Definendo la situazione inquietante, il governatore dice di attendersi una situazione molto peggiore nel resto del deposito

Scritto da Paolo Ferrante il 23.02.2013

Un incidente nucleare negli Stati Uniti ha causato la prerdita di materiale radioattivo nello stato di Washington. Sei serbatoi alla Hanford Nuclear Reservation, un deposito di scorie nucleari che si trova nella parte sud-est dello stato, hanno subito perdite di materiale altamente radioattivo, secondo quanto dichiarato alla stampa dal governatore dello stato, che si trova sulla costa occidentale degli USA.

Definendo la situazione inquietante, il governatore ha dichiarato che al momento non ci sono ulteriori informazioni, anche se la perdita di ben 6 serbatoi potrebbe rivelare una situazione molto peggiore nel resto del deposito.

Il governatore ha ottenuto le ultime informazioni relative all’incidente nel corso di un incontro a Washington con il segretario all’Energia Usa Steven Chu.

Una settimana prima, il governatore Chu aveva già avvertito il governatore su una perdita ad un solo serbatoio, che era stata stimata a circa 550-1100 litri all’anno.

I serbatoi in questione sono dei contenitori costituiti da un unico corpo, garantiti per resistere per soli 20 anni, ma che sono stati costruiti negli anni ’40 dello scorso secolo.

Contengono fanghi radioattivi che non avrebbero mai dovuto essere rilasciati nell’ambiente. Già nel 2005 i contenitori erano stati controllati per alcune perdite, e da allora non erano più stati segnalati incidenti.

I serbatoi contengono circa 1,7 milioni di litri di fanghi, secondo l’ufficio del governatore, che dovevano essere da tempo rimossi e messi in sicurezza.

I materiali al momento non dovrebbero costituire – secondo le autorità – alcun rischio immediato per la sicurezza pubblica o per l’ambiente, perché ci vogliono anni perché le sostanze chimiche raggiungano le acque sotterranee, ha detto il governatore Jay Inslee.

Ma la notizia ha scatenato un’ondata di polemiche sui ritardi nello svuotamento dei serbatoi, che sono stati installati ormai da 70 anni e avevano una previsione di vita di 20.

“Nessuno netterebbe scorie radioattive in serbatoi simili. Sono tutti oltre il loro ciclo di vita. Nessuno di essi dovrebbe più essere in servizio”, ha detto Tom Carpenter della Hanford Challenge, un gruppo di controllo della riserva federale di scorie radioattive di Hanford. “Eppure, contengono circa due terzi delle scorie nucleari altamente radioattive a livello nazionale.”

La diminuzione dei livelli di fanghi radioattivi non è stata scoperta in tempo perché, secondo il governatore, non esiste una registrazione dei vecchi livelli all’interno dei serbatoi.

“E’ come cercare di scoprire se ci sono o meno i cambiamenti climatici osservando solo le temperature di oggi,” ha detto. “Forse si tratta di un errore umano, il protocollo non prevedeva queste misure. Ma non è la cosa più importante in questo momento. L’importante ora è di trovare e affrontare le perdite”.

Gli Stati Uniti costruirono l’impianto di Hanford al culmine della seconda guerra mondiale, nell’ambito del Progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica. Il sito ha raffinato il plutonio per la costruzione della bomba sganciata su Nagasaki, in Giappone, e ha continuato a contenere l’arsenale nucleare per anni.

Oggi, si tratta dell’area più contaminata dalle radiazioni del paese. Alcuni anni fa sono stati eseguiti alcuni lavori di recupero presso Hanford, la rimozione del plutonio per scopi militari dal sito e lo svuotamento delle piscine che contenevano combustibile nucleare esausto a soli 400 metri da un fiume.

Ma resta ancora molto da fare. I serbatoi ancora presenti nel sito contengono scorie nucleari e fanghi radioattivi per circa 53 milioni di litri, e si tratta di scorie altamente radioattive.

Esiste un progetto che dovrebbe (o doveva) essere il necessario presupposto allo svuotamento dei vecchi serbatoi: la realizzazione di un impianto di vetrificazione delle scorie, che permetterebbe di convertire i rifiuti in blocchi simili al vetro per garantire l’assenza di perdito. L’impianto, il cui costo dovrebbe aggirarsi attorno a 12,3 miliardi di dollari, è in cronico ritardo. Non dovrebbe essere infatti operativo prima del 2019.


http://gaianews.it/ambiente/scoperta-perdita-di-fanghi-altamente-radioattivi-in-impianto-di-stoccaggio-usa-36261.html#.USk2EULrQb0

 

Risposta alle masse oceaniche della rete No War Napoli e cioè ad un certo Francesco Santioanni.

pubblicata da Ouday Hr Detto Soso il giorno Sabato 23 febbraio 2013 alle ore 20.14 

