“Abolita la tassa sulla casa”! Saccomanni racconta due bugie per volta

certo, il luogo comune per allocchi: pagare tutti per pagare meno…si è visto. Ovvio che se lo stato avesse più soldi perché tutti pagano le tasse ci farebbe più ospedali, darebbe il reddito di cittadinanza invece di aumentare la quota in grandi opere ed armi????? Prima ANNULLATE i 98 miliardi ANNUI di interessi sul debito pubblico (eh poi capite perché conviene aumentarlo anche grazie al TAV) che a suon di suicidi e fallimenti la gente sta REGALANDO ALLE BANCHE scommetti saccomanni che si possono diminuire?????????? 28 dicembre 2013

 
di MATTEO CORSINI
 
“Nel 2013 è stata completamente abolita la tassa sulla casa. A fine anno c’è un piccolo onere… Se tutti pagano il giusto le tasse possono scendere chi evade fa pagare di più agli altri”. Quando sento parlare Fabrizio Saccomanni la mia già scarsa considerazione nei confronti dei cosiddetti ministri tecnici scende ulteriormente. Sentirgli usare il frasario da politico di professione mi induce a pensare che il sogno nel cassetto che il tecno-burocrate coltiva a volte per decenni sia quello di arrivare al potere senza dover passare dalle urne.
 
Credo che le due dichiarazioni che ho riportato siano entrambe mendaci: la prima lo è oggettivamente, mentre la seconda lo è usando il buon senso. Nel 2013 non è stata “completamente abolita la tassa sulla casa”. E’ stata momentaneamente ridotta quasi a zero l’Imu sulla prima casa, e per fortuna Saccomanni ha avuto il pudore di ricordare quel “piccolo onere” che resta dopo i pasticci che lui e colleghi hanno fatto da aprile a oggi nel (non) trovare la copertura finanziaria per l’abolizione dell’Imu sull’abitazione principale. L’Imu sulla prima casa, che quindi non è neppure completamente uscita dalla porta, rientrerà prontamente dalla finestra nel 2014, ancorché con un altro nome. Il modo di affrontare la tematica dell’Imu induce, seguendo il buon senso, a ritenere mendace anche la seconda dichiarazione, la quale, peraltro, è una variante di un classico del frasario politico italiano: “se tutti pagano il giusto le tasse possono scendere chi evade fa pagare di più agli altri”. Saccomanni lo ha detto riferendosi a Maradona, il quale qualche tempo fa fece il gesto dell’ombrello al fisco italiano, che da vent’anni gli presenta un conto che ha quasi raggiunto i 40 milioni di euro. Personalmente sono dell’idea che Maradona il denaro che ha incassato quando giocava a pallone se lo sia guadagnato, al contrario di quelli che periodicamente lo accusano di essere un evasore fiscale. Ma non è di questo che voglio occuparmi. La versione del “pagare tutti per pagare meno” offerta da Saccomanni presenta una variante che a me risulta ancor più irritante della formula canonica: il ministro specifica, infatti, che tutti dovrebbero pagare “il giusto”.
 
Il problema è che a stabilire cosa è giusto è lo Stato, e la misura del giusto varia al variare della spesa pubblica e dei capricci del legislatore, che sempre lo Stato solitamente ritiene giusto aumentare. Ritengo che di giusto nella tassazione non ci sia proprio nulla, e non ne faccio tanto una questione di aliquote, perché una violazione della proprietà è eticamente inaccettabile anche se praticata a piccole dosi. Come dicevo, tuttavia, dalla dichiarazione sull’Imu si può ragionevolmente dedurre che quella del “pagare tutti (il giusto) per pagare meno” sia null’altro che una menzogna. Con l’aggravante di essere raccontata nel periodo natalizio. Probabilmente quando un tecno-burocrate corona il sogno coltivato per decenni vuole superare i politici che passano dalle urne.
 

All’Onu non interessa l’emergenza umana a Gaza? Chiuso il valico di Kerem Shalom, Gaza di nuovo al buio

Chiuso il valico di Kerem Shalom, Gaza di nuovo al buio
Israele ha interrotto la fornitura di carburante il 24 dicembre in seguito all’uccisione di un israeliano. Pronta una nuova emergenza, con l’incubo delle acque reflue
venerdì 27 dicembre 2013 
dalla redazione
 
Roma, 27 dicembre 2013, Nena News – Non bastavano l’alluvione, l’emergenza sanitaria e il raid israeliano della vigilia di Natale. Ora la Striscia di Gaza è di nuovo al buio: l’unica centrale elettrica che la rifornisce è stata infatti chiusa questa mattina a causa della mancanza di carburante. Appena 12 giorni dopo aver ripreso a funzionare in seguito a uno stop di 7 settimane.
 
