LETTERA APERTA AL PROCURATORE CAPO GIANCARLO CASELLI

di Giovanni Vighetti    Doriana Tassotti   Claudia Ivol

http://www.notav.info/post/lettera-aperta-al-procuratore-capo-giancarlo-caselli/

Siamo sempre in attesa.

E mentre stiamo ancora aspettando che, in qualità di  Procuratore Capo di Torino, tenga fede alle sue dichiarazioni di un’azione della Magistratura a 360 gradi, in verità le iniziative giudiziarie della Procura torinese si rivelano esclusivamente rivolte solo contro il Movimento NO TAV e quindi contro la Comunità Valsusina di cui il movimento è parte integrante e sostanziale.

E mentre aspettiamo coerenza e correttezza da parte della Magistratura verso gli agenti delle Forze di Polizia che hanno usato violenza nei confronti dell’opposizione al progetto TAV Torino-Lyon (violenze documentate con testimonianze fotografiche e video) si susseguono solo denunce, processi, misure restrittive della libertà personale a carico di cittadini NO TAV.

Nulla invece è stato fatto nei confronti dell’apertura del cantiere in località Maddalena a  Chiomonte che, in assenza di un progetto esecutivo, è sicuramente da considerarsi illegale.

Ancor meno è stato fatto per fare chiarezza su come sia stato possibile che LTF abbia potuto assegnare, con trattativa diretta, appalti a ditte valsusine  poi fallite o i cui titolari sono stati condannati per bancarotta fraudolenta.

Sul tema della gestione degli appalti a Chiomonte Le alleghiamo un documentato post pubblicato da Il Fatto Quotidiano on-line a firma degli avvocati Alessio Ariotto e Fabio Balocco.

Signor  Procuratore Capo: oggettivamente  è molto spiacevole per tutti la contestazione personale, e  lo è ancor di più per chi come Lei ha sempre avuto riconoscimenti, ad alto livello, per l’impegno contro la mafia.

Ma converrà su un punto: un’azione della Procura torinese equilibrata e quindi non a senso unico non avrebbe dato fiato alle contestazioni;  che sono state enfatizzate e strumentalizzate perché, in realtà,  molta solidarietà nei suoi confronti  era  più che altro rancore  e voglia di criminalizzare il Movimento NO TAV.

Lei ha dichiarato, in più occasioni, che la Magistratura non intende criminalizzare il Movimento NO TAV ma anche l’iniziativa della Procura dei minorenni, con  le segnalazione ai Servizi Sociali dei genitori i cui figli minorenni hanno manifestato contro il TAV, mostra l’accanimento contro la Comunità Valsusina.

Le risulta che un simile provvedimento sia mai stato preso nei confronti delle famiglie i cui figli minorenni da sempre partecipano alle manifestazioni studentesche ? A noi non  risulta. Si tratterebbe di “segnalare” qualche milione di genitori…..

Signor Procuratore  Capo si rende conto della gravità di questa iniziativa ?

Comprende  che un solo provvedimento limitativo della “potestà genitoriale” sarà considerato il punto di non ritorno nel rapporto tra questa Comunità e lo Stato.

Da parte nostra sarebbe solo un atto di legittima difesa.

Signor Procuratore Capo la questione dell’Alta Velocità in Italia ha ormai una storia consolidata che può leggere su due libri fondamentali: “Corruzione ad Alta Velocità” del Magistrato Ferdinando Imposimato e  il Libro nero dell’Alta Velocità dell’Ingegnere Ivan Cicconi: due letture caldamente consigliate.

Non le chiediamo certo  di diventare NO TAV  ma almeno di chiedersi  perché  tutti i “poteri forti” siano contro questo Movimento che, se resiste e si rafforza da venti anni, ha sicuramente molte ragioni.

La risposta che può darsi, con  onestà intellettuale, potrebbe aiutarla a mantenere fede ai propositi di imparzialità.

Nel contempo ci auguriamo che la Procura di Torino operi in futuro anche nei confronti di coloro che hanno infranto la legge e non appartengono al movimento No TAV.

17 febbraio 2013

Giovanni Vighetti    Doriana Tassotti   Claudia Ivol

 

Articolo di Tobia Imperato sull’udienza del Processo NO TAV

Il 14/2 si è tenuta, nell’aula bunker del carcere delle Vallette, un’altra udienza del processo contro 52 NO TAV.

La volta scorsa si era deciso, sull’onda della protesta contro lo spostamento della sede del dibattimento, di non presentarsi in tanti ma di inviare solo una piccola rappresentanza, sia di pubblico che di imputati, e di tenere un presidio informativo nella centrale piazza Castello.

Per ordine del giudice agli imputati presenti non è stato permesso l’accesso in aula, ma hanno dovuto attendere l’appello nello spazio riservato al pubblico. L’intenzione era quella di farci entrare uno alla volta appena chiamati per nome. Ci siamo rifiutati di sottostare all’ennesima vessazione e siamo entrati tutti insieme alla fine dell’appello.

Come da calendario, in questa giornata sarebbe scaduto il tempo utile per costituirsi parte civile contro gli imputati. Ne hanno quindi approfittato per aggiungersi il COIR, organo di rappresentanza dei CC, e un’altra ventina tra agenti di PS carabinieri e finanzieri, che diventano quindi quasi un centinaio.

Ricordiamo che abbiamo contro già 4 o 5 sindacatini di polizia e il COBAR, che rappresenta i finanzieri, più la potentissima Lion-Turin Ferroviaire (LTF) la società italofrancese appaltatrice dei lavori del cantiere di Chiomonte e la ormai fallita Italcoge (ditta valsusina in odore di mafia).

