RANDAGIO UCCISO CON UN COLPO SECCO DI ZAPPA RIZZI: “ATTO FEROCE ED IGNOBILE. CHI SA QUALCOSA INFORMI I CARABINIERI”

ENRICO RIZZI
13 h ·
VALDERICE (TRAPANI)
società civile cane
“Sono attualmente all’Estero ed ho appena ricevuto una telefonata dal Dirigente del Servizio Veterinario di Trapani Dott. Roberto Messineo, il quale mi ha informato di aver rinvenuto, assieme alle Guardie Zoofile dell’Oipa di Trapani, un randagio ucciso da ignoti con un colpo secco di zappa al centro della testa. Il veterinario non ha alcun dubbio. Rammaricato ed arrabbiato per l’ennesimo episodio di crudeltà nei confronti di chi non può difendersi, confido nelle indagini che stanno già svolgendo i militari che operano nella stazione locale dell’Arma dei Carabinieri di Valderice e soprattutto nella collaborazione utile che possono certamente fornire i cittadini valdericini, al fine di assicurare l’infame di questo ignobile gesto, alla giustizia. Ricordiamoci che come hanno già affermato diversi studi, chi usa violenza verso gli animali non si fa di certo alcuno scrupolo ad usare la stessa violenza verso i suoi simili”.
Lo comunica in una nota Enrico Rizzi, Segretario Nazionale del Partito Animalista Europeo.

randagio ucciso zappa

Attenzione! Arriva su tutti gli scaffali dei supermercati il latte della Coca Cola!

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Il mercato del latte si arricchirà a breve di un nuovo produttore, infatti, a dicembre, la Coca Cola invaderà gli scaffali dei supermercati americani con un prodotto che si chiamerà “Fairlife”. Il colosso di Atlanta cerca nuovi canali per fare profitto,
puntando alla diversificazione dei suoi prodotti, anche per far fronte al calo delle vendite delle bevande zuccherate, che negli Usa sono finite nel mirino di molti nell’ambito della lotta all’obesità.
La Coca Cola deve aver fatto bene i suoi conti nel voler commercializzare il “Fairlife”, considerando il fatto che, come riportato dalla rivista specializzata Dairy Today, negli ultimi 10 anni le vendite del latte negli Stati Uniti sono in calo dell’8%, inoltre la metà degli americani non beve latte. Infatti, l’azienda statunitense si aspetta da questo “brand” una pioggia di denaro, come spiegato da Sandy Douglas, global chief customer officer di Coca Cola.
Le promesse parlano di un prodotto che avrà il 50% in più di proteine e il 30% di zucchero in meno rispetto al latte tradizionale, un latte che, secondo un portavoce di “Fairlife”, proverrà da aziende agricole sostenibile e a conduzione famigliare. Il “Milka Cola”, come è già stato ribattezzato, ha comunque un “difetto”, se così lo vogliamo chiamare, il prezzo, infatti dovrebbe essere il doppio di quello del latte tradizionale, “perché tanto costa il latte che utilizziamo per produrlo”, spiegano dalla Coca Cola.
Non mi fido molto degli americani dal punto di vista alimentare e non solo, mi sembra semplicemente una operazione di mercato, introducendo un prodotto attento all’ambiente e alla salute, con un prezzo che testimoni questa virata ecologica salutistica, d’altra parte, il cliente dovrà pur pagare questo “sforzo” da parte di questa multinazionale. Inoltre, gli americani, sono noti per trangugiare chili di integratori per ogni cosa, quando, molto spesso, basterebbe un frutto per ricevere gli stessi elementi se non meglio. Probabile quindi che vengano solleticati nelle loro illusioni, ritenendo che basti bere latte per essere a posto, mentre invece, occorre una vita ed una alimentazione sana a 360°.
In attesa che questo prodotto sbarchi in Italia, vedremo come evolverà la cosa. Per quanto mi riguarda sono scettico e credo che sia solo una operazione di marketing con un prodotto manipolato ad uso e consumo… poi io sono il meno indicato a dare giudizi in merito, visto che, da quando ho eliminato il latte, comprese le bevande al riso, soia, farro e altro, sto molto meglio.
 