Un responsabile della società elettrica locale ha spiegato che il blocco è dovuto alla chiusura del valico di Kerem Shalom, il posto di frontiera per il quale passano quasi tutti i beni di necessità destinati alla Striscia: il valico è stato chiuso da Israele martedì scorso in seguito all’uccisione di un israeliano, un dipendente del ministero della Difesa, da parte di un cecchino. L’aviazione israeliana ha risposto con una serie di raid nei quali sono morti un uomo e una bambina di 4 anni, mentre nove persone sono rimaste ferite.
Il ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon ha dichiarato che il valico resterà chiuso fino a nuovo ordine. Nel frattempo, per un milione e 700 mila residenti della Striscia di Gaza la corrente sarà di nuovo razionata: dalle 12 ore quotidiane si passerà a circa la metà, come ha annunciato un portavoce della società elettrica.
Una nuova tragedia per Gaza, a dieci giorni dalla tempesta che ha martoriato per 4 giorni le sue fragili infrastrutture: più di cinquemila persone erano state evacuate a causa dei numerosi crolli e degli allagamenti nelle abitazioni, con l’acqua che in alcuni punti aveva raggiunto anche i due metri. In quei giorni di freddo pungente la centrale elettrica era ancora chiusa da quasi due mesi, sempre per la mancanza di carburante.
 
La chiusura della centrale rende impossibile il funzionamento degli impianti per il trattamento delle acque reflue: per settimane le acque contaminate si sono riversate nelle strade di Gaza, rendendo insostenibile la situazione igienico-sanitaria e alimentando la paura di nuove epidemie. Una situazione causata dall’assedio infinito di Tel Aviv, e pronta a esplodere nei prossimi giorni. Nena News.

Natale abusivo

non può pagare la Tarsu? Evasora, gli italiani son ricchi, il fisco lo sà.

“Sono disoccupata. Vivo in una casa popolare senza impianto idrico e senza un impianto elettrico a norma. Ho 34 anni, ho due figli e a malapena riesco a portare a casa 50 euro a settimana facendo i lavori più umili. Vengo pagata 5 euro all’ora. Mio marito si arrangia come può, onestamente. Ma dico: come si fa a pagare 453 euro di Tarsu? Come si può ripagare un debito che ho con la Serit (l'”Equitalia siciliana”, ndr) di 9.000 euro? Nessun Natale per i miei bimbi di 10 e 3 anni.” anna guarnotta, Trapani
http://www.beppegrillo.it/2013/12/natale_abusivo.html

QUALI SEMI PER IL FUTURO? OLTRE EXPO 2015, TRA MONSANTO E SLOW FOOD

a Petrini stan bene gli Ogm, a patto che ci siano tanti produttori……ammazza che coerenza…presenziare per giunta all’expo, uno scempio indicibile.
 
E’ un fatto: Expo 2015, ancora prima di iniziare sta sollevando una montagna di polemiche. La spesa per l’impiantistica, abnorme, nel momento in cui ogni altra esigenza, scolastica, sanitaria è stata azzerata, da sola darebbe di che pensare.
La riconversione dell’area, dopo l’evento, si paventa la costruzione di uno stadio: Milano ne ha già uno. Strade di collegamento, tangenziali, bretelle, altro asfalto, altro cemento.Ancora, una “via d’acqua” ipotizzata per Expo che attraverserà e sfascerà un’area agricola nella zona Trenno, sta incontrando una vivace opposizione popolare. In Lombardia sono nati diversi coordinamenti contro l’Expo, sono in corso riunioni, si tessono reti e si raccolgono collettivi metropolitani di cittadini, ecologisti, di orticoltori urbani. Questa Expo, dedicata al cibo,all’agricoltura, è, innanzitutto, un maxi-evento, un affare commerciale enorme, una macchina mangiasoldi e produttrice di profitti. Per chi? In nome di che cosa?
Se si avevano seri dubbi per credere che,veramente,ai vari enti, pubblici e privati, interessasse davvero della sorte che riserva il pianeta al cibo di domani, alla “sovranità alimentare” alcuni fatti emersi ultimamente, strappano il prosciutto dagli occhi anche ai più ottimisti.

E’ certo: ad Expo 2015 ci sarà la Monsanto e ci sarà… anche Slow Food.