Ma queste sono quisquilie, pinzellacchere, come direbbe Totò.

La vera novità della giornata è stata la presentazione della costituzione di parte civile da parte della presidenza del consiglio dei ministri, del ministero dell’interno, del ministero della difesa e del ministero dell’economia e delle finanze con la richiesta di risarcimento nei confronti di tutti gli imputati.

Sembra che una cosa simile non sia mai successa in presenza di reati legati alla rivolta sociale o per scontri di piazza. Ci voleva un governo dei banchieri per mettere, oltre le manette ai polsi, anche le mani nei portafogli di chi si ribella.

Monti, dopo aver rapinato i redditi di lavoratori, precari, pensionati ora vuole rimpinguare le casse dello Stato con il denaro dei NO TAV.

Questo passo del governo potrebbe rivelarsi un precedente pericoloso e insidioso.

Una svolta subdola della repressione.

Chiunque si batta per una maggiore giustizia sociale deve sapere che – da ora in poi – non andrà più solamente in galera ma sarà anche costretto a pagare cifre iperboliche. E visto che tra gli imputati non ci sono persone ricche ma solo studenti, lavoratori, disoccupati, difficilmente – in caso di condanna – l’erario entrerà in possesso del risarcimento richiesto.

Ne consegue che tale passo, voluto da Monti e dai suoi tecno-ministri, rappresenta solo una precisa scelta politica volta a colpire duramente ogni forma di rivolta sociale.

Il governo non lamenta danni patrimoniali ma solo danni d’immagine, che si riserva di quantificare più avanti, mentre i vari ministeri presentano il conto dei costi della repressione: circa un milione e mezzo di euro per rifonderli dei costi di personale, automezzi e materiali in dotazione.

In pratica dobbiamo pagare allo Stato la spesa dei manganelli che ci hanno spaccato in testa e del gas CS che ci hanno fatto respirare.

Probabilmente, se nel 2001 ci fosse stato Monti al governo, la famiglia Giuliani avrebbe dovuto rifondere allo Stato il costo del proiettile che i carabinieri hanno sparato in faccia a Carlo.

Per soprammercato non si risparmiano nemmeno di pretendere interessi e spese processuali.

Si sa che lo Stato è il peggior creditore che immaginar si possa. Se saremo condannati a pagare cifre di questo tenore significa che potremmo essere decurtati a vita di un quinto del salario.

Chi sta faticosamente pagando un mutuo per la propria casa, rischia di vedersi pignorare anni di sacrifici. Guai poi a ereditare qualcosa da una vecchia zia. Insomma, una persecuzione vita natural durante.

Non saranno più solo la DIGOS e i ROS a invadere le nostre abitazioni ma anche gli ufficiali giudiziari.

I difensori hanno subito chiesto un rinvio (a cui si sono associati anche diversi colleghi di parte civile) per studiare le nuove richieste. La prossima udienza è stata fissata per l’8 marzo, alle ore 9,30, sempre nell’aula bunker delle Vallette.

Il giudice si è rimangiato quanto assicurato verbalmente la volta scorsa agli avvocati, cioè di riportare il processo al palagiustizia, accampando la mancanza di maxi aule disponibili fino a luglio.

La prossima udienza sarà incentrata sull’ammissione delle parti civili, su cui il collegio di difesa ha intenzione di dare battaglia, ed è presumibile che la discussione non si concluderà in un solo giorno. Quindi non si sa ancora quando il dibattimento vero e proprio prenderà il via.

Vediamo ora le motivazioni addotte dal governo.

“Il pregiudizio che i fatti in oggetto d’imputazione hanno arrecato al Governo nel suo insieme, nonché, per esso, all’Italia intesa come ‘Sistema-Paese’, si configura essenzialmente come danno non patrimoniale, ricollegabile sia anche alla rilevante ripercussione negativa che tali fatti hanno provocato a livello non solo nazionale ma anche internazionale, avuto riguardo, a tale ultimo proposito, ai riflessi negativi registrati nell’opinione pubblica europea, nelle relazioni bilaterali tra Italia e Francia e nelle principali istituzioni comunitarie (Commissione, Parlamento e Consiglio europeo)”.

Infatti, “nell’opinione pubblica europea” è ormai convinzione consolidata che “l’Italia intesa come Sistema-Paese” non sia censurabile per gli scandali politici e finanziari, per gli sprechi a vantaggio di pochi del pubblico denaro, per la connivenza tra potere politico e potere mafioso, ma soprattutto per l’esistenza e la combattività di un irriducibile movimento popolare che lotta strenuamente contro la devastazione ambientale del progetto TAV.

Appare del tutto evidente, pertanto, – prosegue l’avvocatura di Stato – come i fatti oggetto di imputazione abbiano integrato un gravissimo pregiudizio rispetto agli impegni assunti dall’Italia a livello europeo, con grave rischio di compromissione dei finanziamenti comunitari e francesi, pregiudizio che ha potuto essere evitato solo grazie allo straordinario impegno profuso da tutte le istituzioni italiane, a partire dal Governo, nel ripristino della legalità e della sicurezza nella zona interessata, con enorme dispendio delle ingenti risorse umane e materiali impiegate nel presidio, che in tal modo venivano sottratte ad altre esigenze istituzionali”.

Sembra (così si lamentano) che il movimento NO TAV li abbia sputtanati a livello internazionale mettendone a rischio la credibilità e i finanziamenti europei. Per fortuna (ovviamente loro) tutto ciò ha potuto essere evitato solo grazie allo straordinario impegno profuso da tutte le istituzioni italiane, a partire dal Governo”.

