Sinn Féin. Questa connessione solleva rischi potenzialmente gravi per il processo di pace”, ha dichiarato Peter Robinson. “Vogliamo incontrare – ha proseguito – il Chief Constable per stabilire il background di questo caso, e capire su che basi la Pnsi abbia escluso la pista paramilitare. Monitoreremo molto attentamente gli sviluppi, e la risposta dello Sinn Féin ad essi”. Per molti analisti la situazione sta diventando sempre più incandescente e rischia di esplodere da un momento all’altro mettendo a rischio il futuro del processo di pace anche con la Gran Bretagna, favorito dall’accordo sulla devoluzione. Ma torniamo alle accuse mosse al nazionalista irlandese per la sparatoria di qualche notte fa. Kelly è noto alle forze di occupazione per aver ricevuto più di un ergastolo a causa suo presunto coinvolgimento nell’attentato di Shankill dell’ottobre 1993, in cui rimasero uccisi 9 civili; per poi essere rilasciato nell’ottobre 2000 in base all’accordo del Venerdì Santo (Good Friday Agreement). Cinque anni dopo, l’allora segretario di Stato Peter Hain revocò la sua licenza accusandolo di essere nuovamente coinvolto in attività paramilitari, ma nel luglio 2005 – il giorno prima del cessate il fuoco definitivo dell’Ira – tornò in libertà. Ancora oggi è uno degli uomini più vicini e fedeli alla leadership dello Sinn Féin e a Gerry Kelly. L’attuale segretario di Stato, Theresa Villiers, ha il potere di revocare nuovamente la licenza. La tensione è comunque palpabile in tutto il Nord Irlanda e proseguono gli attentati da alcuni giorni contro esponenti dei protestanti. Fra questi va annoverato anche l’attacco incendiario contro la casa di Willie Frazer in Tandragee Road, Markethill (South Armagh), in cui fortunatamente non è rimasto ferito nessuno ma un’auto è stata completamente distrutta dall’incendio che si è propagata a causa del fuoco appiccato dalla molotov. Una pattuglia della Psni ha notato il fumo nelle prime ore di domenica mattina: un’auto era stata incendiata davanti alla casa. Frazer, che stava dormendo, è stato portato al sicuro dagli agenti, che hanno anche allontanato un furgone dei vicini per evitare che prendesse fuoco. “Non oso pensare alle conseguenze se la nostra pattuglia non fosse intervenuta in tempo”, ha commentato il Sergente Gwyn, della Psni di Armagh. Tuttavia sono stati numerosi nelle settimane scorse le scorribande dei lealisti contro i quartieri cattolici e i loro abitanti e contro la stessa polizia nordirlandese. Qualche giorno prima, per l’esattezza l’8 febbraio scorso, sono stati arrestati tre sospetti militanti repubblicani dalla polizia irlandese (Garda) alla guida di un’auto diretta al di là del confine, sulla quale trasportavano armi, esplosivi e lanciamissili. I tre, più esattamente due fratelli e un terzo uomo, tutti sulla trentina, sono stati fermati e interrogati perché sospettati di appartenere alla Real Ira, il gruppo paramilitare che si oppone con attentati e omicidi mirati al giogo britannico, e al processo di pace innescato con la devoluzione, sottoscritto dai nazionalisti moderati del Sinn Fein. Secondo quanto riportato da un portavoce della Garda, l’operazione di martedì notte è stata preceduta da una lunga fase di pedinamenti. “Le armi erano dirette in Irlanda del Nord, eravamo arrivati ad un punto in cui era possibile intervenire”, è stata la spiegazione. Gli esplosivi sequestrati saranno sottoposti ad esami tecnici e balistici. Un segnale anche questo che alcuni non intendono cedere il passo ai giochetti di pura convenienza politica con Londra, come hanno fatto sinora i moderati del Sinn Fein, ma intendono battersi senza tregua contro il dominio inglese che da secoli mantiene separata le due parti dell’Irlanda per soddisfare la sua sete di potere.


16 Febbraio 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19052

2013 – DEBACLE DELLA GRECIA: DEI POVERI E DELLE TASSE

non riescono a pagare le tasse? Per Ingroia e gli scheriffi di Nottingham in missione per conto della troika  SONO SOLO UN BRANCO DI EVASORI

 

Data: Domenica, 17 febbraio @ 17:10:00 CST
Argomento: Europa
FONTE: 
HISTOLOGION (BLOG)

Sarebbe stato meglio fare un resoconto più dettagliato sugli incidenti avvenuti in Grecia per  dare ai lettori un assaggio più sostanziale del collasso sociale  e  della decadenza democratica, come dicono i giornali, che affligge oggi un paese oppresso dal giogo della troika e dai volonterosi carnefici della sua classe politica. Ormai però è abbastanza semplice capire: basta leggere  i titoli dei giorni scorsi “.

