domenica 17 febbraio 2013 – DA: IL CORROSIVO di Marco CEDOLIN
Marco Cedolin
Marco Cedolin
DA: Apocalisse Laica.net
L’ Europa tace.
Non vuole assolutamente riconoscere la crisi umanitaria greca causata dalle ricette che ha imposto ad Atene, come ad altri Paesi e perciò fa di tutto perché su questa storica vergogna cali il silenzio: i media in gran parte in mano a quei gruppi di interessi che hanno creato questa situazione si adeguano e danno versione ambigue ed edulcorate della situazione.
In Italia dove si vede chiaramente il risultato dell’ applicazione delle medesime ricette imposte ad Atene, proprio non se ne parla, forse per non turbare la campagna elettorale a colpi bugie e cagnetti di Scelta civica, un nome che grida vendetta già in sé. Anzi l’ esecutore europeo per l’ Italia, Monti, accusa Grillo di trascinare l’ Italia verso la Grecia e fa finta di non vedere i guai che ha causato, compreso il calo ufficiale del Pil: un -2,7% nel 2012.
Per fortuna alcune voci ci sono. Prima fra tutte un lungo articolo del Guardian che riassume con realismo e con dati alla mano la situazione. Ho tradotto qui di seguito l’ articolo che non abbisogna di ulteriori commenti se non i sonori ceffoni che andrebbero dati agli stolti burocrati europei e ai loro sottocoda italiani. quelli diretti e quelli indiretti. (L’ articolo in originale è qui)
Nelle società europee si presume che le crisi umanitarie possano avvenire solo in seguito di calamità naturali, epidemie, guerre o conflitti sociali. Perciò pensiamo che una simile crisi non possa verificarsi in un Paese europeo e men che meno in uno che fa parte dell’ Unione.
E tuttavia oggi un notevole numero di esperti ritiene che la Grecia sia attualmente al centro di una crisi umanitaria. Il capo di Médecins du Monde, Nikitas Kanakis, la ONG più grande e più importante che opera in Grecia, fu tra i primi a dichiararlo apertamente. La zona del porto di Perama, vicino ad Atene, in particolare, è nel bel mezzo di una catastrofe umanitaria. La Società Medica di Atene, la più grande organizzazione professionale del suo genere, ha anche inviato una lettera formale alle Nazioni Unite per chiedere un intervento.
Ma ci sono ragioni politiche per le quali di questa crisi umanitaria non si parla: riconoscendo la gravità della situazione, il governo greco e l’ UE dovrebbero ammettere che la situazione attuale è stata determinata dalla cosiddetta economica “salvataggio” della Grecia. Così le autorità hanno scelto di tacere.
E’ vero che non esiste un accordo generale su ciò che costituisce una crisi umanitaria. Ma la definizione utilizzata da chi ha esperienza nel settore è pratico e semplice: una crisi umanitaria è di solito caratterizzata da crescente povertà, da accresciute disuguaglianze nell’ istruzione e nella protezione sociale e la mancanza di accesso ai servizi di assistenza. Indicatori particolarmente importanti sono la perdita di accesso ai servizi sanitari di base, visite mediche, ricoveri e farmaci. In altre parole: non è possibile non vedere una crisi umanitaria.Non si sarebbe potuto immaginare che una simile crisi avrebbe potuto prodursi in Grecia: secondo l’ indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite nel 2008 il Paese era classificato al 18 ° nel mondo. Nessuno avrebbe potuto pensare a un cambiamento così drammatico.
Era falsa sicurezza offerta da parte delle istituzioni e dei meccanismi dell’ UE. Gli Stati membri erano tenuti a pagare per questa sicurezza immaginaria, rispettando esigenti criteri economici e politici. Il paradosso è che anche l’ Unione europea, il garante della presunta la sicurezza e della prosperità degli Stati membri, ha modi ben definiti di misurare la povertà, sia assoluta e relativa: proprio questi dimostrano che una crisi umanitaria in Grecia esiste.
Sulla base dei criteri e dei dati dell’ Unione europea, la Grecia è un paese in condizioni di povertà grave. Nel 2011, il 31,4% della popolazione, ovvero 3,4 milioni di persone, viveva con un reddito inferiore al 60% del reddito mediano nazionale disponibile . Allo stesso tempo, il 27,3% della popolazione, ovvero 1,3 milioni di persone, era a rischio di povertà. Non ci sono dati ancora per il 2012, anche se le cose sono certamente peggiorate
Utilizzando ulteriori indicatori UE, si vede che una grande percentuale di famiglie greche vive attualmente in condizioni di “deprivazione materiale”. Un po ‘più del 11% in realtà vive in stato di “deprivazione materiale estremo”: il che significa senza riscaldamento sufficiente, elettricità, l’ uso di un auto o di un telefono. Significa anche avere una dieta povera, priva di carne o pesce su base settimanale, così come l’ incapacità totale o parziale di far fronte alle spese di emergenza o di pagamenti per l’ affitto e le bollette.
L’ inefficacia dei programmi europei per il reinserimento dei disoccupati nel mercato del lavoro e la mancanza di programmi nazionali di protezione sociale hanno spinto la Grecia ancora più in basso. Il tasso di disoccupazione degli adulti pari al 26,8% nell’ ottobre del 2012 . Questo livello, anche se enorme rispetto al recente passato, continua però a non fornire un quadro realistico.
Manca, ad esempio, la disoccupazione derivante dal fallimento di migliaia di piccole imprese. Ai disoccupati vanno aggiunti i lavoratori poveri, vale a dire, i lavoratori con bassi salari tali da non poter soddisfare le esigenze di base. Il 13% della forza lavoro rappresenta la più alta percentuale di lavoratori poveri nella zona euro.
