Lo smemorato Bersani andava in Bankitalia per sponsorizzare Mps +Chi controlla i controllori? L’oscura gestione Tarantola-Grilli, il silenzio di Monti, il regalo di Fini

Posted By Redazione On 4 febbraio 2013

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http://www.ilgiornale.it/news/interni/smemorato-bersani-andava-bankitalia-sponsorizzare-stampalibera.comps-881403.html [1]

Il mantra è del segretario democrat è: il Pd non si occupa di banche. Ma nel 2004 chiese a Fazio di favorire l’operazione con Unipol e Bnl. L’allora governatore fu interrogato a Milano su Ricucci e Fiorani: “Fassino e Bersani vennero da me per la fusione”

Stefano Zurlo [2] – Sab, 02/02/2013 – 08:07

È il peccato originale. Pier Luigi Bersani l’ha rimosso e ripete come un mantra che il Pd fa il Pd e le banche fanno le banche. Perfetto. Ma solo qualche anno fa il segretario del Pd la pensava diversamente e si dava da fare.

Insomma, le banche facevano le banche e il Pd (e prima i Ds) faceva il Pd e pure le banche.

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Sembra una filastrocca ma è quel che affiora da un verbale firmato dall’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. È il 22 marzo 2006 e Fazio, travolto dalla tempesta dei furbetti del quartierino e delle scalate corsare, viene chiamato in procura a Milano dal pm Francesco Greco. E che cosa racconta? Parla di Ricucci, di Fiorani e di Antonveneta, ma poi si concentra su un dettaglio illuminante. «Le posso dire – spiega a Greco -, su Bnl, che sono venuti da me Fassino e altri a chiedere se si poteva fare una grande fusione Unipol-Bnl-Montepaschi. Io li ho ascoltati». Greco non molla, per cercare di collocare nel tempo l’episodio: «Questo quando?». «Primissimi mesi 2005 o fine 2004», è la replica. Pausa. Poi Fazio articola meglio i ricordi: «Erano Fassino e Bersani».


Ma sì, l’allora segretario dei Ds Piero Fassino, oggi sindaco di Torino, e l’allora responsabile economico del partito Pier Luigi Bersani, bussarono alla porta del governatore per proporre la creazione di un grande polo bancario in cui sarebbero confluiti Bnl, Unipol e Monte dei Paschi. Grandeur rossa. Non se ne fece nulla, anche perché Fazio rispose con un secco no. Almeno in quella circostanza, salvo poi ammorbidire la sua posizione.
Quel che conta però non è il risultato, ma il metodo. La nomenklatura del partito, più o meno la stessa di oggi anche se è cambiato il logo, coltivava i suoi disegni egemonici anche sulla finanza, vagheggiava vaste aggregazioni, sognava in grande. Come del resto traspare dalla famosissima intercettazione, pubblicata dal Giornale alla fine del 2005, in cui un elettrizzato Fassino chiede a Consorte: «Ma abbiamo una banca?».
Oggi Bersani ringhia: «Sbraneremo chi ci attacca sul Monte dei Paschi», e poi ripete che il Pd non accetterà lezioni da nessuno e poi ancora che bisogna cambiare, svecchiare, rinnovare. E il solito corteo di luoghi comuni ben confezionati. Fra 2004 e 2005 però giocava le sue carte sfruttando la contiguità, eufemismo, fra partito e banche di riferimento. Il Monte era, come oggi, nelle mani di tecnici e politici militanti o comunque di area. Con un guinzaglio, allora, davvero corto.
Poi le cose andarono come andarono. Consorte provò a scalare la Bnl. E chiamò in causa i «compagni» del Mps che avevano in cassaforte un 3 per cento, preziosissimo, della banca da conquistare. Cominciò una manovra azzardata da parte di Mps per recuperare quel pacchetto strategico – nel frattempo diventato un prestito obbligazionario – e metterlo a disposizione di Consorte. Risultato: le Fiamme gialle si insospettirono e accesero un faro. La scalata, come si sa, fallì e il Monte si trovò i finanzieri alle costole. Partì un accertamento fiscale che poi diventò penale e piano piano ha dato corpo all’indagine di oggi. In ogni caso, il partito continuò a interferire, come documenta persino un insospettabile Franco Bassanini che in un’intervista a Panorama ha alzato il velo dell’ipocrisia, sempre a proposito della tentata scalata della finanza rossa alla Bnl: «D’Alema e Consorte fecero pressing su Siena perché si alleasse con Unipol. Chi difese l’autonomia di Mps, come me e Amato, venne emarginato». La sinergia ci fu dunque, anche se in un quadro complesso di cordate e tradimenti, a due diversi livelli: politico-strategico e sul campo con il tentativo di girare quelle quote Bnl, il 3 per cento, da Siena a Bologna che ne aveva assoluto bisogno per vincere la partita.
Bersani rivendica correttezza, s’indigna e annuncia querele, ma la lezione del 2005 evidentemente non è servita. Perché la vicinanza, anzi la marcatura stretta del partito sulle banche amiche, è andata avanti. Finché il sistema è esploso. E oggi si dimentica il peccato originale. E la processione dal governatore. L’altra sera, a Servizio Pubblico, il responsabile economico del Pd Stefano Fassina, ha ascoltato con crescente imbarazzo il racconto di Marco Travaglio che pungeva Bersani proprio con lo spillo di quel verbale dell’ex governatore. Meglio girarsi dall’altra parte e ripetere, come un disco rotto: «Sbraneremo chi ci accusa».