Non m’intendo di leggi ma, usando solo il buon senso, se il danno è stato “evitato”, cosa dovremmo risarcire? Lo “straordinario impegno”? Evidentemente sono pagati profumatamente solo per un impegno ordinario.

E’ chiaro che ai nostri governanti dell’opinione pubblica europea non gliene frega un accidente, quello che a loro interessa sono solo i potentissimi partner, governi banche imprese e investitori finanziari, a cui avevano gabellato una Valle pacificata e sottomessa dove avrebbero potuto devastare indisturbati e invece si ritrovano a scavare pochi metri di roccia assediati in un recinto di muri e filo spinato, sempre illuminato a giorno, presidiato da centinaia di sbirri e militari, e facilmente violabile, come ha dimostrato la bellissima azione notturna dell’8 scorso in cui 200 NO TAV hanno tagliato le reti, sono entrati all’interno a piantare le bandiere del movimento, hanno abbattuto una torre faro, danneggiato macchinari e si sono ritirati senza danni.

La richiesta di costituzione di parte civile da parte del governo, sebbene gravissima sulla deriva repressiva che potrebbe assumere e quindi da non sottovalutare, rende di fatto gli onori al movimento che è riuscito (e continua) a metterlo in difficoltà.

Deve essere sottolineato, al riguardo, che la legittimazione della Presidenza del Consiglio ad agire nei confronti degli imputati per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale appare sorretta nel caso in esame non solo dalla oggettiva eccezionale gravità dei fatti in oggetto di contestazione, che hanno visto coinvolti migliaia di agenti di pubblica sicurezza, nell’ambito di un’operazione di tutela e ripristino della legalità senza precedenti in Italia, ma anche soprattutto dall’esigenza di impedire che un’area del territorio nazionale, per effetto di azioni di contrasto alla realizzazione dell’opera pubblica poste in essere in forma violenta da parte di gruppi organizzati, venisse di fatto sottratta alla sovranità politica e amministrativa spettante agli enti territoriali”.

I nostri governanti hanno la memoria corta e probabilmente alla Bocconi non si studia la storia, ma ritenere quanto è avvenuto in Valle nell’estate del 2011 “un’operazione di tutela e ripristino della legalità senza precedenti in Italia” mi sembra a dir poco esagerato.

Questa dichiarazione è un sintomo evidente di quanto la Val Susa li spaventi, hanno paura della sua determinazione e dell’esempio pericoloso che il movimento NO TAV costituisce per tutte le situazioni di lotta e di difesa della salute e del territorio sparse nella penisola.

Per questo vogliono colpire duro.

La Val Susa paura non ne ha! 

Spagna: sfrattata entra in banca e si dà fuoco

I pompieri disobbediscono e in Galizia salta uno sfratto, ma a Valencia una donna disperata entra in una banca e si dà fuoco. Il capo della lobby spagnola dei mutui rivendica l’attuale legge e si oppone ai cambiamenti chiesti dai movimenti sociali.

Negli ultimi mesi abbiamo provato a dare su Contropiano puntualmente notizia delle mobilitazioni in atto in tutto lo stato spagnolo contro gli sfratti, e purtroppo insieme alle manifestazioni abbiamo dovuto raccontare un lungo elenco di tragedie provocate dalla pressione e dalle minacce delle banche nei confronti dei cittadini, sempre più numerosi, impiccati da mutui e affitti esorbitanti. Un susseguirsi di suicidi che sabato ha mobilitato centinaia di migliaia di persone scese in piazza in quasi 50 città al grido di ‘stop agli sfratti’. 

Ma l’intensificarsi della lotta non evita il susseguirsi di altre tragedie. Come quella che ieri ha visto una donna entrare all’interno dell’istituto bancario che le aveva intimato lo sfratto e darsi fuoco. E’ successo ieri pomeriggio, all’interno di una succursale della Caja Rural di Almassora, quando la donna è entrata visibilmente alterata, si è cosparsa di liquido infiammabile e si è immolata. Quando poco dopo i paramedici la caricavano su un’ambulanza ha gridato “Guardate cosa mi avete fatto, mi avete tolto tutto”. Ora la signora, una 47enne con tre figli e varie difficoltà economiche, è ricoverata con ustioni gravi sul 50% del corpo nell’Ospedale ‘La Fe’ di Valencia.

Intanto, mentre il movimento popolare chiede ai partiti di approvare al più presto una legge che blocchi gli sfratti e impedisca alle banche di fare il buono e il cattivo tempo, i padroni dei mutui premono sul governo affinché lasci tutto com’è. Proprio ieri Santos Gonzalez, presidente della Asociación Hipotecaria Española (AHE), cioè l’associazione formata da banche e cooperative di credito che controlla l’80% del mercato dei mutui e delle ipoteche del paese, ha affermato che “La percentuale di persone sul punto di essere sfrattate è molto piccola, e quindi non giustifica un cambiamento di tutto il sistema ipotecario”. Soprattutto González, parlando con i giornalisti, si è espresso ferocemente contro una delle principali richieste delle associazioni di mutuati e sfrattati, dicendo no alla ‘daciòn de pago’, cioè all’estinzione del debito con le banche al momento della messa all’asta della casa. In Spagna infatti la legge concede agli istituti bancari di esigere da chi ha contratto mutui che non riesce a pagare il pagamento di ingenti somme anche dopo la vendita coatta degli immobili. Il presidente della lobby ha affermato che la ‘daciòn de pago’ obbligatoria sottrarrebbe autorevolezza e credibilità al sistema finanziario iberico (!). Secondo il portavoce dell’associazione che riunisce banche e casse di risparmio la vendita all’asta degli immobili, da sola, non permetterebbe ai creditori di rientrare completamente del prestito erogato agli acquirenti di immobili. Poi Gonzalez ha chiuso in bellezza affermando che “anche se in tempi di crisi suona male i debiti vanno pagati”.