Alle obiezioni sollevate ai giornalisti che chiedevano lumi in merito, gli organizzatori rispondevano  che ad Expo non ci sono posizioni preconcette e che gli Ogm sono un’opzione come un’altra per il futuro alimentare dell’umanità e, che, in ogni caso, Monsanto ha diritto ad esprimere la sua posizione.
Carlin Petrini, di Slow Food, all’obiezione sulla presenza di una associazione come la sua che attraverso i presidi salvaguarda la biodiversità agricola in tutto il mondo, nello stesso contesto nel quale ci sarà un gigante degli ogm come la Monsanto, rispondeva che il problema non sono gli Ogm ma “il fatto che solamente due o tre grosse ditte sementiere mondiali detengono l’80% dei semi e soltanto il 20% appartengono ai contadini, Slow Food nei suoi 3.500 metri quadri mostrerà pane e formaggio biodiverso come simbolo della resistenza contadina a quei giganti”, così, all’incirca, le parole di Carlin Petrini.

Siamo stati a Terra madre Salone del gusto, nell’autunno del 2012 ed abbiamo notato che Slow Food si trova benissimo ed a proprio agio tra un contadino guatelmateco con pochi sacchi di fagioli ed uno stand scintillante della Barilla o della Fiat, tra il Salone e Terra madre, senza soluzione di continuità, un immenso mercato, tra piccoli contadini di ogni parte d’Italia e del mondo e grandi firme dell’agrobusiness.

Non credo che Slow Food e la filosofia che esprime, si possa trovare a disagio ad Expo 2015, Monsanto è giusto l’alter ego appropriato.
Non è solamente una mia opinione, negli incontri, molteplici, che si stanno tenendo a Milano, da La terra trema al Leoncavallo passando per Terreinmoto, rete di piccoli contadini ed autoproduttori di cibo a filiera corta, cresce la necessità di riflettere, di analizzare su che cosa sta succedendo intorno all’alimentazione, all’agricoltura in questo momento nel mondo. Expo ne è una vetrina luccicante: le contraddizioni che vi si riscontrano,gli setssi agenti promotori, le modalità di proposizione di questo evento, tantissimi altri lementi danno la dimensione di quanto di grosso si stia muovendo.
Noi siamo salvatori di semi, Monsanto a Milano è una minaccia grave, la nostra decennale azione proprio per contrastare l’omologazione, l’appiattimento del gusto, delle forme di vita rurale differenti, locali, regionali, ci vede allarmati, allarmati ed impauriti.
Le lobbies pro-Ogm vedono in Italia affiancati Veronesi e Boncinelli, Bonino e Angela, giornali e televisioni al completo schierati, dall’altra parte le resistenze, quanto di facciata e quanto di sostanza? della Coop, della Coldiretti, Slow Food? Partecipando non significa, è ovvio, che sia sulle posizioni filo transgenico ma, certamente, chi è ospite di un certo evento, non va a pestare i piedi agli altri invitati, se non altro, per questione di etichetta.

E noi? noi che abbiamo creduto nel biologico e ci crediamo ancora, fin dai primi anni Ottanta, noi che ci battiamo e pratichiamo un’agricoltura su piccola scala , che crediamo nella decrescita, che ci riconosciamo nel motto olimpico rovesciato da Alex Langer: ” Più vicino, più lentamente, più piccolo”? Quale sarà il nostro ruolo?

Io credo fermamente che una riflessione vasta, un dibattito che coinvolga più soggetti possibili sia doverosa.
Personalmente immagino una lenta, magnifica marcia a piedi, in bicicletta, con cavalli e capre ed asini e buoi, con carriole recanti ciascuna una bella, nostra, diversa pianta di ortaggio o da frutta locale, una fiumana di canzoni, di colori, di contadini nuovi e vecchi, di orticoltori urbani, militanti della vita e della decrescita, una manifestazione evidente della nostra alterità, il sogno, visibile a tutti, di un mondo diverso, un mondo dove i semi appartengono ai contadini e le terre, pure, che dobbiamo conquistare, ora o mai più.

di Teodoro Margarita
http://www.aamterranuova.it/Blog/I-Semi-e-la-Terra/Quali-semi-per-il-futuro-Oltre-Expo-2015-Tra-Monsanto-e-Slow-Food

Pier Carlo Padoan nuovo presidente Istat? Letta avvia procedura per la nomina

uno senza conflitto di interessi immagino…..
 