Ci sono tre indicatori più che evidenziano la crisi umanitaria. In primo luogo, il numero di persone senza fissa dimora salito a livelli senza precedenti per un paese europeo: stime non ufficiali dicono che si tratti di 40.000 persone. In secondo luogo, la percentuale di greci beneficiari di servizi medici forniti da Ong è del 60% in alcuni centri urbani. Questo sarebbe stato impensabile anche tre anni fa, dal momento che tali servizi sono stati normalmente conferiti agli immigrati, non ai greci.
In terzo luogo, c’ è stata una crescita esplosiva nelle mense per i poveri e la distribuzione alimentare generale. I livelli non sono ufficialmente registrati, ma la Chiesa ortodossa distribuisce circa 250.000 razioni giornaliere, mentre ci sono un numero imprecisato di razioni distribuite dalle autorità comunali e dalle ONG. Per un recente ordine del governo queste distribuzioni comunali saranno ampliate ulteriormente a causa della crescente incidenza di svenimenti bambini a scuola per malnutrizione Ci saranno anche pasti leggeri forniti ai giovani studenti.
Le prove della povertà, della disuguaglianza e dell’ incapacità di accedere ai servizi primari conferma le dichiarazioni sempre più disperati da parte di osservatori che operano in prima linea: il paese è diventato un campo di azione umanitaria e dovrebbero essere trattato come tale. E ‘una vergogna per il governo greco e l’ Unione europea chiudere gli occhi di fronte a questo. La comunità umanitaria internazionale deve rispondere con urgenza.
DA: APOCALISSE LAICA.NET
Ma con l’ introduzione di raffinate tecniche agricole e di allevamento intensive, il pericolo delle carestie sembra essere un ricordo del passato. L’era tecnoindustriale, grazie all’automazione e alla disponibilità di fonti energetiche quali quelle di origine fossile, garantisce una produzione di cibo estremamente abbondante, molto spesso superiore al necessario, con un incomprensibile spreco di risorse.
La “crisi economica” è determinata dalla scarsità di denaro in circolazione, cioè dello strumento che per convenzione una comunità si dà per garantirsi lo scambio di beni e di servizi. Attraverso l’equilibrio tra la quantità di prodotti disponibili (offerta) e la richiesta da parte della comunità di tali prodotti (domanda), viene fuori il prezzo, cioè la quantità di “crediti” necessari per effettuare uno scambio. Ad esempio, una mela per un credito (che poi si chiami lira, euro, oro, pietra, conchiglia o Enzo, è decisamente secondario).
In un sistema come quello descritto, ci dovrebbe essere in circolazione nella comunità una quantità di crediti tale da consentire a tutti i membri di poter scambiarsi quanto prodotto. Se, ad esempio, nella comunità sono state prodotte 100 sedie da valore di un credito ciascuna, 100 mele dal valore di un credito ciascuna e 100 mutande dal valore di un credito ciascuno, il capovillaggio (lo Stato), dovrebbe garantire la presenza di almeno 300 crediti in circolazione nel villaggio, più o meno distribuiti equamente tra i membri della comunità.
La somma della quantità di sedie, della quantità di mele e della quantità di mutande determina il PIL, il Prodotto Interno Lordo, cioè quanto prodotto dalla comunità in un anno solare. In base a questo valore, il capovillaggio si regola, immettendo moneta se serve, rastrellandola se è in più rispetto al necessario.
Tuttavia, nel nostro tempo, non funziona così. Prova ne è il fatto che ci troviamo di fronte ad un paradosso allucinante. Se camminiamo in un centro commerciale, oppure passeggiamo in una via dello shopping di una delle nostre città, notiamo che i magazzini sono pieni delle più svariate merci, ma pieni pieni. Se osserviamo, poi, i carrelli e le buste dei potenziali clienti, ci rendiamo conto che sono vuoti, ma vuoti vuoti. Perchè?
Perchè i membri della comunità non hanno la possibilità di comprare i beni prodotti, dato non ci sono crediti in circolazione e quindi impossibilitati a scambiarsi i beni che loro stesso hanno prodotto. Hanno drammaticamente perso “potere d’acquisto”, un’espressione caduta nel dimenticatoio per essere sostituita da parole truffaldine come “spread”, che non significa assolutamente nulla.
Al che, un osservatore più attento, potrebbe chiedersi: ma che fine hanno fatto tutti i crediti? Per intenderci, dove sono andati a finire tutti i nostri soldi? Svaniti nel nulla? Un buco nero ha risucchiato tutte le monetine coniate e le banconote stampate? Ebbene sì, è questa la domanda delle domande, la quale ha due semplici risposte, una di ordine etico e un’altra di ordine sistemico, due aspetti del problema estremamente gravi e strettamente connessi fra di loro.
Questione etica
Il nostro villaggio prende atto della situazione e comincia a mormorare, individuando tre questioni etiche che hanno determinato la scarsità di denaro: iniquità, corruzione e sprechi.
Iniquità. Ad un certo punto, il produttore di sedie escogita un sistema che gli consente di abbattere i costi di produzione dei suoi prodotti. Se prima la produzione di 1 sedia gli costava 0,6 crediti, per poi rivenderla a 1 credito guadagnando 0,4 crediti, con il nuovo sistema la produzione di una sedia gli costerà 0,3 crediti e la rivendita, allo stesso prezzo, gli garantirà un guadagno di 0,7 crediti. Tutta la comunità andrà a fare i complimenti al falegname per la sua inventiva.
Nel tempo, però, anno dopo anno, si crea uno squilibrio tra la quantità di crediti accumulata dal falegname e quella degli altri due produttori. Il falegname, ad un certo punto, potrebbe diventare talmente ricco, da assorbire nel suo conto corrente tutti i crediti in circolazione. A questo punto interviene in capovillaggio, il quale, resosi conto della scarsità di crediti in circolazione determinata dall’accumulo del falegname, ha due possibilità.