Per fortuna sempre ieri sul fronte degli sfratti dalla Spagna è arrivata una buona notizia, a dimostrazione che la soluzione al problema non può derivare da gesti estremi come quello di Almassora. Nella città galiziana di A Coruña, infatti, gli ufficiali giudiziari accompagnati da numerosi agenti di Polizia hanno dovuto rinunciare a sfrattare una signora ottantenne difesa e sostenuta da un nutrito gruppo di attivisti dei comitati contro i ‘desahucios’. E così per la seconda volta in poche settimane la signora Aurelia Rey ha evitato di finire in mezzo a una strada. Alle proteste degli attivisti si sono uniti i Vigili del Fuoco incaricati di buttare giù la porta e che si sono rifiutati di farlo, esponendo addirittura un cartello con lo slogan ‘No Desahucios’ (No agli sfratti). Poco prima che gli ufficiali giudiziari rinunciassero e incaricassero il tribunale di fissare una nuova data per lo sgombero si erano vissuti momenti di tensione quando i poliziotti in tenuta antisommossa avevano tentato di forzare il picchetto degli attivisti accorsi a difendere la sfrattata, sostenuti da alcuni rappresentanti politici di partiti di sinistra e dei nazionalisti galiziani del BNG.

Leggi anche:

Spagna: 50 cortei contro gli sfratti e il terrorismo bancario
Madrid: scontri tra polizia e lavoratori dell’Iberia

Autosufficienza e autoproduzione per evitare il collasso greco

di Paolo Ermani – 15/02/2013

Fonte: ilcambiamento 

“La drammaticità della situazione in Grecia è il risultato della svendita a dottrine economiche che niente hanno a che vedere con la vita, le specificità e le vere risorse del paese. E noi in Italia ci stiamo avviando verso la stessa tragica strada”. Come evitare il collasso? Costruendo noi, direttamente, l’alternativa.

 

crisi greca
“La drammaticità della situazione in Grecia è il risultato della svendita a dottrine economiche che niente hanno a che vedere con la vita, le specificità e le vere risorse del paese”

I media italiani non ne parlano per non impaurire l’elettorato ma dalla Greciaarrivano notizie allarmanti sulla situazione che si sta facendo disperata con sempre più persone che non hanno i mezzi basilari per il sostentamento alimentare ed energetico. C’è chi profila addirittura una prossima guerra civile o l’avvento di una dittatura che storicamente dal caos trae sempre vantaggio.

Che siano l’esaurimento delle risorse, i cambiamenti climatici o una situazione politica ed economica che precipita, è sempre più chiaro e urgente che bisogna auto organizzarsi per rispondere efficacemente ai grandi problemi in arrivo. Ladrammaticità della situazione in Grecia è il risultato della svendita a dottrine economiche che niente hanno a che vedere con la vita, le specificità e le vere risorse del paese. E noi in Italia ci stiamo avviando verso la stessa tragica strada.

Il sistema vigente si preoccupa di arricchire politici, banchieri e imprenditori senza scrupoli, di certo non di strutturare la società in maniera saggia ed equa. In questo quadro ovviamente nulla interessa del destino della popolazione, l’unico obiettivo è arricchirsi e avere sempre più potere. Come abbiamo già evidenziato in passato, questo sistema è così fragile e impreparato che basta un inverno un po’ più rigido, uno sciopero degli autotrasportatori e l’Italia va in ginocchio. Di certo in situazioni estreme lo Stato sarebbe l’ultimo in grado di reagire efficacemente.

Lo vediamo anche rispetto all’impreparazione di fronte a catastrofi come alluvioni e terremoti. Piuttosto che arrivare alle barbarie occorre quindi costruire una efficace alternativa di sopravvivenza basata essenzialmente su di una forte autoproduzione ed autosufficienza alimentare ed energetica. Si può praticamente rinunciare a tutto ma non al cibo e alla possibilità di scaldarsi o ripararsi dalle intemperie e rigidità del clima.

Dai politici non arriva alcun segnale in merito e anche se arrivasse hanno tempi di realizzazione e azione che superano le ere geologiche e quindi la via più breve ed efficace è costruire noi direttamente l’alternativa, che non è un programma politico per ricoprire poltrone ma un programma organizzativo di cambiamento concreto. Un azione in tal senso migliorerà comunque società e qualità della vita e in più avrà il beneficio di aumentare di molto la nostra capacità di resilienza in caso di situazioni di estrema difficoltà.

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“Bisogna innanzitutto rimettere al centro la terra, investendo su di essa piuttosto che sulla finanza di rapina”

Bisogna innanzitutto rimettere al centro la terra, investendo su di essa piuttosto che sulla finanza di rapina. Il gruppo acquisto terreni è una ottima risposta da questo punto di vista, decine di persone che si mettono assieme e investendo piccole quote acquistano terreni e strutture abbandonate per creare aziende agricole biologiche. L’Italia è strapiena di luoghi fertili e meravigliosi completamente abbandonati. Agendo in questo modo ci si assicura di avere un approvvigionamento alimentare e si crea economia e occupazione.

Dal punto di vista energetico bisogna adottare tutti i mezzi ed espedienti per ridurre al minimo il consumo energetico dei nostri edifici, investire il più possibile in fonti rinnovabili e in efficienza energetica perché in caso di blocco o diminuzione delle forniture energetiche, per qualsiasi motivo, saremmo immediatamente nel panico.