Pubblicato il 28 dicembre 2013 12.42 | Ultimo aggiornamento: 28 dicembre 2013 12.43
di Redazione Blitz

ROMA – Pier Carlo Padoan potrebbe diventare il nuovo presidente dell’Istat. Attualmente Padoan è vicedirettore generale dell’Ocse. Secondo indiscrezioni dei giornali si avvia a prendere il posto di Enrico Giovannini, dall’aprile scorso ministro del Lavoro del governo Letta, al timone dell’Istituto Nazionale di Statistica.

Il Consiglio dei ministri ha infatti avviato la procedura per la sua nomina a presidente. Padoan, che annovera incarichi di consulente della Banca Mondiale, della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea, ha assunto il ruolo di Vice Segretario Generale dell’Ocse l’ 1 giugno 2007, e due anni più tardi viene anche nominato Capo Economista, mantenendo entrambe le cariche.

Oltre che capo del Dipartimento di Economia, è pure il rappresentante dell’Ocse al G20 Finanza ed è anche a capo della Risposta Strategica, della ‘Green Growth and Innovation Initiative’ dell’organizzazione.

Prima di sbarcare a Parigi, Padoan è stato professore di Economia all’Università La Sapienza di Roma e Direttore della Fondazione Italianieuropei, un think-tank (che fa capo a Massimo D’Alema) politico che si occupa di temi economici e sociali.
Tra il 2001 e il 2005 ha ricoperto il ruolo di Direttore esecutivo per l’Italia del Fondo monetario internazionale con responsabilità su Grecia, Portogallo, San Marino, Albania e Timor Est, mentre dal 1998 al 2001 è stato consigliere economico presso la presidenza del Consiglio dei ministri, collaborando con i premier Massimo D’Alema e Giuliano Amato, e responsabile per il coordinamento della posizione italiana nei negoziati dell’ Agenda 2000 per il bilancio Ue, l’Agenda di Lisbona, il Consiglio Europeo, gli incontri bilaterali e i vertici del G8. Dal 1992 al 2001 ha anche insegnato al College of Europe ed è stato visiting professor in Italia, Argentina, Giappone, Polonia e Belgio

Equitalia, compensazioni. Lettera a 150mila partite Iva: “Portate crediti P.A.”

Pubblicato il 28 dicembre 2013 13.17 | Ultimo aggiornamento: 28 dicembre 2013 13.17
di Redazione Blitz
 
ROMA – Equitalia manda le lettere a 150mila partite Iva (lavoratori autonomi o aziende) che hannocrediti con lo Stato e debiti col Fisco. Ora potranno usare il sistema delle compensazioni: e cioè possono certificare il proprio credito con la pubblica amministrazione per pagare i debiti fiscali.
Ad oggi le richieste di compensazione sono solo 250 per un importo di 18 milioni. ”Uno strumento importante – dice l’Ad di Equitalia, Benedetto Mineo– in questo momento di difficoltà”.
Le compensazioni tra debiti con lo Stato e crediti commerciali vantati con le pubbliche amministrazioni – spiega Mineo -”sono uno strumento importante per le imprese in questo momento di difficoltà economica. Noi già da mesi siamo pronti a effettuarle e ad oggi abbiamo ricevuto circa 250 richieste per un importo poco superiore a 18 milioni di euro”. Quindi Mineo spiega: ”ho voluto ricordare ai titolari di partita Iva che la legge mette a loro disposizione questa possibilità per incassare eventuali crediti commerciali e utilizzarli per regolarizzare la loro posizione con il fisco. Una lettera che vuole essere un ulteriore segnale di attenzione nei confronti dei contribuenti, nell’ottica di mantenere sempre aperto quel dialogo continuo che ormai da tempo sta caratterizzando tutta l’attività di Equitalia”.
Nelle 150.000 lettere inviate l’amministrazione ricorda che con il decreto per il pagamento dei debiti della P.a. si prevede la possibilità di compensare i debiti tributari (dello Stato, delle Regioni e degli enti locali), previdenziali e assistenziali oggetto di cartelle di pagamento o altri atti (accertamento esecutivo e avviso di addebito) con i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili relativi a somministrazioni, forniture e appalti con lo Stato, gli enti pubblici nazionali, le Regioni, gli enti locali o gli enti del Servizio sanitario nazionale.
 
Per poter compensare sarà necessario acquisire la certificazione del credito, collegandosi alla piattaforma informatica del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato. Poi gli sportelli di Equitalia sono a disposizione per l’assistenza a chi sceglie la compensazione.
 