La prima è quella di non considerare i crediti accumulati dal falegname come parte del denaro circolante. Al che, il capovillaggio continuerebbe ad iniettare crediti nel sistema determinando l’accrescimento smisurato della ricchezza del produttore di sedie. Inoltre, il villaggio verrebbe inondato da una quantità spropositata di moneta, fino a che il denaro disponibile sarebbe in quantità maggiore ai beni prodotti. A questo punto, il sistema si inceppa perchè si produce un aumento della domanda di beni e servizi rispetto all’offerta e quindi aumentano i prezzi di sedie, mele e mutande.
La seconda, invece, è quella di considerare l’accumulo del falegname come parte della moneta in circolo. Il capovillaggio, stabilirà che una parte del reddito del produttore di sedie torni in circolazione con un’imposta, per esempio, del 33%. Quindi, se il falegname in un anno ha guadagnato 70 crediti, con l’applicazione dell’imposta darà 23 crediti al capovillaggio, il quale provvederà a rimetterli in circolo.
Il falegname, così, si ritroverà con un reddito netto di 47 crediti, cioè 7 crediti in più rispetto al sistema di produzione precedente, che gli consentono di comprare qualche mela e qualche mutanda in più per festeggiare con la sua famiglia e godersi il meritato compenso per la sua inventiva. Il produttore di sedie, in questo caso una brava persona, è felice di aver contribuito alla stabilità del villaggio e di poter disporre di qualche credito in più.
Corruzione. Ma se il produttore di sedie è un’individualista e considera un “furto” la tassa? Allora non può fare altro che esercitare una qualche pressione sul capovillaggio. Forte del suo potere economico, il falegname comincerà ad invitare il capovillaggio a sontuose cene a base di enormi quantità di mele, festini con danzatrici esotiche, giri dell’isola sulla barca acquistata dal noto produttore di barche del villaggio vicino e, infine, un regalo composto da un set completo di sedie.
Fino a quando il capovillaggio sarà persuaso che effettivamente una tassa del 33% è davvero una rapina, decidendo di abbassarla ad un simbolico 10%. Naturalmente, per mantenere la stabilità dei prezzi, il capovillaggio non immetterà più moneta in circolo, cosicché il divario tra il falegname e gli altri due produttori è destinato a crescere sempre di più. Gli altri due incominciano ad incazzarsi un pò, sognando la vita mondana del falegname che viene continuamente spiattellata sulle pagine della rivista locale di gossip.
Sprechi. A questo punto, il capovillaggio e il falegname entrano in un vortice di benessere che gli fa perdere di vista il senso della collettività e cominciano a dedicarsi ad escogitare le attività più lucrose per beneficiare se stessi. Si decide che il villaggio abbia bisogno di una zona comune per incontrarsi e scambiare quattro chiacchiere.
Questa zona del villaggio sarà allestita con delle sedie in numero pari agli abitanti dell’isola. Benchè la popolazione totale del villaggio è pari a quattro unità, il capovillaggio decide che occorrono 15 sedie, da comprare dal falegname al prezzo di 1,20 crediti (quando si tratta dello Stato, i prezzi crescono misteriosamente). Totale della spesa 18 crediti. Per finanziare l’opera, il capovillaggio mette una tassa sul reddito annuo dei membri del villaggio del 12%.
L’opera viene completata, ma gli abitanti si rendono conto che c’è qualcosa che non va. Facendo due conti, si accorgono che al falegname, tra introiti dell’operazione e tasse, l’operazione e costata quasi zero. E poi perchè tutte queste sedie? E poi perchè il prezzo maggiorato? Nel villaggio ideale, il capovillaggio e il falegname verranno processati, condannati e costretti a restituire il maltolto alla comunità.
Questione sistemica
Iniquità, corruzione e sprechi sono le tre parole magiche che i media usano per giustificare la causa della crisi economica. E a ragione, naturalmente. Si tratta, più che altro, di una crisi di ordine culturale, nella quale l’interesse e la vanità, l’individualismo e l’egoismo, la sete di denaro e di potere sovrastano decisamente l’attenzione per il bene comune, per il progresso della collettività e la giusta distribuzione delle risorse.
Tuttavia, quello che non viene detto è che la crisi economica è determinata anche, e soprattutto, da una concezione bizzarra del sistema monetario. Il punto è: se uno stato è in grado di emettere la propria moneta, perchè bisogna pagare le tasse? Che cosa è il debito pubblico? Abbiamo trattato la questione in questo post: Ma se uno Stato può emettere mille miliardi di dollari dal nulla, perchè dobbiamo pagare le tasse? Potrebbe valere la pena leggerlo.
Torniamo nel nostro villaggio. Tutte le questioni etiche sono state risolte e i cittadini si vogliono bene. Ad un certo punto, nel nostro villaggio arriva uno straniero, un uomo che fa uno strano mestiere: “banchiere”. Egli spiega che è in grado di custodire i crediti dei membri del villaggio e di poter supplire ai grattacapi del capovillaggio sulla questione del denaro in circolazione.
Affascinato dalla proposta, il banchiere e il capovillaggio stringono un patto in questi termini: da oggi in poi, sarà il banchiere a prestare al capovillaggio il denaro necessario perchè gli scambi nel villaggio possano avvenire. Il capovillaggio si impegna legalmente a non emettere moneta, se non chiedendo il prestito al banchiere.