Puntare decisamente alla localizzazione piuttosto che alla globalizzazione che è la prima cosa che va in crisi in tempi di difficoltà. Il locale è vicino e controllabile, il globale è lontano e incontrollabile. Quindi dare supporto anche all’imprenditoria locale indirizzata maggiormente ai due settori chiave: quello agricolo e quello energetico/ambientale. Il tutto nella massima attenzione a non sprecare risorse e a produrre meno rifiuti possibili. La stessa lotta allo spreco e alla produzione di rifiuti sono settori imprenditoriali di grande potenzialità.

Ma noi che siamo gli attori principali, dobbiamo dare supporto al nuovo mondo, con la nostre scelte, con i nostri soldi pochi o tanti che siano, con le nostre capacità, con il nostro lavoro. Ricostruire la comunità, fare le cose assieme, lavorare gomito a gomito e non tutti contro tutti, senza sensi di superiorità o verità in tasca. E se poi finalmente la politica sotto la spinta fortissima dal basso, si accorgerà e supporterà programma e interventi del genere, saremo ben contenti ma non facciamoci illusioni, se non ci muoviamo noi direttamente non ci pensa nessun altro.

Aspettare significa mettersi nella condizione peggiore, se oggi ci si incammina su questa strada ci saranno ampie possibilità di manovra e intervento per dare un futuro positivo a noi e ai nostri figli, altrimenti sarà il caos assoluto con il famoso ritorno all’età della pietra di cui vengono accusati oggi proprio coloro che hanno l’unica e sensata possibile idea di progresso, quella per cui persona e ambientesono al centro.


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Bahrain, anniversario di sangue

di Michele Paris

 

In occasione del secondo anniversario dell’inizio della rivolta anti-regime in Bahrain, nella giornata di giovedì sono riesplose massicce proteste popolari nel piccolo paese del Golfo Persico. Come è puntualmente accaduto dal 14 febbraio 2011 ad oggi, le forze di sicurezza del regime guidato dal sovrano, Hamad bin Isa al-Khalifa, hanno ancora una volta risposto duramente alle manifestazioni di piazza, mettendo in grave pericolo i negoziati appena riaperti con le opposizioni ufficiali per trovare una qualche soluzione alla più lunga crisi finora registrata tra quelle ascrivibili alla cosiddetta Primavera Araba.

Già dalle prime ore di giovedì, dunque, centinaia di manifestanti sono scesi nelle strade dei quartieri a maggioranza sciita della capitale, Manama, e nelle altre principali città del paese. Secondo quanto affermato dal Ministero dell’Interno, i rivoltosi avrebbero bloccato numerose strade, costringendo la polizia e l’esercito a “ristabilire l’ ordine”.

 

Gli scontri più recenti hanno fatto almeno un morto, un ragazzo di appena 16 anni colpito da un proiettile sparato dalle forze di sicurezza nella località di Diya, non lontano da Manama. La notizia della morte del giovane manifestante è apparsa sul sito web del principale partito sciita di opposizione, Al Wefaq, secondo i cui esponenti ci sarebbero stati anche decine di feriti, principalmente a causa dell’uso di gas lacrimogeni da parte della polizia.

 

Nuove dimostrazioni sono già state organizzate per la giornata di venerdì, mentre svariati gruppi dell’opposizione hanno invocato uno sciopero generale in tutto il paese per celebrare l’anniversario dell’inizio della rivolta.

 

Il caos in Bahrain era esploso nel febbraio del 2011 dopo che, almeno inizialmente, un movimento popolare formato sia da sciiti che da sunniti aveva marciato per le strade della capitale chiedendo la fine del regime dittatoriale della famiglia Al Khalifa. Facendo leva sulle divisioni settarie che caratterizzano da secoli questo paese, tuttavia, la casa regnante appoggiata dall’Occidente ha da subito manipolato con successo le proteste, riuscendo a dividere la popolazione.

 

In particolare, il regime ha ripetutamente puntato il dito contro il vicino Iran, accusandolo senza alcuna evidenza di fomentare le proteste in Bahrain. Ben presto, così, ad animare la rivolta nel paese è rimasta pressoché esclusivamente la maggioranza sciita della popolazione.

 


D’altra parte, il malcontento degli sciiti, che rappresentano circa il 70% degli abitanti del Bahrain, non è cosa nuova, dal momento che essi sono regolarmente discriminati dal regime sunnita ed esclusi dalle posizioni di potere, così come, ad esempio, dagli impieghi governativi, dall’assegnazione di alloggi pubblici e dall’accesso alle migliori strutture scolastiche.

 

Per bilanciare questa disparità nella composizione della popolazione, inoltre, il regime continua a garantire procedure accelerate per l’ottenimento della cittadinanza a decine di migliaia di persone di fede sunnita provenienti da altri paesi della regione, tanto che degli 1,2 milioni di abitanti attuali solo poco meno di 600 mila risultano essere nativi del Bahrain.

In ogni caso, di fronte ad una comunità internazionale che alla crisi del Bahrain ha dato una rilevanza nemmeno lontanamente paragonabile a quelle di Libia o Siria, la repressione del regime ha finora provocato decine di morti: 35 secondo le stime di una commissione d’inchiesta lanciata dal governo, più di 80 per le opposizioni ufficiali.