Carabiniere trovato morto a Tor di Quinto: “Lavoro per i servizi segreti, mi chiuderanno la bocca”

Luis Miguel Chiasso morto a Tor di Quinto: “Lavoro per i servizi segreti, mi chiuderanno la bocca”
„I fatti nella serata di ieri nella caserma Salvo D’Acquisto dove alloggiava. Prestava servizio nell’VIII Reggimento Lazio. Sul suo corpo i segni di un colpo di pistola al petto. Su facebook l’ultimo messaggio“
  
Il carabiniere suicida. Foto dal suo profilo facebook
  
Un messaggio su facebook, lasciato 18 ore fa. La chiamata al 112, con frasi sconnesse. Quindi il colpo al petto che gli ha tolto la vita. Tragedia nella caserma Salvo D’Acquisto di Tor Quinto. Un carabiniere, in servizio presso l’VIII Reggimento Lazio, è stato trovato morto poco dopo le 22. E’ stato ritrovato nella sua stanza, insaguinato. Ad ucciderlo un colpo al petto esploso da una pistola. L’ipotesi più probabile è quella del suicidio.
 
Luis Miguel Chiasso, questo il nome del carabiniere, era originario della provincia di Terni. Poco prima di morire sul suo profilo Facebook aveva scritto: “Lavoro per i servizi segreti italiani e internazionali”, aggiungendo “mi resta poco da vivere, so gia’ che stanno arrivando per chiudere la mia bocca per sempre”.
 
Secondo quanto si è appreso aveva chiamato poco prima il 112 chiedendo aiuto e pronunciando contemporaneamente frasi sconnesse. L’operatore aveva cercato di trattenerlo al telefono, provando a prendere tempo, quello necessario a far giungere aiuto nella sua stanza. Il carabiniere però ha chiuso la telefonata. Pochi minuti dopo il ritrovamento. Probabile che si sia sparato un colpo al petto.
 
Di seguito riportiamo il messaggio lasciato su facebook
 
Luis Miguel Chiasso morto a Tor di Quinto: “Lavoro per i servizi segreti, mi chiuderanno la bocca”
 
“Qualcuno mi conosce sente le mie parole alla TV mi sono creato il personaggio con un attore di Adam kadmon, vi avevo promesso che avrei levato la maschera come faccio a sapere tante cose? Semplice
Lavoro per i servizi segreti italiani ed internazionali da tempo sto vedendo cose a noi sconosciute cose non di questo mondo ma dei nostri creatori, purtroppo sapere determinate cose porta delle responsabilità , mi resta poco da vivere so già che stanno arrivando per chiudere la mia bocca per sempre.
Anni fa giurai questo “Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni”.
E ora popolo vi dico combattete ribellatevi fate che la mia morte non sia vana perché il popolo ha il diritto alla disobbedienza verso il governo quando questo perda legittimità agendo fuori dai limiti del mandato e il diritto all’uso consapevole dell’illegalità giustificato dallo stato di guerra che i governanti, tradendo il patto, avrebbero ripristinato:
“E se coloro che con la forza sopprimono il governo sono ribelli, i governanti stessi non possono essere giudicati altrimenti, se essi, che sono stati istituiti per la protezione e la conservazione del popolo e delle sue libertà e proprietà, le violano con la forza e tentano di sopprimerle, e quindi, ponendosi in stato di guerra con quelli che li avevano stabiliti come protettori e custodi della loro pace, sono propriamente, e con la maggiore aggravante, rebellantes, cioè a dire ribelli. Ma se coloro, che dicono che questa dottrina getta il fondamento della ribellione, vogliono dire che può dare occasione a guerre civili o disordini intestini il dire al popolo che esso è sciolto dall’obbedienza quando si perpetrano attentati illegali contro le sue libertà e proprietà e può opporsi alla violenza illegittima dei suoi governanti istituiti, quando essi violino le sue proprietà contro la fiducia posta in loro, e che perciò questa dottrina, essendo così esiziale per la pace nel mondo, non deve essere ammessa, per la stessa ragione essi potrebbero parimenti dire che uomini onesti non possono opporsi a briganti e pirati, per il fatto che ciò può dar occasione a disordini o versamenti di sangue. Se in tali occasioni avviene qualche male, esso non deve essere imputato a chi difende il proprio diritto, ma a chi viola il diritto dei vicini. Se l’uomo innocente e onesto deve, per amor di pace, cedere passivamente tutto ciò che possiede a colui che vi attenta con la violenza, vorrei che si pensasse che razza di pace vi sarebbe al mondo, se la pace non consistesse che in violenza e rapine, e non dovesse essere conservata che per il vantaggio di briganti e oppressori”.
 