Il banchiere, per i suoi servigi, alla fine di ogni anno chiederà solo il 3% del denaro che egli presta al villaggio. Quindi, se il banchiere presta 300 crediti alla collettività, alla fine dell’anno bisognerà dargli un compenso di 9 crediti. Fantastico! Un servizio favoloso ad un costo irrisorio… grande euforia nel villaggio! Viene creata la BCV, la Banca Centrale del Villaggio. [Il governo occulto del mondo].
Però c’è un problema: se il capovillaggio non può più emettere crediti, come si fa a pagare i 9 crediti al banchiere, visto che in circolazione ci sono 300 crediti e non 309? Facile, mettiamo una piccola tassa del 3% sul reddito dei membri del villaggio, così a fine anno potremo pagare il banchiere. Meraviglioso!
Alla fine dell’anno, i membri pagano le tasse, il banchiere incassa il suo profitto e rimangono 291 crediti in circolazione ancora sotto forma di prestito, un pò meno di quanto prodotto. Pazienza, vorrà dire che 3 mele andranno al macero, e tre sedie e tre mutande rimarranno in deposito. Ci rifaremo l’anno prossimo!
L’anno successivo, la collettività dovrà pagare al banchiere il 3% di 291 crediti, pari a 8,73 crediti. In circolazione rimangono 282,27 crediti, più 3 sedie invendute, 3 mutande invendute e 2,73 mele al macero. Alla fine del quinto anno, la comunità si ritroverà con 257, 64 in circolo, ancora di proprietà del banchiere e una serie di sedie, mele e mutande invendute. I produttori per far fronte alla tassa e alle spese devono aumentare i prezzi, generando una contrazione degli scambi tra villani. La crisi inizia a mordere. Che fare? Bisogna chiedere aiuto al capovillaggio. Il capovillaggio, a sua volta, chiederà aiuto al banchiere.
Il banchiere propone al capovillaggio un nuovo prestito, però questa volta garantito da un’ipoteca sulle proprietà del villaggio. Il capovillaggio si impegna garantendo le “riforme strutturali” che consentiranno un aumento della produttività. Fatte le riforme, i villani si ritrovano a lavorare 10 ore al giorno per sei giorni alla settimana e, dopo cinque anni, i depositi sono pieni di sedie e mutande invendute (le mele sono andate a male), ma la scarsità del denaro è tornata ai livelli di cinque anni prima, anzi è peggiorata.
Il mutandaro è costretto a mettere in vendita la sua attività e l’unico in grado di acquistarla, con un offerta irrisoria ma che il mutandaro è costretto ad accettare, è quella del banchiere. In ultima analisi, quando il capovillaggio si vedrà impossibilitato a restituire il debito, forte delle ipoteche poste sui beni dell’isola, il banchiere diventerà il padrone assoluto del villaggio. E vivrà felice e contento…, lui!
Ascoltate cosa dicono in questo video.
Telefonate fatte a febbraio 2013 in campagna elettorale ai patronati in Europa. I patronati sono strutture che dipendono dal ministero del lavoro, finanziate con i soldi pubblici che assistono soprattutto pensionati italiani all’estero. In teoria, per legge, non possono fare campagna elettorale. La telefonata sembra dimostrare il contrario e confermare voci che da anni girano in proposito. PD, ti piace vincere facile?
chissà quanti sfrattati/disoccupati si poteva aiutare con 2, 7 MILIONI DI EURO-
Saranno ospitati sicuramente nella sede arci
sabato 16 febbraio 2013 19:01
Il taglio del nastro della nuova sede Arci
REGGIO EMILIA – Una casa per la cultura aperta alla città. E’ la nuova sede dell’Arci di Reggio, inaugurata questa mattina al civico 72 di viale Ramazzini, nel cuore della città futura. Compresa tra il capannone 19 delle Reggiane e il Centro internazionale dell’infanzia, sorge qui Casa Arci che ospita anche Cepam, la scuola di musica dell’associazione (conta 500 allievi solo a Reggio, ne raggiunge 1400 con le sedi decentrate). Oltre 800 metri quadrati di spazi, disposti su due piani nel complesso principale e tre su quello minore, tredici aule e otto uffici in tutto per questa struttura che aggiunge un tassello importante al progetto Area nord.
“Abbiamo fatto le formichine – ha detto oggi al taglio del nastro il presidente Arci Federico Amico – che, dopo 60 anni, si ritrovano con un bellissimo formicaio. Per l’associazione che non ha mai avuto tanta visibilità è un traguardo importante e al contempo una scommessa e un investimento anche per la cultura della città. Abbiamo intitolato questa inaugurazione “una nuova casa per la cultura aperta alla città”, la intendiamo quindi come luogo di partecipazione sinergico allo sviluppo della città, in relazione al futuro dell’Area Nord, del tecnopolo, della Fondazione Reggio Children. Una casa per la musica, la creatività e l’associazionismo radicato sul territorio. Un vero investimento sul futuro”.
La nuova sede
La formula utilizzata per il recupero della villa ex Omi-Reggiane – un tempo sede del direttore e le cui origini vengono datate all’inizio del XVII secolo – è stata quella del project financing, realizzato assieme al Comune di Reggio per un importo lavori pari a 2,7 milioni di euro. Il 60% è a carico dell’associazione e la parte restante è finanziata dal Comune che ne risulta proprietario e offre la sede in comodato d’uso per 40 anni. Il sindaco Graziano Delrio presente oggi ha detto: “Si parla troppo di economia, le comunità hanno bisogno di lavoro e benessere ma anche di bellezza, e quindi di educazione per i propri figli, musica, cultura. Questo luogo è frutto di un grande sforzo collettivo e assieme al centro Malaguzzi diventa luogo simbolo della conoscenza e dello sviluppo della qualità nella nostra comunità.