 

A questi numeri, con ogni probabilità sottostimati ma comunque consistenti per un paese delle dimensioni del Bahrain, vanno inoltre aggiunti gli arresti e le torture di migliaia di militanti sciiti e di medici colpevoli solo di avere prestato soccorso ai manifestanti feriti durante gli scontri, ma anche la privazione della cittadinanza per molti militanti che avevano preso parte alle manifestazioni.

 

La prima fase della rivolta era stata poi soffocata nel sangue già nella primavera del 2011 grazie al contributo decisivo di un contingente militare inviato dalle monarchie assolute del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita, il cui regime continua a temere la possibilità di un contagio dell’insurrezione in Bahrain nelle proprie provincie a maggioranza sciita.

 

La repressione delle manifestazioni da parte della famiglia Al Khalifa è stata resa possibile principalmente grazie al più o meno tacito appoggio degli Stati Uniti, per i quali il Bahrain è un alleato strategico fondamentale, vista la sua posizione nel Golfo Persico a meno di 200 chilometri dalle coste iraniane. Qui, inoltre, si trova il quartier generale della Quinta Flotta della Marina americana, responsabile delle forze navali a stelle e strisce operanti nel Golfo Persico, nel Mare Arabico e al largo delle coste dell’Africa orientale.

 


In seguito alle pressioni internazionali, l’amministrazione Obama ha talvolta emesso blande dichiarazioni di condanna nei confronti della casa regnante del Bahrain, giungendo nel settembre 2011 a sospendere un contratto di fornitura di armi da oltre 50 milioni di dollari a causa delle evidenti violazioni dei diritti umani. 
Le forniture di armi, tra cui equipaggiamenti utilizzati dalle forze di sicurezza contro i manifestanti, sono però state sbloccate già nel maggio successivo, secondo Washington grazie ai progressi registrati nel paese.

 

Anche dietro le pressioni degli Stati Uniti, preoccupati per il danno d’immagine causato dal ripetersi degli scontri nel Bahrain, già nel 2011 erano stati lanciati i primi colloqui tra il regime e le opposizioni. Il dialogo si è però quasi subito arenato di fronte alla totale mancanza di volontà del regime di rinunciare anche solo parzialmente al controllo assoluto delle leve del potere.

 

Le opposizioni, inoltre, risultano divise al loro interno, con il partito Al Wefaq che è attestato su posizioni moderate, mentre i movimenti della società civile, tra cui spicca la Coalizione 14 Febbraio, hanno progressivamente assunto atteggiamenti più radicali fino a chiedere la fine del regime Al Khalifa.

 

Proprio alla vigilia del secondo anniversario della rivolta, il governo ha invitato le opposizioni a tornare al tavolo delle trattative, così che domenica scorsa il dialogo era ripreso tra i rappresentanti del regime e di alcuni gruppi di opposizione, come Al Wefaq. Le richieste di questi ultimi sono però limitate, come la creazione di una monarchia costituzionale, e volte quasi esclusivamente ad ottenere un qualche ruolo nella ges tione del potere.

 

Tra la popolazione, al contrario, il sentimento di avversione verso il regime ha superato ormai i livelli di guardia e, qualsiasi eventuale “riforma” su cui si accorderanno le due parti, le tensioni nel paese difficilmente potranno essere placate nell’immediato futuro.

 

Concessioni relativamente limitate da parte del regime erano infatti già state adottate negli anni Novanta del secolo scorso, sempre in risposta a sollevazioni popolari contro il regime. La natura dittatoriale della monarchia Al Khalifa, appartenente ad una tribù originaria del Qatar che invase il Bahrain sul finire del XVIII secolo, è rimasta però stanzialmente invariata, così come l’emarginazione della maggioranza della popolazione sciita, lasciando così intatte tutte le contraddizioni di questo minuscolo ma importante paese dove proteste e repressione hanno caratterizzato quasi ogni giorno degli ultimi 24 mesi.

http://www.altrenotizie.org/esteri/5331-bahrain-anniversario-di-sangue.html

 

L’Ignorante e la calcolatrice

Bruno Aliberti


Io sono un Ignorante, e lo dichiaro subito senza mezzi termini, perché ignorare non è offensivo. Offensivo è invece essere presi per idioti. Gli economisti sono troppo impegnati a parlare di spread, di borse in affanno o in calo, di nervosismo dei mercati, di Bot o a dire che “l’indice” Ftse Mib si attesta sul + 1,50%”, senza in realtà spiegare cosa significhi.
Loro, che hanno in mano gli strumenti tecnici e intellettuali per spiegarci questa crisi non lo fanno, e noi, comuni mortali, leggiamo i giornali e guardiamo la Tv senza capirci più di tanto. Sappiamo solo che questa crisi la pagheremo noi.

Io sono Ignorante e so solo che c’è un Debito pubblico accumulato negli anni e che oggi si attesta sui 2.000 miliardi di Euro. E poiché sono Ignorante e non vado ad intervistare gli Economisti, né partecipo a dibattiti televisivi, mi affido ai pochi strumenti a disposizione che ho: l’intelligenza e l’informazione in rete.
Una importante interrogazione parlamentare, sugli effetti infami della Legge Mosca, giace senza risposta dal 1998, ma gli illustri Economisti ed i diffusori di Verità in Rete che li intervistano nei loro blog e partecipano alle dirette Tv non ne sanno nulla e non ne parlano. La Legge Mosca è in vigore dal 1974, quindi da 37 anni, e ne beneficiano quasi 40mila soggetti, tra politici e sindacalisti.
Costoro percepiscono una pensione di circa 35 mila euro al mese.