Innanzitutto, prendo atto dalle vostre parole che voi stessi confermate e sottoscrivete l’opinione che Assad sia un individuo che si è macchiato di crimini contro il suo popolo. Il fatto che in questo secondo comunicato scriviate “crimini”, tra virgolette, anziché crimini, senza virgolette, non cambia la sostanza delle cose. Quello che voi dite, e cioè, fondamentalmente, che Assad sia né più né meno che uno spregevole borghese al servizio degli affamatori del popolo, parte integrante di una classe padronale che opprime i siriani, l’ho già sentita. Questo non fa che confermare ciò che già sapevo da tempo, e cioè che voi, oltre a cavalcare la crisi siriana esclusivamente per una vostra personale vetrina politica, non avete nessuna conoscenza, seppur minima, della società siriana e della sua storia. Vi limitate, semplicemente, ad appiccicare sulla realtà siriana quella occidentale, usando strumenti di analisi, pur condivisibili e corretti in molti casi, ma pur sempre concepiti in occidente da un occidentale, per quanto, come si dice in Siria, straniero in casa sua. La storia del cosiddetto occidente, intendendo con questo termine essenzialmente Stati Uniti ed Europa, ha incrociato quella siriana solo negli ultimi decenni, e soprattutto a causa della creazione dello Stato sionista nel 1947, quando cioè un problema degli europei è stato catapultato nei territori del cosiddetto Vicino Oriente, diventando un problema per i popoli che in quest’area vivono da secoli, nonché una fonte di disgrazie continue, come questa ultima, cioè l’aggressione alla Siria tramite bande di tagliatori di gole foraggiate dalle Nazioni occidentali e da quelle del Golfo.

Fondamentalmente, il problema, sintetizzando al massimo, è di non poter mai essere tranquilli in casa propria.

Se innanzitutto non si capisce questo, non si capisce niente.

Forse la vostra è semplicemente pigrizia, ma per me è invece solo una  totale incapacità da parte vostra di allargare la vostra mente ed uscire, per una volta, da schemi che possono sì fornire un utile strumento di analisi, ma che comunque non sono infallibili e che necessitano di essere adattati di volta in volta alle varie situazioni.

Personalmente non avevo dubbi che prima o poi avreste sputato il rospo, e avreste cioè ammesso la vostra antipatia per Assad in quanto non comunista.

Personalmente, ritengo Assad più comunista di tutti voi messi insieme.

Per vostra informazione, la Siria è un paese socialista a tutti gli effetti.

Solo che come dicevo prima, i siriani hanno una storia diversa da quella europea, e non hanno avuto il predominio dell’illuminismo per tre secoli.

Mi rendo conto che questo non può che far storcere la bocca a dei puristi dell’illuminismo come voi, ma dalle nostre parti abbiamo la presenza da secoli di comunità cristiane e musulmane, che reclamano il diritto alle loro tradizioni e alla loro identità. Tutto questo in un contesto laico che esiste in Siria da moltissimi anni, e che è stato faticosamente costruito con il sudore e il sangue dei siriani. Questo patto sociale è alla base della convivenza pacifica tra le diverse comunità e etnie che vivono in Siria, senza il quale non sarebbe possibile nessuna società e nessun governo. A meno che, come vogliono fare i ratti, non si dia il potere assoluto ad una di queste confessioni, facendo diventare, nel perfetto stile di Al-Qaeda, una parte di popolazione “fedele” e un’altra parte “infedele”, con tutta l’intolleranza e l’odio che ne consegue. Se non ci si rende conto di queste dinamiche sociali esistenti in tutta l’area mediorientale, dinamiche invece perfettamente conosciute e sfruttate da chi vuole impossessarsi delle risorse del Medio Oriente, non ci si rende conto di nulla. Il vostro modo di approcciarvi alla Siria è semplicemente scorretto, perché non tiene conto delle specificità dell’area.

Quello di cui, nel vostro essere accecati da una sorta di furore dottrinale messianico, non vi accorgete, è che la Siria è un paese assolutamente e meravigliosamente socialista. Il debito pubblico non esiste in Siria, e già questo da solo colloca questo paese al di fuori dei paesi capitalisti, nella cui organizzazione questo strumento riveste un ruolo fondante. Esiste ancora il baratto in Siria, e questo strumento è stato riscoperto ulteriormente in questi tempi di crisi. Recentemente abbiamo barattato con la Russia cotone in cambio del petrolio e del cibo. Quindi già in questo siamo oggi i più comunisti di tutti.

La maggior parte delle nostre industrie è statale, e io stesso ho seguito una diatriba tra una ditta siriana statale di Homs che produce lieviti per vari usi, e la ditta, italiana e privata, che gli ha venduto i macchinari di produzione.

La terra in Siria appartiene ai contadini, mentre prima della rivoluzione socialista condotta da Hafez Al-Assad (il padre del criminale Bashar, per intenderci) , vigeva un regime feudale, dove il feudatario godeva di un potere assoluto e si sentiva anche in diritto di violentare le contadine più giovani e belle ogni volta che ne aveva voglia.

Il governo siriano aiuta l’agricoltura con moltissimi fondi, ed esistono anche aziende agricole interamente statali.

Ogni famiglia ha diritto a 1000 litri di gasolio all’anno, ad una quantità prestabilita di pane, olio e zucchero, e nel caso di famiglie particolarmente indigenti anche ad altri aiuti.

La sanità è pubblica e gratuita, così come l’istruzione.

Per quanto riguarda le famosi classi emergenti, o padronali o borghesi come vi piace chiamarle, quello che vi sfugge è che molti di questi personaggi si sono arricchiti al di fuori della Siria. Hanno fatto affari nel Libano, con i sauditi per esempio, che sono tra gli speculatori più feroci e spietati al mondo. E molti di loro, anzi tutti si può dire, già dall’inizio della crisi si sono schierati con i ratti. E per fortuna, perché gente del genere è bene averla come nemica dichiarata, davanti alle bocche di fuoco dell’artiglieria, anziché alle spalle come falsi amici.