”Per l’assessore provinciale alla Cultura Mirko Tutino, “Arci non è solo una associazione, ma è parte integrante di quella idea di sviluppo della comunità emiliana che ha reso tutti felici di vivere in questa terrà. Quelli inaugurati oggi – ha proseguito Tutino – sono spazi che saranno a disposizione anche delle prossime generazioni”.
La più importante e radicata associazione della provincia di Reggio, vanta numeri che rappresentano bene il lavoro svolto da Arci nei 60 anni della sua storia. Sono 130 i circoli presenti, dalla montagna alla bassa, per un totale di oltre 60mila soci. Numeri che fanno del comitato reggiano il secondo tra i comitati Arci.
Tanta musica a Casa Arci per questa inaugurazione, e non poteva essere diversamente. Le note musicali che hanno preceduto e accompagnato il taglio del nastro sono state quelle della Banda di Quartiere che raccoglie musicisti non professionisti, poi è stata la volta degli interventi sonori dei Crimea X con Luca Roccatagliati e Jukka Reverberi. Per l’occasione è stata allestita una mostra che documenta il lavoro del progetto “Circuiti”. L’iniziativa ha ospitato gli interventi pittorici di Blu (uno dei maggiori esponenti a livello mondiale della street art) in alcuni spazi cittadini e che qui viene restituita grazie agli scatti di Jukka Reverberi. La giornata di musica a Casa Arci è proseguita nel pomeriggio con “CEPAM open day”, l’apertura delle aule, stuzzichini e performance musicali nell’aula magna a cura dei docenti della scuola. Accanto alle figure istituzionali intervenute questa mattina è apparso, dopo una lunga assenza, anche il cosmoclarinettista Cromo Byron, protagonista dell’opera-performance Magic Bus.
di Redazione – 17 febbraio 2013
Chiavari – All’età di 62 anni Fausto Perazzo, noto barista del levante genovese, ha deciso di farla finita e dopo essersi recato in moto sul monte Pu, a Castiglione Chiavarese, si è tolto la vita impiccandosi ad un albero. Secondo decesso nel giro di poche quindi nel comune chiavarese, che solo poche ore prima era stato scosso dalla morte di Anika Peri, venticinquenne stroncata probabilmente da un mix di droghe.
La tragedia è avvenuta ieri, sabato 16 febbraio, per motivi ancora ignoti alle forze dell’ordine, ma potrebbe esserci un nesso tra la depressione e la mancanza di lavoro.
Fausto aveva lavorato per più di trenta anni in una delle gelaterie più conosciute di Chiavari, il bar Davide in corso Dante. Da qualche anno si era lanciato in una nuova avventura lavorativa, accettando il progetto di un amico che aveva aperto il bar Portici, in via Rivarola. Qualcosa però deve essere andato storto perché al bar Portici non si era più visto.
Un uomo solo, senza figli né moglie, residente a Casarza e conosciuto da tutta Chiavari e dai paesi limitrofi come un barista gentile, sempre pronto al dialogo e disponibile con ogni cliente.
Per questo il gesto estremo rimane ancora più inspiegabile. Il corpo senza vita di Fausto è stato trovato sabato mattina da un gruppo di cacciatori sul monte Pu, a fianco la moto del sessantaduenne. Immediato l’intervento dei soccorso, ma non c’è stato nulla da fare.
Intanto le indagini dei carabinieri continuano per capire i perché del suicidio. In casa di Fausto nessun messaggio, ma la pista più accreditata rimane la depressione provocata dalla mancanza di lavoro.
http://www.genovatoday.it/cronaca/fausto-perazzo-suicidio-chiavari.html
Un carabiniere libero dal servizio ha salvato il vicino di casa che stava suicidandosi con i gas di scarico dell’auto. Il militare, effettivo alla Squadra Motociclisti del Norm della Compagnia di Rimini, mentre stava riposando in casa, verso mezzanotte e mezzo ha ricevuto la telefonata dei colleghi della Centrale Operativa e subito è sceso in strada in tuta per soccorrere il coinquilino, un 35enne che stava suicidandosi nel garage. L’uomo, dopo aver ingerito farmaci calmanti e bevande alcoliche, si era barricato nel suo garage, aveva sigillato le bocchette di aerazione della porta e, salito in auto, aveva collegato lo scappamento con l’abitacolo con un tubo di plastica.
A dare l’allarme chiamando il 112 era stato un altro inquilino. L’operatore della Centrale Operativa di Rimini, oltre a far convergere sul posto alcune pattuglie e preavvisato il 118 ed i Vigili del Fuoco, ha chiamato il collega, ricordandosi che abitava nello stess o condominio.
Il carabiniere ha forzato il dispositivo automatico della porta del garage, spalancando il box auto e tirando fuori l’uomo privo di sensi dall’abitacolo. Ha anche cominciato la rianimazione lasciando poi proseguire i sanitari del 118. L’uomo è stato ricoverato all’ospedale di Rimini “per intossicazione da monossido di carbonio con ingestione di alcool e farmaci”, in prognosi riservata, ma non in pericolo di vita.
(16 febbraio 2013) © Riproduzione riservata
Secondo il generale David Rodriguez, la presenza dell’intelligence nel continente dovrebbe aumentare di 15 volte
Francesca Dessì
La Francia “non è ancora fuori dai guai” in Mali, dove la situazione rimane ancora “preoccupante”. Lo ha affermato l’ex primo ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, durante una conferenza stampa a Bordeaux.
“C’è una situazione di incertezza” nel nord del Mali, ha spiegato l’ex ministro francese, e non si può “dichiarare vittoria troppo presto”.
L’Eliseo ha detto che “le truppe francesi lasceranno il territorio a marzo o ad aprile, ma dove sono le truppe africane? Come potranno essere in così poco tempo addestrate e equipaggiate?” si è domandato Juppè, che ha quindi concluso: “non c’è alcuna logica (…) non dobbiamo stare in Mali, ma se non resteremmo (…) dovremmo essere sostituiti da una forza alternativa”.