Poiché sono Ignorante, ma non un cretino, con una miserabile calcolatrice da due soldi, facendo un paio di moltiplicazioni, scopro che ogni anno 35.000 Euro x 13 mensilità x 37.120 privilegiati rubano all’Italia quasi 17 miliardi di Euro (16,890 per l’esattezza). Quindi dal 1974, sempre con una banale moltiplicazione, 625 miliardi.

Ops.. quasi 1/3 del Debito Pubblico Nazionale…

Senza disperdermi nella valutazione di faraoniche opere pubbliche inutili e dannose costate 10 volte il valore iniziale, per effetto delle perizie di variante, desidero indirizzare l’attenzione sulle spese che meno capisco, sono Ignorante l’ho già scritto: le spese militari.

L’Italia è l’ottavo paese al mondo per spese militari, con uno stanziamento complessivo, ascritto per il 2011, al Ministero della Difesa pari a 20.494,6 milioni di € (milioni di euro). In effetti, sommando tutte le voci, si arriva a spendere più di 24 miliardi di euro (Massimo Paolicelli e Francesco Vignarca), ma sorvoliamo.

Prendo la calcolatrice di prima e così, 20 miliardi di Euro, sempre per 37 anni, sempre con una banale moltiplicazione, danno come risultato: 740 miliardi di Euro.

Ops… ecco un altro 1/3 del Debito.

Poiché sono Ignorante (l’avevo scritto?) mi chiedo se, chi ci ha prestato i soldi, stampandoli dal nulla (lo chiamano Signoraggio primario) e prestandoceli, lo avesse fatto all’interesse “legale” del 4,5%, cosa ci avrebbe guadagnato (lo chiamano Signoraggio secondario). Bene, stavolta il conteggio lo devo fare dal 1982, momento in cui fu svenduta la sovranità monetaria con l’inizializzazione della privatizzazione della Banca d’Italia, svincolandola dal Ministero del Tesoro. 

Strano a scriversi ma, come per miracolo, la cifra sulla calcolatrice è rappresentativa dell’ultimo 1/3 del Debito Pubblico Nazionale.

Lo spread?… Cos’è lo spread?

http://crepanelmuro.blogspot.it/2012/11/lignorante-e-la-calcolatrice.html

Morìa di delfini nel Tirreno

Immagine in linea 1Insolita morìa di delfini nel Tirreno, Clini: Preoccupante

Roma, 13 feb. (TMNews) – Allarme ambientale nei mari italiani: in gennaio e nei primi giorni del mese di febbraio è stata verificata nel Tirreno una mortalità anomala di delfini (stenelle striate) con 33 esemplari spiaggiati tra Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. Un dato che per il ministro dell’Ambiente Corrado Clini è “preoccupante” e che si discosta fortemente dalla media storica di questo tipo di eventi (meno di 4 animali l’anno).

Il ministero dell’Ambiente riferisce in una nota di star “monitorando da vicino la situazione grazie alla rete scientifica appositamente voluta e finanziata dal dicastero: Università di Pavia, Università di Padova, Asl, Istituti Zooprofilattici e Arpat. Inoltre il ministero dell’Ambiente ha allertato il Reparto ambientale marino (Capitanerie di Porto e Guardia costiera). Dalle prime indagini sembra di poter escludere eventi eccezionali causati dall’uomo, come sversamenti di petrolio o di sostanze inquinanti, ricerche geosismiche o esercitazioni militari”.



http://terrarealtime.blogspot.it/2013/02/insolita-moria-di-delfini-nel-tirreno.html

 

Moria di delfini: 42 ritrovamenti nel Tirreno

Ve ne abbiamo parlato giusto ieri della moria di delfini che dai primi dell’anno sta facendo ritrovare decine di carcasse spiaggiatesi sulle coste tirreniche italiane dalla Toscana in giù.

Ieri vi abbiamo parlato di 34 ritrovamenti ma oggi, secondo il Ministero dell’Ambiente, il bilancio si è aggravato, e non di poco:

Si aggrava in queste ore il bilancio dei delfini morti nel Tirreno dopo le recenti segnalazioni da parte della rete scientifica di monitoraggio predisposta dal ministero dell’Ambiente. Sono 8 i nuovi spiaggiamenti di carcasse di delfino nella varietà stenella striata (stenella coeruleoalba).

si legge in un comunicato del Ministero; numeri che farebbero balzare in alto, a 42 esemplari totali, il brutto bilancio di morte dei mammiferi marini.

Lo stesso Ministero dell’Ambiente parla di mortalità anomala, confermando l’ipotesi del batterio photobacterium damselae, che può causare sindrome emolitica e lesioni ulcerative, come causa infettiva più probabile dei decessi dei mammiferi.

I nuovi ritrovamenti, secondo il Ministero, si sono verificati:

in 3 casi fra Campania e Calabria (segnalati dall’istituto zooprofilattico del mezzogiorno, Sezione di Salerno) a:
– Sapri (SA) cod. 4 (pessimo stato di conservazione);
– Napoli cod. 2 (discreto stato di conservazione);
– Castelvolturno (CE) cod. 4 (pessimo stato di conservazione).

2 casi in Sicilia (segnalati dall’istituo zooprofilattico della Sicilia, sezione Palermo-Caltanissetta-Messina):
– Patti (ME) cod. 3 (mediocre stato di conservazione);
– Scicli (RG) cod. (al momento ignoto).

2 casi nel Lazio (segnalati da IZS Toscana e Lazio) a:
– Fondi (LT) cod. 2 (discreto stato di conservazione);
– Tarquinia (VT) cod. 4 (pessimo stato di conservazione).

E di 1 caso in Toscana (segnalato da IZS Toscana e Lazio, sezione di Grosseto) a:
– Orbetello, Feniglia (GR) cod. (non ancora attribuito).