Nella foto: Agricoltori greci protestano contro i costi di produzione e del carburante e distribuiscono gratis frutta e verdura

Il Collasso sociale

Raccontando del collasso sociale Alex Politaki sul Guardian, afferma una cosa ovvia: la Grecia si trova ad affrontare una crisi umanitaria, profonda e senza precedenti in tempo di pace in Occidente:
“… Ci sonoi tre indicatori che evidenziano la crisi umanitaria. In primo luogo, il numero di persone senza fissa dimora è salito a livelli senza precedenti per un paese europeo:  Stime non ufficiali dicono 40.000 In secondo luogo, la percentuale di greci che sono stati assistiti da una ONG medica,  in alcuni centri urbani è arrivata  al 60% del totale nel 2012. Questo sarebbe stato impensabile anche solo tre anni fa, dal momento che quel servizio normalmente si rivolgeva agli immigrati, non ai greci. In terzo luogo, c’è stata una crescita deflagrante nelle mense per i poveri e nella distribuzione di generi alimentari. Non ci sono cifre ufficiali, ma la Chiesa Ortodossa distribuisce circa 250.000 razioni giornaliere, mentre un nume ro imprecisato di razioni sono distribuite dalle autorità comunali e dalle ONG. Per un recente ordine del governo, le razioni comunali saranno ulteriormente aumentate a causa di una incidenza sempre più alta di bambini che svengono a scuola di aver assunto su cibi a basso contenuto calorico. Per  i giovani studenti  ci saranno anche dei pasti leggeri … “


Una recente indagine condotta dalla Confederazion ellenica dei Professionisti, Artigiani e Mercanti   [GSEVEE] riportiamo  alcune cifre:

  • La metà della popolazione è a rischio emarginazione economica (non riesce a pagare le tasse, deve chiedere prestiti e  compra prodotti di qualità scadente per sopravvivere).
  • Il 93,1% delle famiglie ha visto il proprio reddito ridotto più volte durante il periodo di crisi.
  • Nel 40% delle famiglie c’è almeno un  disoccupato.
  • Il 72% delle famiglie si aspetta altre riduzioni di reddito nel corso del 2013.
  • ll 40% delle famiglie ritarda il pagamento dei debiti,  per fare la spesa,  mentre il 50% non ha un reddito sufficiente per fare la spesa.
  • Il 42,5% delle famiglie compra solo prodotti e servizi di bassa qualità e si rivolge a negozi disposti a vendere questi prodotti e servizi.
  • L’onere  di una pesante tassazione su prodotti e servizi insieme alla scarsità di prodotti e alla super-tassazione dei redditi “favorisce” l’evasione minacciando così che si riducano anche le entrate pubbliche.
  • Una percentuale crescente di popolazione ( + 47%) tollera i vari sistemi per evadere imposte sulle vendite e sull’ IVA.
  • Solo il 12,6% dei nuclei familiari dichiara che la fonte principale di reddito è il lavoro. La maggior fonte di reddito per le famiglie viene dalle pensioni (42,6%)
  • Il 70% delle famiglie hanno ridotto  le spese alimentari, mentre il 92% ha ridotto le spese per  abbigliamento – calzature

Tutto questo avviene in un contesto di  disoccupazione record  e di dati sulla salute in controtendenza  mai sentiti in occidente  ma che dopo “tre anni di tagli e di austerità hanno fatto scendere le aspettativa di vita e salire la mortalità infantile del 4%”.


Il Saccheggio dei poveri come strategia economica

Il crollo della società greca è evidente a tutti, eccetto che alla casta dominante e al suo governo: Dopo che  il Ministro delle Finanze Yianis Stournaras ha dichiarato che il calo del consumo di combustibili per il riscaldamento era dovuto ai cittadini che l’avevano acquistato prima dei nuovi aumenti fiscali – nonostante l’ampia documentazione che dimostra che la maggior parte degli impianti di riscaldamento centralizzato nelle  case e negli appartamenti di Atene  siano chiusi- e che il   Segretario Generale del Ministro delle Finanze Giorgos Mergos  ha detto che un salario minimo di  580 euro (lordo – prima delle tasse) sia “troppo alto” si è ormai sicuri che le persone che comandano hanno un’idea piuttosto approssimativa di ciò che sta accadendo nelle strade e nelle case greche.

L’ultimo scandalo è che il governo minaccia di confiscar e proprietà, stipendi e conti bancari a chiunque abbia un debito con l’Ufficio delle Entrate superiore a 300 euro. Questo, in un momento in cui la pressione fiscale è diventata così assurdamente alta che la metà della popolazione non crede che sarà in grado di pagare le tasse, le bollette e le rate dei mutui nel 2013.

Tenete a mente che queste sono le imposte sui redditi dello scorso anno – e i redditi dello scorso anno sono nettamente superiori, come sta avvenendo per la grande maggioranza dei greci, negli ultimi quattro anni. Le tasse di quest’ anno sono anche aumentate, per delle nuove imposte chiamate contributi di emergenza, o per i speciali prelievi, o anche per piccole tasse messe su beni di proprietà che finora erano sempre stati non-tassabili e poi le imposte indirette sono salite alle stelle.