Per il momento, solo il Ciad, il Niger, il Senegal e la Nigeria hanno inviato soldati nel nord. Un numero irrisorio che non può prendere il posto delle forze francesi. Gli altri Paesi africani, che negli anni hanno poco investito nel settore della difesa, tentennano per gli elevati costi militari.
Come ha detto l’ex ministro francese, il nord del Mali rimane insicuro. Le truppe transalpine controllano solo gli aeroporti e gli accessi alle città liberate. Non hanno dunque il controllo dell’intera regione, colpita da una crisi umanitaria senza precedenti. A Kidal, come a Gao e in altre città, manca acqua, cibo, elettricità, medicine. I capi tribù, arabi e tuareg, hanno lanciato un appello alla Francia per “intervenire e portare soccorso alla popolazione dell’Azawad”. Ma la macchina umanitaria stenta a partire e a raggiungere le zone di conflitto.
Sulla situazione in Mali, è intervenuto il segretario di Stato Usa John Kerry , che si è congratulato con la Francia per il successo del suo intervento militare.
Kerry, durante una conferenza congiunta con il segretario generale delle Nazioni Unite Ban ki Moon, ha esortato però il governo di Bamako ad organizzare quanto prima le elezioni e “e ad accelerare i negoziati con i gruppi non estremisti nel nord”. A sua volta, Ban Ki Moon ha detto di “apprezzare il fermo sostegno del governo degli Stati Uniti a questa operazione militare e il suo impegno per la pace e la stabilità nel Mali”.
La richiesta del segretario di Stato Usa è stata subito esaudita dal governo di Bamako che ha annunciato che le elezioni presidenziali e legislative si terranno rispettivamente il 7 e il 21 luglio. Lo ha annunciato il ministro dell’Amministrazione territoriale e del Decentramento, Moussa Sinko Coulibaly.
Tornando alle dichiarazioni di Kerry, che ha elogiato l’intervento francese in Mali, il segretario di Stato Usa ha ribadito che gli Stati Uniti continueranno a fornire aiuto logistico alla Francia, ma non interverranno. Ciò non significa che non guardino con attenzione quanto avviene.
Lo sguardo della Casa Bianca rimane infatti rivolto sempre all’Africa. È quanto ha scritto ieri il Washington Post, secondo cui il presidente Usa Barack Obama, che nel primo mandato aveva orientato la sua politica verso l’Asia, ora starebbe puntato verso il Continente nero, dove le forze statunitensi sono ben presenti. È in Africa che si sta costruendo l’Africom, la più grande base militare Usa al mondo, e la quarta base per droni. Inoltre, negli ultimi tempi, la Marina ha incrementato il numero di missioni lungo le coste orientali e occidentali.
Per scopi e spese, precisa il Washington Post, il coinvolgimento degli Stati Uniti in Africa non è ancora paragonabile a quello in Asia, anche escludendo il Medio Oriente e l’Afghanistan. Attualmente, ci sono circa 5.000 soldati statunitensi impegnati in Africa, mentre solo in Corea del Sud ce ne sono 28mila.
Il Pentagono sta però pian piano dispiegando nuove forze in diverse zone africane, in particolare a Gibuti, nella Repubblica Centrafricana e nel Niger (dove si costruirà la quarta base di droni, ndr). Secondo Washington, un impegno maggiore in Africa è necessario per combattere la diffusione non solo di al Qaida e dei gruppi affiliati, ma di movimenti di guerriglia come quello riconducibile a Joseph Kony, signore della guerra ugandese. Secondo il generale David Rodriguez, scelto per guidare le forze statunitensi in Africa, la presenza dell’intelligence e di strumenti di sicurezza e sorveglianza nel continente dovrebbe aumentare di 15 volte. A detta del generale, l’Africa Command sta ricevendo solo il 7% di quanto necessario per operare nell’intero continente.
Mentre la Francia sta combattendo i gruppi islamici in Mali, gli Usa pensano ad occupare militarmente l’Africa.
16 Febbraio 2013 12:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19065
Ingroia: poteri più ampi al fisco per reprimere ogni errore senza alcuna presunzione di innocenza…
Antonio Casolaro
Se non avessimo visto con i nostri occhi il video che gira in rete e che ritrae Antonio Ingroia alla trasmissione Ballarò, stenteremmo a crederci.
L’ ex pm e leader di “Rivoluzione Civile” espone, davanti ad un pubblico basito, quanto previsto dal suo programma politico per contrastare l’evasione fiscale.
Si parte da un concetto tanto semplice quanto agghiacciante: siamo tutti potenziali evasori fiscali. Sì, avete capito bene.
“Bisogna abbassare le garanzie”, dichiara il leader arancione “perché con le verifiche sul reddito non è in gioco le libertà personale dell’imputato e si può quindi avviare un processo di tipo presuntivo”.
Stando alle sue parole a soccombere sarebbero non solo le suddette libertà ma anche un principio cardine del nostro ordinamento giuridico e della Costituzione stessa e cioè il principio della presunzione di innocenza.
In sostanza, l’agenzia delle entrate e gli enti di riscossione riceveranno poteri più ampi con i quali scrutare attraverso controlli incrociati ogni singolo movimento di danaro dei cittadini, individuare situazioni sospette e colpirle con provvedimenti repressivi. Con un ghigno strano e un sorriso quasi ironico, il pm ci dice in sostanza che si passerà ad un processo sommario di tipo inquisitorio nel quale sarà possibile sottoporre a sequestro i beni dei contribuenti sospetti (e non dei grandi evasori attenzione) e provvedere al pignoramento là dove questi non sia in grado (inversione dell’onere della prova) di dimostrare la liceità dei loro redditi.