 

Cosmopolitismo, immigrazione, mondialismo

di Fabio Calabrese

Un aspetto al quale finora forse non abbiamo prestato sufficiente attenzione per quanto riguarda i fenomeni migratori provenienti dal Terzo Mondo e i loro effetti sulle società occidentali, nonché le ideologie che li accompagnano, li sollecitano, li favoriscono ai danni delle popolazioni europee native, è il modo in cui questi fenomeni si inseriscono nelle dinamiche di classe del mondo occidentale, nonché il carattere fortemente classista che sta alla base delle ideologie cosmopolite, internazionaliste, terzomondiste, immigrazioniste e via dicendo.

In pratica, nel momento in cui i sostenitori del terzomondismo, del mondialismo, di estrazione invariabilmente borghese radical-chic, “aprono” verso lo straniero immigrato, inevitabilmente chiudono verso i lavoratori del proprio Paese, danneggiati in maniera inevitabile dalla presenza dell’immigrato.

Questo aspetto della questione, io forse non l’ho sottolineato abbastanza, tuttavia, ecco che negli ultimi tempi nella nostra “Area” sono circolati e stanno circolando due testi che affrontano questa tematica con sorprendente concordanza, uno è “Borghesi” di Antonio Puccinelli, comparso proprio sulle pagine della nostra “Ereticamente”, l’altro, apparso su “Stato e potenza”, www.statopotenza.eu , di Gennaro Scala, ha un titolo che non potrebbe essere più esplicito: “Le nuove forme dell’odio verso le classi inferiori: l’ideologia antirazzista”.

Tuttavia, prima di esaminare in dettaglio entrambi gli articoli, sarà forse utile considerare il significato storico da questo punto di vista delle ideologie cosmopolite, internazionaliste, antirazziste.I primi ad inaugurare dopo diciotto secoli un discorso apertamente cosmopolita, a proclamarsi “citoyen du monde”, “cittadini del mondo”, furono gli illuministi. Era ovviamente un discorso fortemente utopico. Basti pensare al fatto che Montesquieu nelle “Lettere persiane”, per svolgere un discorso critico sulla società europea (di fatto francese) del suo tempo, si fingeva, immaginava di essere un persiano, un orientale, un appartenente al mondo mediorientale-islamico. Eravamo ovviamente nella più pura utopia al di fuori di qualsiasi logica, perché noi sappiamo fin troppo bene che se c’è una cultura totalmente chiusa verso l’esterno, che nei confronti delle altre mira esclusivamente alla loro distruzione-assimilazione e rifiuta a priori qualsiasi ipotesi di dialogo, è proprio quella mediorientale-islamica, e dubito fortemente che tre secoli fa le cose fossero migliori di adesso. Quello che però ci interessa rilevare ora, è il fortissimo classismo di questa concezione: il borghese colto, cosmopolita, rivendicatore di diritti universali (non credo che all’epoca si sia sprecata una parola più di “universale”, quasi il nostro pianeta non bastasse allo zelo di questi riformatori) si contrapponeva non solo alle classi aristocratiche ma a tutto l’ordinamento della società tradizionale, segnava un solco netto fra sé e le classi popolari, operaie e contadine, ovviamente e fortemente identitarie.