 

Giornalista del giorno ad honorem: De Benedetti

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De Benedetti, il vero mentore del pdexmenoelle, è uscito allo scoperto per difendere la Web-tax che sarebbe più opportuno chiamare De Benedetti-tax in quanto favorisce sfacciatamente e contro il diritto europeo la sua società di pubblicità, la Manzoni srl. Ecco l’intemerata della tessera numero uno del pdexmenoelle, vero elettore del burattino Renzie e lobbista a tempo pieno in Parlamento grazie al pdexmenoelle e ai suoi giornali.
L’incontenuta deriva populistico-sfascista ha portato Beppe Grillo – tra i più accesi difensori degli elusori legali delle tasse come Google, mito inossidabile del suo sodale Gianroberto Casaleggio – a indicare sul suo blog il nuovo avversario da abbattere, il presidente PD della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, colpevole d’aver voluto nella legge di Stabilità la norma incongruentemente definita “Web tax” da oppositori e detrattori.”.
De Benedetti sbaglia, nessuno ce l’ha con Boccia. Sparare su Boccia è come sparare sul pianista, lui è solo un semplice intermediario, uno schiacciabottoni,l’avversario da abbattere, se proprio vuole, è lei, caro ingegnere, perché la legge è disegnata su misura per i suoi interessi.
Stupisce invece che legali, giornalisti, imprenditori, economisti da anni in prima linea sul fronte dell’innovazione, persone in gamba che danno l’idea di credere in quanto dicono e scrivono, si siano trovati più uniti che mai nel tentativo di impedire che l’Italia diventi un paese dove il fisco sia (un po’ più) equo e la concorrenza senza privilegiati“.
Stupisce invece che lei, dopo autorevoli pareri italiani e stranieri, cerchi ancora di difendere una sciocchezza come la Web-tax. Lei, non si offenda, ma è un ignorante digitale.
Cerchiamo di spiegare la Web-De Benedetti-tax.
– Cos’è? Le aziende italiane non potranno comprare pubblicità da siti visualizzati in Italia se non hanno partita IVA italiana.
– Qual è il problema che finge di risolvere e la reale soluzione.
Problema reale. Nella UE la tassazione é diversa nei vari Paesi sia per la tassazione aziendale, sia al livello di cliente finale. E’ ovvio, e lecito, che clienti e aziende tendono a comprare e operare dove è più conveniente, questo vale per i beni come per i servizi, tra cui i servizi di pubblicità.
Possibile soluzione. Omogeneizzare la fiscalità delle varie nazioni. Deve essere ridiscusso il trattamento fiscale all’interno dello spazio comunitario.
– Cosa implica invece la legge approvata che entrerà in vigore da gennaio 2013 (*). La legge è contraria al diritto comunitario, la UE multerà l’Italia e ci costringerà a toglierla (il M5S farà ricorso). Nel mentre, le aziende maggiori operanti in Italia, come Google e Facebook, decideranno se continuare la loro attività con le aziende italiane o se aprire una partita IVA. Le aziende estere potranno fare comunque pubblicità su questi siti verso l’Italia. Le migliaia di aziende straniere “minori” che vendono pubblicità ad aziende italiane non apriranno probabilmente (perché dovrebbero?) una partita IVA in Italia e per questo motivo le aziende italiane potrebbero non accedere più a siti come il Time, il Financial Times e altri visti in Italia che saranno sempre a disposizione per le aziende straniere interessate al mercato italiano. Siti più visti in Italia. Ci sarà un innalzamento dei costi pubblicitari per le aziende italiane e l’espatrio di chi potrà operare all’estero. Un ulteriore fardello competitivo per le aziende italiane rispetto a quelle del resto d’Europa.
– Chi beneficia di questa legge. Le concessionarie pubblicitarie italiane che vendono pubblicità in Italia e i grandi editori dotati di concessionaria di proprietà. Tra i maggiori beneficiari la Manzoni dell’ingegner De Benedetti.
A cosa serve la Google-Tax? Per mettere in ginocchio i player emergenti? Per favorire la Manzoni? Risponda per cortesia Ingegnere, anche se si trova in Svizzera. Fuori le lobby dal Parlamento!
Ps: Enrico Letta ha affidato alla Manzoni circa il 30% del budget finora stanziato dal governo per la promozione della propria attività.
(*) Ieri il governo ha prorogato la legge al primo luglio 2014

La grillina attacca Renzi, il conduttore prende le distanze,A RaiNews24 Dalila Nesci ricorda che Renzi è un condannato. Il giornalista prende le distanze

c’è una condanna ed il giornalista di Rainews “intimidisce” la cittadina 5Stelle? Chissà se tal giornalista avrebbe detto lo stesso ai giudici che emisero la sentenza…..