Personalmente, io al vostro essere in buona fede non ho mai creduto. E anche se lo foste, la vostra ignoranza e il vostro pressapochismo, unito ad una totale cecità che vi impedisce una chiara visione della realtà, trincerati come siete nei vostri schemi immutabili, vi rende delle mine vaganti che possono rivelarsi molto pericolose.

E a volerla dire tutta mi rallegro del fatto che, finalmente, abbiate gettato la maschera.

Che quello che fate lo facciate consapevolmente o no, non ha importanza, tutto ciò vi rende comunque una quinta colonna del rattismo.

Per fortuna, per voi, agite in questo senso al di fuori della Siria.

Altrimenti sarebbero già schierati contro di voi, come contro i tagliatori di gole, di cui fate il gioco, i coraggiosi ragazzi del nostro Esercito, quelli che tutti i giorni da due anni sacrificano la propria vita per la propria Patria e per l’esistenza propria e di tutto il popolo siriano.

Siriano di nome Ouday Ramadan.

Il partito degli onesti

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Pomezia- Arrestato Fabio Mirimich, capogrugruppo PD al Comune. De Fusco accusa il colpo

Ennesima grana giudiziaria per il sindaco di Pomezia De Fusco, ieri a finire agli arresti il capogruppo del PD Fabio Mirimich.

Ieri mattina, la Guardia di Finanza ha arrestato e posto ai domiciliari il consigliere comunale e Capogruppo del PD, l’architetto Fabio Mirimich, accusato di corruzione. Assieme a lui, sono stati posti agli arresti domiciliari anche un dipedente del settore urbanistica, il geometra comunale Giuseppe Franciosi, e un imprenditore a capo di una società di Roma, Francesco Iovine. Per loro due, l’accusa è anche di falso in atto pubblico. Le ordinanze di custodia cautelare emesse a loro carico, portano la firma dei Pm Giuseppe Travaglini e Alessandra Ilari e del sostituto Procuratore Giuseppe Patrone. La vicenda ruota attorno ad un terreno tra via Varrone e via Augusto Imperatore, di proprietà dell’imprenditore romano, che il Comune avrebbe destinato a verde pubblico. Francesco Iovine, invece, avrebbe presentato all’ufficio Urbanistica un progetto per la costruzione di una palazzina residenziale. Progetto che, alla fine, sarebbe stato approvato. Indagando, la Finanza avrebbe trovato dei forti legami tra l’imprenditore, il geometra del Comune ed il consigliere Mirimich. Proprio quest’ultimo, in qualità di architetto, – secondo gli inquirenti – avrebbe dovuto seguire i lavori, dietro un compenso di ben 30mila euro.

“Dagli accertamenti delle Fiamme Gialle della Compagnia di Pomezia  -scrive la Guardia di Finanza – è emerso che, nell’ambito dell’iter amministrativo relativo al piano di lottizzazione, sarebbe stata prodotta ed acquisita falsa documentazione,  al fine di fare approvare il progetto per una cubatura superiore a quella consentita in base alla normativa urbanistica. In particolare, durante una perquisizione presso l’abitazione di uno degli indagati, sono state rinvenute due lettere, con cui l’imprenditore formalmente conferiva l’incarico di consulenza all’architetto, fissando un corrispettivo che, in realtà,  sarebbe stato destinato a ricompensare l’opera di “mediazione” del  professionista nella sua qualità di consigliere comunale”.

Da quando il sindaco De Fusco PD è in carica la sua amministrazione è stata costellata di grane giudiziarie. La seconda volta che un consigliere del PD, si trova al centro di un’inchiesta giudiziaria. Infatti, nel febbraio di quest’anno, fu arrestato con l’accusa di concussione, Renzo Antonini, consigliere del Pd. A maggio scorso un altro assessore, due ex consiglieri e due pubblici funzionari del Comune di Pomezia furono indagati dalla Procura di Velletri per il reato di lottizzazione abusiva. Sempre in ambito comunale, nel novembre del 2011 finì agli arresti domiciliari la dirigente all’urbanistica del comune di Pomezia Anna Ferrazzano, assieme al suo vice all’urbanistica di Pomezia Domenico Consalvo.

La “miseria dell’Africa” è una lezione anche per noi

di Enrico Galoppini – 22/02/2013

Fonte: Europeanphoenix 

C’è poco di che meravigliarsi di scene come quelle riprese in questo filmato. D’altronde, per continuare a raccontare la favola delle “liberazioni” non è bene mostrare immagini che possano far pensare ad un déjà-vu, quel “passato coloniale” che poi tanto passato non è, ma che ufficialmente viene “condannato” profondendosi in plateali “scuse” e in promesse che mai e poi mai “si ripeterà”. Invece l’Africa – anche per colpa degli africani stessi – è terra di saccheggio e di situazioni al limite del grottesco: una massa di gente che muore di fame, ammassata in assurde metropoli, che rimpolpa le fila dei “migranti” (meglio detti “rifugiati econo mici”), ed una cricca privilegiata al cui vertice siede il classico dittatore da operetta alla Bokassa, violento e triviale, che s’abbuffa e accumula fortune all’estero, ma sempre a rischio di vedersele “congelare”, tante volte smettesse di essere “buono” ed affidabile al 100%.