Durante la rivoluzione, i rivoluzionari borghesi eredi dell’illuminismo, si serviranno delle classi popolari come truppa d’assalto, ma le loro finalità rimarranno totalmente estranee ad esse, soprattutto le classi contadine, da sempre depositarie del più autentico spirito identitario di un popolo, e verso le quali i rivoluzionari manifesteranno un autentico odio, basta pensare per tutte alla sanguinosa repressione della Vandea.

E non è certamente un caso che lo stesso odio verso il mondo contadino-rurale, certamente dettato dagli stessi motivi, ossia il riconoscere in esso il custode naturale di identità e tradizione, quindi IL NEMICO per eccellenza, si trova tale e quale nel bolscevismo, pensiamo per tutti alla persecuzione dei kulaki, i contadini benestanti, poi ampliata fino a diventare strage per fame del popolo che viveva sul granaio dell’ex impero zarista, il terribile “holodomor”, il genocidio per fame che spazzò l’Ucraina.Al di là di bugiarde formulazioni retoriche, d’altronde, il bolscevismo non ha mancato di manifestare il suo odio anche per la classe operaia, si pensi alla sanguinosa repressione della rivolta di Kronstadt.

L’internazionalismo proletario marxista deriva dal cosmopolitismo illuminista in misura molto maggiore di quanto di solito non si pensi. Come il primo, è qualcosa di totalmente artificioso o, per parlare con ancora maggiore chiarezza, di INNATURALE.Noi conosciamo abbastanza la storia umana da essere in grado di riconoscere certe dinamiche che hanno sempre agito in essa; nei piccoli gruppi umani si riconoscono meglio, ma sono presenti allo stesso modo in società estese, solo su scala maggiore. Farsi dalle società pre-umane dei primati, alle tribù nomadi di cacciatori-raccoglitori fino alle società complesse nate con la rivoluzione agricola, il messaggio è sempre lo stesso: qualsiasi essere umano che non sia un isolato anacoreta, è sottoposto a una duplice tensione frutto di una duplice dinamica, quella interna al gruppo alla quale appartiene, e quella rappresentata da gruppi esterni.

Se trasportiamo queste dinamiche dalle società di primati e dai gruppi di cacciatori nomadi che hanno continuato a vivere per milioni di anni in maniera non dissimile, alle società complesse ed estese dal punto di vista demografico, le tensioni intra-gruppo corrispondono alla lotta di classe, e quelle fra i gruppi ai conflitti nazionali.Ora, si vede bene che l’appartenenza a un gruppo non solo comporta vantaggi per l’individuo, ma anche lo stabilirsi di legami affettivi e di collaborazione, che hanno senso in quanto legami di sangue fra soggetti imparentati in vario grado e con un genoma in comune, mentre rispetto a gruppi diversi esistono soltanto la competizione e l’antagonismo anche là dove la collocazione sociale degli appartenenti ai diversi gruppi appare in qualche modo simile.Si comprende bene che Marx, creando il mito dell’internazionalismo proletario, propaggine caricaturale del cosmopolitismo illuminista, ha creato un’operazione tutta affatto artificiosa, perché ha voluto ignorare deliberatamente quei legami di appartenenza etnica, nazionale, culturale, biologica, che connettono la persona al suo ambito e in definitiva hanno un’importanza maggiore della collocazione di classe.

Verso la fine dell’ottocento, i lavoratori che scioperavano avevano cominciato a chiamare “crumiri” coloro che venivano assunti temporaneamente per rimpiazzarli o chi si rifiutava di scioperare. Il nome era ripreso da una tribù africana con cui si era venuti in contatto durante le conquiste coloniali, ed è tuttora in uso, anche se pochi – credo – ne ricordano l’effettiva origine. Bene, a pensarci sembra proprio una profezia, perché oggi quotidianamente sbarcano sulle nostre coste centinaia di “crumiri” la cui presenza ha ed avrà sempre di più l’effetto di deprezzare ciò che i nostri lavoratori hanno da offrire sul mercato del lavoro, presentandosi come uno stuolo illimitato di braccia eccedenti.Il terzo dei grandi movimenti cosmopoliti- antirazzisti-mondialisti è quello che storicamente si presenta come primo, anche se queste tematiche sono state messe per lungo tempo in soffitta dai suoi fautori, per essere riscoperte solo in tempi recenti. Stiamo parlando ovviamente del cristianesimo.