Oggi una parte significativa di persone sono “evasori fiscali” , come mostra il sondaggio GSEVEE, semplicemente per poter  sopravvivere o perché letteralmente non hanno i soldi.

Ci sono voci insistenti, inoltre, o fughe di notizie dai parlamentari della maggioranza che la troika sta spingendo il governo greco a ritirare il blocco degli sfratti sulle case di chi ha avuto la proroga fino alla fine dell’anno.

Significa mettere la gente per strada, in massa.

Così il Ministero delle Finanze sta preparando l’invio di lettere di avvertimento a 2,5 milioni di cittadini, minacciandoli di mettere all’asta le loro proprietà (che, comunque, non si riescono a vendere per raccogliere contanti, perché il mercato immobiliare è morto stecchito, e qualsiasi vendita ora è tassata su un valore molto più alto del “prezzo oggettivo” attuale di mercato) o bloccare depositi bancari e stipendi, a meno che i debitori non vengano a qualche tipo di accordo con il fisco. Ora, poiché le leggi fiscali sono diventate sempre più regressive, i più ricchi riescono facilmente ad arrivare a qualche accordo col fisco.   I poveri, invece, e tra questi  molti sono  immiseriti, disoccupati o addirittura senza casa,  molto probabilmente non saranno in grado di fare n essun accordo con le tasse e, anche se non hanno nulla che il fisco possa prendersi, potranno andare in  prigione!

Certamente, in prigione: anche se  hanno solo 3000 Euro di debito  , secondo le nuove regole infatti ,vanno in prigione.  

Così le persone più prese di mira e fortemente colpite saranno i più poveri, in genere quelli con il minor debito con il fisco, e che hanno una vera  difficoltà per riuscire a pagare.  Le cifre pubblicate dal Governo Greco  tuttavia, dimostrano che questo giro di vite sulle persone meno indebitate porterà incassi decisamente più bassi di quelli che potrebbero arrivare dai pesci grossi: mentre due milioni e trecentomila  contribuenti  con un debito minore di  3000 euro ciascuno hanno un debito totale che di  1,1 miliardi di euro , i primi 6,270 debitori devono all’Ufficio delle Entrate Greco e oltre 35 miliardi di euro!

Questa cifra proviene dalla  Lista Lagarde dei correntisti delle banche  Svizzere  che sta causando seri problemi per la classe politica e finanziaria, nonostante questa sia solo la punta di un iceberg della cronica evasione fiscale  milionaria …

A completare questa follia, il Ministero delle Finanze ha fatto circolare una proposta che prevede che chiunque abbia compiuto 18 anni sia registrato al fisco  (inclusi gli studenti delle scuole superiori e universitari), anche se vivono ancora a carico dei genitori. Quindi ogni greco vivente, non importa come viva, sarà tassato sulla base di un reddito presunto di 3000 euro, che il governo sostiene sia necessario se si riesce a sopravvivere.  Questa è letteralmente una tassa sull’aria che si respira, e significa che i figli che vivono con i genitori (e ricordate : in Grecia è veramente un sacco di gente, con una disoccupazione giovanile  che supera il 50%) sarà tassata di 75 euro, a meno che non riesca a esibire ricevute di spese che raggiungano  750 euro l’anno.

Si tratta di una doppia imposizione sui redditi dei loro genitori. Naturalmente e ancora più velenosamente questo vale che anche per quei  40 mila senza casa che dovranno far vedere le loro ricevute per  750 euro di spese, se non vorranno pagare  75 euro di tasse. Pazzia pura.

E indovinate un pò’? Dopo tutta questa fantasia  il gettito fiscale sta crollando:

Nonostante gli enormi aumenti delle tasse, applicati come parte delle misure di austerità richieste dai creditori internazionali, il gettito fiscale è sceso precipitosamente nel mese di gennaio, secondo il rapporto del Ministero delle Finanze greco che dichiara un decremento del 16% rispetto all’anno precedente, con una perdita di 775 milioni di euro, ovvero un miliardo di dollari in un mese.

Si è adottata una politica economica che porta al fallimento dello stato – una colonia indebitata con nativi immiseriti. E la Grecia è solo la cavia per il resto dei paesi del Sud dell’Unione Europea,  e non solo …

Tutto questo, naturalmente, non è compatibile con la democrazia: ne riparleremo nel prossimo post per mostrare come si scivola verso la non-democrazia sotto il pugno di ferro di un governo di estremisti di destra … 

Fonte:http://histologion.blogspot.gr
Link:http://histologion.blogspot.gr/2013/02/the-greek-debacle-2013-of-paupers-and.html 
14.02.2013

Traduzione per www.ComeDonChisciotte a cura di BOSQUE PRIMARIO