Sono lontani anni luce gli anni a cavallo del 1960, “l’anno dell’Africa”, quando la maggior parte dei Paesi africani raggiungeva l’indipendenza da Francia ed Inghilterra. Qualcuno ci aveva creduto davvero, ma si trattava d’una operazione di facciata, che nascondeva certo anche un contrasto che alcuni definirebbero “interimperialistico”: la competizione tra le due potenze coloniali “classiche” veniva sostituita da quella tra Usa e Urss, ma per gli africani, a parte qualche raro caso (su tutti il Burkina Faso dell’eroico Sankara), non cambiava nulla. Anzi, per certi aspetti la situazione era pure peggiorata, come fu magistralmente mos trato dal film-documentario di Jacopetti e Prosperi Africa Addio, boicottato dal mondo della “cultura” e dei cineforum perché non in linea con la vulgata imperante tra la cosiddetta “intellighenzia impegnata”, incapace di andare oltre lo schema che prevedeva per l’indigeno un destino o da “bisognoso” o da “rivoluzionario” (ovviamente filo-sovietico).

S’è visto poi che fine han fatto quegli amanti delle astrazioni e dell’estremismo parolaio, quei “nuovi filosofi” abbonati alle “primavere”: ad applaudire festanti i bombardamenti della Nato sulla Jamahiriyya – che benché “araba” aveva davvero “un’idea dell’Africa” – e ad omaggiare i “ribelli islamici”, apparentemente quanto di più lontano dalla loro “ modernità”, ma buoni per tutte le occasioni, anche come pretesto per intervenire militarmente come in Mali.

L’Africa, se ancora scaldava gli animi dei “terzomondisti” di tutti i tipi fino agli anni Settanta-Ottanta, oggi non interessa più a nessuno. La gente della Costa D’Avorio è stata martirizzata senza pietà, sempre grazie alla “democratica” Francia, ma nessuno ha trovato da ridire, tanto meno quella “Unione Europea” che fa la morale a tutto e tutti e viene pure premiata col “Nobel per la pace”. È invero strano che mentre da Bruxelles bacchettano a tutto spiano i 27 Stati dell’Unione per i più diversi motivi (dal “razzismo” alla “omofobia”), non trovano nulla da eccepire se una Francia prende a bombardare a destra e a manca, compresi gli alleati di altri Stati della medesima Unione nella quale tutti dovrebbero amarsi alla follia (ogni riferimento alla  Libia è puramente voluto). “Ma quelli sono fatti suoi”, ripetono dai “palazzi” dell’Euro-tecno-plutocrazia, al che non si sa più che dire a gente che mentre trova il modo d’intromettersi negli affari di uno Stato per le “quote latte” o la misura dei cetrioli, ha volutamente rinunciato ad una politica estera europea e, di conseguenza, ad una politica militare condivisa.

Ma quest’Europa è una colonia. Una colonia americana e sionista, o meglio dei poteri finanziari apolidi e senza volto, che usano la leva della finanza per asservire nazioni intere. Quindi c’è poco da meravigliarsi che l’Africa, l’ultima ruota del carro, la più debole, faccia la fine che fa. Siamo tutti sotto lo stesso tacco.

Così, se può far sorridere la scena del cammello donato al “signore coloniale” Hollande, non si creda che lo stesso Hollande non si produca in analoghe manifestazioni quando incontra quelli più potenti di lui, tipo certi caporioni della Nato e del Sionismo, o delle grandi banche d’affari diretta emanazione dei “signori del denaro”. Ma lì non c’è nessun video da censurare semplicemente perché certi incontri si fanno a porte chiuse, e senza cammelli!

E che differenza c’è tra i bambini africani che omaggiano il “Badrone” ed i nostri che sono costretti, nella scuola dei programmi imposti dai “liberatori”, al “culto della memoria” a senso unico?

Per questo, la situazione in cui versa l’Africa è anche colpa degli africani stessi. Non hanno un sussulto di dignità e di amor proprio, e quando quelle rare volte qualcuno di loro ‘sguaina la spada’ per chiamarli alla riscossa lo tradiscono per tornarsene bravi nel ruolo di eterni sfruttati preparato appositamente per loro. Non è un caso quindi che – al di là delle differenze etniche, che pure contano – la mattanza tra connazionali sia la regola ogniqualvolta che una potenza occidentale giunge a sovvertire il governo: il servaggio si porta dietro l’assenza di coesione nazionale.

Stiamo attenti, perché l’Africa è anche una lezione per noi. Gli africani, prima del colonialismo, non erano dei “morti di fame”. Ma lo sono diventati perché hanno tradito se stessi, ché avevano una civiltà e delle tradizioni alle quali isp irarsi. Quindi, occhio, perché quando si comincia a scimmiottare modelli non propri – come han fatto in Africa –  e a prenderci gusto con la piaggeria e l’asservimento, ci si svilisce e depotenzia sempre più, fino a non sapere  più chi si è veramente, e si finisce inesorabilmente nella discordia e, nei casi peggiori, nella miseria e nella fame.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=45085

 

Usa, il Pentagono atterra la flotta di F-35 per problemi al motore

Visto che ci siamo tanto scandalizzati per la tangente pagata da Orsi per far lavorare Finmeccanica ed i suoi dipendenti, qualcuno si indigna? La magistratura indaga su come l’Italia sia stata obbligata a prendere dei bidoni?