Ab origine, il cristianesimo non conosce popoli, etnie, frontiere, è il prototipo di tutti gli universalismi, ed è forse da qui che deriva la sua tremenda forza d’urto. Le cose ovviamente cambiano quando la dottrina del Discorso della Montagna si trasforma nella serie di istituzioni che conosciamo come Chiese, cattolica e ortodossa, cui si sono poi aggiunte quelle protestanti. Soprattutto l’offensiva dell’islam contro l’Europa, offensiva che dai tempi dei primi califfi a oggi non è mai cessata, ha costretto il cristianesimo a fungere SUO MALGRADO da bandiera europea identitaria per un certo tratto, peraltro oggi esaurito, della nostra storia. La religione oggi più diffusa nel mondo extraoccidentale, del resto proviene da un altro ramo di quella stessa matrice ebraica da cui il cristianesimo ha avuto origine.A partire dal concilio vaticano II, ma con una netta accentuazione negli ultimi anni, la Chiesa cattolica, allineandosi in questo a una scelta compiuta da tempo da quelle protestanti, ha completamente abbandonato questo aspetto (pseudo?)identitario, spalancando le porte al terzomondismo, al mondialismo, all’immigrazione.

Ebbene, la cosa interessante, è che il cosmopolitismo cristiano non si presenta per nulla diverso da quello illuminista o marxista, è infatti in realtà l’autentica matrice di questi ultimi, con tutti gli annessi e connessi.Va notato per prima cosa che esso nasce dal messianismo giudaico anti-romano, e si sviluppa poi in un universalismo che guarda ai popoli fuori o ai margini dell’impero, per sfociare poi nell’esaltazione dei costumi “incontaminati” dei barbari contrapposti a quelli “corrotti” dei Romani e dare poi il suo contributo all’edificazione del forte classismo che caratterizza la società medioevale. Oggi, più per interessi poco limpidi che per ideali di una qualche sorta, la Chiesa spalanca le porte all’invasione allogena, senza minimamente curarsi del danno che essa è destinata a causare e sta già causando ai lavoratori italiani.

Questo è per sommi capi il quadro storico, rispetto al quale vediamo ora gli apporti di Puccinelli e Scala.Non a caso Puccinelli intitola il suo articolo “Borghesi”: borghesi senz’altro estranei alle classi popolari sono i “compagni” che si sono scagliati contro la recente protesta anti-immigrati di Tor Sapienza a Roma, un quartiere di estrazione popolare.“Quartieri si badi bene, tutti a base popolare, abitati cioè da gente semplice, laboriosa, umile. Con la calce che ricopre i loro vestiti e le mani ruvide, callose, cotte dalle fornaci. La gente del lavoro. Proletaria, qualcuno potrebbe affermare”.Sono questi “i fascisti” a cui lo stato si sarebbe arreso secondo un vergognoso titolo comparso su “Il fatto quotidiano”.

Quello che “i compagni” borghesi radical-chic si ostinano a (fare finta di) non capire, è precisamente il fatto che “l’apertura” terzomondista è a tutti gli effetti chiusura verso i connazionali, una nuova, insidiosa forma di classismo tanto più pericolosa in quanto si presenta con un volto buonista.Sono i sempiterni radical-chic, quelli che reclamano la solidarietà verso i più deboli a fronte delle loro borse di pelle di coccodrillo. Quelli che hanno la percezione “dell’ultimo” solo negli uomini con il colore della pelle diversa dalla loro, perché aiutare il “povero negro” è bello, vuol dire “aiutare un nostro fratello, un fratello migrante”. Comprando magari prodotti provenienti dal Terzo Mondo e fregandosene allegramente del contadino dietro casa che muore di fame”.