“Lei ovviamente si assume le responsabilità di quello che ha detto”, così il giornalista di RaiNews24 liquida in fretta l’intervento di Dalila Nesci, parlamentare del Movimento 5 Stelle, che aveva attaccato duramente Matteo Renzi ricordando che il sindaco di Firenze è un condannato in primo grado per danno erariale.
http://www.lafucina.it/2013/12/04/la-grillina-attacca-renzi-il-conduttore-prende-le-distanze/

Uganda: l’Onu condanna la legge anti-gay

ed ora come ci si regola? Se si da contro agli ugandesi si è razzisti, se si difendo si è omofobi? Romperanno le balle al gov ugandese come a quello russo?
Dubito. Forte la Bonino, pretende di dettare legge all’Uganda, il fatto che l’Italia sia una colonia non è detto che valga ancora per talune nazioni africane, si spera almeno. Il razzismo superiore della Bonino è disgustoso.

Scritto da ImolaOggi sabato, 28, dicembre, 2013

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28 DIC – L’Alto Commissariato per i diritti umani dell’Onu si è detto preoccupato per la nuova legge che il Parlamento ugandese ha approvato la scorsa settimana e che prevede il carcere per gli omosessuali e ha lanciato un appello al presidente a non firmarla.
 
L’ufficio Onu a Ginevra ha precisato che le disposizioni contenute nella nuova legge – che prevede l’ergastolo per i recidivi – rappresentano una violazione dei diritti umani e di libertà dei singoli cittadini.
 
 

La crisi politica in Turchia, dall’inizio

Cos’è arriva mani pulite anche là? Gli Usa devono sbarazzarsi del management che ha fallito la rivolta in Siria e devono scaricare sti qua? Il 1992 ed il Panfilo Britannia insegnano.Il potere ci ha abituato ai due pesi e due misure nel giudicare i manifestanti poverini da proteggere (quelli finanziati da sors di solito) ed altri da spazzare via senza rimpianti (quelli senza bandiera e partiti di riferimento)
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Perché il partito di Erdoğan è alle prese coi guai più gravi degli ultimi 10 anni, più delle proteste di giugno: c’entrano un’inchiesta per corruzione e un grosso scontro di potere
 
26 dicembre 2013
  
Da circa due settimane il governo della Turchia, guidato dal primo ministro conservatore Recep Tayyip Erdoğan, sta attraversando la crisi politica più grave degli ultimi dieci anni e si trova in difficoltà come probabilmente non era mai stato, nemmeno durante le grandi proteste popolaridella scorsa estate a Istanbul e in altre grandi città. Il 25 dicembre si sono dimessi tre ministri, subito dopo Erdoğan ne ha sostituiti sette; intanto sono ricominciate le proteste di piazza e la cosa non sembra essere sul punto di rientrare. La lira turca sta andando molto male e anche la Borsa ha perso 11 punti percentuali negli ultimi giorni. Al centro di quello che succede c’è un’inchiesta per corruzione che coinvolge pezzi rilevanti del partito di governo e della classe imprenditoriale turca, ma secondo molti c’è in realtà qualcosa di più grave e profondo: uno scontro tra strutture dello Stato e tra due diversi movimenti politici di ispirazione islamica.
 
Cosa è successo
Sabato 21 dicembre 16 persone sono state arrestate in Turchia: tra queste c’era il figlio del ministro dell’Economia, quello del ministro dell’Interno e il direttore generale di Halkbank, una grande banca controllata dallo Stato. Pochi giorni prima altre 49 persone erano state fermate, anche loro accusate in quella che è stata definita “la più grande operazione contro la corruzione nella storia della Turchia”. Anche il figlio del ministro dell’Ambiente è stato arrestato e rilasciato dopo un breve interrogatorio. Molti degli arrestati sono direttamente o indirettamente legati all’AKP, il partito di governo guidato da Erdoğan.
 