Silenzio? Chi paga? I soliti vero?

 23 febbraio 2013

By coriintempesta

di: Lucio Di Marzo

Gli aerei della Lockheed Martin non voleranno fino a che non si sia fatta chiarezza su un guasto a una pala. L’Italia acquisterà 90 esemplari

 

Una decisione drastica, ma necessaria. Il Pentagono ha scelto ieri sera di lasciare a terra momentaneamente tutti i jet F-35 della sua flotta, fino a quando saranno risolti i problemi riscontrati al motore.

La decisione presa in America è dovuta alla scoperta, durante un’ispezione di routine, di una frattura in una delle pale della turbina del reattore. Un campanello d’allarme importante, segno di una probabile debolezza del pezzo, che potrebbe portare al distacco della pala e dunque alla distruzione del motore stesso dell’aereo.

Il velivolo prodotto dalla Lockheed Martin in collaborazione con aziende dei Paesi che lo acquisteranno torna di nuovo al centro del mirino. Modello dal costo esorbitante, l’F-35 presenta diversi problemi noti agli esperti.

Prima di ieri gli F-35 americani erano stati atterrati a gennaio, dopo che la sonda per il rifornimento in volo di un modello realizzato per i marines – a decollo corto e atterraggio verticale – si era staccata in fase di decollo.

L’Italia ha in programma l’acquisto di 90 esemplari dell’aereo. Trenta di questi saranno del tipo pensato per la marina, sessanta del modello convenzionale. Al momento sono stati effettivamente ordinati tre aerei. Il contratto per altri tre è in via di definizione. Il primo velivolo dovrebbe uscire entro il 2015 dagli impianti piemontesi di Cameri, per entrare in servizio nel 2016.

La Lockheed Martin ha annunciato una serie di verifiche con la Pratt & Whitney, società che si occupa della realizzazione del motore. La pala “fratturata” dell’ F-35 americano è stata inviata all’impianto di Middletown, nel Connecticut.

FONTE: IlGiornale.it


http://coriintempesta.altervista.org/blog/usa-il-pentagono-atterra-la-flotta-di-f-35-per-problemi-al-motore/

 

Noi italiani, complici del disastro siriano – Ecco come Terzi Fomenta la Guerra in Siria

Venerdì,  Febbraio 22nd/ 2013 

– di Marinella Correggia –  

“Una guerra diretta da grandi potenze e da grandi interessi”. Siamo complici della privazione della

dignità del popolo siriano. Rendiamocene conto!

Roma, Damasco – Il ministro “tecnico” italiano Giulio Terzi come l’emiro del Qatar e il re dell’Arabia SauditaIn prima linea nel fomentare la guerra in Siria e nel boicottare soluzioni negoziali sostenibili. Al Corriere della Sera, il responsabile della Farnesina ha dichiarato che ospiterà il prossimo 28 febbraio, a Roma, la riunione degli “undici paesi più coinvolti nella gestione della crisi siriana” (una versione concentrata del gruppone degli “Amici della Siria” riunitosi a Parigi a fine gennaio), più la “Coalizione di Doha” (opposizione  che incorpora una parte degli armati).

 L’embargo europeo che avvantaggia i terroristi 

Mentre a Damasco un ennesimo attentato terroristico uccide civili in gran numero, Terzi afferma che proporrà  maggiori aiuti militari (“assistenza tecnica, addestramento, formazione”) ai gruppi armati di quell’opposizione che appunto annovera terroristi e jihadisti, guida nei combattimenti. Il 18 febbraio a Bruxelles il Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea – come detto – aveva già deciso di rinnovare le sanzioni commerciali e militari contro la Siria (decise nel 2011 in funzione antigovernativa), ma emendandole per fornire all’opposizione un “maggiore supporto non letale” (?) e “assistenza tecnica per la protezione dei civili” (protezione, in realtà, degli armati contro i civili, che sono vittime degli scontri e di attacchi mirati).

 Stessa Regia e stessi gruppi jihadisti di Mali e Afghanistan 

Sarà contento il Qatar che giorni fa ha protestato contro la posizione non abbastanza netta dall’Ue. A gennaio l’emiro Al Thani aveva chiesto un intervento militare esterno diretto, per “fermare le uccisioni”. Arabia Saudita e Qatar forniscono armi che passano dai paesi confinanti con la Siria, e secondo il New York Times la maggior parte delle forniture sarebbero finite nelle mani di gruppi jihadisti. Del resto sul terreno questi non sono separabili dai gruppi più graditi a quell’Occidente che “combatte gli islamisti” in Mali e in Afghanistan.

 Lettera delle Suore Siriane su Avvenire – L’emargo Ue è come un’altra guerra 

L’Ue ha poi mantenuto ben saldo l’embargo commerciale che contribuisce ad aumentare le sofferenze del popolo siriano preso nella guerra. Una lettera delle suore trappiste siriane pubblicata su Avvenire domenica scorsa – e riproposta sull’Osservatorio Qui Europa – parla delle sanzioni come di un’altra guerra, “diretta da grandi potenze e grandi interessi”, una guerra che ha azzerato i posti di lavoro e provocato miseria; “il popolo siriano vuole la sua libertà e i suoi diritti, ma non così, non in questo modo. Così si uccide la speranza, la dignità, e anche la vita fisica di un popolo”.