http://www.stampalibera.com/?p=59525


Chi controlla i controllori? L’oscura gestione Tarantola-Grilli, il silenzio di Monti, il regalo di Fini

La vicenda Mps apre uno squarcio inquietante sul ruolo chiaroscurale di Bankitalia e sul silenzio di questi giorni riguardo le imbarazzanti falle dell’istituto di controllo. Tra atteggiamenti compiacenti, legami imbarazzanti, ispezioni incredibilmente non eseguite e occhi di riguardo verso gli amici di sempre (non solo con Mps, ma anche con Fiorani), ecco cos’è stata la gestione del duo Mario Draghi e Anna Maria Tarantola, prima della nomina di quest’ultima (per la quale, come vedremo, emergono pesanti ombre sul ruolo del ministro dell’Economia Vittorio Grilli), alla presidenza della Rai.

di Carmine Gazzanni

Ma chi controlla i controllori? Domanda legittima a cui, almeno al momento, è difficile dare una risposta. Lo scandalo Mps, sul quale stanno lavorando diverse procure, ha mostrato le falle di un sistema e di un’istituzione – Bankitalia – che, pur sapendo, non ha mosso un dito. E continua a non farlo dato che, ad oggi, non vi è alcuna traccia di sanzioni a Mps sul Bollettino di Vigilanza.

La questione è decisamente delicata e tocca tutte persone di area montiana (da Gianfranco Fini ad Anna Maria Tarantola, fino a Mario Draghi e Vittorio Grilli). Questo, probabilmente, spiegherebbe perché lo stesso Monti sia stato uno dei primi a gettare le responsabilità sul Partito Democratico, mentre non abbia mai speso una sola parola sulle (pesanti) responsabilità di Bankitalia. Ma partiamo da principio.

MPS: DRAGHI E LA TARANTOLA SAPEVANO – All’epoca dei fatti Mario Draghi era governatore della Banca d’Italia. Anna Maria Tarantola, attuale presidente della Rai, è stata invece funzionario generale dell’Area Vigilanza bancaria dal febbraio 2007 al 20 gennaio 2009. In tale data viene nominata vicedirettore generale ed entra quindi a fare parte del Direttorio dell’istituto, pur restando il punto di riferimento massimo della Vigilanza. È già da un anno, quindi, che Draghi e la Tarantola lavorano a braccetto ai piani alti di Palazzo Koch quando – precisamente il nove novembre 2010 – arriva un rapporto stilato dai competenti ispettori della Vigilanza al Direttorio. “L’accertamento, mirato a valutare i rischi finanziari e di liquidità, ha fatto emergere risultanze parzialmente sfavorevoli”. Comincia così il verbale dell’ispezione che prende in esame Mps da maggio 2010 ad agosto dello stesso anno. Nel rapporto i contabili scrivono: “i disallineamenti fra rilevazioni contabili e gestionali riducono la qualità dei dati esposti, in particolare l’indisponibilità di informazioni di dettaglio e l’utilizzo di basi dati non uniformi ha influito sulla tardiva riconciliazione fra modelli interni e segnalazioni in matrice sul rischio di tasso, che l’organo di Vigilanza aveva richiesto sin dal dicembre 2009”. Si parla addirittura anche (già allora) dei titoli tossici oggi al centro delle indagini. A pagina cinque del documento, infatti, si evidenzia come gli ispettori abbiano rilevato “profili di rischio non adeguatamente controllati” con riferimento alle operazioni in pronti contro termine e swap su Btp, per complessivi 5 miliardi di euro, stipulate con la Nomura e Deutsche Bank.