Si dicono anticapitalisti, ma sono un’altra faccia del capitalismo, e nemmeno se ne rendono conto. Non comprendono che la “grande e bella” società multiculurale non è altro se non il retroterra di una società capitalisticamente realizzata…dove un uomo è uguale all’altro per il solo fatto di essere un consumatore…uguale solo nella miseria delle loro paghe rese uguali”.

E’ certamente sorprendente il fatto che l’articolo di Gennaro Scala completi così bene quello di Antonio Puccinelli, da far pensare che i due si siano “passati la palla”, ma la cosa è di certo un segno dei tempi, dei tristi tempi che stiamo vivendo. Scala è, se vogliamo, ancora più esplicito: l’immigrazione è uno strumento della lotta di classe, un’arma puntata contro le classi lavoratrici.

“In particolare essa [l’ideologia antirazzista] segnava la frattura fra il ceto medio semicolto e le classi inferiori, essendo un’ideologia con cui i ceti scolarizzati, dediti o aspiranti a occupazioni non segnate dalla competizione con gli immigrati, “prendevano le distanze” dalle classi inferiori, incolte, incapaci di “cultura dell’accoglienza”, dedite a “rozzi” conflitti con gli immigrati riguardanti l’esercizio delle capacità lavorative mezzo esclusivo con cui a tutt’oggi alcune classi riescono a ottenere i “banali” mezzi di sussistenza”.Detto in poche parole la “non discriminatoria” ideologia antirazzista è all’atto pratico ferocemente discriminatoria, RAZZISMO nei confronti del nostro popolo.“Per quale motivo, nel momento in cui la disoccupazione raggiunge uno dei livelli più alti dal dopoguerra e in una fase di acutissima crisi economica, si favorisce l’immigrazione abolendo il reato di immigrazione clandestina, e si stanziano notevoli fondi “per l’accoglienza” (mentre la tassazione da cui derivano questi fondi fa chiudere tante piccole e medie imprese)?La risposta a tale domanda ci porta oltre il ceto semicolto al fine di individuare la vera origine dell’ideologia antirazzista. Origine da ricercarsi nella natura perversa delle nostre classi dominanti, nel fatto che si sono costituite come classi dominanti “antinazionali”, nel fatto che nel loro asservimento verso le classi dominanti statunitensi non esitano a eseguire il disegno della deindustrializzazione dell’Italia e del depauperamento delle classi lavoratrici italiane, in ossequio alla nuova collocazione internazionale subordinata dell’Italia”.Forse l’unico elemento che manca ancora nell’analisi di Scala, è la spiegazione del perché i più zelanti esecutori di questo disegno capitalistico contro i nostri lavoratori, siano oggi gli esponenti della sinistra, ma questo per noi non è certamente un mistero, sappiamo benissimo che una sinistra composta in misura prevalente da elementi borghesi e radical-chic soprattutto a partire dal ’68, ha voltato le spalle, e non poteva essere diversamente, alle classi lavoratrici.L’immigrazione e l’antirazzismo, la spinta al mondialismo e al meticciato che l’accompagnano, non sono solo un nuovo insidioso strumento della lotta di classe, sono un’arma per distruggere il nostro popolo e gli altri popoli europei.

Fabio Calabrese

Fonte: Ereticamente

http://www.ereticamente.net/2014/11/cosmopolitismo-immigrazione-mondialismo.html

Trattati di libera dominazione

La seconda fase della globalizzazione. Nuove forme di colonialismo attraverso una lettura politica dei nuovi trattati internazionali TTIP e TPP. Anche l’Italia si ritroverà a veder competere i propri prodotti su un mercato complesso, con Stati, soprattutto quelli asiatici, con valute differenti e incomparabilmente più vantaggiose.

di Simone Sauza

È nota la sentenza di Karl Marx. La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. C’era una volta la globalizzazione, una narrazione dominante che ha raggiunto l’apice negli anni novanta ed è entrata in crisi intorno al 1999, l’anno di Seattle e delle grandi manifestazioni contro il vertice del WTO. Il suo effetto si è giocato su due binari: da una parte vi è stato un effettivo trasferimento di ricchezza dai paesi cosiddetti ricchi verso paesi poveri; dall’altro, nei paesi ricchi, la ricchezza è stata trasferita violentemente e in maniera verticale dalle classi povere e medie verso una ristretta fetta della popolazione che è andata a costituire i super-ricchi, non solo in termini prettamente economici, ma soprattutto di peso politico: è l’élite di potere che gravita nel mondo delle multinazionali, dei banchieri e dell’alta finanza.