 La Complicità della Farnesina – L’Art.11 della Cost Calpestato 

 e la L. 185/1990 

Comunque l’operato della Farnesina non solo fomenta gli scontri ma sembra violare la Costituzione (Art.11) le leggi italiane e quelle internazionali. La Legge italiana 185/1990 sul commercio delle armi prevede all’articolo 1 comma 6(a) che l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento sono vietati verso i paesi in stato di conflitto armato (come è la Siria), salvo diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare però previo parere delle Camere. Sarà sentito davvero il nuovo Parlamento? C’è peraltro il rischio che la legge non si applichi se il governo vuole regalare armi, perché non si tratta di vendita ma di “supporto politico”.  Ma c’è il diritto internazionale. Non solo la Carta dell’Onu impone ai paesi di perseguire politiche estere di pace anziché fomentare guerre,  ma la fornitura di armi e risorse a forze che combattono contro un governo riconosciuto dall’Onu, ha detto al Manifesto mesi fa il giurista internazionalista Curtis Doebbler, “è illegale ed è una grave violazione del diritto internazionale. Uno stato che sostiene l’uso della violenza contro un altro stato è responsabile sulla base della legge internazionale per il danno arrecato. Si viola il dovere di non ingerenza negli affari interni di altri stati sulla base dell’articolo 2 comma 7 della Carta dell’Onu e l’astensione dall’uso della f orza nell’art. 2 comma 4, uno dei principi più importanti del diritto internazionale”.

 Come gli Usa in Nicaragua  

Qualcuno ricordi a Terzi che il 27 giugno 1986 gli Stati Uniti furono condannati dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja per aver violato questi principi in Nicaragua sostenendo gli armati della contra.

Marinella Correggia


  Articoli Correlati  – Approfondimenti                                                                         

Giovedì, Febbraio 21st/ 2013

Bombe e Sanzioni – Il Volto iniquo

dell’Occidente in Siria 

Da quando le armi e gli embarghi commerciali contro inermi sono una trasposizione di bene? 

L’unione europea ha deciso lunedì scorso di mantenere le varie sanzioni d’embargo sulla Siria, e di allentare

quella che impediva ufficialmente il rifornimento di armi: ora sono legalmente permesse quelle “non letali”(?).

Intanto il popolo  derubato e terrorizzato dai gruppi armati sta morendo di fame  e di freddo.

Bruxelles, Damasco, Aleppo, Roma – Vi imploriamo di riflettere su una guerra a cui si dà il consenso in nome di una sedicente prassi democratica! Stiamo parlando delle sanzioni internazionali contro la Siria, e delle stragi quotidiane che esse provocano. Uomini che da mesi non hanno lavoro, e non hanno prospettive di trovarne: nella sola zona di Aleppo, 1.500 officine, laboratori e piccole industrie sono stati tutti distrutti e i macchinari rubati, e trasportati in Turchia. Una vera razzia. Con cosa si lavora, se manca tutto? È più crudele – ci chiediamo – raccogliere il corpo dei propri figli sotto le macerie, o vederli lamentarsi e soffrire per giorni per la mancanza di medicine?

  Le sanzioni stanno uccidendo molto più delle bombe  

Le sanzioni stanno uccidendo molto più delle bombe. Uccidono i corpi; uccidono la speranza. In città ci si inventa qualcosa, si vende di tutto pur di guadagnare almeno il pane. Si affitta un’auto, ci si improvvisa trasportatori verso destinazioni pericolose, dove nessuno accetta di andare. Come George, padre di tre figli, che pur di lavorare è morto in questo modo ai confini della Turchia, ucciso da cecchini, “liberatori della Siria”. In molte campagne i contadini non osano seminare: troppo pericoloso. I più poveri, che hanno solo qualche mucca, la stanno vendendotra mangimi e foraggi il costo degli alimenti è al minimo 60-70 lire siriane al chilo, quando un litro di latte si vende a 25.

 Altra conseguenza delle sanzioni – Rapimenti, in tragica crescita 

I rapimenti, in tragica crescita, e la delinquenza, sono un’altra conseguenza delle sanzioni. Siete convinti che bisogna pur pagare un prezzo per ottenere libertà e democrazia? Allora digiunate, voi, nelle piazze europee, a favore della Siria. E lasciate che qui ognuno scelga se e come dare la vita per ciò in cui crede. Costringere un popolo alla fame, alla rabbia, alla disperazione, perché si ribelli, è forse metterlo in grado di esercitare una scelta democratica?Che razza di idea di democrazia e di libertà è mai questa? Il lavoro è una grande forza per un popolo, dà dignità, crea prospettive, educa alla libertà vera. Uccidere il lavoro è un altro modo di uccidere vite.  