Insomma, la favola – raccontata con scadenza puntuale ora da Mario Monti, ora da Giorgio Napolitano, ora dallo stesso Draghi – non regge. L’istituto di controllo sapeva (c’è il documento che lo prova), ma nessuno dal Direttorio è intervenuto. Intanto, però, tanto Draghi quanto la Tarantola hanno fatto carriera: uno nella Bce, l’altra in Rai.

IL “TRIANGOLO OMERTOSO” E LA COMPIACENZA DELLA TARANTOLA – E non è nemmeno la prima volta che la Tarantola assume un atteggiamento compiacente nei confronti di Mps. Se infatti a Siena l’ex vicedirettore generale è stata sentita come persona informata dei fatti, discorso diverso si sta invece tenendo a Trani dove sono in corso indagini per insider trading che toccano diverse banche – tra cui lo stesso Monte dei Paschi, ma anche San Paolo Intesa ed altre – compresa Bankitalia. Al centro dell’inchiesta una storiaccia di derivati tossici di cui l’istituto di controllo – ancora una volta – sarebbe stato a conoscenza senza però mai muovere un dito. Nell’atto conclusivo delle indagini ci si rifà ad una vecchia nota del 2007 in cui la Tarantola scrive alla Consob sottolineando che non ci sarebbero state sanzioni “per l’inesistenza di presupposti per l’emissione di qualsiasi provvedimento a carico del controllato” che però – scrivono i magistrati di Trani – così “se ne avvantaggiava”. Non sappiamo se le indagini porteranno a condanne importanti. Fatto sta che è evidente come questo modus operandi sia abbastanza anomalo. Lo sottolinea, d’altronde, anche il senatore Idv Elio Lannutti il quale, in un’interrogazione parlamentare, parla di “un triangolo omertoso tra Abi, Bankitalia e Consob che ha determinato 15,4 miliardi di euro di buco del Monte dei Paschi”.

TARANTOLA, ANTONVENETA, FIORANI E I REGALI DI NATALE – Di amicizie poco raccomandabili Anna Maria Tarantola ne ha avute diverse. Pupilla di Antonio Fazio, è molto legata anche a Giampiero Fiorani, quello stesso Fiorani che, guarda caso, è stato il primo a tentare la scalata Antonveneta. Già allora, dunque, anche se indirettamente, la Tarantola ha avuto a che fare con la banca oggi al centro delle indagini su Mps. I rapporti con Fiorani cominciano a stringersi dal 1993 quando viene nominata a responsabile della Vigilanza. È da qui infatti che Fiorani deve passare, acquisizione dopo acquisizione, per far crescere la Popolare di Lodi. Nel 1995 la Tarantola viene trasferita a Varese, ma ormai Fiorani è lanciato. Nessuno della Vigilanza lo ferma più: né a Milano né a Roma. Saranno solo le inchieste giudiziarie, dieci anni dopo, a fermarlo definitivamente.

Eppure, ancora una volta, il ruolo della Tarantola sembra essere tra il chiaroscurale e il compiacente. Come ricostruito tempo fa da Linkiesta, “le acquisizioni della banca lodigiana si susseguono come pure i piani di apertura di nuovi sportelli. Con il placet della Vigilanza bancaria”. Basti pensare che nel 2000 va finalmente in porto l’acquisizione della Banca popolare di Crema, che più tardi Fiorani dirà essere stata “coperta e voluta da Bankitalia”. Secondo quanto riferito ancora da Linkiesta, uno che ha lavorato per anni fianco a fianco con Fiorani avrebbe detto che “la Bpl era di casa e Gianpiero era il pupillo della Tarantola”. Non sappiamo se questo sia vero. Il dubbio però viene se pensiamo che, secondo quanto ricostruito da Panorama nel 2005, a Natale di ogni anno Fiorani non dimenticava mai di mandare auguri e regalino alla sua amica di Bankitalia. Un vassoio risottiera in argento nel 1985, una ciotola ovale inglese in argento l’anno dopo, poi a seguire un vassoio in argento con manici, un servizio da tè, fino all’orologio Cartier (1995), un oggetto pomellato (1996) e a una sveglia in argento.