Il governo ha risposto duramente – ma contro la polizia e gli inquirenti. Il primo ministro Erdoğan ha definito l’operazione un complotto per far cadere il governo e ha promesso di colpire coloro che stanno congiurando contro il governo. In pochi giorni, circa 30 ufficiali di polizia sono stati licenziati o rimossi dal loro incarico: tra questi c’è anche Huseyin Capkin, il capo della polizia di Istanbul, uno dei più importanti comandanti della polizia ad aver appoggiato e condotto le indagini. Tre dirigenti del partito AKP sono stati rinviati alla commissione disciplinare del partito e rischiano l’espulsione, per aver criticato Erdoğan e difeso l’indagine. Ertuğrul Günay, influente deputato dell’AKP, ha dato le dimissioni dicendo di non voler fare a meno della sua libertà.
 
Il centro dell’inchiesta e le “manovre di disturbo” contro le indagini
Secondo le notizie riprese dalla stampa turca, nei giorni scorsi la polizia ha trovato e sequestrato a casa del direttore di Halkbank circa 3,3 milioni di euro in contanti nascosti in una scatola di scarpe, mentre più di 730 mila euro erano stati trovati a casa di Baris Guler, il figlio del ministro degli Interni. Guler padre ha detto che i file delle intercettazioni utilizzati dalla polizia nell’inchiesta sarebbero stati manomessi, e che i soldi ritrovati dalla polizia a casa di suo figlio sarebbero il ricavo della vendita di una loro villa.
 
L’inchiesta gira intorno ad alcuni trasferimenti di denaro in Iran nell’ambito di una presunta corruzione relativa ad alcuni appalti, e alla presunta corruzione di alcuni funzionari pubblici allo scopo di approvare la costruzione di opere edilizie ignorando la destinazione ufficiale dei terreni. La stampa locale, citando voci e retroscena, fa capire che il lavoro di indagine è ancora in una fase iniziale e che – salvo gli effetti delle manovre di “disturbo” – il caso potrebbe allargarsi ulteriormente nei prossimi giorni. L’inciso è importante: il procuratore a capo dell’inchiesta ha detto di aver disposto una nuova serie di arresti il 25 dicembre, relativi a una grande seconda fase delle indagini, ma che la polizia di Istanbul ha deciso di non eseguirli (secondo alcune voci riprese dalla stampa, non confermate, tra gli arrestati ci sarebbe stato anche il figlio dello stesso Erdoğan). Il procuratore ha detto che l’inchiesta ormai «non è più nelle mie mani» e che, disobbedendo agli ordini, la polizia di Istanbul «ha commesso un reato e ha dato modo ai sospettati di prendere contromisure e inquinare le prove a loro carico». Sembra che i procuratori abbiano chiesto allora alla gendarmeria militare di effettuare i nuovi arresti, visto che la polizia non obbedisce.
 
Le dimissioni dei ministri
Il 25 dicembre i ministri dell’Economia, degli Interni e dell’Ambiente – i cui figli erano stati fermati o arrestati dalla polizia – si sono dimessi. Si sono detti tutti e tre innocenti ma il ministro dell’Ambiente, annunciando la sua decisione, ha invitato il primo ministro Erdoğan a dimettersi, accusandolo di essere politicamente corresponsabile delle decisioni al centro dell’indagine.
 
Le dimissioni dei tre ministri sono state piuttosto inaspettate; Erdoğan ha reagito anticipando un previsto rimpasto di governo e sostituendo altri sette ministri – i ministri del governo sono tutto 21 – dando qualche argomento a chi sostiene che al centro di quanto sta accadendo ci sia uno scontro di potere all’interno dei conservatori turchi. Erdoğan dal primo momento denuncia l’inchiesta come un tentativo di screditare il governo da parte di oppositori politici turchi e stranieri – ha parlato di una “banda criminale” e di un “complotto organizzato all’estero” – in vista delle prossime elezioni locali che si terranno a marzo. Durante un messaggio televisivo Erdoğan ha detto di non avere intenzione di dimettersi.
 
Un po’ di contesto: Erdoğan e l’AKP
L’AKP è stato fondato nel 2001 da diversi politici di ispirazione conservatrice, religiosa e nazionalista, tenuti insieme dal carisma di Erdoğan, il politico turco più popolare degli ultimi decenni. Erdoğan venne eletto per la prima volta nel 2002, grazie anche a una campagna basata su accuse di corruzione e cattiva gestione nei confronti del governo precedente. Negli anni successivi condusse una campagna per liberare il governo dalla tutela dei militari turchi, in gran parte laici, che già in passato avevano più volte interferito con la vita politica turca, rimuovendo governi di sinistra o di ispirazione religiosa.
 