 Cinquant’anni indietro  

La Siria stava crescendo, lentamente, anche contradditoriamente, ma con continuità. È  tornata cinquant’anni indietro. E adesso si raccolgono milioni di dollari di aiuti umanitari, con spese enormi di invio, di distribuzione. Per dare cibo là dove si è lasciato bruciare il grano, per dare coperte là dove si sono lasciati distruggere i magazzini. Che senso ha? Certo, deve esserci un guadagno per qualcuno, altrimenti che interesse avrebbe il mondo politico internazionale a dirigere le cose in questo modo? Ma , alla fine, la nostra domanda è ancora: voi volete davvero questo? Volete combattere questa guerra contro un intero popolo? Se la vostra risposta è “no”, fate qualcosa! Ve lo chiediamo con tutte le nostr e forze e la nostra preghiera, a nome di tanti Siriani”. Ecco il comunicato delle sorelle trappiste dalla Siria affinchè vengano raccolte firme per sensibilizzare gli Europei e gli Italiani. I nostri politici con l’indifferenza e il ricorso alle armi, con invio di aiuti militari e/o supporto logistico a forze esterne e bande armate stanno contribuendo a distruggere la Siria. E con essi anche noi, col nostro menefreghismo la stiamo distruggendo, spazzando via l’umanità e spezzando la speranza di chi la abita e di quanti sono costretti a lavorare per morire. E’ una diabolica vocazione all’annientamento. Fermiamola!

Giuseppe Sacco, Redazione “Qui “Europa” e “Redazione Ora Pro-Siria”

Appello Sorelle Trappiste Siriane – vedi anche http://oraprosiria.blogspot.it/

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La cyber guerra tra Usa e Cina

di Michele Paris – 22/02/2013

Fonte: Altrenotizie [scheda fonte] 

 

 

 

 

 

 

La crescente rivalità tra la Cina e gli Stati Uniti si è da tempo allargata fino ad includere svariate operazioni di pirateria informatica condotte da entrambe le parti. Le accuse rivolte negli ultimi giorni dalle autorità americane al governo di Pechino hanno segnato però una netta escalation del confronto tra le due più grandi economie del pianeta, i cui rapporti sono già caratterizzati da tensioni sempre più marcate a causa della rinvigorita aggressività statunitense nel continente asiatico.

Ad aumentare le pressioni sulla Cina avevano inizialmente contribuito a fine gennaio le rivelazioni del New York Times, secondo il quale degli hacker cinesi si erano più volte introdotti nel sistema informatico del noto giornale americano. Subito dopo, identiche violazioni erano state denunciate anche dal Washington Post e dal Wall Street Journal, scatenando un coro di richieste indirizzate verso la Casa Bianca per adottare iniziative più incisive per contrastare il cyber-crimine internazionale di matrice cinese.

Lo stesso New York Times, qualche giorno fa, ha poi rincarato la dose, pubblicando un lungo articolo nel quale vengono presentate dubbie prove di operazioni di hackeraggio ai danni di aziende private e di uffici governativi americani, messe in atto da una struttura legata direttamente alle forze armate cinesi.

L’indagine del Times è il risultato del lavoro della compagnia americana Mandiant che si occupa di sicurezza informatica sia per il settore privato che per il governo. Nel rapporto di 60 pagine su cui si basano le accuse alla Cina vengono analizzati 141 attacchi informatici ai danni degli Stati Uniti a partire dal 2006, tutti attribuiti allo stesso gruppo di hacker, conosciuto negli USA con il nome di “Comment Crew” o “Shanghai Group”.

Utilizzando verosimilmente gli stessi metodi di quest’ultimo, i tecnici di Mandiant hanno individuato in maniera approssimativa la provenienza dei cyber-attacchi, partiti quasi interamente da una località che si trova in un quartiere nell’area di Pudong, alla periferia di Shanghai.

Qui si troverebbe un edificio che ospita l’Unità 61398 dell’Esercito Popolare di Liberazione, cioè le forze armate cinesi, il cui operato rimane avvolto nel mistero e forse anche per questo indicato con quasi assoluta certezza dal Times e dal rapporto di Mandiant come responsabile delle intrusioni nei sistemi informatici americani. Lo stesso giornale, tuttavia, afferma chiaramente come Mandiant non sia stata in grado di localizzare esattamente la provenienza degli attacchi.

Secondo quanto affermato dall’amministratore delegato di Mandiant, Kevin Mandia, o i cyber-attacchi hanno avuto origine “dall’Unità 61398 oppure le persone che gestiscono le reti internet più controllate e monitorate del mondo [il governo e i vertici militari cinesi] non sono a conoscenza dell’esistenza di centinaia di hacker in questo quartiere”.

In realtà, le parole del consulente informatico del New York Times rivelano la mancanza di prove indiscutibili delle responsabilità dell’esercito cinese, come ha successivamente confermato alla testata Christian Science Monitor anche un esperto di sicurezza informatica della compagnia Dell Secureworks. Secondo quest’ultimo, “ancora non ci sono prove schiaccianti” che le attività di hackeraggio in questione abbiano avuto origine dall’edificio che ospita l’Unità 61398, dal momento che quanto è stato messo assieme da Mandiant sono solo “una serie di coincidenze che puntano in questa direzione”.

Da parte sua, il governo cinese ha risposto duramente alle accuse, affermando che esse “mancano di prove certe” e, soprattutto, facendo notare come gli indirizzi dei provider rintracciati da Mandiant non forniscano indicazioni precise circa l’origine degli attacchi, visto che gli hacker se ne appropriano frequentemente per non essere localizzati. Il Ministero degli Esteri di Pechino, inoltre, ha ricordato che i sistemi informatici cinesi sono il costante bersaglio degli hacker, gran parte dei quali operano negli Stati Uniti.