TARANTOLA, PONZELLINI E GRILLI: IL “RISARCIMENTO” DELLA NOMINA IN RAI – Certamente meno accondiscendente è stata la Tarantola nella sua ultima ispezione prima di essere trasferita in posizione di comando in Rai, quella alla Banca Popolare di Milano di Massimo Ponzellini. Il 2 ottobre 2012 ancora Lannutti presenta un’interrogazione nella quale si sottolinea come l’Ufficio di vigilanza di Banca d’Italia, allora diretto appunto da Anna Maria Tarantola, avesse inviato un’ispezione nella banca milanese per verificare l’operato della BPM, “la cui gestione opaca del credito e del risparmio nonché gli affidamenti a giudizio dell’interrogante disinvolti hanno prodotto l’indagine giudiziaria e gli arresti domiciliari con l’accusa di reati gravissimi tra i quali l’associazione a delinquere”. Dall’ispezione di Bankitalia non emergerà invece nulla.

Sarà semplicemente un caso, ma il ministro dell’Economia Vittorio Grilli – come emerso anche in alcune intercettazioni al centro di un’indagine giudiziaria – è molto legato proprio a Ponzellini e avrebbe sfruttato le sue reti di conoscenze per avere l’appoggio politico quando, più di un anno fa, aveva cercato di diventare governatore di Bankitalia (Grilli nelle conversazioni chiama Ponzellini semplicemente “Max” o “Massi” e chiede conto delle riunioni governative per la scelta del vertice di Via Nazionale). Ebbene, essendo il Tesoro azionista di maggioranza della Rai, sarà proprio il ministro dell’Economia Vittorio Grilli, amico di Ponzellini, a designare Anna Maria Tarantola alla Presidenza dell’azienda pubblica, “con un’iniziativa criticabile – denuncia Lannutti – che getta il legittimo sospetto sulla volontà di favorire un’informazione reticente rispetto a tale gravissimo scandalo”. Si chiede, insomma, Lannutti: che sia stato un modo per ringraziare del silenzio?

SE ANCHE UN’AUDIZIONE PUÒ ESSERE PERICOLOSA. IL REGALO DI FINI (E PD) – Silenzi su Mps, silenzi sulla vicenda dei rifiuti tossici, ruolo chiaroscurale nella scalata Antonveneta di Fiorani e nei suoi legami con Ponzellini (ancora agli arresti domiciliari, peraltro). Tanto basta, secondo Francesco Barbato, per chiedere un’audizione dei vertici di Bankitalia in Commissione Finanze appena dopo la nomina della Tarantola in Rai.

Richiesta fatta (audizione della stessa Tarantola, di Grilli, ma anche di Ignazio Visco e del suo predecessore Draghi). Ma invano. Di traverso, secondo quanto denunciato dallo stesso Barbato, si sarebbero messi il Pd – forse timoroso di scoprire altro sulla vicenda Mps – e i finiani, nella persona di Benedetto Della Vedova. Un niet, quello del finiano candidato con Monti, decisivo dato che per chiedere audizioni è necessaria l’unanimità. Il motivo del rifiuto ad oggi non è chiaro (che male può fare un’audizione?). Eppure così sono andate le cose. Un grosso aiuto dai montiani finiani ai montiani tecnici (Tarantola, Grilli e Draghi). Tra montiani, insomma, non ci si tocca.

http://www.infiltrato.it/inchieste/italia/chi-controlla-i-controllori-l-oscura-gestione-tarantola-grilli-il-silenzio-di-monti-il-regalo-di-fini

Lo smemorato Bersani andava in Bankitalia per sponsorizzare Mps +Chi controlla i controllori? L’oscura gestione Tarantola-Grilli, il silenzio di Monti, il regalo di Finiultima modifica: 2013-02-05T17:35:00+01:00da davi-luciano
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