Questo è ormai storia nota. I nuovi detentori del capitale hanno operato negli anni verso l’erosione della dimensione comunitaria e nazionale degli Stati nel tentativo di realizzare, da una parte, una violenta uniformazione culturale funzionale ad un regime di commercio unificato, dove cultura ricopre un’accezione ampia comprendente anche forme di vita locali, mode, colonizzazione del pensiero e dell’immaginario; dall’altra, una circolazione a circuito chiuso – vale a dire di trasferimento illimitato e reciproco – dei flussi di capitale tramite i nuovi strumenti finanziari. Il successo ottenuto da tali oligarchie si è lentamente rivelato un effetto boomerang: quel primo trasferimento di ricchezza verso alcuni paesi poveri, necessario a convincere parte dell’opinione pubblica della bontà dell’operazione, non ha fatto altro che creare gli attuali competitors degli Stati Uniti, vale a dire quelle economie emergenti, come India, Cina, Russia, che il linguaggio internazionale oggi denomina come BRICS.

Nell’ultimo quindicennio, gli Stati Uniti hanno progressivamente perso sia quell’egemonia politica sull’universo-mondo, sia il credito dell’opinione pubblica sull’onda del dopo-Seattle, del moltiplicarsi di movimenti no-global e dei libri-inchiesta di giornalisti come Naomi Klein. In altre parole: i nuovi assetti geopolitici degli ultimi anni hanno messo in discussione lo strapotere di quelle oligarchie finanziare e degli Stati Uniti come custodi planetari.

I nuovi trattati bilaterali/multilaterali (TTIP e TPP) si inscrivono in quella che corrisponde ad una vera e propria seconda fase della globalizzazione neoliberista. Da tempo, l’Europa vive supinamente la condizione di cinquantesimo stato fantasma degli Stati Uniti. USA e UE, insieme, costituiscono il 46,98% del PIL mondiale. Ciò costituirebbe la condizione ideale per tornare ad una centralizzazione dei flussi economici facente perno sugli Stati Uniti come protagonista dominante del sistema globale.

Qui subentrato i nuovi accordi internazionali. Il trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) è stato presentato come un macro-accordo di libero scambio tra UE e Stati Uniti. Una gigantesca area di deregolamentazione mirante a tutelare esplicitamente investitori e capitale privato, diminuendo i controlli, ad esempio, su alimenti e agricoltura. In altri termini, le multinazionali assurgerebbero a ruolo di competitori parigrado agli stati membri del trattato; si pensi, ad esempio, alla possibilità delle società private, in caso di controversia, di portare in tribunale uno stato accusato di influenzare negativamente il mercato ostacolando il profitto.

Il TTIP si configura come l’ampliamento economico della NATO per contenere i paesi emergenti, in particolare Cina e Russia. In questa chiave si possono leggere le politiche estere delle ultime amministrazioni statunitense: destabilizzazione di alcune zone del medio oriente per l’ampliamento dei mercati e intervento contro la possibilità di un legame tra Europa e Russia attraverso la questione Ucraina, ad esempio. Il rischio è quello del consolidamento di un nuovo blocco economico che vada a minacciare l’egemonia occidentale atlantista.