Un editoriale pubblicato mercoledì dell’agenzia di stampa cinese Xinhua ha poi accusato la compagnia Mandiant di volere soltanto promuovere i propri interessi commerciali, accennando anche alla possibilità che “politici e uomini d’affari americani stiano come al solito cercando di utilizzare la Cina per perseguire i propri interessi personali, specialmente in un momento in cui il Congresso USA sta per approvare il bilancio del prossimo anno fiscale”.

I motivi principali dietro a questa nuova polemica scatenata dagli Stati Uniti sono infatti da ricercare principalmente nell’atteggiamento sempre più bellicoso dell’amministrazione Obama nei confronti della Cina e, in secondo luogo, nel tentativo di sfruttare le minacce tecnologiche provenienti da paesi ostili per rafforzare il controllo sulle comunicazioni web e fornire alle agenzie governative preposte strumenti più incisivi per lanciare eventuali cyber-attacchi contro i propri nemici.

Come era ampiamente prevedibile, subito dopo l’articolo del New York Times, la Casa Bianca ha annunciato una serie di iniziative per contrastare la presunta cyber-guerra scatenata dalla Cina. Le misure che sarebbero in preparazione vanno dalle pressioni diplomatiche su Pechino a nuove e più severe leggi per punire i colpevoli degli attacchi informatici, ma anche sanzioni e restrizioni in ambito commerciale.

Questo nuovo fronte della campagna anti-cinese era già stato preannunciato dallo stesso presidente Obama la scorsa settimana durante il suo discorso sullo stato dell’Unione, nel quale aveva fatto insolitamente riferimento proprio alla minaccia di sabotaggio a cui i sistemi informatici dei settori nevralgici dell’economia e della sicurezza USA sarebbero esposti.

In precedenza, Obama aveva invece firmato un decreto esecutivo per consentire ai militari di condurre attacchi informatici per prevenire possibili minacce contro gli Stati Uniti, ovviamente ridefinendoli come “operazioni difensive”, mentre il Pentagono aveva approvato un sensibile aumento del personale da impiegare nel proprio comando deputato alle operazioni informatiche.

Uno dei più recenti esempi della propaganda di Washington in questo ambito è stato infine registrato mercoledì, quando alla Casa Bianca è stata organizzata una speciale conferenza sul cyber-crimine che ha avuto al centro dell’attenzione le attività degli hacker cinesi, secondo il governo impegnati, con il sostegno delle autorità di Pechino, ad infiltrare le corporation americane per rubare preziose informazioni commerciali, ma anche a violare i sistemi informatici di agenzie federali e delle compagnie che gestiscono i servizi pubblici.

Dai commenti apparsi in questi giorni sui media “mainstream” d’oltreoceano e dalle dichiarazioni allarmate di politici e top manager americani è rimasta invece puntualmente fuori qualsiasi critica delle stesse attività di guerra tecnologica condotte in maniera del tutto illegale dal governo di Washington.

Solo per citare una delle operazioni più note tra le pochissime diventate di dominio pubblico, gli Stati Uniti, in collaborazione con Israele, nel 2010 infiltrarono un’installazione nucleare iraniana con il malware successivamente denominato “Stuxnet”, distruggendo centinaia di centrifughe usate per l’arricchimento dell’uranio.

Questa iniziativa, da considerare un vero e proprio atto di guerra secondo i parametri dello stesso governo americano e, oltretutto, accompagnata da una campagna di assassini di scienziati nucleari in territorio iraniano, non ha rappresentato peraltro un episodio isolato, dal momento che le autorità di Teheran nella primavera del 2012 avrebbero poi scoperto un nuovo virus – “Flame” – riconducibile a “Stuxnet” ma utilizzato principalmente per sottrarre dati classificati relativi al programma nucleare dell’Iran.


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La maggior parte dei comuni sciolti per camorra è del PD

Del Pd la maggior parte di comuni sciolti per camorra

Lecco – Uno dei tormentoni elettorali della compagine di Umberto Ambrosoli è la legalità e, di converso, la pretesa illegalità favorita dalla parte opposta, Roberto Maroni e alleati. A suffragio di questa tesi si adombra la presunta incapacità della Lega Nord di ripulire la Regione da emergenti presenze mafiose.

IL COLORE POLITICO. Curioso che tale rilievo provenga da uno schieramento che ha governato e governa una regione come la Campania. A questo proposito vorrei mettere al corrente il buon Ambrosoli di uno studio sul tema “Il colore politico delle amministrazioni disciolte”, a cura di Claudio Cavaliere, recentemente presentato oltre che dall’autore, dal presidente di Legautonomie Calabria Mario Maiolo, dal responsabile dell’associazione piccoli comuni Giuseppe Pitaro e dalla parlamentare (del Pd) Doris Lo Moro.

32,5 CONTRO 25. La ricerca, curata da Legautonomie (L’associazione di comuni, province, regioni, comunità montane), e pubblicata nel marzo 2012, attesta che in Campania su 40 comuni disciolti per camorra è il centro sinistra che ne governava un terzo (il 32,5%), seguito dal centrodestra (25%) e dalle liste civiche e da quelle di centro monocolore. Ambrosoli è ancora convinto che le infiltrazioni mafiose siano un problema del solo centrodestra?

Ambrosoli mediti: del Pd la maggior parte di comuni sciolti per camorra – Inter nos – Home – Il Corriere di Lecco

 

Dimissioni del Papa Benedetto XVI collegato ad indagare “i funzionari del Vaticano Gay ‘