Hai mille euro in più sul conto questo mese? Io Stato posso sequestrarti il conto in attesa che tu mi dimostri l’origine di tali proventi; chi non riuscisse in questo intento o anche semplicemente chi, e pensiamo ad esempio agli anziani, non si attivi immediatamente per bloccare la procedura esecutiva verrà espropriato del bene sospetto o addirittura di una unità immobiliare.
Tutto questo, dice il prode uomo di legge, servirà a riempire le casse dello Stato; come se il compito dello stato fosse solo quello di tassare e reprimere o non quello di promuovere lo sviluppo e la realizzazione della persona anche attraverso un versamento fiscale equo e proporzionale.
Bah! La Costituzione, questa sconosciuta, divenuta quasi un messaggio in codice speditoci dagli ufo, a tal punto che quello che dovrebbe essere un uomo di legge, ne ignora totalmente l’esistenza e il contenuto. Del resto il nostro debito pubblico non dipende mica dalla totale perdita della sovranità monetaria e politica e dallo svuotamento dei poteri istituzionali in materia di indirizzo economico dello Stato, ma dalla evasione del piccolo contribuente, dell’operaio e del pensionato. Non lo sapevate? Ve lo dice Ingroia. Uno stato di polizia tributaria nei sogni dei novelli montiani, ecco quello che ci vuole. Controlli asfissianti, movimenti di denaro tracciabili e spionaggio fiscale che vanno di pari passo con la progressiva uscita di scena del contante per far posto alla virtuale moneta elettronica, tracciabile, eterea come l’aria e che piace tanto ad Obama e ai suoi adulatori nostrani (leggi Bersani).
Con una sinistra così non c’è da stupirsi che l’alta finanza si senta tanto ben rappresentata da auspicarne pubblicamente la vittoria elettorale. Nel frattempo da oggi siamo tutti potenziali evasori: parola di Antonio l’arancione.
16 Febbraio 2013 19:00:00 – http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19078
ma non raccontavano che la primavera araba libica era fortemente supportata dalle donne?
O quei tweets di sostegno tanto celebrati dalla stampa mainstream partivano da qualche dipartimento di stato USA?
Ora la Libia è stata trasformata in un altro Iraq, tutto per accontentare i signori diritto umanisti con il tomahawk a portata di Nato. I dirittoumanisti sempre a servizio dell’impero dei liberatori.
Torna la “collera” nel tormentato anniversario della ribellione in Libia
– Il Governo mostra i muscoli – La Carta Costituzionale
– Poligamia rivisitata – Le milizie e la paura – La Giustizia
Il terreno scotta e il governo libico ha deciso numerose misure preventive delle temute proteste nella ricorrenza del secondo anniversario del “giorno della collera” che da Bengasi il 15-17 febbraio 2011 diede inizio al rovesciamento del regime di Gheddafi. E’ possibile che il panico degli ambienti governativi sia dettato dalla consapevolezza degli scarsi risultati ottenuti e che il desiderio di festeggiare alla fine prevalga, rimandando a qualche evento di natura drammatica lo scoppio di quella che alcuni paventano: una seconda rivoluzione.
– Il Governo mostra i muscoli
A Tripoli e in tutta la regione occidentale sono stati istituiti più di 1400 posti di controllo e sono state rimesse in funzione le telecamere a circuito chiuso dell’era Gheddafi per monitorare le strade. Lo stesso accade a Bengasi.
Il 9 febbraio il governo ha disposto una plateale dimostrazione di forza sotto forma di parata militare lungo le vie della capitale. Il messaggio chiaro e forse recepito era “lo stato è qui e ha il potere di reprimere qualunque minaccia interna”.
Lo stesso giorno il presidente del Congresso generale, Mohamed Magariaf, ha tenuto un discorso televisivo di forte impatto sulle questioni impellenti, dalla riconciliazione nazionale allo sviluppo economico, una mossa necessaria per migliorare la sua immagine fortemente compromessa presso l’opinione pubblica. E’ recente anche il tentativo di mediazione messo in atto dal PM Ali Zeidan nel conflitto fra le tribù Tobu e Zuwayya che ha lasciato sul terreno centinaia di morti nel sud-est del paese.
Un articolo di Libya Herald, unica fonte di tipo giornalistico in lingua inglese, è durissimo nel riassumere le mancanze che i cittadini imputano al Governo e al Congresso.
– Carta Costituzionale ancora inesistente
Tutto questo allo scopo placare una popolazione che dà forti segni d’insofferenza per la mancata evoluzione sulle questioni più critiche. Soprattutto viene avvertito grave il nulla di fatto per la stesura della Costituzione. I termini previsti sono da lungo tempo scaduti in un inconcludente dibattere: a chi affidare il compito? A ridosso della data critica, il Congresso Generale ha deliberato: verranno indette elezioni dei membri di un’apposita Costituente, scartando l’ipotesi della scelta nominale fra i parlamentari. I libici, infatti, non hanno più fiducia nei loro rappresentanti, eletti meno di un anno fa, e la formazione di un nuovo organismo potrebbe ridare loro la speranza. Per questa soluzione si erano da sempre espressi i federalisti della Cirenaica, una regione che è indispensabile al governo mantenere quieta proprio in vista del secondo anniversario della rivolta.
– Poligamia rivisitata
Se poco ha fatto il Congresso perche fosse stilata la Carta Costituzionale, molto attive sono state le istituzioni nell’ambito delle questioni civili. Ha fatto un certo scalpore sui media internazionalila modifica della legislazione che regola il matrimonio. Con insipienza e consueta certezza di possedere la giusta misura della civiltà, le opinioni pubbliche sono state informate che in Libia “è stata introdotta la poligamia”, il che è secondo i nostri canoni un regresso barbarico senza appello.