L’altro trattato meno noto, il TPP (Trans Pacific Partnership), interviene in maniera speculare: tale accordo di libero scambio, con dinamiche simili al TTIP, include paesi come Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda e Vietnam. Così da completare la logica neoimperialista sostanziata dal riposizionamento strategico militare attuato dall’amministrazione Obama nelle regioni asiatiche e medio orientali. In altre parole, il TPP, tramite l’unificazione commerciale con alcuni paesi strategici, si pone come collante della dottrina estera americana denominata “Pivot to Asia” (la quale si allarga, invero, fino al Medio Oriente), già attaccata da Pechino come tentativo di destabilizzare la Cina attraverso la crescente presenza militare. È chiaro come la natura economico-commerciale dei trattati risulti un autentico cavallo di Troia tramite cui riaggiornare le politiche espansioniste e colonialiste.

Il TPP e il TTIP costituiscono la risposta statunitense a quel processo di deglobalizzazione – a cui ha contribuito soprattutto la crisi economica del 2008 – il quale ha portato alcune economie, in particolare quelle asiatiche, ad abbandonare il modello neo-mercantilista basato sulle esportazioni e a concentrare la propria politica economica sulla domanda interna e la redistribuzione dei redditi. Ogni singolo Stato incluso in questi trattati, in altre parole, è leggibile all’interno di una strategia di riconquista di potere ed egemonia. Si pensi all’inclusione dei due stati latinoamericani nel TPP, nel momento in cui l’emergente socialismo bolivariano in America Latina ha cominciato a costituire una minaccia al modello americano. È la logica della quinta colonna. La razionalità dei trattati, inoltre, si muove sul paradigma dell’imposizione violenta dell’ideologia neoliberista. Non è un caso il paradosso di un modello totale di libero mercato da cui, però, sono stati esclusi proprio paesi come Russia e Cina. Questi trattati intervengono lì dove il WTO aveva fallito: l’unificazione culturale di un’enorme fetta del globo secondo gli standard americani. In risposta alla complessità del mondo, la risposta atlantista è ancora una volta quella della massificazione e della distruzione delle realtà locali.

Il governo italiano, totalmente privo di una politica estera, se non quella del servaggio a scapito dei propri interessi, non ha espresso posizioni rilevanti in merito. Eppure, tralasciando le questioni legate alla democraticità di tali processi (discussi a porte chiuse), all’ennesimo attacco al potere sovrano, l’Italia si ritroverà a veder competere i propri prodotti su un mercato complesso, con Stati, soprattutto quelli asiatici, con valute differenti e incomparabilmente più vantaggiose. Inoltre, questi trattati vanno principalmente a favore delle multinazionali, a fronte del sistema economico italiano, costituito principalmente da PMI, che si troverebbe improvvisamente esposto ad una libera concorrenza assai pericolosa per un settore globalmente debole. È un processo simile a quanto avvenne sul cominciare degli anni novanta in Germania, quando a seguito dell’unificazione monetaria coatta tra est e ovest, le imprese statali dell’est, fino ad allora strutturate su un tipo di commercio interno al blocco sovietico, si trovò improvvisamente su un libero mercato internazionale senza liquidità per continuare la produzione su altri livelli e con problemi legati alla differenza di valuta e alla crescita dei prezzi. Al di là delle similitudini e delle enormi differenze tra le due situazioni, lì come ora, questo tipo di unificazioni seguono uno scopo non economico, ma precipuamente politico. Attraverso una sistematica compromissione della produzione di un paese, lo si rende progressivamente e strutturalmente dipendente.

Le future evoluzioni del sistema-mondo non fanno altro che confermare quel fenomeno di “acefalizzazione” per cui il potere, da verticale, diventa orizzontale, quindi invisibile e onnipervasivo. Non ci sono capi. Il processo di deresponsabilizzazione è la vera sfida ai movimenti e alle formazioni anti-sistemiche. Le élite dominanti non cospirano in riunioni segrete come nella visione romantico-complottista; ma si perdono nei meandri della finanza. Nel momento in cui il capitale si smaterializza, viene disinnescato il conflitto di cui si sostanzia la dialettica sociale. E il nemico diventa illocalizzabile, costrigendo la lotta politica a nuove forme di organizzazione.

Fonte: L’Intellettuale Dissidente

http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/trattati-di-libera-dominazione/