Negli anni successivi la Turchia ha sperimentato una grandissima crescita economica che ha aumentato i consensi di Erdoğan. Il modello adottato dal governo ha unito liberalizzazioni e privatizzazioni con diversi tentativi di recuperare l’identità islamica in politica, ma sembra avere creato nell’ultimo decennio molti squilibri nella società turca: le differenze più importanti si sono create tra la popolazione che risiede nelle grandi città, che contrasta il conservatorismo islamico portato avanti dal governo, e la popolazione rurale, legata alle tradizioni religiose. Questo “conflitto” va avanti da almeno un decennio e soltanto con Erdoğan un partito turco è riuscito a contrapporsi al potere militare. Grazie alla grande crescita economica, l’AKP è riuscito a guadagnare un grande consenso nel paese – alle ultime elezioni ottenne il 50 per cento dei voti, e il risultato fu considerato allora persino deludente.
 
La tenuta del partito, però, era già stata messa alla prova quest’estate quando la polizia represse con grande violenza le manifestazioni nate in seguito alla decisione di demolire il parco Gezi, per far spazio a un progetto di sviluppo urbanistico. Secondo diversi commentatori, gli arresti di questi giorni saranno una prova ancora più dura da superare. Diversi leader di AKP hanno già preso le distanze da Erdoğan, un segnale che in questi giorni il partito è molto più diviso che in precedenza. La cosa di cui si discute di più però è la rivalità tra Erdoğan e Fethullah Gülen, un religioso musulmano che vive negli Stati Uniti. E qui veniamo al punto centrale di questa crisi, probabilmente.
 
Chi è Fethullah Gülen e cosa c’entra
Gülen ha 72 anni: negli anni ha creato una grande rete di scuole private in tutto il Medio Oriente, possiede giornali e altre imprese e ha fondato un movimento, Hizmet (“servizio”), di cui si dice facciano parte numerosi esponenti della magistratura, delle forze dell’ordine turche e persino diversi membri dell’AKP, il partito del primo ministro Erdoğan. Negli ultimi anni Hizmet si è schierato quasi sempre dalla parte del governo Erdoğan, specie nelle campagne politiche contro il predominio dell’esercito. In questi giorni però le cose sembrano essere cambiate, e infatti Gülen ha pubblicato sul suo sito Internet un video in cui critica duramente il governo per la rimozione degli ufficiali di polizia che hanno portato avanti le indagini di questi giorni. Gülen ha negato qualsiasi coinvolgimento diretto con le operazioni di polizia.
 
In questi giorni Erdoğan non ha mai nominato esplicitamente Gülen, ma ha dichiarato che gli arresti di questi giorni sono opera di una “banda criminale” e di un “complotto organizzato all’estero” che ha l’obiettivo di creare “uno stato nello stato”: tutte espressioni che, secondo i commentatori, stanno a indicare Gülen e il suo movimento Hizmet come responsabili delle inchieste e degli arresti di questa settimana. Secondo molti osservatori e analisti intervistati dal New York Times, il caso di questi giorni è di fatto uno scontro di potere tra settori dello Stato.
 
La maggior parte dei liberali e dei laici non sostiene l’AKP: Erdoğan e Gulen rappresentano due diverse tradizioni dell’islamismo turco e il fatto che siano ormai praticamente in guerra fa sì che l’AKP rischi di collassare. In senso più generale, lo scontro riguarda anche la praticabilità del cosiddetto “Islam politico” e arriva in un periodo in cui simili avvenimenti – movimenti islamisti che faticano a mantenere il potere politico – avvengono anche in contesti molto diversi, come la Tunisia e l’Egitto. La differenza è che in Tunisia e in Egitto lo scontro politico avviene tra islamisti e laici, mentre in Turchia avviene tra due movimenti islamisti.
 
Le proteste di piazza
Intanto le inchieste e gli arresti di questi giorni hanno ridato forza ai partiti di opposizione e ai contestatori del governo che già quest’estate avevano rumorosamente protestato contro il governo. Secondo molti la rinnovata vitalità dei movimenti di opposizione si deve anche ai molti dettagli dell’indagine arrivati sui giornali: fotografie di montagne di denaro contante accatastato sui letti dei ministri, la notizia dei soldi nascosti nelle scatole di scarpe. Ci sono state nuove proteste di piazza escontri con la poliziaanche la scorsa notte, e quello che sta succedendo sembra lontano dalla fine.
 
foto: il presidente turco Abdullah Gul (al centro), il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan (a destra), il presidente del Parlamento turco Cemil Cicek (terzo a sinistra). (ADEM ALTAN/AFP/Getty Images