La poligamia nella quasi totalità dei paesi musulmani, pertanto da sempre anche in Libia, è legalmente riconosciuta, ma variamente disciplinata. Se per la felicità umana la poligamia non è né meglio né peggio del matrimonio monogamico, per la difesa dei diritti della donna fa fede, appunto, il modo in cui essa viene regolamentata.
Nella Jamahirya di Gheddafi la decisione del marito di stipulare un secondo contratto matrimoniale (tale è giuridicamente nell’Islam) era subordinata al consenso della prima moglie; in mancanza, era previsto il ricorso al Tribunale deputato a valutare le ragioni di entrambi i coniugi.
Questa clausola che salvaguardava la famiglia dai capricci e dall’arbitrio maschile è stata eliminata trasformando così la poligamia nella peggiore delle soluzioni possibili. Per la donna innanzitutto, per i figli e per i membri dei clan famigliari poi. Non sono disponibili le ragioni che hanno indotto a questo provvedimento, o meglio: ci si deve accontentare di dichiarazioni a titolo personale secondo le quali si vuole porre rimedio all’elevato numero di donne non sposate. Tesi sconfessata da altre fonti in realtà, e che molto stupisce noi occidentali che abbiamo del matrimonio una visione molto privata e romantica. E’ da ritenere, più probabilmente, che si sia voluto intervenire sulla pratica dei matrimoni segreti, ovviamente, un male ancora peggiore – moralmente e per i diritti dei figli – dell’arbitrio pubblicamente perpetrato.
– Le milizie e la paura
Il 31 dicembre scorso era la data ultima per l’integrazione delle milizie nei ranghi dell’esercito o della polizia. Numerosi precedenti tentativi erano andati a vuoto ma, dopo l’attentato di Bengasi in cui ha trovato la morte l’ambasciatore Stevens, si era decisa questa forte presa di posizione. Poichè, scaduto il termine, non vi sono state dichiarazioni trionfalistiche si deve intendere che le adesioni sono state parziali.
Questo tweet sintetizza il clima: c’è paura e ci si arma dimostrando come la cerimonia della consegna delle armi al governo dopo i fatti di Bengasi fosse pura propaganda.
Le cronache di incidenti e rapimenti sono quotidiane; il controllo poliziesco è invasivo, gli arresti colpiscono anche figure della rivoluzione. I rapimenti sono episodi comuni, giornalisti stranieri, come George Grant, di Libya Herald, o uomini d’affari come David Bachmann , hanno dovuto lasciare almeno temporaneamente il paese perché oggetto di minacce. Vari Governi hanno invitato i cittadini a tornare in patria. E’ di questi giorni il temporaneo stop dei collegamenti aerei deciso dalle compagnie straniere, fra le quali l’Alitalia, in previsione dei disordini. Impianti stranieri sono target di attentati, come accaduto l’11 febbraio al magazzino della Pepsi Cola . Le minoranze religiose si sentono insicure, dopo le devastazioni delle moschee Sufi e recentemente l’attacco alla chiesa Cristiana di Misurata.
I confini del paese non possono essere messi in sicurezza (ed è pressante la richiesta di aiuto a livello internazionale) se non imponendo la legge marziale come nella regione del sud. Per la ricorrenza del 17 febbraio il governo ha lanciato un allarme terrorismo e disposto la chiusura per quattro giorni anche delle frontiere con Egitto e Tunisia, issolando di fatto il paese dal resto del mondo. Che la situazione non vada presa sotto gamba lo dimostra il Ministero degli Esteri italiano in un quadro dettagliato della situazione rischi per gli stranieri in Libia- visibile a questa Pagina
Ben poco viene ricordato da tutti che il territorio è disseminato di mine inesplose, funeste soprattutto per i bambini; ancor meno si cita l’inquinamento del terreno per le bombe all’uranio impoverito sganciate dalla Nato. Se ne parlerà quando, come in Iraq, nasceranno bambini con gravi malformazioni.
– La Giustizia
Gli inquirenti non sono approdati a nulla di certo sugli autori e i mandanti dell’attentato al Consolato USA dell’11 settembre. Il sistema giudiziario celebra processi di cui non è possibile conoscere la regolarità a “collaborazionisti” del regime. Perfino un’icona della rivoluzione, Mustafa Abdul Jalil, leader del CNT e referente dei governi stranieri, deve ora difendersi dall’accusa di aver messo a rischio l’unità nazionale.
Il Ministro della Giustizia ha ammesso che non si sono fatti passi avanti per il rispetto dei diritti umani, tuttavia contemporaneamente persiste nel braccio di ferro con la Corte Penale Internazionale che non ritiene accertata la capacità di condurre equi processi, in paricolare per Saif Al Islam Gheddafi (detenuto dalla milizia della tribù Zentan) e per l’ex capo dell’intelligence Al Senussi letteralmente “acquistato” dalla Mauritania.
In questo quadro disarmante stupiscono atteggiamenti di una parte, almeno, della popolazione: gli spari quotidiani senza motivo, o specie in occasione dei matrimoni e l’infinita sequela di fuochi d’artificio. Un paese traumatizzato, arrabbiato che si contiene ancora per un residuo di speranza o per l’impossibilità di sopportare l’affiorare della disperazione.
Era la Libia, la nazione al primo posto della classifica dell’Indice ISU, lo Sviluppo umano. Con la calcolata destabilizzazione portata avanti da Francia e Inghilterra è diventata un focolaio di terrorismo, la base dalla quale sono partiti uomini e armi per il recente sanguinoso episodio di In Amenas, Algeria.