Tutti, dunque, sulle coste tirreniche dello Stivale, così come i loro sfortunati amici spiaggiatisi nelle ultime settimane: a fronte di una media storica di 4 esemplari di stentelle l’anno morte in circostanze simili, è evidente che una misura dieci volte superiore non può che far preoccupare gli esperti che stanno studiando il fenomeno.

Per queste morti anomale, tutte verificatesi tra Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna, sembra che si possa escludere qualsiasi correlazione con attività umane (anche dolose, come sversamenti di petrolio o di sostanze inquinanti, ricerche geosismiche o esercitazioni militari).

Per questo motivo

nelle prossime settimane i ricercatori approfondiranno l’eventuale presenza di virus e l’eventuale fioritura di alghe anomale.Il ministero dell’Ambiente sta monitorando da vicino la situazione grazie alla rete scientifica appositamente voluta e finanziata dal dicastero: Università di Pavia, Università di Padova, Asl, Istituti Zooprofilattici e Arpat. Inoltre il ministero dell’Ambiente ha allertato il Reparto ambientale marino (Capitanerie di Porto e Guardia costiera).

Al ministero sono inoltre in attesa del confronto tra i dati meteo-marini degli ultimi mesi e eventuali spiaggiamenti avvenuti in Francia e Spagna, al fine di avere un quadro della situazione più completo.

http://www.ecoblog.it/post/52211/moria-di-delfini-nel-mediterraneo-si-aggrava-il-bilancio-42-ritrovamenti-sulle-coste-italiane

 

 

Uno dei capi della protesta in Val Susa spiega le ragioni del sostegno al Movimento 5 Stelle

Perino: “Con Grillo porteremo i No Tav in parlamento”

Uno dei capi della protesta in Val Susa spiega le ragioni del sostegno al Movimento 5 Stelle

Posted on 18/02/2013 by andreacascioli1

Alberto Perino, storico portavoce del movimento No Tav, tiene a precisare che il suo appoggio al Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo è espresso «a titolo puramente personale», ma certo è una dichiarazione di voto che non passa inosservata. Nel comizio del comico genovese a Susa, giovedì scorso, ha fatto gli onori di casa. Sabato in piazza Castello è stato tra i primi a salire sul palco e ha chiuso gli interventi dopo lo show del leader 5 Stelle e le presentazioni dei candidati: Grillo lo ha introdotto dicendo semplicemente «signori, un guerriero vero».

Il suo endorsement per il Movimento 5 Stelle è stato interpretato inevitabilmente come un’indicazione di voto rilevante nel mondo No Tav. Peserà?

A Torino non ho nemmeno invitato al voto, ho detto anzi che chi non si impegna in prima persona può votare Casini. Ho speso la mia faccia come privato cittadino, senza indossare spille No Tav, e non l’ho fatto per Grillo ma per persone che conosco come Laura Castelli e Marco Scibona [capolista piemontesi del M5S rispettivamente alla Camera 1 e al Senato, nda]. Il movimento No Tav non è schierato per un partito, è un movimento trasversale dove convivono tutti gli orientamenti. Persone come il presidente della comunità montana della Val Susa Sandro Plano del Pd, come Nilo Durbiano [sindaco No Tav di Venaus, nda] in lista con Ingroia, come la ex sindaco di Avigliana Carla Mattioli candidata con Sinistra Ecologia e Libertà.

In passato le istanze dei No Tav sono state raccolte dalla sinistra radicale, rimasta esclusa dal Parlamento nelle ultime elezioni del 2008. Dopo il voto ci sarà per voi la possibilità di tornare a farvi sentire a Roma?

Spero di sì, ma ci sono già state persone di cui ci fidavamo che poi hanno stupidamente votato per le missioni militari all’estero e per il Tav, e sono stati puniti dai cittadini. Spero abbiano capito la lezione. La differenza è che nelle precedenti tornate elettorali i No Tav avevano votato ma non avevano mandato in parlamento nessun rappresentante della Valle. Oggi invece c’è la possibilità di eleggere persone conosciute da tanti anni, che hanno già lavorato bene in Regione: dopodiché nessun rapporto di fiducia è eterno o incondizionato.

Parlando ieri alla platea del Lingotto, Berlusconi ha sostenuto che «l’80% dei candidati di Grillo viene dall’estrema sinistra, centri sociali e No Tav». Cosa risponde?

Con Berlusconi non si capisce mai quando racconta barzellette e quando dice cose serie, ammesso che le dica. Di sicuro, almeno in Piemonte, l’80% dei candidati del Movimento 5 Stelle è per i No Tav, forse anche di più. Non mi risulta invece che ci siano appartenenti ai centri sociali.

Lei ha sostenuto che le battaglie legali dei No Tav siano state in larga parte ignorate. La pensa ancora così?

La magistratura dovrebbe essere indipendente, ma siccome spesso le nostre denunce non hanno trovato seguito avere rappresentanti politici che ci diano voce diventa fondamentale. Lo dimostra la vicenda degli appalti affidati da Ltf [la società che si occupa della realizzazione della Tav, nda] ad aziende prive delle necessarie certificazioni al momento dell’assegnazione dei lavori. Come è stato possibile tollerare la violazione?

Con Grillo ha la possibilità di sentirsi spesso, o sono i suoi militanti locali a fare da tramite?

So che Grillo è molto occupato, quindi lo disturbo il meno possibile. Se ho bisogno di parlargli, so come fare.

Andrea Cascioli

http://futura.unito.it/blog/2013/02/18/perino-con-grillo-porteremo-i-no-tav-in-parlamento/